FRANCESCO FELICETTI
CAMPANA: UNA
SCUOLA "DIVERSA,,
Editrice
MIT – Cosenza
I N D I C E
CAP . I I MOTIVI DELL'ESPERIMENTO
CAP . II CAMPANA
CAP . III L' AULA DIVENTA LABORATORIO
CAP . IV LA NUOVA METODOLOGIA
CAP . V PERCHE' PREFERIAMO QUESTO TIPO DI SCUOLA
CAP . VI ECCO COSA NE PENSIAMO
L'esperienza didattica ed
organizzativa di cui parleremo in questo lavoro é scaturita dalla profonda consapevolezza
che la scuola media unificata, nella sua struttura tradizionale, non è riuscita
a realizzare - nella sua stragrande maggioranza - lo spirito della della legge
istitutiva.
La legge 31 dicembre 1962, estendendo
l'obbligo scolastico fino al 14° anno, affidava alla nuova scuola il compito
fondamentale di «concorrere a promuovere la formazione dell'uomo e del
cittadino secondo i principi sanciti dalla costituzione e favorire
l'orientamento dei giovani ai fini dela scelta dell'attività successiva» (art.
I).
Un compito senz'altro ambizioso a cui le
vecchie strutture non erano preparate, nè poteva essere facilmente realizzato
nell'immediato futuro, per tutta una serie di problemi strutturali, didattici
ed organizzativi da risolvere.
Il primo era rappresentato dall'edilizia
scolastica assolutamente inesistente. II secondo, quello degli insegnanti,
presentava un duplice aspetto:
1) i
vecchi insegnanti non avevano avuto il tempo di entrare nello spirito della
nuova legge, malgrado il lungo dibattito preparatorio e le trasmissioni
televisive - veramente notevoli per numero e qualità -- dedicate ad essa nei
primi anni della sua esistenza;
2) una
paurosa carenza di insegnanti, per cui si dovette far ricorso a personale
scarsamente qualificato o addirittura sfornito di qualsiasi qualificazione.
Terzo ed ultimo problema, ma non meno
importante, l'assoluta mancanza di sussidi didattici, senza i quali - anche se
fossero stati risolti i primi due - sarebbe stato impossibile fornire il nuovo
tipo di insegnamento ríchìesto dalla mutate esigenze della società italiana
degli anni sessanta, che da società agricola, e quindi relativamente statica,
sì era venuta trasformando in società prevalentemente industrializzata, e
quindi fortemente dinamica.
«E' ovvio che la scuola - nelle
società statiche o bloccate - ha per obiettivo la conformazione dell'individuo
ai modelli, ai valori, alle immagini collettive cristallizzate e generalizzate
dì dette società. In altri termini, essa costituisce uno strumento istituito
per la conservazione e la trasmissione dei suddetti modelli, valori, immagini, mediante metodi didattici basati - in gran
parte -- sulla ripetizione e l'obbedienza.
“Nelle società dinamiche, invece, la
scuola tende a formare un uomo aperto e disponibile all'innovazione, e, cioè,
un uomo che abbia l'attitudine a ripondere ai bisogni di una società in
perpetuo mutamento, e, pertanto, capace di comprendere la realtà sociale in cui
si trova a vivere, disporre delle tecniche necessarie per agire
intelligentemente su di essa ed arricchirla». (1)
Date queste condizioni generali, la
nuova scuola, agli inizi, non poteva fornire una prestazione che realizzasse i
principi ispiratori della legge. Nè, forse, ci si aspettava tanto da essa,
perchè i più avvertiti erano coscienti che era necessario passare attraverso
una fase organizzativa mastodontica (sì pensi a tutte le nuove scuole che sì
istituirono nei piccoli e grossi centri nel triennio 1963-66) che avrebbe
richiesto un prezzo da pagare sul piano della didattica e della metodologia.
E questo prezzo fu puntualmente
pagato. Le scuole funzionarono come poterono. Alcune continuarono sulla scia
della vecchia scuola media, selettiva ed autoritaria; altre, interpretando male
il pensiero del legislatore e le disposizioni ministeriali, si abbandonarono ad
una orgia di lassismo fatalistico. Solo poche riuscirono, grazie al raro
equilibrio e alla profonda maturità democratica dei loro dirigenti e dei loro
docenti, ad indirizzarsi sui binari voluti dal legislatore.
Oggi, a dieci anni dalla sua istituzione,
la situazione é alquanto mutata. Il corpo docente ha, nella sua stragrande
maggioranza, una buona preparazione professionale e le scuole, nella quasi
totalità, sono dotate di un discreto corredo di sussidi didattici. Solo
l'edilizia scolastica non ha avuto una soddisfacente soluzione.
Ma le carenze permangono, e sono gravi,
sul piano della didattica, della metodologia e dell'organizzazione.
L'azione educativa di ogni società
organizzata si propone di raggiungere come fine la trasformazione di «quanto
esiste in qualcosa di più alto e di migliore». (2)
La legge 31 dicembre 1962 parte dal
presupposto che la nuova scuola rappresenta il momento fondamentale del
rinnovamento della società e del cittadino. Rinnovamento richiesto dal nuovo
stato industriale che, anche per l'inserimento «nei vari campi delle attività
immediatamente produttive, reclama ormai conoscenze, nozioni e maturità
personali dì livello superiore a quelli conseguibili al termine del
quinquennio elementare» (3), e dal nuovo sistema dì governo democratico, che
richiede un cittadìno che sia in grado dì fare le sue scelte dì fronte alle
costanti sfide che il nuovo tipo di organizzazione della società gli pone:
cioè, un cittadino che sappia camminare sulle proprie gambe, che abbia
coscienza del ruolo che è chiamato a svolgere nell'ambito della comunità, che
abbia acquisito come costume di vita le regole del gioco democratico, che sì
identifichi nello stato di cui fa parte e ne rispetti e ne faccia rispettare
tutte le manifestazioni, anche quando non sono esattamente quelle che avrebbe
desiderato nel suo egoismo particolare (in sostanza correggere l'immagine
storica che il cittadino italiano ha dello stato, uno stato che gli imponeva
solo doveri e che egli doveva frodare,
per sostituirla con l’immagine dello stato-amico, democratico e repubblicano,
che si impegna a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»(4), che
abbia una conoscenza critica delle vicende del passato, non solo per capire ed
operare nel presente, ma anche e soprattutto per proiettarsi nel futuro, nel
suo futuro.
Per realizzare questo obiettivo la Scuola deve prendere
coscienza di due fatti fondamentali:
1) la
formazione integrale della personalità dell'individuo richiede un
impegno multisettoriale e la si può raggiungere solo quando tutte le sue
possibili sfaccettature sono promosse e coltivate con un impegno educativo
totale che faccia prendere coscienza della propria natura e delle proprie
tendenze.
Ecco perchè l'impegno della Scuola non
deve limitarsi ai pochi insegnamenti tradizionali che ancora oggi vengono considerati,
erroneamente, come cardini esclusivi del processo educativo, ma deve fornire lo
stesso impegno anche in quegli insegnamenti che, sebbene previsti e voluti
dal legislatore della nuova Scuola Media, vengono sistematicamente trascurati
perchè non se ne riesce a percepire l'alto valore formativo (o, se vogliamo
essere più brutali, per una sorta di aristocrazia culturale, mai scomparsa
dalla nostra scuola) l'educazione artistica, le osservazioni scientifiche,
l'educazione civica (la grande trascurata), l'educazione musicale sono
altrettanti aspetti, facce della personalità dell'individuo e concorrono
notevolmente al suo equilibrato sviluppo; il torto del legislatore é stato
quello di aver fatto di alcuni di essi (applicazioni tecniche ed educazione
musicale) insegnamenti facoltativi, di altri (osservazioni scientifiche ed
educazione civica) di averli affidati ad insegnanti che hanno poco interesse
per essi.
2) la Scuola deve essere rivoluzionata nella sua
organizzazione, nella metodologia e nella didattica delle varie discipline.
Per l'organizzazione non è sufficiente
estendere l'orario scolastìco
all'arco della giornata per realizzare la cosiddetta scuola a tempo pieno, se
nel contempo il sistema delle aule tradizionali non viene ristrutturato in
modo da creare l'ambiente favorevole per riempire quel tempo che appunto deve
esser «pieno»
«Scuola a tempo pieno: é lo slogan che
ricorre in questi mesi nei convegni, nei dibattiti e sulle riviste
specializzate. Con l'espressione si vuole indicare la necessità di dilatare
l'esperienza scolastica nell'arco della giornata, così da assicurare agli
allievi della fascia dell'obbligo più ore di "contatto" con le fonti
di informazione e una maggiore quantità di stimoli per una promozione della
persona umana.
Se é vero quanto si va dicendo dei limiti
della scuola come realtà educante e come agenzia di informazione; se è vero
che essa, per l'angustia dei suOI orizzonti umani e civili, non riesce a
proporre un'alternativa liberatrice ai modelli culturali proposti dai
mass-media; se è vero che agli stimoli del mondo esterno la scuola sa opporre
solo stereotipi; se é vero tutto questo, viene legittimo porsi una domanda: con
che cosa sarà riempito questo tempo che dovrebbe risultare appunto pieno?» (5)
Per la metodologia, nella nuova scuola
non c'è più posto per «l'insegnante sola fonte di tutta la conoscenza» (6) che
per mezzo della lezione tradizionale riempe i vasi che gli stanno di fronte.
Al contrario la didatticaegli deve diventare un suscitatore di interesse, una
guida nella difficile ricerca della verità, che egli non possiede o se la
possiede, la possiede per sè e - questo dovrebbe essere detto chiaramente agli
alunni - che non può trasferire ad altri, tanto meno a loro che devono andare
alla ricerca della propria verità, la quale può anche essere identica a quella
dell' segnante, ma non necessariamente.
Un compito certamente più gravoso per
l'insegnante, ma anche più esaltante, perchè lo eleva al rango di educatore. E' necessario, però, che egli abbia a
disposizione strumenti adatti allo scopo. In primo luogo una biblioteca di
classe o d'istituto aperta anche nelle ore extrascolastiche o che pratichi il
prestito esterno, in modo mettere il ragazzo in condizione di approfondire gli
argomenti che sono stati oggetto di discussione in classe. Non richiedendogli
la solita ricerca-burla, oggi tanto di moda nella scuola, ma un lavoro di sintesi,
di ripensamento del materiale raccolto - singolarmente o in gruppo - che gli
dia la possibilità di portare il proprio contributo attivo ed originale alla
conoscenza dell'argomento in esame. In secondo luogo un'aula attrezzata
(laboratorio) con tutti i sussidi didattici che le moderne tecnologie hanno
messo a disposizione della scuola.
Purtroppo dobbiamo ammettere che queste
due condizioni non si verificano quasi mai nelle nostre scuole. Eppure da
un'indagine condotta di recente è risultato che quasi tutte le scuole italiane
sono dotate di una notevole quantità di materiale didattico, che - però - non
viene messo in uso e viene stipato nei sottoscala o nelle soffitte.
L'esperimento di Campana é stato fondato su
queste considerazioni. All'inizio dell'anno scolastico (1973-74) era fortemente
sentita l'esigenza di un rinnovamento totale che consentisse di adeguarsi
effettivamente allo spirito della legge istitutiva della nuova scuola media.
C'era la ferma volontà di realizzare una scuola diversa che tenesse conto della
realtà socio-economica-culturale della popolazione scolastica e del paese in
generale; che fosse una scuola di tutti e per tutti; che fosse una scuola di
effettivo elevamento intellettuale e non una fabbrica di diplomi vuoti o una
madre degenere che rigetta (bocciatura) i suoi figli (di solito proprio coloro
i quali ne hanno più bisogno) ; che fosse la scuola del presente e non del
passato, e, infine, che fosse un luogo aperto al dialogo, alla discussione e al
dibattito su tutta la problematica della vita moderna, per contribuire incisivamente
alla formazione umana, intellettuale, civica e
democratica di quei ragazzi, i nostri ragazzi, che di a poco avrebbero
abbandonato, nella quasi totalità, la scuola per inserirsi definitivamente nel
mondo del lavoro.
A conferma della giustezza di questi
intendimenti è venuta - quando l'esperimento era già iniziato - la parola di
uno dei maggiori pedagogisti italiani - A.A. - in un editoriale scritto per
Scuola e Didattica del mese di novembre 1973, di cui citiamo le considerazioni
conclusive.
«Proprio dal mondo dei
lavoratori - notava... un esperto di sindacalismo operaio - é venuta una evoluzione
di argomentazioni. Mentre, per il passato - un passato non molto remoto - il
mondo dei lavoratori affermava: Contestiamo la scuola - oggi, invece, i
lavoratori, capi e padri di famiglia, numerosità maggiore del popolo italiano e
nella popolazione scolastica, non propongono più: Rifiutiamo la scuola,
contestiamola - ma richiedono e domandano: Vogliamo una scuola che corrisponda
alle esigenze di educazione, di promozione personale, di "istruzione"
e di maturazione delle attitudini, di "formazione" dei nostri figli:
vogliamo una scuola autentica, che "funzioni", e che non faccia o
lasci decadere le forze e le capacità dei nostri ragazzi....
«!n altre parole: non
basta "amare" gli alunni, "accettarli",
"permettere" loro qualunque evasione: occorre guidare sapientemente e
promuovere consapevolmente, e "insegnare", svolgere dei programmi, saper
ottenere, per capacità e sagacia di metodi e dididattica, dei r i s u l t a t i v e r i e c o n c r e t i di apprendimenti e di
abilità, sapendo offrire nel modo adeguato, ma effettivamente, motivi, contenuti,
esperienze e stimoli di ricerca, di pensiero, di riflessione e di ragionamento,
mediante cultura ben selezionata, solida e fondamentale, corrispondente ad un
sapere di varie e totali prospettive.
“Si rimedia, cioè, alla
"discriminazione" di origine sociale e culturale d'ambiente solo insegnando:
non certo con l'equivoco (e l'inganno agli stessi alunni) della promozione
comunque, ma lasciando le cose, nella loro essenza e sostanza, al punto di
prima, vale a dire senza rimedio alla condizione soggettiva di discriminato e
di svantaggiato.
“Siamo contro il sistema della
"bocciatura": da anni ed anni, e spesso vilipesi per questo.
Desideriamo e auspichiamo la promozione per tutti. Ma una promozione a tutti,
in quanto e perchè si siano promosse e raggiunte (fatte raggiungere con
l'impegno e il lavoro educativo e di insegnamento) in tutti, la cultura e la
personalità, e non una specie di convenzionale sanatoria, intesa a cancellare
la capacità o l'incapacità professionale dei diversi insegnanti, con inganno
indiscutibile perpetrato contro gli stessi alunni e tutto il popolo, contro
quelli del popolo che hanno più bisogno di riscatto e di decondizionamento: di
ascesa.
“Se manca questo servizio
al popolo, siamo nella più evidente e smaccata demagogia. E' forse incominciata,
nella nuova valutazione della scuola, e nella diversa richiesta da parte dei
lavoratori, quella che un giorno chiamammo "la censura sociale"
all'insegnante, censura che potrebbe avere gravi ripercussioni psicologiche e
di fatto per tutto il personale della scuola? Pensiamoci..
C
A M P A N A
La scuola é situata nell'interno, in un
Comune rurale delle pre Sila Ionica, privo di un centro culturale e di ogni
altra iniziativa volta ad elevare il livello intellettuale della popolazione,
che é composta da pastori, contadini ed operai per la maggior parte emigrati.
Le principali attività economiche del
paese sono l'agricoltura e la pastorizia, ma entrambe si svolgono ad un livello
di sussistenza. Una delle principali fonti di reddito - l'unica per parecchie
famiglie - è la raccolta dei funghi.
La posizione geografica del paese e il suo
clima di mezza montagna favoriscono la crescita dei funghi, che sono tra i più
pregiati della regione. La loro alta qualità é ben conosciuta e nel periodo
della raccolta la zona viene battuta da pugliesi e campani che cercano - a
prezzi alquanto remunerativi per il raccoglitore - di assicurarsene tutta la
produzione.
Alla raccolta partecipa quasi tutto il
paese con una buona parte degli alunni della scuola. Le assenze, nel periodo
ottobre-inizio-novembre - sono frequenti e numerose, e sono tacitamente
tollerate perchè ci si rende conto che per molte famiglie questa é la sola
fonte di reddito monetario. Un'indagine statistica, da noi condotta sull'attività
dei genitori, ci ha confermato la verità di questa affermazione. Circa il 25%
delle famiglie degli alunni non ha un reddito esattamente definibile o
quantificabile, mentre per circa il 6%
l'unico reddito proviene dalla raccolta dei funghi.
L'ambiente socio-economico in cui sono
inseriti gli alunni é molto depresso. Dalle tabelle che riportiamo risulta che
un terzo delle famiglie non supera - come reddito - il livello di sussistenza;
più di un terzo degli alunni ha almeno un genitore (il padre) che lavora
all'estero, mentre circa il 70% é affidatato alle cure dei parenti perchè
entrambi i genitori sono emigrati.
Anche il contesto culturale delle famiglie
é estremamente povero. Un terzo dei genitori non sa leggere e scrivere; più di
un terzo ha una preparazione scolastica che non va al di là della III
elementare e solo uno scarso 25% é in possesso della licenza elementare.
Dall'analisi di questi dati risulta chiaro
che la scuola si trova inserita in un contesto socio-economico culturale
assolutamente carente e perciò era suo compito tentare di concorrere a
modificare la realtà esistente - per la parte di sua competenza - sostituendosi,
se necessario, anche agli altri agenti del processo educativo; ma, per farlo
doveva innanzi tutto rivoluzionare se stessa, ed é quello che abbiamo cercato
di fare col nostro esperimento.
L'AULA
DIVENTA LABORATORIO
L'efficacia dell'azione educativa dipende
anche dalla felice organizzazione scolastica, organizzazione che può
interessare molti aspetti della vita scolastica, ma i preminenti sono, senza
alcun dubbio, quello ambientale e «l'ordine della collocazione degli strumenti
nell' attività -didattico-educatíva.
“Il problema organizzativo viene
affrontato purtroppo in ritardo nel pur cospicuo impegno ad aggiornare la
scuola. Non può sfuggire, infatti, che l'aggiornamento é stato troppo spesso
considerato in una preminente dimensione metodologica, ignorando che i nuovi
procedimenti metodologici modificano completamente la natura del rapporto
educativo collocando fra il maestro e lo scolaro, fra l'educatore e l'educando,
esperienze e strumenti che non possono darsi rapsodicamente e occasionalmente.
Anzi qualcuno é stato indotto a credere che la pedagogia della spontaneità e
della libertà implicasse quasi il rifiuto dell'organizzazione, come se le
esperienze del Decroly e della Montessori, delle stesse Agazzi e della Boschetti
Alberti, si fossero realizzate all'insegna della improvvisazione.
“Non manca chi afferma esplicitamente che
la crisi della scuola odierna é crisi di efficienza perchè é crisi di
organizzazione. L'affermazione può non essere generalizzata. Può imporre la
precisazione che la crisi consegue anche alla carenza di ideali. Ma contiene
una precisa verità...
“L'organizzazione può legittimamente investire
i tempi dell'attività educativa, in modo da evitare gli sperperi di tempo; può
investire l'ordine della collocazione degli strumenti nell'attività
didattico-educativa che il richiede; può investire l'ordine della elaborazione
dei contenuti; può, infine, riguardare la predisposizione degli ambienti
scolastici considerati in se stessi e nel loro rapporto. II Dewey, nel suo
classico Scuola e Società uscito nel 1899, ha presentato un modello per
l'organizzazione della scuola integrata in se stessa e nella società che la
circonda. La pluralità degli ambienti (cucina, refettorio, biblioteche, aulelaboratorio,
ecc.) può sembrare ancora un sogno per la stragrande maggioranza delle nostre
scuole (e non solo nostre). Ma ciò non significa che la necessità
dell'organizzazione cada o diminuisca di importanza. E basti dire che un'aula
può prestarsi alla predisposizione di ambienti interni ... per l'apprendimento
delle varie discipline di studio (con le esperienze che questo apprendimento
presuppone), come può trasformarsi in aula-laboratorio per le esperienze e gli
apprendimenti di una particolare disciplina.
“L'organizzazione dell'ambiente scolastico
é presupposta anche dalla necessità di motivare, più facilmente ed efficacemente,
il lavoro scolastico». (7)
La idonea predisposizione degli ambienti
consente, inoltre, la giusta collocazione per una completa ed efficace
utilizzazione di tutti gli strumenti didattici necessari ed indispensabili per
fare un insegnamento che non sia basato esclusivamente sulla trasmissione
orale dei dati della conoscenza. «E' indubbiamente sterile cominciare le
lezioni a freddo, con l'esclusivo aiuto delle parole, senza il suggerimento che
proviene dalle esperienze. (8)
In
una scuola con un'organizzazione ambientale tradizionale é impossibile ottenere
una completa ed efficace utilizzazione di tutte le attrezzature in dotazionne.
Quando un docente di matematica ed
osservazioni scientifiche deve spostarsi in tre aule diverse; quando un docente
di lingue o di applicazioni tecniche deve peregrinare in sei aule, spesso molto distanti tra loro; quando un
docente di educazione artistica é
costretto a girare per nove classi e quello di educazione musicale addirittura
per diciotto, non si può pretendere un
insegnamento che si basi o che utilizzi appieno i moderni sussidi didattici o
gli audiovisi.
E' materialmente impossibile, anche per
il docente più volenteroso, trasferire
queste attrezzature un'aula all'altra, alcune delle quali, poi, non sono
trasferibili. Si può obiettare che ogni scuola dovrebbe gli avere i suoi
laboratori: linguistico, di osservazioni e di applicazioni tecniche. Ma per
poterli istituire ci vogliono dei locali supplementari e l'esperienza concreta
ha dimostrato che la stragrande maggioranza delle scuole italiane è allogata in
edifici con un numero di locali appena sufficienti per accogliere le classi
(e molto spesso non sono sufficienti e
si deve ricorrere ai doppi turni).
Ma anche quando è possibile far fun zionare i
suddetti laboratori, perché la matematica, lastoria-geografia ed educazione
civica, l'educazione artistica e l'educazione musicale non devono avere una
loro aula-laboratorio?
In fondo scuola integrata significa
proprio la necessità che questa trasformazione avvenga. E non é strettamente
necessario estendere l'orario scolastico alle ore pomeridiane per realizzare
una scuola di questo tipo. Basta un pizzico di fantasia e anche la scuola a
tempo normale può diventare integrata, senza aver neanche bisogno, per questo,
di locali supplementari.
A Campana abbiamo avuto questo pizzico
di fantasia ed abbiamo realizzato una scuola diversa.
Nell'esperienza concreta che stavamo
per fare, non potevamo predisporre alcun piano organizzativo senza prima
procedere all'inventario dei sussidi didattici e degli audiovisivi, per
verificare la loro consistenza e il loro grado dì efficienza (9). Da questa
verifica é risultato che la scuola era discretamente dotata e il materiale si
trovava in un ottimo stato di efficienza (tranne alcuni attrezzi che abbiamo
fatto riparare). Solo per la matematica e la lingua straniera il materiale era
scarso, ma questo non ci preoccupava molto, in quanto la Cassa Scolastica
aveva una consistenza patrimoniale che cì avrebbe consentito dì programmare un
arricchimento - sia pure limitato - delle attrezzature esistenti.
Per ottenere una completa utilizzazione
di tutti questi strumenti e sussidi, di fronte a noi erano aper tre strade: 1)
fare una scuola a tempo pieno; 2) istituire il doposcuola; 3) escogitare un
nuovo modo di fare scuola.
Dopo una seria riflessione ed un ampio
dibattito, le prime due strade sono state scartate non solo non tanto perchè -
trovandoci all'inizio dell'anno scolastico - esse non erano
"tecnicamente" praticabili, ma anche e soprattutto per obiezioni di
fondo. Per costituire un effettivo superamento della scuola tradizionale e non
risolversi in uno spreco di denaro e in un luogo di sofferenza per gli alunni,
la scuola a tempo pieno ha bisogno, come condizione essenziale ed
indispensabile, di un complesso scolastico adatto allo scopo: un edificio
moderno e funzionale con biblioteca, sala proiezioni, refettorio, sala
riunioni, palestra coperta e scoperta, dove l'alunno, che - non
dimentichiamolo - si trova in un momento particolare e delicato della sua
crescita, possa dedicare alcune ore della giornata alle attività pre-sportive
e sportive, in modo da garantire il suo equilibrato sviluppo psico-fisico.
La scuola di Campagna, invece, è allogata in
una vecchia abitazione civile adattata, con ambienti stretti e servizi
igienici appena accettabili e quindi assolutamente inidonea ad ospitare una
scuola a tempo pieno.
Nè l'esperienza fatta in tutta Italia
consigliava l'istituzione del doposcuola. «Negli ultimi anni, a litti vello di
Scuola Media, l'amministratore scolastica sperperato miliardi per iniziative di
doposcuola che andrebbero attentamente valutate. Andrebbero, in quanto non ci risulta che qualcuno abbia
condotto una ricerca seria sulla
produttività di siffatte iniziative.
«Le nostre saranno delle
valutazioni impressionistiche, ma il doposcuola, così come è stato inteso ed
attuato, si è rilevato essenzialmente: a) un espediente per limitare la
disoccupazione intellettuale; e b) un mezzo per assistere gli allievi che non
potevano contare sull'appoggio della famiglia. Una specie di "ECA
scolastica", insomma. Correlativamente si é potuto registrare il
disinteresse totale degli allievi e la profonda frustrazione degli insegnanti,
ridotti al rango di "guardiani" di ragazzi inquieti e demotívatì».
(10)
La terza strada era l'unica
percorribile, anche se eravamo coscienti che - percorrendola - non avremmo
potuto avvalerci di esperienze precedenti e saremmo dovuti andare avanti col
metodo del «trial and error». Così, abbiamo deciso di istituire un'aula-laboratorio
per ogni singola disciplina, basando questo nuovo tipo di organizzazione sul
principio che mentre nella scuola tradizionale é il docente a cambiare aula,
in questo sarebbero stati i ragazzi a trasferirsi da un laboratorio all'altro.
Il punto delicato di questo tipo di
organizzazione era rappresentato dallo spostamento simultaneo delle classi. In
linea teorica alcuni insegnanti avevano espresso le loro perplessità su questo
punto. Si temeva, e il timore non era del tutto ingiustificato in linea di
principio, che durante il trasferimento si sarebbe creato il caos e si sarebbe
perso molto tempo. In realtà, la realizzazione pratica ha dimostrato che i timori
non avevano motivo di sussistere se si adottavano - come noi abbiamo fatto -
due accorgimenti.
Il primo consiste nell'adozione di un
orario generale che tenga conto della mutata realtà e dia più respiro - dal
punto di vista didattico - all'insegnante e agli alunni, e cioè garantendo loro
una più prolungata permanenza nell'aula-laboratorio, in modo che la mancanza di tempo - la fretta di finire - non
soffochi la nuova metodologia, che - come vedremo più avanti - essendo basata
sul dialogo, sulla partecipazione attiva e sulla sperimentazione concreta degli
alunni, ha bisogno di tempi più lunghi di quelli tradizionali. Con questo tipo
di orario, non tutte le classi si spostano nella medesima ora.
Gli spostamenti di una
classe oscillano tra tre e quattro. II secondo accorgimento é quello di far
spostare gli alunni in fila indiana e senza accompagnamento (la doppia fila e
l'accompagnamento dell'insegnante - da noi adottato nei primi giorni - non ha
dato un esito soddisfacente) ; i docenti devono restare sulla soglia dei loro
laboratori per controllare che tutto si svolga ordinatamente. Appena gli
alunni si abituano alla nuova sistemazione delle aule, il trasferimento
avviene nel lasso di tempo di due minuti e
senza inconvenienti di alcun genere (tranne un certo vociare, naturale
d'altronde nei ragazzi di questa età).
Questo lo schema
organizzativo degli ambienti:
In AULA L : laboratorio di applicazioni
tecniche maschiche; dotato delle attrezzature necessarie per la lavorazione
del legno, del metallo e per il giardinaggio, nonchè dell'occorrente per lo
studio della elettricità
AULA I Laboratorio di
applicazioni tecniche femminili; dotato di cucina con corredo, tavole murali
sul valore proteico dei cibi, sulla macellazione dei bovini, sui vari tipi di
funghi mangerecci e non mangerecci (Campana, come abbiamo detto, é un paese
che ha un'altissima produzione di funghi), tavole sul regno vegetale e la
fioricoltura; infine tutto l'occorrente per la lavorazione delle stoffe
(compresa una macchina da cucito) ed un piccolo telaio.
AULA H : laboratorio di
educazione artistica; dotato una serie di diapositive e filmini con relativo
proiettore, carte murali sugli stili architettonici, modelli in gesso e tutto
l'occorrente per la pittura, i lavori in plastica e per il disegno.
AULA G : laboratorio
linguistico; dotato di due serie
di Tableaux murali,
lavagna magnetica con susssidi, magnetofono, giradischi con corso di lingua
completo, apparecchio televisivo per le lezioni di lingua destinate alla
scuola media, grande carta geografica della Francia in lingua originale.
AULA F : laboratorio di
osservazione scientifiche; dotato di un piccolo Leonardo, filmine e diapositive
con proiettore, microscopi, strumenti per la fisica, complesso telefonico,
stazione metereologica completa, modelli di anatomia (compreso un torso umano),
strumenti per gli esperimenti di chimica, cellule vegetali, plastici animali,
plastici corpo umano, tavole botanica generale, strumenti per lo studio
dell'ottica.
AULA E : laboratorio di
matematica; dotato di lavagna magnetica con sussidi, tavole magnetiche dei
vari teoremi, serie completa dei solidi, geopiani, serie completa figure
piane, scatola: costruiamo la geometria».
AULA D : laboratorio di
storia-geografia ed educazione civica; dotato di filmine e diapositive con
proiettore e visore, episcopio, tellurio modello Galvagni, globi a rilievo e
luminosi, bussola e bussola con rosa dei venti, carte geografiche, carte per
la geografia astronomica, serie documenti per lo studio della storia.
AULA C : laboratorio di
storia-geografia ed educazione civica + italiano; stessa dotazione dell'AULA
D, giradischi con dischi di antologia letteraria.
AULA B : Laboratorio di educazione
musicale + italiano: dotato di pianola elettrica, flauto, chitarra, radio,
giradischi con corredo di dischi per corso di educazione musicale con testo,
piatto oscillante, triangolo grande con betecchio.
AULA A : per l'italiano e
il latino (a questa aula é stata riservata una funzione di cui parleremo più
avanti).
Senza questo tipo di organizzazione, che
ha trasformato l'aula in aula-lavoratorio, non sarebbe stato possibile
utilizzare tutti gli strumenti di cui la scuola disponeva e che prima del
nostro esperimento erano stipati in vari armadi, lontano dal luogo dove avrebbero
dovuto essere: nelle aule, a disposizione degli alunni e degli insegnanti che
con il loro ausilio gli uni avrebbero appreso meglio e più facilmente e gli
altri avrebbero fornito una migliore prestazione nel loro lavoro.
Certamente «l'aula-laboratorio é la più
caratterizzante di questa esigenza organizzativa. Ma non la appaga
integralmente. L'organizzazione si estende anche ad altri ambienti: dalla palestra
alla biblioteca al cinema». (1) Tre strutture che la scuola deve possedere se
vuole effettivamente raggiungere la finalità dello sviluppo di tutte le
possibili sfaccettature della personalità del ragazzo.
La mancanza di una palestra coperta non
deve costituire un alibi per non fare nulla e rimanere nel chiuso di un'aula.
«Occorre non dimenticare che l'aria aperta giova, durante il movimento, alla
pari del movimento stessoo e che perciò bisognaa svolgere il più possibile le
esercitazioni allo scoperto utilizzando i campi e i piazzali opportunamente
attrezzati. Per quanto si riferisce in
particolare alle lezioni di educazione fisica, bisogna utilizzare al massimo le
aree scoperte adiacenti alle scuole.
“L'educazione fisica sportiva intesa come
preparazione dell'organismo ad affrontare con maggiore resistenza i disagi e
le intemperie a cui l'individuo é inevitabilmente sottoposto, ed intesa anche
come addestramento morale e disciplinare non deve temere l'aria libera, anzi
spesso sfidare con i dovuti accorgimenti le asperità del clima e del suolo».
(2)
A Campana abbiamo accolto questi
suggerimenti ed abbiamo chiesto al Comune di spianarci un'area adiacente alla
scuola per adibirla a palestra scoperta, cosa che l'Ente locale ha fatto di
buon grado e con sollecitudine. La
mancanza di personale non ci ha consentito di istituire una biblioteca centrale
che restasse aperta tutto il giorno. Ma il problema é stato forse risolto più
efficacemente.
Abbiamo distribuito le opere di consultazione
nei vari laboratori alla cui disciplina si riferivano ed abbiamo istituito tre
biblioteche divise per argomenti ed aperte al prestito esterno.
Nell'AULA A abbiamo messo tutti i libri di
narrativa per l'italiano ed abbiamo fatto in modo che tutte le classi vi
notassero; nell'AULA D abbiamo messo tutti i libri di carattere
storico-geografico e per l'educazione civica, e anche qui abbiamo adottato ì]
criterio della rotazione delle classi; nell'AULA F abbiamo messo tutti i libri
di carattere scientifico.
L'alunno, così, é stato messo nella
condizione di scegliersi non solo il libro che più gli piaceva, ma anche di
avere dei consigli dal docente della materia, a cui poi doveva fare un sunto
orale della lettura (e questo per accertarci che il libro preso in prestito
fosse stato effettivamente letto). (1)
E in fondo il cinema.
I sussidi audiovisivi sono diventati, in
questa società tecnologica, parte integrante e mezzi indispensabili al
quotidiano lavoro dei docenti. Un insegnamento moderno non può non tener conto
del modo di sentire e di vivere della realtà sociale in cui la scuola opera.
I fanciulli, fin dai primi anni di
vita, sono sottoposti all'influsso e al condizionamento della cosiddetta
civiltà "dell'immagine o della comunicazione". La scuola, di
conseguenza, deve adeguare la sua metodologia alle tecniche più avanzate, alla
luce dei nuovi e moderni principi pedagogici ...
Non si tratta, in altri termini, di fare
uso degli audiovisivi per colmare un vuoto scolastico, ma di adottare una
nuova metodologia che, mediante immagini fisse o in movimento o suoni, renda
più immediata e valida la efficacia dell'insegnamento». (2) E tra gli
audiovisivi i films sonori 16/mm occupano un posto preminente, perchè essi
rappresentano il momento in cui il dialogo tra docente ed alunni si fa più
maturo e più preciso. Rinunciando alla sala dei professori abbiamo creato una
mini sala proiezioni (1) certamente non una sala ideale, ma, se fossimo andati
alla ricerca dell'ideale, non avremmo realizzato nulla. Tra l'ideale ma non
realizzabile e il non-ideale ma realizzabile, abbiamo scelto quest'ultimo e
l'esperienza ci ha dato ragione. Gli alunni ci hanno dato ragione (v. più
avanti). E questo é quello che conta, il resto é tutto amletismo di chi si
rende conto che la realtà esistente va modificata, mutata, rivoluzionata, ma
non trova la forza (nel nostro caso la fantasia) di agire su di essa e aspetta
che qualcun'altro (lo Stato, come sarebbe del resto giusto) lo faccia (Nell'arco
dell'anno sono stati, proiettati 218 films presi in prestito dal CPSA
provinciale.
L'esperienza concreta ci ha dimostrato
che la nostra organizzazione non é contro la didattica. E' contro «il
didattismo, che mortifica e confonde lo spirito rinnovatore che è nella scuola
e che mette in movimento quelle iniziative che servono a trasformare le
strutture attuali e a preparare alla base una forza di costruttiva pressione
che solleciti gli interventi legislativi e amministrativi». (1)
L'organizzazione, comunque, non poteva
dirsi esaurita con l'istituzione delle aule-laboratorio, della palestra, della
biblioteca e del cinema. C'era tutta una serie di problemi ad essa connessi che
andavano risolti e che vanno
riferiti per dare una visione completa dell'organizzazione e del funzionamento
della nostra scuola. I primi e più immediati erano problemi logistici: il
ragazzo non stava più fermo nella stessa aula per tutto l'orario scolastico, ma
faceva tre o quattro spostamenti, quindi era necessario trovare una nuova
sistemazione ai suoi effetti personali: cappotti, impermeabili, ombrelli, ecc.
La soluzione ideale sarebbe stata quella degli armadietti personali: noi
l'abbiamo risolto con attaccapanni e porta ombrelli lungo i corrodoi divisi
per classi, in modo particolare per i porta ombrelli; onde evitare affollamenti
e confusione al momento dell'uscita.
Un'altro problema si é presentato il
primo giorno dell'entrata in vigore del nuovo tipo di organizzazione: il
trasferimento del registro di classe. L'abbiamo risolto affidando l'incarico
ad una ragazza della classe di portarlo con sè nei vari spostamenti e di lasciarlo
nell'ultima aula-laboratorio della giornata; il bidello, poi, l'avrebbe fatto
trovare nel primo laboratorio della mattina successiva.
Un altro problema era costituito dal
bagaglio librario degli alunni. Esso era strettamente connesso con la
metodologia che stavamo introducendo. Per la nuova metodologia il libro non era
più un sussidio indispensabile in classe, anzi diventava un peso inutile da
trasportare da un'aula all'altra.
Ciononostante,
per le prime settimane non siamo riusciti a far desistere gli alunni dal
portarlo. Solo quando si sono resi effettivamente conto che a scuola esso non
veniva più usato (con l'eccezione della antologia italiana e del libro di
latino), essi hanno smesso di portarlo.
Come abbiamo accennato il discorso sul nuovo
tipo di scuola non si esauriva con I'organizzazione.
Esso investiva direttamente anche la
metodologia che doveva necessariamente adeguarsi al nuovo tipo di
organizzazione, altrimenti il rinnovamento si sarebbe risolto in una burla. E
qui il discorso diventava delicato e difficile. Ad esso abbiamo dedicato una
serie di riunioni per singola desciplina prima e collegiali poi. Ed é di
questo che ora dobbiamo parlare.
LA NUOVA METODOLOGIA
Sin
dalle prime riunioni é emersa in tutti la chiara consapevolezza che «gli
insegnanti non sono preparati ad accettare i nuovi principi educativi perchè
vivono e sperimentano nella formazione professionale un tipo del tutto
tradizionale e superato di insegnamento “... chi ha sperimentato e vissuto
direttamente una certa concezione dell'insegnamento, non può fare altro che
ripeterla quando sarà a sua volta insegnante». (12) «L'insegnante che ha subito
una scuola tradizionale», ha risposto un insegnante alla domanda di un
questionario (v. più avanti) «deve impegnarsi a fondo per svecchiare la sua
forma mentis e deve cercare da solo di aggiornarsi ed adeguarsi ai nuovi
criteri didattici, in ciò per nulla coadiuvato dalle remiscenze dei metodi dei
suoi insegnanti, seguendo i quali avrebbe trovato meno difficoltà».
Ma é emersa altrettanto chiaramente la forte
volontà della quasi totalità del corpo docente di fare del proprio meglio per
applicare la metodologia che era scaturita dalle ampie ed approfondite
discussioni collegiali.
Al trinomio «lezione-interrogazione-voto»
si sostituiva il trinomio «dialogo-non-interrogazione-autovalutazione».
Nella scuola diversa che stavamo per
realizzare non c'era più posto per la lezione-conferenza tradizionale, che
lascia l'alunno passivo percettore di un sapere prefabbricato che egli deve
immagazzinare per poi restituirlo al momento della interrogazione-verifica.
L'alunno doveva cessare di essere considerato
il classico «vaso da riempire» per diventare attore principale - insieme con
l'insegnante - del processo educativo. Nella nuova scuola veniva esaltato il
momento qualitativo su quello quantitativo. E in questo
siamo sicuri di essere
nello spirito della legge istitutiva, che
aveva - appunto - voluto abolire una scuola informativa-quantitativa per
istituirne una formativa-qualitativa. Ecco perchè il legislatore e
I'amministrazione non hanno voluto fornire dei programmi tassativi, ma hanno
lasciato un ampio margine di discrezionalità al corpo docente. «E' necessario
che penetri sempre più nella nostra scuola dell'obbligo e nella nostra cultura
il concetto che il momento più importante e il fine fondamentale per
l'insegnante é l'educazione
dell'alunno e che le acquisizioni culturali hanno una importanza secondaria,
per cui ci si deve orientare sempre più su un insegnamento per scoperta che
favorisca la maturazione della personalità e nel rispetto dell'alunno,
piuttosto che pretendere una sistematicità di insegnamento, che accentui
l'aspetto dell'istruzione che quello della educazione». (13)
Il compito dell'insegnante in questa
scuola é quello di svolgere una funzione di stimolo, di guida, di iniziatore
del dialogo, che deve essere la formula metodologica tipica di una scuola che
mette l'alunno direttamente a contatto con tutte le attrezzature e tutti i
sussidi didattici di cui essa dispone. E questi devoono servire per stimolare
l'alunno all'osservazione, alla riflessione, all'inventiva, alla scoperta, alla
necessità di fare, ma soprattutto alla necessità di porre domande per conoscere, per penetrare più a
fondo nel problema oggetto del dialogo.
La forma interrogativa è la più efficace
fonte di conoscenza e la più fruttifera
di risultati pedagogici, ma richiede da parte dell'insegnante una grande dose
di umiltà. Egli, infatti, deve ammettere - se realmente vuole far crescere i
suoi alunni - quando se ne presenti l'occasione, che egli non é la «fonte di
tutta la conoscenza», ma che ci sono molte, forse moltissime, cose che gli sono
sconosciute (come quella sulla quale l'hanno eventualmente interrogato) e
quella può essere I'occasione propizia per colmare una lacuna se tutti insieme
vanno alla ricerca della risposta. Inteso e vissuto in questo spirito, il
processo educativo non si risolve in un movimento unidirezionale (docenite
-> alunno), ma diventa un rapporto di dare ed avere (docente ± alunno) che si stabilisce tra i
due co-protagonisti della scuola.
L'insegnante che afferma o che crede di non
avere nulla da apprendere dai suoi alunni è quando meno inidoneo a svolgere la
sua delicata funzione. A contatto con gli alunni un buon insegnante si
arricchisce - se non sul piano culturale - di umanità, di insight psicologico e
impara a conoscere l'animo umano.
Parlare di queste cose non é fuor di luogo
in questo lavoro, perchè noi abbiamo cercato, in piena coscienza, di
introdurre nella nostra scuola questi principi. Non sappiamo se ci siamo riusciti
appieno (non sta a noi giudicare; gli alunni hanno detto che molti insegnanti
ci sono riusciti (v. più avanti), comunque abbiamo cercato di fare del nostro
meglio.
Per iniziare il dialogo anche
l'insegnante deve molto spesso fare ricorso all'interrogazione, non tradizionalmente
intesa, ma sotto forma di domanda-stimolo, che invita l'alunno meno pronto ad
intervenire o per guidarlo nel difficile percorso del pensiero logico, in modo
che tutti possano raggiungere il fine ultimo di ogni sistema educativo:
«portare il giovane all'indipendenza e metterlo in grado di far fronte al mondo
alla vita con le sole sue forze. Il compito dell'insegnante é davvero quello
di rendersi superfluo. Pure, la strada all'emancipazione porta alla soggezione,
la strada all'autonomia porta alla dipendenza, fatto questo che purtroppo oggi
é stato perduto di vista. I risultati rappresentano esattamente il contrario
dello scopo a cui si tende: lasciando il fanciullo troppo presto in balia di
se stesso, egli resta sempre in soggezione, insicuro, spesso soggiace a stati
d'ansia, resta per molti aspetti immaturo e "ipoevoluto".
“Nella condizione di
dipendenza psichica dell'educatore e col suo appoggio l'alunno intraprende
infatti quelle azioni e quelle modalità di comportamento che lo rendono maturo
e adulto, nonché capace a far fronte ai problemi della sua vita.
“Nel campo intellettuale, autonomia vuol
dire capacità dì risolvere i problemi con le proprie forze e di comprendere ed
elaborare i fatti naturali mediante i propri concetti e le proprie operazioni
mentali. L'insegnante si sarà reso pertanto inutile allorché gli alunni
sapranno trovare la soluzione di nuovi problemi mai trattati e comprendere
oggetti mai discussi nella scuola. Così il compito della scuola é quello di
procurare i criteri, le attività di comprensione e i metodi adatti affinchè
egli consegua tale scopo. Dunque non gli occorre soltanto scienza, ma anche
sapienza; non solo idee e concetti riproducibili, ma anche strumenti
spirituali». (14)
L'esperienza ha dimostrato che la scuola
del dialogo é difficile, e diventa addirittura impossibile se l'insegnante non
conosce o non fa rispettare quelle che sono le regole fondamentali ed
essenziali di un corretto e proficuo dialogare. Una pluralità di voci
simultanee non aggiunge nulla alla chiarezza delle idee, anzi serve solo per
creare confusione, rumore fastidioso e spreco di tempo. Interrompere
continuamente chi sta esprimendo il proprio pensiero porta inevitabilmente al
battibecco, che non é dialogo, ma il contrario di esso. Fare uno sproloquio non
significa fare mostra di buone capacità espressive, ma denota immaturità della
propria personalità. Parlare quando non si ha nulla da dire o da aggiungere,
non significa dare il proprio contributo attivo al dialogo, ma vuol dire rubare
tempo a chi ha effettivamente qualcosa da dire. Non saper ascoltare in silenzio
ed attentamente, non saper aspettare il proprio turno per chie dere la
parola, essere insofferente verso chi parla, può significare solo mancanza di
autocontrollo, incapacità di dominare i propri impulsi e mancanza di
educazione. «Anche dal punto di vista dell'autoeducazione del
"gentiluomo" si dovrebbe ricordare che una persona veramente educata
aiuta sempre chi parla con un atteggiamento che rilevi la massima attenzione».
(15)
Queste non sono regole oziose o
oppressive. Richiedere, pretendere che esse siano rispettate non significa
negare o soffocare la libertà del fanciullo. La libertà assoluta è un concetto
negativo: è anarchia, é caos, e dove c'è il caos non può esserci ordine.
Queste non sono regole oziose o
oppressive. Richiedere, pretendere che esse siano rispettate non significa
negare o soffocare la libertà del fanciullo. La libertà assoluta è un concetto
negativo: è anarchia, é caos, e dove c'è il caos non può esserci ordine. Ecco
perchè la libertà in tanto é effettiva libertà in quanto é regolamentata,
altrimenti diventerebbe non-libertà o libertà del più forte.
«L'insegnante dev'essere, per così dire,
una guida per il fanciullo, un interprete del giusto significato del suo
profondo anelito alla libertà: deve essere il maestro della vera libertà, non
il poliziotto della costrizione; deve impedire che la forte aspirazione della
personalità ad una vita libera si metta su una falsa strada; deve spiegare
quale sia il vero fine e la realizzazione suprema di essa, affinchè, restando
allo stato di oscuro impulso, non si chiuda in un caparbio egoismo o cerchi la
sua soddisfazione negli impulsi dei sensi. Se l'insegnante non comprende ciò,
se non sa allearsi col desiderio di libertà del fanciullo e non sa
spiritualizzarlo, questo stesso desiderio farà alleanza con gli istinti
inferiori, e si rivolgerà contro il maestro e la sua disciplina: e allora tutto
é perduto». (16)
II metodo del dialogo rifiuta, come
motivazione allo studio, l'interrogazione ed il voto espresso dall'insegnante.
Nella scuola del dialogo la motivazione allo studio deve avere una matrice
diversa che va ricercata nella capacità dell'insegnante di rendere interessante
gli argomenti; di coinvolgere direttamente il ragazzo nella loro trattazione;
di mettere il ragazzo direttamente a contatto con le attrezzature, i sussidi
didattici, gli audiovisivi; di lasciare al ragazzo una certa possibilità di
scelta - dove ciò é possibile - del lavoro scolastico, consentendo la libera
formazione di gruppi di interessi e badando che questi non diventino rigidi e
cristallizzati, ma siano mobili e fluidi, a seconda dell'effettiva propensione
(interesse) dei ragazzo nelle varie discipline (cioè, evitando che si formino
i cosidetti gruppi di élite intellettuale) ; di suscitare nel ragazzo la
consapevolezza che il suo lavoro non é fine a se stesso, ma tende al raggiungimento
di un traguardo preciso: la formazione della sua personalità.
«L'attività del maestro,
che questa volta é dominante, deve essere rivolta anzitutto a determinare
l'attività dell'allievo verso un fine. Le ricerche sulla memoria hanno
dimostrato che la partecipazione attiva dell'allievo é essenziale e che la
osservazione passiva non dà alcun profitto ...
“Se si impone in ogni modo che venga
fissato un fine all'attività dell'allievo e che
gli
“si faccia accettare e volere il suo compito,
non meno s'impone che tale compito sia ben definito dal maestro. E' stato dimostrato
che un operaio, al quale sia stato detto di lavorare il più sodo possibile
senza avergli assegnato alcun obiettivo preciso, realizza molto meno d'un
altro a cui sia stato affidato un compito preciso, chiaro esatto e sia stato
raccomandato di tener nota egli stesso del suo lavoro. Quest'ultima
raccomandazione ottiene il risultato di attenuare la fatica, mentre la chiara
determinazione del compito ne circoscrive il fine e indirizza l'energia». (17)
Anche nella scuola del dialogo l'alunno -
come l'operaio - deve «tener nota egli stesso del suo lavoro» per poter
esprimere un giudizio su di esso. In questo tipo di scuola, infatti, il
controllo non può essere affidato al voto misura-fiscale espresso dall'insegnante.
«Storicamente nella scuola si sono
imposti due atteggiamenti: quello informativo-selettivo che considera la
scuola come distributrice e giudice del sapere, il cui credo è che la scienza
nasca dal possesso e sedementazione di nozioni; e quello formativo-orientativo,
caratterizzato dalla nuova scuola, il cui credo é frutto di scoperta personale
e non sedimento di scoperte altrui: é il contatto diretto con la realtà che
conta, non unicamente quello astratto con le nozioni scientifiche e teoriche.
“Nella prima impostazione, il voto, i
compiti, gli scrutini, gli esami,
diventano gli strumenti necessari ed insostituibili del controllo; nella
seconda, il voto é messo in crisi fino ad essere abolito per dar luogo ad un
giudizio globale di valore personale che, oltre al profitto, implichi anche la
considerazione del come e del perchè quel profitto è stato raggiunto.
“Due voti identici numericamente hanno
matrici personali diverse psicologicamente: non possono quindi avere lo stesso
significato. Per questo il voto-misura non ha senso se non viene interpretato
e perciò stesso trasformato in voto-valutazione; mantenerlo come tale è un
assurdo pedagogico.
“Si dice che ì genitori, gli alunni
stessi, e l'autorità scolastica esigono il voto, perchè attraverso esso si ha
un indice del successo o dell'insuccesso, si ha un incentivo allo studio (=
ricompensa allo sforzo) e all'emulazione, si ha un mezzo rilevativo della stima
da parte dell'insegnante e dei compagni, si ha un controllo dei metodi
didattici degli insegnanti, si ha una guida che garantisce i genitori
dell'andamento scolastico dei figli, ecc. e perciò é impossibile,
praticamente, far a meno dei voti.
“Questo può essere vero in un clima di
scuola selettiva dove la differenziazione e legata al quantitativo
nozionistico posseduto, ma diventa meno vero se si riesce ad instaurare un
diverso rapporto docente-alunno-genitori secondo cui ogni alunno é accettato
così com'è, nei suoi limiti, nelle sue motivazioni, nelle sue possibilità di
sforzo e di impegno, in un clima effettivo di stima e di valorizzazione.
“Siccome lo scopo é di farlo crescere
come persona (e non solo imbottirlo di nozioni) il controllo scolastico deve
essere diversamente motivato e diversamente espresso: dovrà essere cioè
valutazione.
“Evidentemente un giudizio ci vuole, ma
occorrerà che questo non venga dal di fuori, ma che sia orientato lo stesso
alunno a percepire, con l'aiuto dell'insegnante, il valore del risultato
ottenuto e a giudicarlo (con o senza la traduzione in un voto) ».
«Per raggiungere questa meta della non
dipendenza da altri per un giudizio di sè, si suggerisce, comunque, di
presentare l'eventuale voto-misura come semplice perizia di esperto su un
prodotto e mai come sentenza di valore personale; di considerare le votazioni
come una specie di bilancio sulle proprie risorse per stabilire il ritmo del
proprio sforzo di apprendimento; di eliminare il valore competitivo e frustrante
dei voti insistendo sul fatto delle differenzazioni individuali per cui
risulta naturale che ciascuno produca, in qualità e quantità, in proporzione a
questa diversità; di far capire insomma che si vale non per quello che altri
dicono di noi, ma per quello che si é. Non per nulla vari "cattivi
scolari" ... diventarono dei geni e campioni del sapere» (18).
L'esperimento era nato con
l'intento di fornire un servizio migliore ai suoi fruitori: gli alunni. Quindi
al termine dell'anno scolastico ci é sembrato opportuno sottoporre ad essi un
questionario per conoscere il loro giudizio sul nuovo tipo di scuola ed avere
eventuali suggerimenti per eliminarne i possibili inconvenienti.
E' da chiarire subito che non abbiamo
mai avuto la sensazione che la nuova scuola ad essi non piacesse, anzi il
contrario. Per tutto la durata dell'anno scolastico li abbiamo visti più
euforici e più impegnati nel lavoro scolastico, ma il questionario serviva appunto
per verificare fino a che punto si estendeva il consenso, se c'erano critici e
qual era la loro consistenza.
Il questionario é stato
formulato nel seguente modo:
1) Ti piace il tipo dì
scuola di quest'anno? 2) per quali motivi?
3) ti sembra più facile o
più difficile di quello dell'anno scorso?
4) Desideri continuare
con lo stesso tipo di scuola anche il prossimo anno?
5) Preferisci essere
giudicato con l'autovalutazione o con l'interrogazione tradizionale?
6) per quali motivi?
7) Pensi preferibile l'aula personale del vecchio tipo
di scuola, dove l'alunno rimane fisso per tutto l'orario scolastico o credi che
lo spostamento da un laboratorio all'altro dà all'alunno la possibilità di
rompere la monotonia dello stazionamento «permettendogli di riposarsi e seguire
di più nelle ore successive», come hanno scritto i tuoi colleghi della IIA nel
giornalino di classe?
8) Credi che il
funzionamento di questo tipo di scuola può essere migliorato?
9) Come?
1. Dei 157 alunni (la
scuola ne conta 164) a cui é stato sottoposto il questionario solo uno ha
espresso un giudizio negativo sul tipo di scuola e questo andava al di là di
ogni nostra aspettativa.
2. I motivi che fanno
preferire questo tipo di scuola abbracciano tutti i principi pedagogici che ne
avevano suggerito l'istituzione.
Riportiamo per primo il più diffuso e
nello stesso tempo quello che ci sembra abbia saputo cogliere e sintetizzare in
modo superlativo le finalità che la nuova scuola si proponeva di raggiungere:
«A me piace questo nuovo tipo di scuola perchè l'alunno impara ad essere
responsabile delle proprie azioni, a sapersi guidare da solo nella vita, ad
essere se stesso» (III).
«Perchè ogni materia ha un'aula bene
attrezzata, quindi si adotta un metodo di studio diverso» (II). «La lezione é
meno noiosa ... possiamo parlare più liberamente e capire meglio. Inoltre
possiamo vedere documentari sulle cose di cui abbiamo discusso in classe»
(III). «Non si interroga più alla cattedra, ma si discute la materia e quindi
diventa più facile imparare» (II).
Un'altra motivazione che esprime
efficacemente lo spirito del rinnovamento può essere questa: «Perchè
quest'anno l'alunno può collaborare ed anche essendo meno bravo collaborando
impara qualcosa di più» (II).
3. La totalità degli
alunni, compreso quello che alla prima domanda aveva dato una risposta negativa
sollecitata dal fatto che non condivide il trasferimento che - secondo lui -
«crea confusione», ha trovato più facile questo nuovo modo di fare scuola.
«Più facile non direi, il
programma che deve essere svolto é lo stesso, solo che é cambiato il metodo e
quindi diviene più facile capire» (III).
«Più facile perchè vi
sono i laboratori e possiamo fare degli esperimenti o studiare le carte che vi
sono appese» (III). «Più facile perchè tra insegnante ed alunni c'è più
colloquio» (II). «Perchè siamo attrezzati di filmine, diapositive e altre cose
e abbiamo molti libri a nostra disposizione» (II).
4. Tutti hanno espresso
il desiderio di continuare con lo stesso tipo di scuola anche l'anno prossimo.
Gli alunni delle terze hanno fornito una risposta - solo pochi se ne sono
astenuti - anche a questa domanda. In alcuni si può cogliere il rammarico di dover
lasciare la scuola nuova: «mi piacerebbe, ma devo lasciare la scuola media».
Altri esprimono l'augurio di continuarlo nelle scuole medie superiori. Altri,
infine, elogiano la bontà della scuola e la consigliano - con l'autorità dei
veterani - a «quelli di I e di II».
5.6. Per
l'autovalutazione gli alunni non hanno fornito una risposta univoca come nelle
precedenti. Ci sono state delle differenziazioni che hanno richiesto
un'analisi più accurata, per cui abbiamo diviso gli alunni - come suggerivano
del resto le risposte stesse - in due gruppi: uno per le I` e l'altro per le
II` e III`.
L'autovalutazione é accettata e
desiderata da quegli alunni che hanno raggiunto un certo grado di maturità, una
certa coscienza delle proprie capacità. E' respinta o forse sarebbe meglio dire
sconsigliata, da coloro i quali non hanno ancora raggiunto questo senso di
sicurezza delle proprie possibilità. Gli alunni di prima che hanno subito una
scuola elementare arcaico-paternalistica (le risposte suggeriscono questa
qualificazione) per il 58% preferiscono l'interrogazione tradizionale:
«preferisco essere giudicato dall'insegnante perchè sa quello che fa»; «il voto
che conta é il suo»; «preferisco essere giudicato dai professori perchè ho
fiducia in loro ed essi mi conoscono bene».
Forse da parte nostra si sarebbe richiesto
uno sforzo maggiore, quanto meno uno sforzo meglio articolato, per eliminare
queste incrostazioni che limitano e soffocano il libero sviluppo della
personalità.
Il 14% non ha saputo fornire alcuna
risposta, mentre il 28% si é dichiarato favorevole all'autovalutazione. Gli
alunni di quest'ultimo gruppo hanno motivato la loro preferenza in vari modi,
ma tutti mettono in evidenza - come sottofondo comune - una certa maturità:
«preferisco l'autovalutazione perchè mi sento più sicura»; «... perchè faccio
un esame di coscienza»; «perchè sono abbastanza maturo per giudicarmi da
solo».
Il 74% degli alunni di Il e III si sono
dichiarati per l'autovalutazione «L'autovalutazione ci aiuta a ragionare»,
«preferisco giudicarmi da sola, ma con l'aiuto dell'insegnante»; «perchè mi
sento in grado di giudicarmi da sola»; «perchè l'alunno rimane più soddisfatto
del proprio voto, però messo con coscienza e giustizia, e confrontato con
quello dell'insegnante». «Preferisco essere giudicato con l'autovalutazione
perché quando si discute con gli insegnanti non si deve basare (il giudizio) su
quello che si é detto una sola volta, ma sul modo di ragionare di sempre»; «con
l'autovalutazione perchè così piano piano si diventa maturi».
Il 26% di questo gruppo ritiene che
l'autovalutazione non sia adatta a loro, perchè non sono ancora
sufficientemente maturi: «non sono in grado di giudicarmi»; «non sono maturo»;
«non mi so autovalutare». Uno ha addirittura generalizzato il suo giudizio ed
ha scritto: «preferisco essere giudicato con l'interrogazione perchè un
ragazzo di III, di Il e di I media non può autovalutarsi, in quanto non ha
ancora raggiunto una maturità simile».
II trasferimento degli alunni
rappresentava per noi l'unica incognita. Avevamo dei dubbi sulla sua accettabilità
da parte degli alunni. La reminiscenza di qualche lettura, non troppo lontana
nel tempo, ci spaventava: «L'aula deve essere personale. La scolaresca cioè
deve sentire sua quella determinata aula e, in questa considerazione, sembra
che il colore abbia un ruolo determinante» (19).
Le perplessità di alcuni docenti sulla
realizzabilità del nuovo tipo di organizzazione si fondavano proprio su
questo assunto. Come avrebbe reagito l'alunno ai continui spostamenti e alla
mancanza di un'aula personale?
Dalla totalità delle risposte ottenute si
rileva: 1) l'aula cosiddetta personale é vista come luogo ostile o soffocante;
2) il continuo passaggio da un laboratorio all'altro consente di scaricare la
tensione e l'energia fisica accumulate durante il periodo di stazionamento; 3)
il trasferimento eleva il rendimento scolastico degli alunni.
«Non mi passa neanche per idea di dover
restare in un'aula per tante ore. Prima di tutto mi annoiavo e nelle ultime
ore mi veniva quasi voglia di dormire, in parola povere mi scocciavo del
tutto. Invece adesso con il cambiamento delle aule sto un po' in movimento e
questo mi permette di impegnarmi di più nelle ore successive»; «preferisco lo
spostamento perchè se il ragazzo sta sempre nella stessa aula, e si muove solo
un po' durante la ricreazione, si annoia e non segue molto bene la lezione,
invece spo standosi la mente si riposa e quindi si seguono le lezioni con più
interesse»; «lo spostamento consente all'alunno di scacciare quella noia che
cerca di diffondersi in lui quando sta troppo a lungo in un'aula»; «a me piace
lo spostamento da un'aula all'altra perchè in quei momenti di libertà, ci si
svaga un po' e quindi ci si stanca meno».
8.9. II 40% dei ragazzi
ha risposto che il funzionamento di questo tipo di scuola non può essere migliorato
perchè va bene com'è ora»; «io credo che un funzionamente migliore di questo
non si può avere".
II 35% ha individuato le
effettive carenze strutturali della scuola: «può essere migliorato costruendo
un edificio moderno» (la scuola é allogata in una vecchia abitazione) ;
«costruendo una grande palestra coperta»; «mettendo un impianto di riscaldamento»;
«attrezzando meglio i laboratori».
Il 25%, infine, oltre
alle carenze strutturali ha indicato altri possibili miglioramenti: «abolendo i
compiti a casa»; «abolendo del tutto i voti». Una parte di quest'ultimo gruppo
ha aggiunto che il miglioramento si può avere «con insegnanti più preparati a
questo nuovo tipo di scuola»: Uno é stato addirittura drastico nella sua
risposta: «abbiamo cambiato la scuola, ma non i professori».
Una scuola di questo genere può
funzionare efficacemente solo se c'è la convinta ed attiva partecipazione
degli insegnanti, i quali sono chiamati a fornire un impegno quantitativo e
qualitativo senz'altro maggiore rispetto a quello fornito in una scuola tradizionale.
Innanzi tutto l'insegnante deve imparare
a conoscere ogni singolo sussidio ed attrezzo che ha a sua disposizione, deve
impararne il funzionamento e come sfruttarlo didatticamente (questo è ancora
più vero per gli audiovisivi). In secondo luogo deve fare uno sforzo di volontà
veramente notevole per cambiare la sua vecchia pelle di docente centro dell'universo
scolastico con quella di semplice coordinatore, moderatore, organizzatore di
un dialogo a più voci di cui egli é soltanto una parte, che è tanto efficace
quando più riesce a non assumere una posizione permanente.
Per sapere se effettivamente l'esperimento
poteva dirsi positivo, bisognava conoscere anche il pensiero del corpo
docente ed il modo migliore per conoscerlo ci è sembrato, per tante ragioni,
il metodo del questionario impersonale e segreto.
Queste le domande del
questionario:
1) Qual é il giudizio
complessivo che dà di questo nuovo tipo di organizzazione scolastica?
2) Ci sono cose che
andrebbero corrette? Quali?
3) Come rispondono gli
alunni a questo nuovo tipo di scuola?
4) Se dipendesse da lei
lo introdurrebbe nelle altre scuole italiane?
5) Ne sa specificare i
motivi?
6) Questo tipo di scuola
richiede maggiore impegno da parte del docente?
7) Nel vecchio tipo di
scuola gli alunni hanno la aula personale, in questo l'hanno i docenti: il
docente-itinerante e diventato docente-sedentario. Quali sono le sensazioni
del docente che ha una aula-laboratorio tutta sua, dove rimane fisso per tutte
le ore di servizio?
1. La totalità dei
docenti ha espresso un giudizio positivo sul nuovo tipo di organizzazione
scolastica, «perchè così la scuola é aperta ai problemi che ci circondano. Ma
quello che più conta é che ora il ragazzo é al centro del lavoro educativo.
Questo é un lavoro di collaborazione che senz'altro lo affascina ed
entusiasma, poichè non si vede imposto il lavoro dal di fuori, ma é lui stesso
il protagonista. "inoltre" questo tipo di organizzazione scolastica
é senza dubbio da preferire all'altro "perchè" permette una completa
utilizzazione del materiale didattico e della biblioteca e dà agli alunni la
possibilità di apprendere con meno sforzo». «Naturalmente non siamo arrivati al
perfetto». «Il prossimo anno avremo l'esperienza di un anno e quindi potrà
funzionare meglio il coordinamento interdisciplinare» favorendo «una maggiore
collaborazione tra i docenti».
2. L'80%
per cento degli intervistati ha dichiarato che «l'unico neo é che manca un
edificio degno di questo tipo di scuola». II rimanente 20% ha indicato alcune
cose da correggere: «aule più rispondenti e capienti»; «una migliore
strutturazione dei laboratori di italiano che hanno pochi sussidi didattici».
«Ad una correzione non trascurabile», infine, «dovrebbero essere sottoposti
gli insegnanti che in questo tipo di scuola spesso si trovano come un pesce
fuor d'acqua, assolutamente incapaci a guidare i ragazzi a trarne il naturale
profitto».
3. Tutti i docenti
all'unanimità affermano che «i ragazzi rispondono con maggiore impegno e
maggiore senso di responsabilità, perchè sollecitati alle diverse attività dai
"diversi" laboratori e dall'atteggiamento di dialogo
dell'insegnante».
«All'inizio dell'anno
scolastico le terze e le seconde hanno incontrato delle difficoltà che hanno
superato col tempo, adesso lavorano con interesse. Le prime classi non hanno
incontrato alcuna difficoltà in quanto hanno iniziato il corso con questo nuovo
orientamento».
Infine, «gli alunni,
adeguatamente guidati, sono riusciti a trarre maggiori profitti da questo tipo
di scuola che tiene continuamente desta la loro attenzione, evitando per lo
più l'astrattismo che é stato spesso causa di non sempre autorizzati
appisolamenti ».
4.5. II 90% degli
insegnanti introdurrebbe questo tipo di organizzazione anche nelle altre
scuole perchè «suscita l'interesse dei ragazzi e li avvia ad una maggiore
responsabilità. Certo, il trapasso da un metodo tradizionale ad uno più moderno
e più valido crea delle crisi perchè i ragazzi, per la prima volta, vengono
considerati con più rispetto e libertà».
II 10% lo introdurrebbe
nelle altre scuole solo dove «le strutture, i docenti e la maturità dei ragazzi
lo permetterebbero ».
6. Tutti hanno risposto
che questo tipo di scuola «richiede più impegno da parte dell'insegnante: l'insegnante
che ha subito una scuola tradizionale, deve impegnarsi a fondo per svecchiare
la sua forma mentis e deve cercare da solo di aggiornarsi ed adeguarsi ai
nuovi criteri didattici, in ciò per nulla coadiuvato dalle remiscenze dei suoi
insegnanti, seguendo i quali avrebbe trovato meno difficoltà».
«Richiede più impegno
perchè l'insegnante é tenuto a stare continuamente in colloquio con i ragazzi.
La lezione si svolge in modo diverso, in collaborazione con i ragazzi che non
seguono più passivamente, ma intervengono, discutono, infine coordinano tutto,
aiutati in questo anche dai sussidi didattici a disposizione».
Infine uno ha scritto che
«se l'insegnante attua questo tipo di scuola con serietà, torna a casa sfinito.
E' un continuo colloquiare con i ragazzi e quindi richiede molto lavoro e molto
aggiornamento».
7. L'ultima
domanda é stata posta per dare una risposta ad una serie di quesiti di
carattere psicologico che riguardano, appunto, la mutata condizione di lavoro
dell'insegnante. In questo tipo di organizzazione i contatti di «corridoio»
tra insegnanti sono ridotti al minimo, se non aboliti del tutto. Quindi si voleva
conoscere: 1) qual é la reazione psichica dell'insegnante che non fa più
un'attività itenerante, ma rimane fisso nel suo laboratorio; 2) se
l'insegnante, che non fa più la sua «chiacchieratina» con il collega, ma rimane
sempre a contatto con gli alunni, avverte un senso di frustrazione; e
soprattutto 3) qual é il suo rendimento.
Il 95% ha risposto che «é preferibile
avere un'aula propria in cui disporre ogni cosa come si vuole, averla a
portata di mano quando serve piuttosto che spostarsi di aula in aula». Inoltre
«l'insegnante può personalizzare la propria aula-laboratorio con la collaborazione
degli alunni, facendone un centro di stimolo e di ricerca. Così entrandovi ha
l'impressione di trovarsi non in una qualsiasi aula, ma in un luogo "reso
diverso" dall'attività comune di insegnanti e ragazzi ».
Il 20'0/o di questo gruppo ha, però,
aggiunto che «naturalmente ciò comporta un inconveniente: la mancanza di scambi
di idee tra colleghi; ma si può rimediare cercando e predisponendo incontri o
durante gli eventuali "buchi" o nella sala dei professori al
mattino».
Il 5% ha dichiarato che questo tipo di
organizzazione é «ottimo per gli alunni, ma alquanto monotono per i
professori, che sono costretti a restare per molte ore nella stessa aula senza
possibilità di contatti con i colleghi».
Infine l'aula-laboratorio ha avuto
l'unanimità dei consensi in quanto consente di «sfruttare veramente tutto il
materiale di cui la scuola dispone e di conseguenza eleva il rendimento dell'insegnante
e degli alunni ».
Note
(1) Guido Giugni: La
democratizzazione della scuola; in Annali della P.I., Anno XIX, n° 6.
(2) K. Mannheim-W.C.A.
Stewart: Introduzione alla sociologia
dell'educazione; Brescia,
1968, p. 78.
(3) Commento ufficiale
del M.P.I. alla legge 31 dicembre 1962 n° 1859
(4) Art. 3 della Costituzione della Repubblica
Italiana
(5) Tempo pieno e tempo
vuoto; in Lingue e Civiltà; Anno li, n°1
(6) Ignazio Longo: USA:
la crisi dell'aula; :in Scuola e Città, n° II, Novembre 1973
(7) M. Mencarelii: Scuola
di base e educazione pe-rmarient2; Brescia, 1969, pp. 99/100
(8) M. Mencarelli: o~p.
cit. p. 101
(9) Alcune insegnanti hanno assolto questo compito in
brevissimo tempo, lavorando nelle ore pomeridiane e spesso fino a notte
inoltrata.
(10) Lingua e Civiltà,
op. cit.
(11) M. Mencarelii: op.
cit. p. 102
(12) M. Groppo: Problemi
di psicologia dell'educazione; Milano 1972, p. 225
(13) M. Groppo: op. cit.
p. 208 psicolog'=:
(14) Hans Aebói: I
primci,pi fondame~nta6i dell1nsegnamento; Firenze 1965, p. 183/4
(15) W.F. Faerster:
Scuola e carattere; Brescia 1970, p. 269
(16) W.F. Foerster: op.
cit., pp. 270/1
(17) H. Bastien:
Psicologia dell'apprendimento; Brescia, 1968, pp. 104-6
(18) Mario Viglietti: Il
problema della valutazione: in Orientamento scolastico profesionale, Anno
XIII, nO 50 e 51.
(19) Scuola e Didattica;
Anno XVI(, n. 15, p. 1363