Il genio di un popolo: INTRODUZIONE
Tutti gli stati del mondo moderno sono fondati su due strutture
fondamentali: la forma di governo parlamentare rappresentativo ( o struttura
politica ), comune a tutte le società libere, e il sistema di produzione
industriale ( o struttura economica ), nella sua duplice forma * di capitalismo finanziario ( Aron,
1961: 16 ), nelle società occidentali, e di capitalismo di stato, nelle ormai
decadute società del socialismo reale.
La forma di governo parlamentare
rappresentativo è un affare interno europeo, nel senso che essa è il prodotto
originale ed esclusivo della civiltà europea. Infatti, nessun'altra civiltà del
passato conobbe nulla di simile. Non la conobbero neppure i Greci che furono
gli inventori della democrazia. Essa è il legato della formazione dei grandi
stati nazionali e della conseguente necessità di far partecipare alla gestione
del potere tutta la nazione, che non poteva più farlo direttamente, come
nell'antica Grecia o nelle tribù germaniche, ma poteva farlo solo
indirettamente, attraverso suoi rappresentanti eletti.
Il sistema di produzione industriale è, invece, il legato della storia
dell'uomo ( Garraty-Gay, 1973, II: 791-92 ): delle lotte e delle conquiste che
egli fece dal momento in cui comparve nudo sulla terra al momento sublime ed
appassionante in cui si emancipò dai falsi idoli che lo tenevano in uno stato
di soggezione per librarsi libero, intellettualmente libero, sul mondo della
natura per imbrigliarlo e dominarlo, dopo averne scoperto le leggi che lo
regolavano.
Entrambe queste strutture, che hanno rivoluzionato le condizioni di vita
dell'uomo, furono il prodotto finale di un'unica nazione: l'Inghilterra. Perchè
furono gli inglesi a dare al mondo moderno queste due strutture e non un altro
popolo europeo a lei contemporaneo, che pur partecipava della stessa civiltà ?
Che cosa aveva l'Europa del XVIII secolo, della cui civiltà
l'Inghilterra era la punta avanzata, che la rese capace di riuscire dove
nessun'altra civiltà del passato o contemporanea era riuscita ?
Non basta dire, per rispondere alla prima domanda, che il parlamento era
un istituto piuttosto diffuso nell'Europa medievale e che solo in Inghilterra
trovò il terreno fertile per crescere e svilupparsi nella forma in cui lo
conosciamo oggi ( Toynbee, 1957, I: 237 ). Bisogna dire perchè, al di là dei
fattori fisici e politici, questo terreno fertile si trovasse solo in
Inghilterra e non anche in Spagna, dove nacque il parlamento rappresentativo, o
in Francia, dove nacque il moderno esecutivo.
Non basta dire, per rispondere alla seconda domanda, che la rivoluzione
industriale si verificò in Inghilterra perchè questa aveva un sistema politico
favorevole, una favorevole posizione geografica, una grande esperienza nel
commercio internazionale, una favorevole politica di libera circolazione dei
beni all'interno, una accentuata crescita demografica e una relativa abbondanza
di fonti di energie. Bisogna dire perchè queste condizioni, da sole, non
dettero vita ad una società industriale in altre civiltà del passato remoto e
recente e la crearono, invece, nell'Inghilterra del XVIII secolo *
Nel mondo greco-romano si avevano le stesse condizioni politiche, la
stessa posizione geografica favorevole ( era al centro del mondo antico, dal
ricco est al selvaggio ovest ), la stessa grande esperienza nel commercio
internazionale, la stessa libero circolazione dei beni all'interno, la stessa
crescita demografica favorevole e le fonti di energia ( De Martino, 1979:
735-36 ) potevano essere disponibili ( Sambursky, 1963: 230 ), eppure non si
ebbe alcuna Rivoluzione Industriale. Perchè ? L'esistenza di una forma di
economia schiavistica da sola non è una spiegazione sufficiente, come vedremo.
Nell'Italia del Rinascimento troviamo le stesse condizioni che abbiamo
trovato nella Grecia antica, ma neanche questa civiltà produsse una società
industriale. Perchè ? Eppure questa civiltà era molto avanti sulla via di una
produzione di massa. Aveva sviluppato al massimo il lavoro artigianale, aveva
dato vita a tecniche di produzione avanzatissime ed aveva creato tutti gli
strumenti del capitalismo finanziario.
In sostanza, " alla fine
del medioevo, l'Europa possedeva risorse tecnologiche sufficienti per una
Rivoluzione Industriale. Ci si può, quindi, chiedere come mai il mondo abbia
dovuto attendere così a lungo Watt e Arkwright " ( The Economist, 1967: 16
).
La forma di governo parlamentare rappresentativo è il punto di arrivo di
un processo storico iniziato con le invasioni barbariche dell'Europa del V
secolo ed è il frutto di una plurisecolare lotta per il potere all'interno
dello stato tra corona, nobiltà e borghesia.
Questa lotta, in un primo tempo, era comune a tutti gli stati europei (
Felicetti, 1983 ), ma, nel XVI secolo, nell'' Europa continentale essa si
risolse a favore della corona che si affermò come potere assoluto, che governa
attraverso atti della propria volontà, mentre in Inghilterra essa si risolse,
nel secolo successivo, a favore della borghesia e di quella parte della nobiltà
che l'aveva seguita sui campi di battaglia nello scontro frontale che essa ebbe
con la corona per l'affermazione dei poteri del parlamento.
La
Rivoluzione Industriale è il punto di arrivo di un processo
storico iniziato con la civiltà sumerica ( Usher, 1921 ) e che, attraverso
alterne vicende ed alterne fortune, con periodi bui - quando tutto sembrava ritornare
al punto di partenza - e con periodi
luminosi - quando l'umanità ripercorreva a tappe forzate e frenetiche tutta la
strada percorsa dalle generazioni precedenti - raggiunse la sua maturità in
Europa e, precisamente, nell'Inghilterra del XVII-XVIII secolo.
L'Europa è stato il crogiolo di tutte le idee, di tutte le tecniche e di
tutte le invenzioni prodotte dalle civiltà precedenti e contemporanee e il suo
prodotto finale fu superiore alle singole parti e qualitativamente diverso un uomo con abiti mentali più
sofisticati e meglio strutturati che gli hanno consentito di raggiungere
traguardi mai sognati prima. Non furono i fattori geografici e politici da soli
che determinarono il sorgere della Rivoluzione Industriale e la forma di governo
parlamentare rappresentativo. Essi furono il prodotto di quest'uomo nuovo
europeo, pervaso da una grande sete di apprendere, desideroso di andare alla
scuola del mondo per imparare tutto quello che si era prodotto nel passato
recente e lontano e su di esso costruire il futuro, quello proprio e quello
dell'umanità intera. E questo atteggiamento mentale, comune a tutti i popoli
che hanno creato una civiltà ( Greci, Rinascimento, ecc.), era una prerogativa
quasi esclusiva - come dimostreremo - dell'uomo inglese a partire dal XVI
secolo, che - lottando sui campi di battaglia - seppe conservare, innalzandole
a vette mai raggiunte prima, e le istituzioni parlamentari - scomparse nel
resto d'Europa - e la libertà di autodeterminazione,del singolo individuo e dei
gruppi,che quelle istituzioni garantivano. Solo in questo senso le condizioni
geografiche e politiche giocarono un ruolo decisivo.
Che l'Italia fosse esclusa dall'ulteriore sviluppo della sua civiltà
dalla scoperta del continente americano, che spostò il baricentro delle
attività economiche e commerciali, è una grande favola a cui si è creduto per
troppo tempo ( Cipolla, 1974: 288 ). Nel XVII secolo, l'Italia perse i suoi
tradizionali mercati a favore degli inglesi, dei francesi e degli olandesi, non
perchè si era spostato il baricentro economico e commerciale, ma perchè le
citate nazioni producevano, a prezzi inferiori, " un nuovo tipo di
tessuto, più leggero, meno durevole, ma più vivace e più bello ( Cipolla, 1952:
182 ).
I reali motivi dell'esclusione dell'Italia non furono i fatti geografici
( che d'altronde aveva sempre superato brillantemente nel passato, raggiungendo
ogni angolo della terra con i suoi traffici ), ma fu il sistema politico, che
non garantiva più all'individuo quel clima di libertà e di autorealizzazione,
di cui aveva goduto nel periodo comunale, e che aveva promosso il suo spirito
di iniziativa. Questo provocò un inaridimento delle sue capacità di intrapresa,
che avevano perso quello slancio inventivo e creativo, che avevano avuto nella
fase di crescita, e si limitarono a gestire il presente e l'esistente. I fatti
veri sono che " l'Italia ... era ricca - ne era certo Braudel almeno per
la prima parte del Seicento - ma non era più pronta a rischiare i suoi capitali
e, per così dire, giocava in difesa " ( Pagano de Divitiis, 1986: 120 ).
Non fu lo stretto di Gibilterra il vero ostacolo. In quello stesso periodo gli
inglesi, e gli olandesi, si spingevano a Sud fino in Italia e il suo
tradizionale mercato del Levante, oltrepassando lo stretto di Gibilterra (
Wilson, 1957: 4 ). L'ostacolo vero fu nella decadenza di quello spirito di
intraprendenza e di apertura mentale che avevano fatto la sua fortuna. Già a
partire dal XVI secolo, l'Italia aveva perduto la sua tradizionale apertura
mentale ed aveva sviluppato quello spirito di arroganza che è stato, nella
storia, una caratteristica di tutte le civiltà mature, per cui si sono sempre
chiuse a qualsiasi contributo di idee e di conoscenze provenienti dal mondo
esterno, ritenendolo inferiore ( barbaro ). Cioè, quando l'Italia divenne
Maestra non seppe essere anche, e contemporaneamente, alunna ( come vedremo in
seguito ) per conservare quella duttilità mentale che consente all'individuo,
come alla nazione, di essere sempre aperto all'apprendimento di nuove idee, di
nuove tecniche, che sono la premessa indispensabile per la continua crescita.
Il cammino dell'uomo nella storia è sempre stato costellato da una
molteplicità di stati o nazioni che, ad un certo punto della loro esistenza,
hanno assunto, di fatto e di diritto, la leadership, molto spesso anche
politica, del mondo conosciuto per guidarlo verso nuovi traguardi, che lo
facevano avanzare nell'organizzazione sociale e politica della società. Questa
leadership, nel XVIII secolo, fu assunta dall'Inghilterra ( Barone-Ricossa,
1974: 111 ) nell'ambito della civiltà europea, dopo essere passata per altre
nazioni della stessa civiltà ( Kroeber, 1963 ).
La storia del mondo, a partire dall'XI secolo e fino all'inizio del secolo
XX, è la storia d'Europa, che ha saputo creare una civiltà che ha permeato di
sè tutti i nuovi continenti ( Bagby, 1963 ) e
si è imposta pacificamente, in virtù della sua riconosciuta superiorità
( Boas, 1962: 5 ), in tutti gli angoli
del vecchio mondo. E, nell'ambito di questa civiltà, l'Inghilterra rappresenta
la fase finale e culminante, dopo di che la leadership verrà assunta da
un'altra nazione di una civiltà più ampia - quella Occidentale - che ingloba
anche l'Europa, ma in una posizione subalterna e gregaria.
A partire dal XVIII secolo , quando si sono incominciate ad avere le
prime grandi visioni sintetiche della storia ( Diltey, 1967: 45 ), si è sempre
sentita l'esigenza di dare una spiegazione globale alla storia dell'uomo e delle
sue civiltà per cercarne il senso ultimo, non su basi meramente intuitive e
trascendentali, come avevano fatto S. Agostino ( De Civitate Dei ) e Bossuet (
Histoire Universelle ), ma su basi scientifiche, che dessero validità
universale alla spiegazione, proprio come il metodo scientifico, inventato nel
XVII secolo, aveva dato validità universale alla spiegazione fisica.
Filosofi, sociologi, storici e, di recente, antropologi hanno cercato di
determinare le leggi dello svolgimento della storia dell'uomo e delle sue
civiltà. I filosofi hanno visto nella storia un disegno generale che andava al
di là delle capacità umane ( Croce, 1973: 108-112 ). Per i filosofi,l'uomo, nel
suo agire, attuava inconsciamente un disegno che era al di fuori e al di sopra
della sua intelligenza. Il vero promotore della storia era, di volta in volta, la Provvidenza o lo
Spirito del mondo che realizza se stesso, per citare solo i due più importanti
filosofi che si sono occupati della storia: Vico e Hegel.
Per Vico il processo storico, iniziato con gli uomini primitivi, si è
svolto secondo delle linee di sviluppo identiche a quelle della mente umana.
Come questa conosce tre fasi: quella dei sensi, quella della fantasia e quella
della ragione così il divenire storico
dell'uomo si è svolto secondo le tre età corrispondenti degli dei, degli eroi e
degli uomini. Secondo Vico, gli uomini " prima sentono senza avvertire,
dappoi avvertono con animo perturbato e commosso , finalmente riflettono con
mente pura " ( Vico, 1976: 91 ).
Nell'età degli dei, gli uomini erano completamente immersi nei sensi,
soggiacevano alle passioni più violenti ed erano dediti esclusivamente al
soddisfacimento dei bisogni del corpo. La natura, per gli uomini primitivi, era
dotata di anima e intesa come viva e capace di usare la propria forza. I
fenomeni naturali, quali tuoni e fulmini, creavano panico e terrore e furono la
causa diretta della prima spiegazione fantastica, della " prima favola
divina, la più grande di quanto mai se ne finsero appresso, cioè Giove, re e
padre degli uomini e degli dei, in atto fulminante " ( Vico, 1976: 141 ).
Il terrore e il culto degli dei
fecero sentire all'uomo l'esigenza di organizzare la propria vita e a darsi una
prima struttura sociale che fosse gradita agli dei e contribuisse a placare la
loro collera. Sorsero così gli istituti del matrimonio e della famiglia ad
opera di uomini super dotati - gli eroi, appunto - che, con la loro forza bruta
e l'aggressività, imposero la loro supremazia sugli elementi della propria
comunità e su quegli individui estranei ( famoli ) che volontariamente si
sottomettevano in cambio di protezione
L'unione di queste primitive strutture sociali e l'alleanza dei loro capi, o
patres, dettero vita alle prime città e alla formazione di una classe
aristocratica - i patres - che elesse nel proprio seno un re; così nacquero i
primi governi aristocratici.
La lotta, all'interno di questa società, dei famoli e degli altri
clientes, per la conquista di maggiori
spazi e la partecipazione alla gestione della res publica, condusse alla
istituzione del governo democratico, che rappresentava, per Vico, la forma di
civiltà più avanzata raggiungibile nel corso storico.
Per Vico, tuttavia, il corso storico non si esauriva con l'istituzione
del governo democratico. Quest'ultimo conteneva, irrimediabilmente, i germi
della sua decadenza, per cui si creavano le condizioni per l'inizio di un
ricorso storico, fatto - come il precedente - di barbarie, società eroiche e
governi democratici, che Vico aveva individuato, rispettivamente, nelle
invasioni barbariche del V secolo, nel feudalesimo e nell'età moderna. Il ricorso storico, anche se simile al corso
storico, non era identico ad esso. Corso e ricorso si svolgevano secondo un
movimento ciclico a spirale.
Hegel, a differenza di Vico, che non si era interessato alle vicende di
alcun popolo o nazione in particolare. prese in esame, anche se sommariamente
e, alcune volte, erroneamente, tutto lo svolgimento storico delle varie civiltà
che si erano succedute nel corso del tempo fino ai suoi giorni, che furono,
perciò, visti come il punto di arrivo della storia del mondo.
Se per Vico la storia del mondo si svolgeva secondo un processo di corsi
e ricorsi, in cui l'idea di progresso era quasi
completamente assente, per Hegel essa si era svolta secondo una linea evolutiva
dalla prima civiltà, che egli faceva corrispondere alla Cina, fino ai suoi
giorni. Questa evoluzione era avvenuta secondo le legge dialettica (
Reichenbach, 1974: 77 ) della tesi, antitesi e sintesi. Il passato ( tesi )
veniva negato dal presente ( antitesi ) e, da questa negazione, nasceva la
sintesi. In base a questo concetto, " ogni periodo storico, negando il
periodo precedente, ' fa suo ' tutto ciò che di significativo vi era in esso e
lo conserva come l'aspetto di una realtà sociale più ricca e più completa.
Così, secondo Hegel, ogni generazione successiva può considerare se stessa,
allo stesso tempo, come la negazione, la custode e la perfezionatrice della
cultura che essa ha ereditato dalle generazioni precedenti. La nostra stessa
cultura dell'Europa Occidentale è, in parte, qualcosa di nuovo al mondo. Ma
tutto ciò che di vitale vi era nelle culture della Grecia, di Roma, della
Giudea e del cristianesimo medievale, non è andato realmente perduto " (
Aiken, 1956: 76 ).
La storia del mondo, per Hegel, è la storia della Spirito, la cui
essenza è la libertà, che realizza se stesso attraverso varie tappe,
analogamente a quanto avviene per l'uomo. Così esso ebbe un'infanzia, una
gioventù, una maturità e una vecchiaia. Quest'ultima, per Hegel, non significa
decadenza, ma rappresenta il culmine della propria vigoria fisica e psichica.
Lo Spirito del mondo, per Hegel, conobbe la sua infanzia nell'antico
oriente, ma senza prendere coscienza di sè. La civiltà cinese, con la quale
iniziò la storia, e la civiltà indiana, con il suo panteismo
dell'immaginazione, non seppero elevarsi dal mondo della materia per
raggiungere il traguardo della Ragione e della Libertà
Esse furono civiltà statiche, non soggette o mutamenti perchè " non hanno
maturato quegli elementi, la cui interazione costituisce il progresso vitale
" ( Hegel, 1956: 116 ). Esse rimangono, perciò, ora come allora, al di fuori
della storia del mondo.
E' con la civiltà persiana che lo Spirito del mondo prese coscienza di
sè. Per Hegel, " con l'impero persiano entriamo, per la prima volta, nella
continuità storica. I persiani sono il primo popolo storico; la Persia fu il primo Impero
che scomparve " ( Hegel, 1956: 173 ). Il primo Impero dinamico, la cui
storia conobbe grandi sconvolgimenti, grandi conquiste e, alla fine, la totale
distruzione ad opera dei greci. " Qui troviamo, per la prima volta nella
storia, un passaggio che non è rimasto in sè, ma che ha dato luogo
all'abbattimento di un regno. Il regno cinese. il regno indiano, sono ancora
quelli che sono sempre stati. Invece in Persia abbiamo col passaggio anche la
distruzione; e questo è il segno dell'avvento dello spirito " ( de
Ruggero, 1972: 192 ).
Con i greci lo spirito entra nella sua gioventù e la Grecia è la terra della
giovinezza. Essa iniziò la sua storia con " Achille, il giovane ideale
della poesia e la chiuse con Alessandro, il giovane ideale della realtà (
Hegel, 1956: 223 ). La storia della Grecia abbraccia tre periodi: quello della
crescita, in cui il contatto con l'Oriente fu molto importante; quello della
maturità, fatto di vittorie e di prosperità, quando tutte le sue energie sono
dirette verso l'esterno e si incominciano a tradire i valori originari
all'interno, e quello del declino, quando entra in contatto con la nazione che
è portatrice di uno spirito più maturo: Roma.
Ma, pe Hegel, neanche Roma è la sede definitiva dello spirito. Essa
rappresenta solo una maturità, il momento in cui si afferma la sua potenza
universale e la sua supremazia sulla individualità ( Hegel, 1956: 278 ). La
vera sede dello spirito è il mondo cristiano-germanico, nato dalla
disgregazione dell'impero romano, dal sorgere ed affermarsi della religione
cristiana e dai nuovi popoli che si affacciarono alle porte della storia: i
popoli germanici.
Qui lo spirito raggiunge la sua vecchiaia. non nel senso di decadenza,
ma - come abbiamo visto - come il momento più alto e più completo della propria
vigoria fisica e psichica. " Lo spirito tedesco è lo spirito del mondo
moderno e, anche, il periodo finale della storia. In esso Dio realizza
completamente la sua libertà nella storia " ( Bury, 1952: 255 ).
Nel suo movimento di
autorealizzazione, lo spirito del mondo raggiunge diversi gradi di libertà
umana. Nel mondo orientale solo uno era libero, il despota, e la forma tipica
di governo era il dispotismo. Nel mondo greco-romano, dove , accanto ad una forma
di governo democratico, vigeva l'istituto della schiavitù, solo alcuni erano
liberi ( il cittadino, non l'uomo in quanto tale ), e le forme tipiche di
governo erano l'aristocrazia e la democrazia. Nel mondo cristiano-germanico,
dove si è affermata il principio cristiano del valore infinito della coscienza
soggettiva, tutti sono liberi e la forma di governo è la monarchia.
Con i sociologi o, come sono più spesso definiti, gli evoluzionisti
sociali ( Turgot, Condorcet, Comte ), si entra in un altro campo di azione.
Quello che interessa a questi pensatori non è tanto il corso degli eventi
storici, così come essi sono avvenuti, che è compito dello storico, ma la
società, nel suo insieme, che essi fanno oggetto delle loro riflessioni e
sviluppano delle generalizzazioni che definiscono leggi dello sviluppo sociale
Ma, prima di occuparci di essi e del loro pensiero, dobbiamo rivolgere
la nostra attenzione ad alcuni pensatori che, pur non occupandosi di storia, ma
di letteratura, formularono alcune idee che eserciteranno una certa influenza
nei secoli successivi. In effetti, essi, senza averne coscienza, davano una
sterzata di 180 gradi alle concezioni della storia dell'uomo che erano prevalse
fino ad allora, da quella ebraica, che, con la caduta dell'uomo, aveva fissato
per sempre l'ideale di perfezione da cui l'uomo si allontanava sempre più, a
quella pagana dell'Età dell'oro, che sosteneva, più o meno, la stessa tesi; da
quella greco-romana che, con i suoi cicli di crescita e di decadenza, aveva
condannato l'uomo a ripercorrere sempre le stesse tappe, a quella cristiana,
che aveva reso l'uomo uno strumento per la realizzazione della volontà di Dio,
ed introdussero, coscientemente, quel concetto di progresso, che a Vico,
mancava e che farà tanta strada nel secolo successivo.
Ma, nel presente, essi ( Jean Desmaret de Saint Sarlin, 1595-1676,
Charles e Pierre Perrault, 1628-1703, 1611-1680; Charles Irenee Cartel, abbé de
Saint Pierre, 1658-1745; Bernard Le Rovier, de Fontanelle, 1657-1757 ) mossero
una vibrata rivolta contro la tradizione umanistica dei Bacone, dei Pascal e
dei Boyle, i quali sostenevano che gli autori antichi erano superiori ai
moderni e che l'umanità aveva subito, nel corso del tempo, un processo di
invecchiamento e, quindi, di decadenza.
Per bacone i grandi geni appartenevano solo all'età giovane del mondo e
questi geni si chiamavano Aristotele, Platone, ecc. L'uomo moderno, che aveva
superato gli antichi nel metodo, poteva competere con gli antichi e superarli
solo indirizzandosi verso campi limitati della ricerca e del sapere ( ed egli
proponeva la compilazione di una storia naturale, a più mani, da cui dovevano
essere inferiti, per induzione, gli assiomi fondamentali ). Solo così i moderni
potevano vincere la superiorità intellettuale degli antichi. E, in effetti,
Bacone fu il campione della modernità, ma egli faceva una netta distinzione:
intellettualmente l'individuo singolo era meno dotato ( proprio a causa della
teoria dell'invecchiamento della razza umana ) dei giganti dell'antichità, ma
collettivamente i moderni erano superiori agli antichi.
Contro questa tesi Fontanelle ( Digression sur les ancients e les
modernes ) sostenne che è pericoloso spingere le analogie sino in fondo. Per
Fontanelle, biologicamente, tra l'uomo del passato e quello del presente, non
c'è alcuna differenza ( Aldridge, 1973: 79 ). Se è vero che l'uomo moderno non
è altro che la sintesi delle generazioni passate, che coesistono in lui, è
anche vero che i periodi ( infanzia, gioventù, maturità e vecchiaia ) non
corrispondono. E' arbitrario affermare, egli sostenne, che l'uomo si trovi ora
nella vecchiaia. In realtà, l'umanità non conoscerà mai la decadenza, ma
diventerà sempre più esperta e più saggia e rimarrà per sempre nell'età della
virilità, dopo aver attraversato la fase dell'infanzia, in cui ha lottato per
soddisfare i suoi bisogni naturali, e
quella della giovinezza, in cui prevalse l'immaginazione e incominciò il
pensiero razionale. Quest'ultima fase l'avrebbe raggiunta prima se non fosse
stato distratto dalla guerra. Ma ora, solo ora, ha rifatto ritorno alla
scienza. E, in questo campo, per Fontenelle, la superiorità dei moderni è
indiscutibile, in quanto, a differenza delle belle arti, dove non c'è progresso
nel tempo ( i moderni eguagliano gli antichi e viceversa ), essi, " a
causa dell'accumulo delle conoscenze, posseggono una maggiore quantità di
informazioni di almeno dieci volte rispetto a quella dei tempi di Augusto
" ( Aldridge, 1973: 79 ).
Anche per Saint Pierre ( Discours sur la polysynodie ) l'umanità è
un'unica realtà psichica ( mente, pensiero ) che cresce nel tempo ( secoli,
millenni ). Ma, a differenza dell'individuo, a cui può essere paragonata, che
quando invecchia perde la ragione e la felicità a causa dell'indebolimento del
corpo, essa sarà sempre in grado di crescere in saggezza e benessere fino alla
fine dei tempi.
Turgot ( Anne Robert Jacques, 1729-81 ) fu il primo degli evoluzionisti
sociali. Egli vide la storia universale
come il procedere della razza umana verso traguardi sempre più avanzati. Questo
cammino, tuttavia, non fu lineare, ma tortuoso, con periodi di pace e di
sconvolgimenti, e non fu uniformemente diffuso. I componenti della razza umana,
proprio come i singoli individui, sono dotati di capacità diverse: alcuni hanno
un talento che ad altri manca; altri hanno acquisito, grazie al proprio sforzo
e alla propria esperienza storica, delle abilità che altri non hanno. E sono
proprio questi che ci fanno capire che la storia umana ha avuto un principio
nel tempo, chè, altrimenti, nell'infinità dell'esistenza, tutti avrebbero
raggiunto lo stesso livello di maturazione. Il meccanismo che provoca questo
progresso è, in parte, biologico ( usando un termine che Turgot sconosceva ) e,
in parte, sociale ( eredità sociale ). " Una felice disposizione delle
fibre cerebrali, una maggiore o minore velocità del sangue, queste sono
probabilmente le uniche differenze che la natura stabilisce tra gli uomini: i
loro spiriti, o la potenza e la capacità della loro mente, mostrano una reale
disuguaglianza, di cui non potremo mai conoscere e discutere le cause. Tutto il
resto è effetto dell'educazione, e l'educazione è il risultato di tutta la
nostra esperienza sensoriale, di tutte le idee che abbiamo potuto acquisire
dalla culla in poi. Tutti gli oggetti che ci circondano contribuiscono a questa
educazione; le istruzioni dei nostri genitori e dei nostri insegnanti ne sono
solo una minima parte " ( Turgot, 1844: 645 ).
Nella sua esperienza storica, comunque, per Turgot, l'uomo non è stato
guidato dalla ragione, ma dalle passioni e dall'ambizione. E questo fu un bene.
Perchè se fosse stato ragionevole non ci sarebbe stato alcun progresso. Per
conservare il proprio stato di felicità, egli sarebbe rifuggito dalle guerre e
si sarebbe chiuso in comunità sempre più ristrette. Questa mancanza di scambi
lo avrebbe condotto alla stagnazione più totale in tutti i campi: delle
scienze, delle arti e delle idee. La competizione con altri popoli, con altre società
e con altri individui è essenziale al progresso della razza umana. Dove non c'è
o non c'è stata, come in Cina, il progresso si arresta e la società entra in
decadenza.
Per Condorcet, M.J.A.N. Caritat marquis de Condorcet ( 1743-1794 ), matematico
e filosofo, non furono gli eventi politici che determinarono l'evolversi della
civiltà, ma il progresso delle conoscenze. La storia dell'uomo è la storia
dell'intelletto umano e dell'affermarsi della ragione. Figlio del secolo dei
lumi, Condorcet vide la storia universale come la progressiva conquista di
sempre nuove conoscenze, che emancipavano l'uomo dalla superstizione e
dall'ignoranza e sviluppavano le sue capacità razionali. Pe
Comdorcet, tutta la storia dell'uomo si concludeva in dieci tappe o epoche.
Nove, ai suoi giorni, erano già concluse. La decina era la storia del futuro,
quella che veniva dopo la sua epoca.
Condorcet è poco interessato ai primi tre stadi: quello tribale, quello
pastorale e quello agricolo. Nella prima epoca,egli sostiene, gli uomini
incominciarono a formare le prime comunità ( tribù ), formate da più famiglie,
e si diedero la prima e rudimentale organizzazione sociale con la divisione del
lavoro ( l'uomo cacciatore, guerriero e politico; la donna raccoglitrice e
addetta al rudimentale orticello domestico ) ed istituirono la prima e
fondamentale divisione di classe, " che ha avuto sul suo cammino le più
opposte influenze, accelerando il progresso dei lumi nel mentre diffondeva
l'errore, arricchendo le scienze con verità nuove, ma anche precipitando popoli
nell'ignoranza e nella servitù religiosa, facendo acquisire qualche beneficio
temporaneo con una lunga ed umiliante tirannia.
" Mi riferisco qui alla formazione di una classe di uomini
depositari dei principi delle scienze, o dei metodi delle arti, dei misteri e
dei riti della religione, delle pratiche della superstizione; spesso dei
segreti della legislazione della politica. Mi riferisco alla separazione del
genere umano in due classi: l'una destinata ad insegnare, l'altra fatta per
credere; l'una che nasconde orgogliosamente ciò che si vanta di sapere, l'altra
che riceve con rispetto ciò che ci si degna di rivelarle; l'una che vuole
elevarsi al di sopra della ragione e l'altra che rinuncia umilmente alla sua e
si riduce al di sotto della umanità, riconoscendo agli altri uomini prerogative
superiori alla loro comune natura " ( Condorcet, 1974: 58-59 ).
Nella seconda epoca, quella pastorale, si incominciarono ad affermare le
prime divisioni di censo e si introdusse il lavoro servile e la schiavitù fece
la sua prima apparizione.
Nella terza, quella agricola, le comunità si organizzarono in popolo,
non più migratore, non più cacciatore, ma sedentario, grazie alla scoperta
dell'agricoltura. L'organizzazione sociale diventò più complessa e si
affermarono le caste o classi sociali, le quali divennero ben presto
depositarie di conoscenze ed abilità che tennero gelosamente segrete e le
sfruttarono per tenere soggiogato il popolo, il quale fu lasciato
deliberatamente nella più profonda ignoranza. Tutte le nuove scoperte (
nell'astronomia, nell'aritmetica, ecc. ) e tutte le nuove invenzioni ( la
scrittura, ecc, ) non vennero utilizzate per far progredire il popolo sulla via
della conoscenza, ma vennero strumentalizzate a fini di potere. Erano esse che
garantivano alle classi dominanti la perpetuazione del loro potere e,paghe di
questo, esse non fecero nulla per portare avanti le loro osservazioni dei
fenomeni naturali allo scopo di aumentare le loro conoscenze. Per questo
motivo, queste società entrarono in uno lunghissimo periodo di stagnazione e di
declino finchè non si affacciò sulla soglia della storia un nuovo popolo, che
doveva fondare il cammino della civiltà su nuove basi: i greci.
La quarta epoca è la storia dello spirito greco, che si dispiegò libero
nella sua individualità. La ricerca della verità non era più appannaggio di
caste o classi sociali. Politicamente, l'uomo greco non era sottomesso ad alcun
dispotismo. Egli era libero e questa sua libertà aveva un nome: repubblica. Un
sistema politico in cui " tutti gli uomini conservavano un uguale diritto
alla conoscenza della verità. Tutti potevano cercare di scoprirla per
comunicarla a tutti, e tutta intera... Tuttavia, i loro saggi, i loro sapienti,
che assunsero ben presto il nome più modesto di filosofi e amici della scienza,
della saggezza, si smarrirono nell'immensità del piano troppo vasto che avevano
concepito. Essi vollero penetrare la natura dell'uomo e quella degli dei, l'origine
del mondo e quella del genere umano. Essi provarono a ridurre l'intera natura
in un unico principio, ed i fenomeni dell'universo ad una legge unica.
Cercarono di racchiudere in una sola regola di condotta sia i doveri della morale sia il segreto della felicità.
" Così, invece di scoprire verità, formarono sistemi, trascurando
l'osservazione dei fatti, per abbandonarsi alla loro immaginazione; e non
potendo difendere le loro idee con prove, cercarono di difenderle con
sottigliezze " ( Condorcet, 1974: 85 ).
La quinta epoca, che inizia dopo la divisione della scienza nel secolo
di Aristotele, vide il trasferimento del centro del sapere ad Alessandria
d'Egitto ad opera dei Tolomei. Qui si verificò un grande progresso delle
scienze, frutto non di osservazioni sistematiche, ma di risultanze
occasionali,per cui non si potè sviluppare alcuna teoria scientifica.
Con i romani le scienze non fecero alcun progresso: " le scienze,
la filosofia, le arti figurative, furono sempre piante estranee al mondo di
Roma ... La giurisprudenza è... la sola scienza che dobbiamo ai romani " (
Condorcet, 1974: 99 ). Il sorgere del cristianesimo, il suo affermarsi e il suo
trionfo finale " fu il segno della completa decadenza, sia delle scienze che
della filosofia " ( Condorcet, 1974: 105 ).
La sesta è un'epoca di decadenza, che si manifesta più velocemente in
Occidente che in Oriente. Ma è anche l'epoca in cui la ragione riprese il suo
cammino per non arrestarsi più. E' l'epoca delle invasioni barbariche, in cui
la società conobbe una nuova organizzazione politica e dove le guerre non
furono più combattute per acquistare schiavi, ma per acquistare nuove terre e
gli uomini per coltivarle. La schiavitù sparì come istituzione e si affermò il
concetto cristiano di fratellanza. La chiesa si diede una propria struttura che
rivaleggiava con quella dell'impero. Ma è anche l'epoca in cui gli arabi
rinacquero come civiltà e conquistarono i tre quarti del mondo conosciuto. La
loro cultura, figlia di quella greca, di cui avevano appreso tutto, è molto
avanzata. " Durante quest'epoca disastrosa si assiste al rapido declino
dell'intelletto umano, che perde tutte le conquiste che aveva fatto nel
passato, e si assiste alla progressiva invadenza dell'ignoranza e, qualche
volta, della crudeltà bestiale... Le sole conquiste dell'uomo furono
l'aspettativa teologica e la superstizione, la sola moralità l'intolleranza.
L'Europa, in lacrime e sangue, schiacciata dalla tirannia della chiesa e dal
dispotismo militare, aspettava il momento in cui una nuova rinascita le avrebbe
restituito la libertà e le avrebbe restituito il suo posto di erede
dell'umanità e della virtù " ( Condorcet, 1974: 120 ).
La settima epoca è l'epoca della rivolta contro l'autorità della chiesa
e dell'affermazione dei diritti della ragione, che era stata mortificata per un
lunghissimo periodo. Ma è anche l'epoca della diffusione della cultura
attraverso l'invenzione della stampa e della rinascita della scienza, che non
si era ancora liberata completamente del concetto di autorità: " una
proposizione veniva accettata non perchè fosse vera, ma perchè era scritta in
quel certo libro ed era stata riconosciuta in quel dato Paese... In questa modo
l'autorità degli uomini aveva sostituito l'autorità della ragione. I libri
venivano studiati più della natura stessa e le opinioni degli antichi erano
anteposti ai fenomeni dell'universo " ( Condorcet, 1974: 140 ).
Nell'ottava epoca lo spirito umano riconquista la sua piena libertà e la
cultura si diffonde sempre di più grazie all'aumentata circolazione dei libri a
stampa. " Il progresso nelle scienze fu rapido ed entusiasmante. Il
linguaggio dell'algebra fu standardizzato, semplificato e perfezionato, anzi fu
proprio in quest'epoca che esso divenne rigoroso. Si posero le fondamenta della
teoria generale delle equazioni... e furono risolte le equazioni di terzo e
quarto grado... Galileo scoprì la legge della caduta dei gravi... e quella
dell'inerzia... Copernico riportò alla luce la teoria eliocentrica che era
stata dimenticata ... Tre grandi uomini hanno aperto una nuova epoca nella
storia dell'uomo: Bacone, Galileo e Cartesio " ( Condorcet, 1974: 152 ).
La nona epoca è l'epoca in cui l'uomo lotta per conquistare le sue
libertà politiche e civili. Solo l'Inghilterra garantisce al cittadino una
certa libertà e la sua costituzione è stata per lungo tempo ammirata dai
filosofi. Il grido di battaglia degli uomini più dotti di quest'epoca era:
" Ragione, Tolleranza, Umanità ". Questa fu l'epoca delle grandi
rivoluzioni, di quella americana e di quella francese, e del progresso
scientifico con Newton, Huigins, Halley, ecc.
La decima epoca, infine, quella del futuro, è l'epoca in cui, secondo le
tendenze che egli aveva scorto nella
storia, si abbatteranno le ineguaglianze tra le nazioni e quelle tra le classi
sociali, e si assisterà ad un miglioramento delle condizioni dell'individuo e
quelle della stessa natura umana, sia intellettualmente che moralmente ed anche
fisicamente.
Auguste Comte ( 1798-1854 ), nel suo corso di filosofia positiva,
traccia uno sviluppo storico dell'umanità senza tenere conto della storia dei
singoli popoli o delle singole civiltà, sulla scia di quanto aveva fatto
Condorcet, il quale aveva visto nella storia un'unica realtà: la società e non
i singoli popoli, anche se questi , con la loro esperienza, con le loro
vicissitudini ed i loro travagli, avevano contribuito al suo progresso. Per
Comte, l'umanità aveva attraversato tre grandi periodi ( legge dei tre stadi ):
il teologico o della fantasia, il metafisico o astratto e lo scientifico o
positivo. Questi tre periodi corrispondevano alle tre età dell'uomo:
l'infanzia, la gioventù e la maturità.
I tre stadi, per Comte, ebbero una durata diseguale. Nel primo, quello
teologico, che va dalla prima società
dell'uomo alla fine del medioevo, l'umanità, nella sua ricerca " della
causa prima di tutti i fenomeni, nella sua ricerca della conoscenza assoluta
" ( Comte, 1896. I: 2 ),attraversa tre età: quella del feticismo, quando
la natura veniva considerata dotata di anima e quindi di vita cosciente; quella
del politeismo, nella sua duplice forma di teocrazia, rappresentata dalla
civiltà egiziana, e di militarismo, rappresentata da Roma, in cui si verifica
la confusione dei poteri: quello spirituale e quello temporale, e si afferma la
forma economica della schiavitù; quella del monoteismo, infine, che fu
preparata dai Giudei, in cui si ha la separazione dei poteri: quello spirituale
si dedica all'educazione e alla formazione dell'individuo e quello temporale si
appropria dell'azione, nel più ampio significato del termine.
Nel secondo stadio, quello metafisico o astratto, che rappresenta una
brevissima tappa transitoria di fronte all'immensa durata del primo o all'infinità
del terzo, l'umanità incomincia a darsi spiegazioni astratte della realtà che
la circonda ed attribuisce tutti i fenomeni " a misteriose entità, che,
nel principio, pensa siano emanazione dei fenomeni stessi, ma l'osservazione quotidiana abitua la mente a riferirli sempre
più esclusivamente all'evento prodotto " ( Comte, 1896, II: 324 ).
Nel terzo, infine, quello scientifico o positivo, si era giunti alla
nuova era, che stava appena incominciando ai tempi di Comte, al punto di arrivo
del lungo cammino dell'umanità. Tuttavia esso era stato già raggiunto nelle
scienze fisiche con l'invenzione del metodo scientifico. Comte riservava a sè
il compito di farlo raggiungere anche alle scienze sociali e, in particolar
modo, alla sociologia, l'ultima delle scienze, in ordine di tempo, ma la prima
in ordine di importanza, in quanto ingloba e fa suo le conquiste delle altre
che l'hanno preceduta, secondo la classificazione che egli ne fa nel primo
volume del suo corso di filosofia positiva .
Gli storici, che si occuparono
di storia universale in modo sistematico e con una ricerca immensa, sono due:
Osvald Spengler ( tedesco ) e Arnold Toynbee ( inglese ). Tutti e due
appartengono al secolo XX e scrissero la loro opera a poco distanza l'uno dall'altro,
ma le concepirono entrambi nello stesso periodo: gli anni precedenti la prima
guerra mondiale. Fu questo primo grande conflitto mondiale, che già si
preannunciava nell'aria, che fece loro sentire il bisogno di dare una risposta
ai problemi del loro tempo ed entrambi si resero conto che questa risposta non
poteva venire dall'esame della storia recente, ma doveva essere ricercata in un
quadro più ampio.
Osvald Spengler scrive: " nel 1911 avevo intenzione di desumere,
dallo studio di alcuni fenomeni politici del tempo presente e da quel che da
essi si poteva desumere per l'avvenire, qualcosa di proprio a più vasti
orizzonti. La guerra mondiale, forma esteriore già divenuta inevitabile della
crisi storica, era allora imminente e si trattava di comprenderla partendo
dallo spirito non dei precedenti anni, ma dei precedenti secoli. Nel corso di
quel lavoro, allora ristretto, dovetti convincermi che per comprendere davvero
l'epoca occorreva una documentazione assai più ampia... E alla fine apparve ben
chiaro che nessun frammento della storia può essere davvero chiarito se non si
sia prima lumeggiato il segreto della storia mondiale in genere, più
propriamente quella della storia dell'umanità superiore intesa come unità
organica dalla struttura periodica
" ( Spengler, 1957: 82-83 ).
Per Toynbee " lo scopo dichiarato dello Study ..., almeno come fu
concepito all'inizio, era di mettere a confronto tutte le civiltà conosciute
dall'uomo per scoprire le cause del loro sorgere e decadere. Toynbee ci dice
che lo stimolo per una tale ricerca gli venne d'improvviso nel periodo
immediatamente precedente la prima guerra mondiale, quando, insegnante di
storia antica ad Oxford, si trovò a leggere la storia della guerra
Peloponnesiaca di Tucidide con occhi nuovi, con gli occhi di uno che sta per
subire la medesima esperienza. L'affinità che da allora sentì per i Greci del V
secolo a.C. in contrasto con i suoi antenati europei del Medio Evo, lo portò ad
intraprendere uno studio comparativo di vasta portata. Questo, egli sperava,
avrebbe potuto giustificare una predizione del destino di una civiltà
occidentale che stava già sperimentando un tempo di conflitti " ( Dray,
1969: 130-31 ).
In apertura delle loro opere, entrambi mossero un attacco a fondo agli
storici del tempo. Il primo affermò che gli storici non avevano saputo leggere
la storia e, quando lo avevano fatto, " i mezzi per venire ad un serio
risultato furono ignorati o inadeguatamente utilizzati " ( Spengler, 1957:
1 ). La storia, per Spengler, non può essere divisa in antica, medievale e
moderna. Questo svolgimento lineare poteva essere frutto solo della miopia
degli storici. In realtà, nella storia si è verificata una successione di
" culture " o " civiltà ", ognuna con la propria inconfondibile individualità,
e quindi lo studio della storia deve essere lo studio comparato di queste
" civiltà ".
Il secondo accusò gli storici di avere una visuale limitata, incapaci di
andare al di là della " storia
parrocchiale ", cioè nazionale, la quale non è intellegibile se non
è inserita nell'ambito della civiltà a cui appartiene ( Toynbee, 1934-1954 ).
La storia del mondo, per Spengler, non può essere confusa con la storia
dell'umanità. Questa non esiste e, se esiste, è un " concetto zoologico e
un nome vuoto " ( Spengler, 1957: 40 ). La storia del mondo non si è
svolta in senso lineare e concatenato inseguendo un fantomatico "
progresso " dell'umanità, ma si è svolta secondo " un eterno formarsi
e disfarsi, un meraviglioso apparire e scomparire di forme organiche... una
molteplicità di civiltà possenti, scaturite con una forza elementare dal grembo
di un loro paesaggio materno, al quale ciascuna resta rigorosamente connessa in
tutto il suo sviluppo: civiltà, che imprimono ciascuna una propria forma
all'umanità, loro materia, e che hanno ciascuna una propria idea e delle
proprie passioni, una propria vita, un
proprio volere e sentire, una propria morte... ogni civiltà ha proprie,
originali possibilità di espressione che germinano, si maturano, declinano e
poi immediatamente scompaiono " ( Spengler, 1957: 40-41 ). La storia del
mondo, per Spengler, è la somma di queste civiltà. Nulla di più.
Per Spengler, " il mezzo per conoscere le forme morte è la legge
matematica ", mentre " il mezzo per conoscere le forme viventi è
l'analogia " ( Spengler, 1957: 14 ). E le civiltà hanno un ciclo di vita
analogo a quello dell'uomo. Esse hanno
un'infanzia, una gioventù, una maturità e una vecchiaia. Nello
svolgimento di questo ciclo, esse diventano prima una cultura, poi una civiltà
ed, infine, una civilizzazione. La " cultura nasce nel momento in cui si
desta una grande anima " ( Spengler: 45 ) e in questa fase si è nel pieno
" vigore creativo, nella feconda primavera " ( Braudel, 1973: 243 ).
Le culture diventano una civiltà quando si pongono delle aspirazioni e le
realizzano nel pieno della maturità, ma, quando tutti i fini sono raggiunti e
non si hanno altre aspirazioni, le civiltà si trasformano in civilizzazione.
" La civilizzazione è l'inevitabile
destino di una civiltà. Con ciò si può raggiungere un'altezza, dalla
quale si può scorgere la soluzione dei problemi ultimi e più ardui. Le
civilizzazioni sono gli stadi più
esteriori e più artificiali di cui una specie umana superiore è capace. Esse
rappresentano una fine, sono il divenuto che succede al divenire, la morte che
segue alla vita, la finità che segue all'evoluzione " ( Spengler: 57 ). E
la civiltà Occidentale ha raggiunto questo stadio, quello della civilizzazione,
sin dal XIX secolo.
Toynbee apre la sua monumentale " Studio della storia "
affermando che la storia diventa intellegibile soltanto se si prendono in
considerazione i grandi aggregati umani o grandi sistemi di interrelazioni tra
individui ( cioè, la società ). Lo studio della storia di un singolo stato o di
una singola nazione, contrariamente a quello che hanno sempre pensato gli
storici, non è intellegibile se essi vengono staccati dalla civiltà a cui
appartengono.
La storia inglese, per esempio, non può essere compresa appieno se essa
non viene inserita e studiata nell'ambito della cristianità occidentale. Anche gli stessi elementi, quali il sistema
di produzione industriale e il sistema di governo parlamentare rappresentativo,
che più sembrano caratteristici ed esclusivi del popolo inglese, non possono
essere spiegati al di fuori di questo quadro di riferimento.
Attualmente i quadri di riferimento, o grandi civiltà. per Toynbee, sono
cinque: quella occidentale, già citata, la cristiana ortodossa, la islamica, la
indù e quella del lontano oriente. Dietro ognuna di esse stanno le civiltà
originarie di cui esse sono affiliazioni.Dietro alla civiltà occidentale, per
esempio, troviamo la civiltà ellenica e dietro questa, a sua volta, troviamo la
civiltà minoica. In tutto le civiltà sono ventitré, sedici sono affiliazioni di
civiltà precedenti e sei sorsero direttamente da società primitive.
Le civiltà sorgono quando le società primitive devono rispondere ad una
sfida che minaccia la loro esistenza. Questa sfida è di natura
geografica-ambientale.
La civiltà egiziana e quella sumerica, per esempio, dovettero rispondere
alla sfida di una natura ostile che, con periodiche inondazioni dei fiume,
rendeva paludoso ed inabitabile l'arido terreno circostante. Quella Maya
dovette affrontare la foresta tropicale; quella
Andina il brullo altipiano costiero; la minoica la forza del mare; la Sinica, che sorse sulle
rive del Fiume Giallo, dovette affrontare la stessa degli egizi e dei sumeri,
anche se non lo sappiamo con certezza.
Le civiltà affiliate sorsero dal crollo e dalla disintegrazione di
queste prime sei civiltà. La sfida, a cui esse dovettero rispondere, non era
più di carattere fisico-ambientale, ma era di carattere umano-storico.
I Greci furono chiamati a risolvere il grave problema della
sovrappopolazione. Ed essi fornirono tre risposte diverse. Corinti e Calchide
fondarono delle colonie oltremare. le famose colonie della Magna Grecia. Sparta
conquistò militarmente il territorio circostante, sottomettendo le popolazioni
locali. Atene diede vita ad una classe di artigiani e di mercanti itineranti.
Le conseguenze furono che Sparta dovette militarizzarsi, rendendo lo stato una
caserma. Atene dovette dare maggiore spazio politico a queste classi, abolendo
la forma di governo aristocratico ed inventando la democrazia ( repubblica ).
Per Toynbee, mentre le società primitive sono statiche, le civiltà sono
fortemente dinamiche. " Le società primitive, come le abbiamo conosciute
attraverso l'osservazione diretta, possono essere paragonate a delle persone
che giacciono addormentate sull'orlo di un precipizio sul fianco di una
montagna; le civiltà possono essere paragonate a compagni di viaggio di queste
persone addormentate, che, però, si sono svegliate e hanno iniziato a salire la
montagna " ( Toynbee, 1934-54, II: 58 ). Questo, però, non esclude che le
società primitive siano state dinamiche nella prima parte della loro storia,
quando si sollevarono dalla loro condizione sub-umana. Anche le civiltà
bloccate sono statiche. Quest'ultime sono quelle civiltà che per arrivare al
grado di civiltà hanno dovuto affrontare una sfida al limite delle loro
possibilità e, quindi, rimasero senza energie per poter proseguire la corsa.
Altre società primitive, invece, non
seppero fornire una risposta valida alla sfida, oppure quest'ultima era
superiore alle loro forze, perciò esse furono delle civiltà mancate.
Lo sviluppo delle civiltà avviene attraverso l'azione di una minoranza
creatrice, che, realizzando le proprie aspirazioni e progetti, si pone come
modello per il resto della popolazione, alla quale sono riservate due
alternative: ripercorrere la stessa strada della minoranza creatrice o imitarla
esteriormente ( mimesis ).
L'azione della minoranza creatrice, a livello individuale, si dispiega
secondo un movimento di " ritiro e ritorno ". Ritiro allo scopo di ricercare la propria illuminazione
e ritorno per illuminare i propri simili. La vita di San Paolo, di San
Benedetto, di San Gregorio Magno, di Budda, di Maometto, di Machiavelli e Dante
ne sono una testimonianza. Anche a livello della società, il movimento avviene
allo stesso modo. Le minoranze creatrici " contribuiscono allo sviluppo
della società, a cui appartengono, ritirandosi per un certo periodo dalla vita
attiva della società: ne sono esempi Atene, nel secondo capitolo dello sviluppo
della società ellenica; l'Italia, nel secondo capitolo dello sviluppo della
Società Occidentale; e l'Inghilterra nel terzo capitolo " ( Toynbee, II:
150 ).
La decadenza subentra quando la minoranza creatrice, perdendo la sua
creatività, si trasforma in minoranza dominante. Gli esclusi formano un
proletariato interno, mentre alle frontiere preme un proletariato esterno ( gli
esclusi dalla civiltà: i barbari ). Il segno tangibile della crisi è la
costituzione di uno stato universale ( impero ), con il quale si pensa di aver
dato una risposta alla sfida. Il proletariato interno dà vita ad una chiesa
universale, la quale sarà chiamata, quando la civiltà crollerà, a salvare le
conquiste più significative della civiltà stessa per trasmetterle alla nuova
civiltà, che nascerà dalla forza congiunta del proletariato interno e da quello
esterno.
L'antropologia culturale è l'ultima arrivata nel campo della spiegazione
storica a livello di civiltà o storia universale. E la sua baldanza è pari alla
sua presunzione. Essa sostiene che nello studio delle società semplici, suo
tradizionale campo di studio, " ha sviluppato una serie di concetti e di
metodi che, con opportune modifiche e rifiniture, possono essere usati per
studiare quelle società più complesse, il cui sviluppo costituisce la materia
di ciò che chiamiamo storia " ( Bagby, 1958: 7 ). Ma questo non basta.
L'antropologia, poichè si deve occupare di tutte le culture esistenti nel
mondo, ha sviluppato alcune generalizzazioni che devono essere valide sia per
la più piccola cultura come per la più complessa. In altri termini, devono
avere una validità universale. " Per questa ragione, una futura scienza
della storia deve, in un primo momento, contare molto sull'antropologia, sia
per i concetti che per i metodi... Lo standard attuale degli antropologi ( e
degli altri scienziati sociali ) sembra tanto superiore ai ragionamenti
spiccioli degli storici quanto essi sono inferiori alla precisazione matematica
degli scienziati della natura. Nonostante i suoi difetti, l'antropologia è già
matura abbastanza per servire come guida a coloro i quali vogliono avere una
comprensione razionale della storia " ( Bagby: 20 ).
Per gli antropologi, Spengler, Toynbee, ecc., la storia non l'hanno
capita. Le civiltà non si sono sviluppate secondo " un ciclo uniforme di
nascita e morte, come sostenne Spengler, ma si sono sviluppate attraverso un
ritmo pulsazionale, con vertici ) di crescita che tendono a raggrupparsi nel
corso di periodi relativamente brevi nella vita di una civiltà " (
Kroeber, 1944: 762 ). Le civiltà non sono ventuno, come sostiene Toynbee: sono
nove primarie ed hanno attorno a loro una serie di civilizzazioni secondarie o
periferiche, le quali, pur avendo subito l'influenza delle civiltà primarie,
hanno conservato le loro istituzioni fondamentali. Nel presente, comunque,
tutte le civiltà stanno divenendo secondarie rispetto a quella Occidentale.
" Nè Spengler, nè Toynbee sono riusciti a vedere che sei delle
civiltà primarie costituiscono delle coppie, che sono vicine nello spazio e
quasi contemporanee nel tempo. Esse sono l'Egiziana e la Babilonese, la cinese e
l'indiana, la peruviana e la Centroamericana. Queste coppie, inoltre,
presentano delle similarità non tanto nella cultura quanto nel carattere
generale e nel livello di sviluppo. Quest'ordine, che potrebbe essere chiamato
il gemellaggio delle civiltà, non è stato notato dai filosofi della storia
" ( Bagby: 169 ).
La civiltà classica e quella Occidentale hanno avuto uno sviluppo
parallelo. Entrambe iniziarono la loro storia con l'invasione di popolazioni
barbariche ( ionici e achei nella classica, teutonici nell'Occidente ). Queste
popolazioni adottarono ( in larga misura ) gli usi ed i costumi delle civiltà
esistenti e fondarono delle monarchie più o meno centralizzate ( Impero
carolingio e regno Miceneo ). Poi si ricominciarono a sviluppare le città nelle
zone confinanti con civiltà più antiche. " L'Italia nel primo caso e la Ionia nell'altro " (
Bagby: 206 ). In Entrambe, la cultura si estende a nuovi campi e le prime forme
di espressione sono imitazioni di quelle più antiche ( classiche in Occidente,
orientali nella classica ). Si passa da un'età della fede, pensiero
irrazionale, ad un'età della ragione, " che raggiunge la sua maturità
creativa nel XVII secolo in Francia ( l'età di Luigi XIV ) e nel quinto secolo
in Atene ( l'età di Pericle ) " ( Bagby: 207 ). Queste due età, che sono comuni a tutte le
civiltà primarie, sono seguite dal " secolo di espansione ; ed ora
entriamo in quello che Toynbee ha chiamato
tempo di crisi e Spengler l'era degli stati contendenti " ( Bagby:
207 ).
Le civiltà non sono mai statiche ( Kroeber, 1963: 17 ). Esse seguono un
movimento che va in una duplice direzione: verso l'alto, prima del
raggiungimento del vertice ( climax ), e verso il basso, dopo il suo
raggiungimento, quando " l'organizzazione tende a diventare sempre più
ripetitiva e rigida " ( Singer, 1963: VI ).
Tutte queste spiegazioni della storia restano insoddisfacenti perchè non sono riuscite a
delineare un modello o una legge che avesse una validità universale. Tranne che
per i sociologi e per gli antropologi, che non sono interessati allo
svolgimento del processo storico delle singole civiltà, ma sono interessati
alla civiltà in se stessa, tutti i filosofi, che si sono occupati della storia,
e tutti gli storici si son dovuti arrampicare sugli specchi per far rientrare
nel loro modello un singolo popolo o una singola civiltà che, per la
peculiarità della sua esperienza storica, ne rimaneva fuori. O sono ricorsi ad
esclusioni di intere civiltà, o interi continenti, per non far crollare il loro
edificio
Hegel collocò intere aree geografiche, con le loro pur avanzatissime
civiltà, al di fuori della storia ( i cosiddetti popoli senza storia ) e non li
prese quindi in considerazione. Il suo spirito del mondo aveva vissuto per
millenni senza prendere coscienza di sè nell'oriente e nell'estremo oriente. Ed
egli non poteva occuparsi di ciò che non era ancora noto. Così lasciò fuori
dalla sua spiegazione della storia universale non solo la Cina e l'India, ma anche le
avanzatissime civiltà della Mesopotamia. La storia statica mal si conciliava
col suo nodello di storia in movimento e allora pensò bene di non occuparsene.
La storia cosciente per lui iniziò con i persiani, che furono i primi a creare
un impero territorialmente non limitato, ma estendentesi su tutte le terre e su
tutti i popoli allora conosciuti. Il Modello che egli costruì, per dimostrare
la sua tesi ( l'autorealizzazione dello spirito del mondo ) non è scientifico,
ma metafisico. Egli voleva dimostrare la superiorità del mondo cristiano-germanico,
assunta come postulato, e diede allo svolgimento della storia universale
un'interpretazione che dimostrasse l'assunto. Egli voleva dimostrare che la
migliore forma di stato era quella prussiana, allora concluse che lo spirito
del mondo realizza a pieno se stesso, nella libertà, solo sotto la monarchia.
Ma questa monarchia non era costituzionale, dove il cittadino è veramente
libero, ma era assoluta e allora dovette concludere, per far quadrare il tutto
nel modello dello spirito-libertà, che la vera libertà del cittadino è quella
di obbedire alle leggi. Forse, se avesse parlato della monarchia inglese della
sua epoca, la prima monarchia costituzionale dell'epoca moderna, le cose gli
sarebbero andate meglio.
Spengler condannò l'uomo a ripetersi in un'incessante fase di nascita,
crescita, maturità e decadenza. Con la sua visione pessimistica della storia,
vide le civiltà come un mondo chiuso, che nulla apprende dall'esterno e nulla
trasmette. Le culture nascono dal nulla e nel nulla ritornano non appena il
loro ciclo si è concluso, senza uno scopo, nè un significato. La loro è una
decadenza biologica, un annientamento di tutte le loro energie, è la fine di
ogni cosa. Le culture si succedono senza comunicare tra di loro. Le successive
non apprendono nulla dalle precedenti. Il ciclo non è, come quello di Vico, a
spirale, in cui il ricorso avviene ad un livello più avanzato. Per Spengler,
una nuova cultura non potrebbe accettare nulla dall'esterno, in quanto non
sarebbe in grado di integrarlo. Essa può integrare solo ciò che ha prodotto di
suo. In sostanza,quella di Spengler è una lettura della storia parziale,
incompleta e fuorviante. Mentre è vero che tutta la storia umana si è svolta
secondo delle fasi di nascita, crescita, maturità e decadenza, non è vero che
le culture siano state incomunicabili tra di loro ( Borkman, 1981: 34-39 ). I
fatti storici ci dimostrano, e noi cercheremo di darne una spiegazione
scientifica nel corso di svolgimento di questo lavoro, che ogni cultura ha
prodotto, creato, sviluppato idee e conoscenze tecniche e scientifiche che sono
poi state utilizzate dalla civiltà successiva per raggiungere un livello di
struttura mentale più avanzato, il quale sarebbe stato impossibile senza di
quelle. Ma Spengler non credeva nel progresso. La storia del mondo non è la
somma di queste culture, ma è la loro sintesi. Nell'uomo dei nostri giorni, noi
troviamo l'uomo delle civiltà Mesopotamiche, dell'Egitto, del mondo classico
(greco-romano ) e del Rinascimento. Tutte queste civiltà coesistono in lui che
utilizza forme di pensiero e conoscenze tecniche e scientifiche che ognuna di
queste civiltà ha maturato dopo anni, decenni e secoli di travagli e di
passione. L'uomo, a qualsiasi civiltà egli sia appartenuto, non è stato mai un
nuovo cominciamento, ma è stato la crescita, la sintesi di quello che lo ha
preceduto ( Kline, 1954: X-XI ).
Toynbee ha voluto far assurgere le sue generalizzazioni alla dignità di
leggi storiche, ma esse non possono avere valore universale perchè troppe
civiltà ( mancate, bloccate, pietrificate, ecc. ) non vi rientrano. Egli ha
cercato di superare questo ostacolo introducendo delle varianti. Così sono
venute alla ribalta le società mancate ( quelle che non hanno saputo rispondere
alla sfida perchè era troppo difficile per le loro possibilità ), le bloccate (
quelle che hanno speso tutte le energie che avevano per rispondere alla prima
sfida e poi " sono rimaste addormentate sul ciglio del precipizio "
), ecc.
Le leggi della storia non esistono. Esistono interpretazioni e
spiegazioni che possono essere valide per dare una risposta ai quesiti
particolari di un'epoca particolare. Se esistessero le leggi della storia non
ci sarebbe bisogno di riscriverla continuamente. Quelle che, erroneamente, si
vogliono chiamare leggi, come fa Toynbee, sono delle intuizioni geniali che
forniscono una chiave, una delle tante, per interpretare la storia. Una di
questa è la generalizzazione della " sfida e risposta " della stesso
Toynbee. Ma già quando si passa alla sua seconda generalizzazione, quella del
" ritiro e ritorno ", le cose vanno meno bene. Ritiro e ritorno
significano poco se si vuole indicare che nel frattempo non si sono avuti
contatti con altri popoli. Il ritiro dell'Inghilterra per esempio, Toynbee lo fa coincidere
con il periodo della sua massima espansione, e come nazione e come potenza
mondiale. Il suo ritorno cade proprio quando in realtà incomincia il suo
declino. Le stesse osservazioni valgono per il Rinascimento. Durante questo
periodo, che Toynbee chiama ritiro, gli uomini che posero le basi per la
grandezza delle successive conquiste, ebbero contatti con tutti i popoli del
presente e del passato e ne saccheggiarono la cultura per assimilarla, imitarla
creativamente, e porla come fondamenta alla loro creazione.
L'errore fondamentale di Toynbee è stato quello di credere ( o di far
credere, come alcuni sostengono ) che egli stava fornendo una spiegazione
scientifica della storia e che, perciò, le sue leggi erano leggi oggettive,
ossia erano state ricavate dalla studio della storia ( da qui il titolo della
sua opera: Uno studio della storia ), mentre, in realtà, egli stava
interpretando la storia secondo un
modello a priori ( Munz, 1977: 275 ).
Toynbee ha costruito il suo modello su quello Ellenico-Occidentale, le
cui civiltà secondo lui si somigliano, e poi ha adattato le altre società meno
conosciute a questo modello. La decadenza non può essere spiegata, come fa
Toynbee, con il crollo dell'eredità sociale, se per questa intendiamo la massa
di conoscenze acquisite dalle generazioni precedenti, che viene assorbita
attraverso il meccanismo della trasmissione e cioè " mediante l'esempio,
l'insegnamento, mediante l'istruzione, la pubblicità e la propaganda " (
Childe, 1964: 185 ). La decadenza è determinata dal declino, prima, e la
scomparsa, poi, della tensione ideale che aveva fatto sorgere le energie
dei grandi costruttori della civiltà. Avere degli obiettivi da
raggiungere, degli ideali da realizzare; avere coscienza di essere destinati a
grandi cose ( grandezza della patria, la difesa della civiltà contro la
barbaria, la conquista alla civiltà di popoli barbari, la costruzione di una
civiltà migliore, ecc ), creano nell'individuo e nella massa una grande,
immensa tensione ideale e morale e fanno spigionare le immense energie fisiche,
intellettuali e morali, di cui è capace lo spirito umano. Un individuo o una
massa così motivati possono raggiungere qualsiasi obiettivo e si crea in loro
un'aureola di grandezza. Ma questa grandezza la si trova soltanto nella prima
motivazione ( è quello che affermava Toynbee quando diceva che nessun
individuo, nessun gruppo è capace di dare una risposta ad una seconda sfida ),
cioè, solo quando l'individuo o la massa nasce per la prima volta ad una grande
impresa. La decadenza arriva quando questa tensione ideale o morale declina e
muore per una serie di motivi ( avere coscienza di aver raggiunto gli obiettivi
prefissati, il mancato rinnovo degli ideali, ecc. ). L'individuo o la massa
demotivata difficilmente rinascono a grandi imprese. Nella storia mai abbiamo
trovato una civiltà che abbia raggiunto lo stesso splendore una seconda volta,
a meno che non si riesca a trovare una nuova e diversa motivazione che faccia
risorgere le energie che giacciono in letargo. Anche l'antico splendore può
essere una motivazione valida: un popolo può rinascere, ma in forma diversa e
con diversi obiettivi ( vedi il Rinascimento e l'Islam ).
L'antropologia, infine, ha fallito il traguardo ambizioso che si era prefisso:
quello di fornire il modello della futura scienza della storia. I modelli
forniti da Bagby non sono storici. Le critiche mosse a Spengler e Toynbee sono
ingiuste. Spengler , da storico o metastorico, se si preferisce, aveva visto le
civiltà come unità e quindi aveva stabilito il suo ciclo, per quanto vero
l'abbiamo già visto, di nascita, crescita, maturità e decadenza. Kroeber e
Bagby, invece, da antropologi, vedono le civiltà come aggregati di culture e
quindi devono, come fa Kroeber, parlare di ritmo pulsazionale, perchè,
all'interno della civiltà Occidentale, la leadership è passata da una nazione
all'altra, intervallata da un periodo di stasi ( ecco la pulsazione ). E "
le fantasie religioso di Toynbee " ( Bagby: 6 ) costituiscono per Bagby un
alibi per movere una serie di attacchi senza provare o dimostrare nulla. In
fondo, se avesse esaminato bene, la sua
comparazione della civiltà classica ed occidentale somiglia molto alla
descrizione di Toynbee.
Tutte queste storie mancano di una spiegazione, che sia universalmente
applicabile a tutte le civiltà, perchè hanno trascurato il vero ed unico creatore di queste civiltà:
l'uomo , per andare alla ricerca di qualcosa che lo trascendesse e lo includesse
nella spiegazione. Nel mondo della spiegazione storica non c'è posto per entità
che sono al di fuori dalla realtà concreta ed empirica. E questa realtà è
l'uomo e la natura fisica. Questa eterna interazione, che ha visto, nel tempo,
l'uomo identificarsi con la natura per poi percepirla come qualcosa di diverso
da sè, finché raggiunse l'equilibrio di sentirsi parte della natura, ma dotato
di uno strumento che era ed è capace di piegarla al proprio servizio: la sua
intelligenza. " Ciò che io credo fermamente è che ciò che caratterizza
l'uomo è l'estrema abbondanza della sua immaginazione che è così scarsa nelle altre specie;
perciò credo che l'uomo sia una animale fantastico e che la storia universale
sia lo sforzo continuo, gigantesco ed insistente di mettere, a poco a poco, un
qualche ordine in questa meccanica fantasia. La storia dell'intelligenza è la
storia delle tappe, attraverso le quali è avvenuta la razionalizzazione della nostra disordinata immaginazione. Non
c'è altra strada se non quella di capire come si sia prodotta, nel tempo, questo
perfezionamento della mente dell'uomo " ( Gasset, 1973: 272-277 ).
L'uomo è il prodotto dell'evoluzione delle forme viventi sul nostro
pianeta. Egli viene da lontano, anzi da lontanissimo, e, nella sua forma
attuale, è relativamente recente ( qualche milione di anni, dice la
paleontologia ). Per quello che ne sappiamo, sembra che egli sia l'unico
animale ad usare razionalmente la massa contenuta nel suo cranio: il
cervello ( Eccles, 1970 ). Questa massa
o cervello, ci dice la biologia, è anch'essa frutto dell'evoluzione, per cui
esso è composto da tre strati distinti: il paleocervello o cervello ferino (
dall'essere primitivo, il rettile ), da cui discendono gli impulsi
dell'aggressività e degli istinti ( istintualità ), ed è dotato di memoria
corta ( Laborit, 1977 ); il cervello dei
primi mammiferi ( sovrapposto al primo ), che è dotato di memoria lunga , da cui discendono gli impulsi
dell'affettività, del sentimento e della paura, e il neocervello o
neocorteccia, dotata di capacità associativa, propria dell'essere umano, che
trascende qualsiasi altra esperienza dei viventi ( Fromm, 1964 ) e ne fa un
essere razionale ed intelligente, ma anche un essere debole.
La biologia ci dice ancora che il cervello (neocorteccia) ha cessato di
crescere ed è rimasto immutato dalla metà del pleistocene ( Brace-Montagu,
1965: 328 ). Questo spiega perchè biologicamente non c'è alcuna differenza tra
le varie razze esistenti.
L'evoluzione, come ha detto qualcuno, " aveva dotato l'uomo di un
organo che egli non sapeva utilizzare correttamente " ( Koesler, 1959: 513
). La natura aveva fatto fronte a tutte le necessità immediate degli altri
animali. Aveva dotato le giraffe di colli lunghi per meglio raggiungere le
foglie degli alberi; aveva fornito altri animali di zoccoli duri, altri ancora
di denti aguzzi; aveva ridotto il cervello di altri, allargando, però, la loro
corteccia visuale ( uccelli ). Solo con l'uomo era andata al di là delle sue
immediate necessità e l'aveva dotato di un
" organo di lusso e
complesso..., la cui corretta e completa utilizzazione richiedeva millenni,
ammesso che la specie umana imparerà mai ad utilizzarlo tutto " ( Koesler,
1959: 514 ).
A stretto rigor di termini, al suo apparire, l'uomo non aveva bisogno di
un organo così complesso per risolvere i suoi problemi quotidiani , ma
quest'organo gli si dimostrerà utilissimo quando diventerà cacciatore. Quello
che è certo è che egli non sapeva e non poteva utilizzare quet'organo in tutte
le sue possibilità e potenzialità. " In breve, sembra sempre più apparente
che la mente e la ragione non facevano parte dell'equipaggiamento originario
dell'uomo, come le sue braccia e le sue gambe, il suo cervello e la sua lingua,
ma che le abbia acquisite lentamente e le abbia costruite co sforzi enormi
" ( Britannica, 1962, V: 735 )
Il cervello dell'uomo è come il computer
prima di incominciare a funzionare ha bisogno di dati ( Neisser, 1967 ) e
l'uomo, che usciva dalla ferinità, non li aveva. Egli non aveva nemmeno la
specializzazione della massa nervosa, che dovette acquisire per gradi e
lentamente ( Gerard, 1959 ). In breve, era come il neonato che " non
immagina niente perchè non ha memorizzato niente " ( Laborit, 1977: 42 ).
Per dargli questi dati ci è voluto del tempo. Tempo materiale per
accumularli attraverso l'esperienza
tempo per organizzarli e codificarli ( Leinfellner, 1983: 162 ). Questa
maggiore quantità di conoscenze organizzate disponibili provoca un processo di
maggiore specializzazione del cervello. A sua volta, questa maggiore
specializzazione consente l'elaborazione di una maggiore quantità di dati (
conoscenze ), la quale, a sua volta, provoca un ulteriore avanzamento nella
specializzazione ( Morin, 1974 ) e così si andrà avanti finché il cervello non
avrà utilizzato appieno tutte le sue potenzialità. Infatti, " il cervello
umano... mentre produce software, e cioè mentre esplica tutte le sue funzioni,
non rimane immutato. Cambia anche nella sua struttura. Il suo hardware, che è costituito da trenta miliardi
di cellule nervose, i neuroni, cambia a causa degli innumerevoli messaggi che
determinate sostanze chimiche, i neurotrasmettitori, fanno rimbalzare da una
cellula all'altra. Quella rete
mirabilis, come è stata chiamata, che lega tutte le cellule in conseguenza
degli stimoli esterni, si modifica e si evolve " ( Costa, 1986 ).
In altri termini, il cervello dell'uomo ha funzionato, attraverso le
epoche storiche, come hanno funzionato i computers moderni, la cui capacità di
dare risposte ( risolvere problemi ) è strettamente legata alla loro
programmazione; l'input determina l'output. Più dati si forniscono alla
macchina, più questa sarà in grado di dare risposte elaborate e complesse,
proprio come il cervello dell'uomo, il quale, non lo si dimentichi, ha la
fondamentale abilità di ordinare, catalogare, classificare, assimilare,
confrontare, selezionare, associare; in breve, ha la capacità-abilità di
elaborare i dati acquisiti per estrarre da essi le informazioni di cui sono
depositari. In effetti,
" l'intelligenza dell'uomo
non può consistere solo nell'aumentare le proprie conoscenze, ma nel
rielaborare, ricatalogare e quindi generalizzare l'informazione in modi nuovi e
sorprendenti " ( Rosenfeld,
1988: 168 ).
La prima generazione dei computers moderni, o intelligenza artificiale,
come a qualcuno piace chiamarli, era capace di elaborare un numero ristretto di
dati. " Infatti, era capace di contenere solo venti numeri "
(Campbell-Kelly,1978:57 ). Anche l'uomo, all'origine, aveva pochi dati a
disposizione, ma anche se ne avesse avuto di più non sarebbe stato in grado di
elaborarli perchè l'elaborazione richiede la specializzazione della massa-organo e questa stava avvenendo
lentamente.
La seconda generazione dei
computers ha ampliato le sue possibilità con l'invenzione della " core
memory " ( Campbell-Kelly, 1970: 70 ), che permise di aumentare enormemente e la capacità
dell'input ( storage capacity ) e del numero di operazioni che poteva svolgere
nell'unità di tempo ( più di diecimila al secondo ). Anche l'uomo, quando ha avuto più dati a
disposizione, ha dovuto avere più tempo per l'input, che è avvenuto attraverso
la trasmissione organizzata del sistema educativo. Con la terza generazione la capacità di elaborazione dei
computers è diventata praticamente infinita perchè la sua " storage
capacity ( capacità di accumulazione ) supera il milione di caratteri e può
svolgere le operazioni a velocità fenomenale " ( Stern-Stern, 1979: 89 ).
E così per l'uomo, quando ha inventato il metodo scientifico e sperimentale.
L'uomo primitivo e l'uomo moderno hanno avuto anatomicamente e
biologicamente le stesse potenzialità. Solo che l'uomo primitivo non poteva
sfruttarle perchè non aveva i dati (
esperienze-conoscenze acquisite ). L'uomo, perciò, ha dovuto seguire questo
cammino: aveva la macchina (il computer-cervello ), ma non aveva i dati.
Allora, prima ha acquisito i dati ( lungo periodo storico di accumulazione e di
codificazione ); poi ha imparato ad organizzarli e trasformarli; infine, ha
imparato ad utilizzarli ( attraverso la trasmissione organizzata ), e solo
allora ha incominciato a produrre a getto continuo ( epoca moderna, metodo
scientifico ).
" La trasmissione organizzata è incominciata con
l'istituzionalizzazione del progresso scientifico. Il suo risultato si trova
accumulato nelle nostre biblioteche scientifiche, tecniche e culturali.
L'accumulazione delle conoscenze, specialmente della conoscenza scientifica nelle
nostre biblioteche e nelle future banche della conoscenza computerizzate, è
praticamente senza limiti. Ma questo processo di accumulazione, a tre stadi (
scientifico, tecnico e culturale ) è una condizione necessaria, ma non
sufficiente, per la possibile continuazione dell'evoluzione biologica
attraverso quella tecnologica-scientifica. Però è certamente una condizione
sine qua non per l'ulteriore sviluppo dell'intelligenza " ( Leinfellner,
1983: 166). Tuttavia, " i
neurologisti hanno stimato che anche nella fase attuale... [ l'uomo ] usa solo
il due o tre per cento delle potenzialità dei suoi [ circuiti ] interni "
( Koesler, 1959: 514). E
questo è molto importante ai fini del suo sviluppo futuro.
Ma come è avvenuto questo processo ? Noi sappiamo che, biologicamente,
l'uomo è rimasto immutato da almeno diecimila anni. Sappiamo anche qual è stata
la sua evoluzione. Dalla primordiale forma di pesce che vive nelle acque
tiepide e salmastre di un mare primordiale,
alla forma di un anfibio, per passare poi a quella di rettile, per raggiungere,
infine, quella di mammifero.
La storia di questa evoluzione ( filogenesi ) è inscritta dentro ognuno
di noi esattamente così come si è svolta. Essa si ripete ogni qual volta un
ovulo viene fecondato. Nella vita del feto si riproducono, secondo la "
legge di ricapitolazione " (
Hackel, 1879, I: 6 ), le
tappe dell'evoluzione ( ontogenesi ). C'è uno stadio nello sviluppo del feto in
cui si somiglia ad un pesce ( che vive nello stesso ambiente tiepido e
salmastro del mare primordiale ), poi ad un anfibio e, infine, a un mammifero.
Così, nell'ontogenesi, si ripercorre in nove mesi il cammino che nella
filogenesi ha richiesta milioni di anni. Ricerche più recenti hanno dimostrato
che l'ontogenesi dell'uomo si può scrivere anche per altre strade: quella del
DNA o acido desossiribonucleico. Vincent Sarich e Allen Wilson, due genetisti
dell'università californiana di Berkley, hanno dimostrato, attraverso l'esame
del DNA, che l'uomo differisce dalle scimmie antropoidi, dal punto di vista
genetico, soltanto dell'un per cento. Questo significa non solo che il ramo
evolutivo dell'uomo si è staccato di recente ( non oltre i cinque milioni di
anni, essi sostengono ) da quello delle cugine scimmie, ma anche che l'uomo, con quell'un per cento,
ha saputo costruire la sua evoluzione mentale e culturale
L'evoluzione biologica è il prodotto del caso e della necessità ( Jacob,
1971 ) ed appartiene al regno della biogenetica; l'evoluzione mentale è, invece
il prodotto, via via sempre più cosciente, dell'uomo ed appartiene alla
psicologia genetica e alla epistemologia genetica. E questo " processo di
sviluppo mentale... sembra svolgersi, con un notevole parallelismo, sul piano
della storia della cultura e su quello della storia dell'individuo " ( Petter, 1971: XXIX ).
La storia ci dice che l'uomo è passato attraverso un'evoluzione di
pensiero che lo ha portato da un grado di conoscenza del tutto inesistente ad
uno di grande rilievo. La storia ci dice ancora che questa evoluzione è
avvenuta in milioni di anni: dall'uomo che incominciò a levigare la prima
pietra ( Eccles, 1972: 219 )
all'uomo che muove alla conquista dello spazio nell'era dell'intelligenza artificiale.
Questa evoluzione all'inizio fu lentissima, quasi impercettibile. Per milioni
di anni, per avendo un cervello biologicamente identico a quello di oggi,
l'uomo continuò a servirsi quasi esclusivamente del paleocervello e di quello
sovrapposto dei primi mammiferi. La sua vita era fatta di istinti, di paure e
di sentimenti allo stato primordiale. La neocorteccia, che doveva rivelarsi poi
come la sede di tutto l'universo delle cose umane, era lì pronta per essere
utilizzata, ma non lo era. Solo lentamente l'uomo ha imparato ad acquisire le sue
conoscenze, ad organizzarle, a razionalizzarle e crescere, per ciò stesso,
nella sua struttura mentale. Questa crescita, per quel che ne sappiamo, si è
accelerato negli ultimi seimila anni, da quando è comparso quello che chiamiamo
l'uomo civile, l'uomo della storia, il fondatore delle prime grandi civiltà.
" Se è vero che l'individuo ancora ricapitola in miniatura la
storia della razza " ( Cornford, 1932: 8 ), attraverso quale processo è
avvenuta questa crescita (
filogenesi)? Il meccanismo fondamentale è stato il seguente: una massa di
informazioni, conoscenze e rappresentazioni, organizzate attorno ad una
struttura mentale, crea una situazione di equilibrio. Ma ogni equilibrio è
instabile. Una nuova massa di informazioni, conoscenze e rappresentazioni, che
non è assimilabile dalla struttura mentale esistente, lo mette in crisi e
provoca la formazione di un nuovo equilibrio e quindi di una nuova struttura
mentale.
Questo processo può teoricamente continuare all'infinito. Ma nell'uomo,
come si è storicamente determinato, ne ha prodotto finora quattro (
sensomotoria, pre operativa, operativa concreta, operativa formale ). Ma lasciamo la parola
alla epistemologia genetica, che si è assunta il compito dichiarato di studiare
" la formazione e il significato della conoscenza [ e di vedere ] per
quali vie e quali mezzi la mente umana passa da un livello di conoscenze
inferiore ad uno più avanzato... [ e ] di spiegare come avviene la trasmissione
tra un livello di conoscenza inferiore a uno che è generalmente giudicato
essere più avanzato... Questi passaggi sono di natura storica e psicologica e,
qualche volta, persino di natura biologica " ( Piaget, 1970: 12-13 ).
Questo studio, tuttavia,
diventa possibile solo se si parte
" dall'ipotesi fondamentale... che c'è un parallelismo tra
l'organizzazione logica e razionale [ dei dati ] della conoscenza e i
corrispondenti processi psicologici formativi [ dell'uomo ]... Naturalmente il campo di studio più fruttuoso
e più ovvio sarebbe la ricostruzione della storia umana - la storia del
pensiero umano nell'uomo preistorico. Sfortunatamente, non siamo
sufficientemente informati sulla psicologia dell'uomo di Neandertal o sulla
psicologia dell'Homo siniensis di Teilhard de Chardin. Poichè questo campo
della biogenetica ci è precluso, faremo come fanno i biologi e ci rivolgeremo
all'ontogenesi. Niente potrebbe essere più accessibile dell'ontogenesi per lo
studio di queste nozioni. Ci sono bambini attorno a noi. Ed è con i bambini che
avremo la migliore possibilità di studiare lo sviluppo del pensiero logico, del
pensiero matematico, del pensiero legato al mondo fisico e così via " (
Piaget, 1970: 13-14 ),
L'individuo, da quando viene al mondo e fino al raggiungimento della
maturità, attraversa quattro livelli evolutivi o psicologici. In ogni livello
matura una struttura mentale legata ad una precisa forma di pensiero. Questo
può essere figurativo o operativo. Il pensiero figurativo è percettivo,
imitativo e fantastico; esso comprende la realtà nella sua staticità: l'essere
delle cose. Il pensiero operativo non si ferma all'essere della cose, ma opera
delle trasformazioni. La conoscenza delle cose è, per il pensiero operativo,
l'inizio delle operazioni che su queste può operare. Il pensiero operativo, a
sua volta, può essere concreto o astratto. E' concreto quando esso rimane
legato all'esperienza. E' astratto quando esso trascende il dato
dell'esperienza materiale. L'astrazione si realizza in due modi differenti. Nel
primo modo si astrae dalla realtà quale essa è o si presenta ed è quindi
collegata direttamente con l'esperienza. A questo tipo di astrazione sono
collegate le conoscenze empiriche ( es., il bambino che ha due pesi in mano
astrae che hanno pesi differenti, ecc. ). Nel secondo caso non si astrae
direttamente dalla realtà, ma dalle operazioni compiute su di essa ( es., se
prendo dieci sassolini e li metto in un certo ordine ottengo dieci, ma comunque
cambio l'ordine ottengo sempre dieci; quindi compiendo queste varie operazioni
sulla realtà - i sassolini - ho ottenuto una conoscenza che non è
necessariamente legata ad essa, ma sulle
operazioni su di essa; in questo caso ho scoperto la proprietà
commutativa; questa è un'operazione intellettuale che solo il soggetto poteva
operare, anche se essa è insita nella realtà ). Piaget chiama astrazione
semplice il primo tipo di astrazione e astrazione riflettente il secondo. A
questa ultima definizione, tuttavia, attribuisce un doppio significato ( Piaget, 1970: 17 ). Nel primo, che va
attribuito ad un livello evolutivo ben preciso, ossia " al passaggio da un
livello inferiore, dove la riflessione cosciente è assente o minima, a un
livello superiore " ( Inhelder, 1982: 414 ), l'astrazione avviene operando
sui dati reali della propria esperienza ( vedi il caso dei sassolini ). "
Questo processo è chiamato riflettente "
(Inhelder, 1982: 414 ). Nel secondo, si è in grado di " coordinare
ed organizzare le azioni con quelle che il soggetto già possiede a questo
livello " ( Inhelder, 1982: 414 ). Con quest'ultimo livello, si raggiunge
il pensiero formale, che è anche il più avanzato che l'uomo abbia mai raggiunto la realtà viene completamente trascesa
per avanzare ipotesi, costruire modelli, stabilire teorie, ecc., anche in
contrasto con i dati della propria esperienza.
" E' chiaro che i processi mentali che entrano in azione nelle
operazioni formali sono alquanto complessi e astratti... Essi sono, in effetti,
alla base del
pensiero scientifico ( Flavell,
1963 ) . Solo un quarto degli adolescenti e un terzo degli adulti sono in grado
di raggiungere il livello delle operazioni formali ( Kuhn, Hanger, Kohlberg e
Hoan, 1977 ) . Piaget ( 1972 ) ammette che ci siano degli individui che sono
incapaci di raggiungere il livello delle operazioni formali, ma preferisce
credere che, ciò nonostante, la gente raggiunge quel livello in modi che sono
appropriati alle loro attitudini e al campo di specializzazione
professionale... Neimark ( 1975 ) conclude che quel ' livello non è universalmente raggiunto da
tutti gli individui e, nello stesso tempo, si può non averlo raggiunto in via
definitiva '. In altre parole, può
accadere che un adolescente, che ha raggiunto il livello delle operazioni
formali quando, diciamo, frequenta un corso di lezioni di fisica e chimica ad
alto livello, può, dopo pochi anni, dimenticare il processo logico di approccio
che egli usava quando frequentava il suo corso di scienze e perciò si trova in
difficoltà a ritrovarlo quando deve risolvere un problema quotidiano che
richiede una attenta e meditata analisi logica "( Watron-Lindgen,1979: 128
)
L'individuo, nel suo sviluppo, attraversa tre età fondamentali: quella
in cui prevale l'intelligenza psicomotoria, quella in cui si afferma la forma
di pensiero egocentrica e quella, infine, in cui si forma il pensiero
razionale. All'interno di queste troviamo i quattro livelli psicologici o di
struttura mentale, di cui abbiamo già parlato.
Nel primo di questi livelli, quello sensomotorio, che va dalla nascita
ai diciotto mesi, e che corrisponde alla prima età dell'uomo, si passa dai
riflessi semplice alle semplici abitudini per arrivare, man mano, a
comportamenti più complessi, quali il coordinamento della percezione e del
movimento, l'invenzione del concetto fine-mezzo e il concetto della permanenza
oggettiva.
Nel secondo, che va dai due ai sei anni e che corrisponde alla seconda
età dell'individuo, non si riesce a fare una distinzione tra il proprio io e la
realtà esterna, che viene vista come animata di vita propria ( animismo ) e di
una propria finalità ( finalismo ) ( Piaget, 1967: 34 ). In questo livello si
sviluppano l'immaginazione, il linguaggio e le facoltà percettive. La forma di
pensiero è egocentrica, irreversibile, e manca del concetto di conservazione.
Il terzo, che va dai sette agli undici anni, supera le limitazioni della
stadio precedente. Il pensiero diventa reversibile e ordinato; si sviluppano le
capacità logiche concrete e si acquisisce il principio di causalità. Del
quarto, che va dai dodici ai sedici anni
, non abbiamo bisogno di aggiungere altro a quanto già detto.
Questi livelli di struttura mentale, o età psicologica, non sono fissi
nel tempo. Essi sono quelli che l'individuo ha maturato nell'epoca moderna.
Nelle epoche passate, e fino al XVI secolo, essi erano presenti solo fino al
terzo livello, e quindi l'età cronologica corrispondente nell'individuo nei
vari livelli era molto più alta di quella citata più sopra. " Non si
dimentichi che quello che per Pitagora e Archimede o per Galileo e Newton era
punta avanzata del progresso, col passare dei secoli è divenuto materia
d'insegnamento nelle scuole medie, perfino per alunni non particolarmente
dotati " ( Laeng, 1982: 385 ). Solo pochi individui di alcune civiltà,
come vedremo, riuscirono a raggiungere il quarto livello, ma non completamente.
La mente dell'uomo ha bisogno di tempo per svilupparsi. Questo tempo non
è elastico, ma rigido. Nell'ontogenesi esso non può essere anticipato o
posticipato, a meno che non si persegua volutamente questo scopo, falsando un
pò quelli che che sono i ritmi di crescita naturali. Ogni età ha il suo
sviluppo mentale. Questo sviluppo non è legato esclusivamente a fattori
neurologici, ma vi giocano un grande ruolo la trasmissione sociale e
l'ambiente. Se questi due fattori sono idonei, il periodo cronologico di
maturazione dei livelli nell'individuo può essere più breve e " niente
impedisce che, in un futuro più o meno distante, l'età media [ di maturazione
dei livelli ] subisca un'ulteriore riduzione " ( Inhelder, 1958: 337 ).
Questo è ancora più vero se si tiene conto che le attuali capacità dell'organo
cervello ( neocorteccia ) sono utilizzate solo per il due-tre per cento
La transizione tra un livello e l'altro " avviene per mezzo di due
processi: l'organizzazione, che integra una struttura psicologica all'altra, e
l'adattamento, che modifica le strutture psicologiche in risposta
all'ambiente... L'adattamento comprende l'assimilazione e l'accomodamento , due
processi complementari che sono presenti in ogni atto cognitivo. L'individuo
assimila ogni nuova esperienza a ciò che già conosce, e, nello stesso tempo,
accomoda ciò che conosce a ricevere la nuova esperienza.
" L'assimilazione e l'adattamento sono le stesse in tutte le età...
molti cambiamenti della nostra vita cognitiva avvengono lentamente... ed essi
avvengono in alcune persone prima che in altre. Ciononostante, raggiungiamo
alcune abilità in un tempo più o meno definito ( sebbene le abbiamo costruite
lentissimamente ), e poi rimaniamo fermi in quello stadio finchè non siamo
pronti per passare a quello successivo " ( Ambron, 1978: 85 ).
Il processo di sviluppo della struttura mentale che abbiamo descritto
non è cumulativo, ma evolutivo. Cioè, esso non si verifica per stadi obbligati
attraverso un processo ineluttabile di crescita e trasformazione dal più
semplice al più complesso, ma si realizza attraverso una serie di equilibri,
come abbiamo già visto, in sè conchiusi e perfetti, che vengono messi in crisi
in successione, e , quindi, superati da una nuova massa di dati ( informazioni
). " Questo significa che ogni livello superiore rappresenta qualcosa di
nuovo rispetto a quello che lo precede, e non può essere compreso che nei suoi stessi
termini. Il livello più primitivo non può essere derivato mediante sottrazioni
di singole qualità da un livello superiore. Ogni livello, per quanto primitivo
possa essere, rappresenta una totalità relativamente conchiusa,
autosufficiente. Per contro, ogni livello superiore è fondamentalmente
un'innovazione e non può essere ottenuto mediante semplice addizione di certe
caratteristiche a quelle che contraddistinguono il livello precedente " (
Warner, 1970: 20-21 ).
Nell'individuo le crisi vengono provocate, e risolte, o da un ambiente
particolarmente favorevole o dal sistema educativo, o da entrambi. Ogni crisi è
la premessa per raggiungere il livello successivo di struttura mentale , che
comprende ed ingloba i livelli precedenti, ma è qualitativamente diverso, come
abbiamo visto. I livelli precedenti sono preparatori dei livelli successivi (
Rey, 1930-48, I: VII ). Senza i primi non è possibile avere i secondi. "
Ogni livello di struttura mentale, integrando quelli precedenti, riesce a liberare,
in parte, l'individuo dal suo passato e ad inaugurare nuove attività " (
Piaget-Inhelder, 1969: 150 ).
Ogni individuo può raggiungere, teoricamente, tutti i livelli di
struttura mentale che l'uomo ha maturato nella filogenesi fino a quella particolare
epoca storica. Teoricamente, perchè abbiamo visto che non tutti gli individui
riescono a raggiungere gli stessi livelli. Alcuni si fermano ai livelli più
bassi, altri - pur raggiungendo livelli più elevati - non vi riescono a
permanere. Solo una minoranza li raggiunge stabilmente. E questo dipende da
tanti fattori. Dall'ambiente socio-economico-culturale, dal sistema politico,
dal sistema educativo, e, non ultime, dalle potenzialità neurologiche (
Imhelder-Piaget, 1958: 150 ).
Il livello di struttura mentale
dipende dalle abilità acquisite. Ogni livello rappresenta il momento
culminante di ciò che si è preparato nei livelli precedenti. Nei primi livelli
si acquisiscono quelle abilità-capacità che rendono possibile una nuova,
diversa e più completa organizzazione dei dati della conoscenza. E questo è
stato il processo attraverso il quale si è realizzato lo sviluppo dei livelli
di struttura mentale.
Nella storia dell'uomo, il pensiero autistico ( Piaget, 1959: 43 ) delle
popolazioni primitive era una condizione necessaria per raggiungere la
struttura mentale transduttiva delle prime civiltà storiche, come quest'ultimo
era indispensabile per raggiungere il livello operatorio concreto delle civiltà
classiche e questo, a sua volta, pose le premesse per arrivare al livello
operatorio formale dei nostri giorni.
Ma nessuna popolazione , nessuna civiltà
è stata mai in grado di
aggiungere, a livello di filogenesi, più di un livello all'evoluzione della
struttura mentale dell'uomo. Come nessuna popolazione, nessuna civiltà è stata
mai in grado di saltare un livello. L'esperienza recente ha dimostrato che,
quando l'uomo, che è in possesso di una struttura mentale logica formale, come
quella dell'uomo contemporane, ha tentato di integrare al suo livello le
popolazioni pre-logiche, che ha incontrato sul suo cammino, ne ha fatto dei
disadattati e li ha distrutti psicologicamente, facendo loro perdere la propria
identità. Lo sviluppo delle strutture mentali, a livello filogenetico, non può essere
abbreviato. Esso è strettamente correlato alla massa di informazioni che
l'organo cervello deve elaborare, e al suo grado di specializzazione. Al
livello pre-logico, il suo grado di specializzazione è molto basso. La massa di
informazioni che deve elaborare è esigua ( Lindberg, 1935 ), nè sarebbe in
grado di elaborarne una maggiore. Per farlo avrebbe bisogno di una maggiore
specializzazione, e questa si può
raggiungere solo gradatamente attraverso l'elaborazione di nuove e più avanzate
conoscenze che derivino dall'esperienza( sua
e/o delle generazioni precedenti )- la sola ed unica fonte di
acquisizione di conoscenze ( Newell-Shaw-Simon, 1958 ). E' questa progressiva
specializzazione che condurrà l'uomo all'ultima tappa ( finora ) del suo
sviluppo mentale: quella di
programmatore di conoscenze. Da qui le quattro epoche pedagogiche dell'uomo:
quella della verità intuita, quella della verità rivelata, quella della verità
scoperta e - ultima tappa al presente - quella della verità costruita.
Ma anche all'interno dello stesso livello non sono possibili salti o
abbreviazioni. Le capacità intuitive precedono quelle deduttive; queste, a loro
volta, precedono quelle induttive e, quest'ultime, precedono quelle
sperimentali. Invertire l'ordine dei fattori, in questo caso, il prodotto
cambia. Così come cambia saltandone uno. L'uomo ha iniziato la sua storia (
fase sensomotoria ) acquisendo la capacità di organizzare le sue sensazioni
percettive e coordinare i suoi movimenti(kohler,1957 ).
L'acquisizione di queste sue abilità fondamentali, che lo hanno fatto
staccare per sempre dal ramo delle sue cugine scimmie, lo ha fatto entrare nella seconda fase (
quella pre-logica o pre-operativa ) del suo sviluppo mentale, in cui egli
" attribuisce a se stesso l'onnipotenza " ( Freud, 1970: 130 ). In
questa fase egli sa " come è fatto il mondo, [ lo sa ] al modo stesso in
cui [ percepisce ] sè medesimo " (
Freud, 1970: 134 ): dotato di vita e di intenzionalità. " Inizialmente è
vivente qualsiasi oggetto che abbia un'attività, essendo questa essenzialmente
relativa all'utilità dell'uomo... Poi la vita è riservata ai mobili e infine ai
corpi che sembrano dotati di moto proprio, come gli astri e i venti. Alla vita
è ricollegata, d'altra parte, la coscienza, non una coscienza identica a quella
dell'uomo, ma il minimum di consapevolezza e intenzionalità necessarie alle
cose per compiere le loro azioni e soprattutto per muoversi e dirigersi verso
le mete loro assegnate ( finalismo )... L'animismo e il finalismo esprimono una
confusione o mancanza di distinzione tra il mondo interiore e soggettivo e
l'universo fisico, e non un prevalere della realtà psichica interna " (
Piaget, 1967: 34-35 ).
E' stata questa necessità-bisogno di capire la realtà circostante,
unitamente a quella di risolvere i problemi così come essi venivano ponendosi,
senza sottovalutare la necessità-bisogno di soddisfare la propria curiosità,
così caratteristica dell'uomo di tutte le epoche, che hanno creato
quell'attività di pensiero, senza la quale non ci può essere sviluppo, che ha
consentito l'accumularsi di una massa enorme di conoscenze che, innalzando
costantemente il suo livello di struttura mentale, ha dato all'uomo, nell'epoca
moderna, quella onnipotenza che si era attribuita confusamente nella fase
pre-logica. E questa rivendicazione di onnipotenza cosciente avverrà in
Inghilterra, a partire dal XVII secolo, ad opera di Francesco Bacone, anche se
gli strumenti per ottenerla saranno messi a punto da altri.
La confusione di pensiero tra il mondo interiore ed esteriore era la
tappa obbligata per raggiungere l'abilità di dare ordine alla propria
esperienza e fare una nuova sintesi che superasse la prima.
Nella fase logica concreta, l'uomo rimane ancora attaccato al mondo
della natura, non più per percepirlo come animato e dotato di intenzionalità,
ma per percepirlo come realtà separata dal proprio io, su cui inizia a fare
delle riflessioni per trarne tutte
quelle conoscenze che gli consentiranno di avanzare ulteriormente. Se nella
fase precedente aveva sviluppato il pensiero intuitivo, in questa egli
incomincia a sviluppare quello deduttivo. Con questo nuovo strumento ( capacità
intuitiva-deduttiva ) interpreta il mondo del reale ed acquisisce il principio
di causalità, che prima gli mancava. Anche la lingua subisce una maggiore
specializzazione. Si formano strutture più complesse che lo mettono in grado di
esprimere la nuova articolazione di pensiero logico-concreto.
La capacità intuitiva-deduttiva è una " costruzione libera o almeno
spontanea e diretta dell'intelligenza " ( Piaget, 1970: 43 ), che non
richiede alcuna organizzazione. Essa, tuttavia, era una tappa obbligata per
arrivare alla capacità-abilità induttiva, che richiede una organizzazione dei
dati della conoscenza per arrivare dal particolare al generale, attraverso
l'astrazione. Ma un'astrazione ancora legata al mondo del reale, quella che
Piaget chiama astrazione riflettente. Il pensiero formale, l'astrazione
formale, si avrà solo nella fase successiva, quando non si lavorerà più su un
dato o una conoscenza che viene dalla realtà, ma su un ipotesi, una congettura,
un'intuizione che ci viene dalla massa delle conoscenze che abbiamo acquisito
nel corso della storia, pur non essendo legata ad essa direttamente e molto
spesso in contrasto con essa.
La massa di conoscenza, accumulata nei millenni, è servita all'uomo per
far acquisire al cervello-computer quel grado di specializzazione che lo ha
messo in grado di trascendere la realà concreta per costruire la sua
verità. In altre parole, egli è passato
dallo stadio della verità-scoperta ( pensiero astratto legata alla realtà )
allo stadio odierno della verità-costruita (pensiero astratto formale). Senza
quella massa di conoscenza non si sarebbe mai potuto raggiungere l'attuale
livello di struttura mentale. Ecco perchè il metodo sperimentale è stato una
conquista che si è ottenuta per ultima. Esso non segna solo l'inizio della
rivoluzione scientifica, ma fu anche, e soprattutto, una rivoluzione del pensiero
( Butterfield, 1962: 187 ): moriva un modo di pensare legato alle cose concrete
e ne nasceva un altro che si sentiva libero di trascendere la realtà per
superarla. Questo fu il risultato di uno sforzo collettivo di tutte le
generazioni che si sono succedute nella storia dell'uomo, le quali hanno
sviluppato lentamente, ma progressivamente, nuovi abiti mentali che "
sebbene vengono assunti dagli individui non sono creati da essi: solo i grandi
uomini possono indossarli con grazia e naturalezza, ma nessuno di essi è in
grado di costruirne uno. Essi sono il prodotto della società. Sono il lavoro di
un'infinità oscura di uomini e donne, senza pretesa di conquistarsi un posto in
quella che viene chiamata la storia del pensiero. Essi appartengono, in breve,
a quelle rappresentazioni collettive che nessuno ha saputo descrivere meglio
del sociologo francese Durkheim. Queste rappresentazioni collettive, che
costituiscono tutte le conoscenze che l'uomo possiede, sono il frutto di
un'immensa collaborazione collettiva, che si estende non solo nello spazio, ma
anche nel tempo. Per produrle, una moltitudine di intelligenze ha associato,
unito, mescolato le sue idee ed i suoi sentimenti " ( Farrington, 1950:
4-5 ). E la Rivoluzione
industriale è una di queste rappresentazioni collettive, anche se sarà
materialmente realizzata, nell'ultima fase, dall'Inghilterra.
Queste conquiste, tuttavia, non furono costanti nel tempo. Esse furono
inframmezzate da lunghi periodi di stagnazione, di regressi a livelli inferiori e di grandi balzi in avanti. Anche se finora
abbiamo parlato dell'uomo, è chiaro che queste conquiste furono il prodotto
finale di alcune popolazioni particolari che, per una serie di motivi, di cui
parleremo più avanti, erano molto più avanzati nello sviluppo della struttura
mentale. Basti pensare che l'età del ferro, tanto per fare un solo esempio, si
ebbe nel 3000 a.C.
in Mesopotamia, nel 500 a
Roma e solo nel 50 d.C. nella Germania meridionale. Ma, anche se avevano una velocità di
circolazione piuttosto bassa, queste conquiste si propagavano dappertutto e
diventavano il patrimonio di tutta l'umanità, man mano che tutti i popoli
progredivano nel loro livello di struttura mentale.
" Idealmente la tradizione sociale è una: l'uomo odierno è teoricamente
erede di tutte le età ed eredita l'esperienza accumulata da tutti i suoi
predecessori. Questo ideale, tuttavia, è lungi dalla realizzazione. Oggi
l'umanità non forma una società, ma è divisa in molte società distinte; tutte
le prove disponibili suggeriscono che questa divisione non era minore, anzi era
più grande, nel passato, per quanto lontano possa penetrare l'archeologia
" ( Childe, 1949: 21 ).
E' nella storia che l'uomo ha realizzato se stesso. Ed è nella storia
che egli ha maturato i suoi livelli di struttura mentale: dal più basso, quello
delle scimmie antropoidi, al più elevato, quello dell'uomo moderno. Il
raggiungimento di ogni livello ha richiesto secoli, anzi millenni di
maturazione, come è stato il caso della civiltà egiziana e di quella
mesopotamica, anche se più limitatamente. Il tempo di maturazione, comunque, si
è andato progressivamente contraendo. Dai millenni delle prime civiltà, ai
secoli dell'epoca moderna ed ai decenni dell'era contemporanea ( Aron, 1961 ).
Il livello raggiunto dipendeva dal particolare popolo storico che lo
realizzava, ma nessun popolo o civiltà è mai riuscito ad aggiungere più di un
livello a quelli acquisiti ontogeneticamente.
Il processo attraverso il quale si è realizzato lo sviluppo dei livelli
di struttura mentale è il seguente: il popolo, che era dotato delle energie
necessarie per diventare civiltà, si presentava sulla scena del mondo come
alunno che apprende tutte
le conoscenze acquisite fino a quel momento, le fa sue, le imita (imitazione
creatrice ) e, nel periodo della maturità, crea una nuova sintesi, dando vita
ad una nuova civiltà, diversa e più matura di quella precedente. Dopo di che,
sviluppata questa sintesi fino alla massima potenzialità (fase di crescita ), non era in grado di svilupparne una nuova,
pur avendo, nel frattempo, accumulato tutti gli elementi per farlo.
Quindi, l'organizzazione
politico-sociale si irrigidiva e diventava ripetitiva ( ripeteva se stessa ) e
sparivano sia le capacità assimilative sia la potenza creatrice e si consumava
quello che si era prodotto nel passato senza nulla aggiungervi. Era come se le
energie vitali, che avevano prodotto quella sintesi, si fossero interamente
prosciugate ( Rostvtzeff, 1960: 318-19 ) e al loro posto fosse rimasto un vuoto
orgoglio per l'alto grado di organizzazione raggiunto (alto grado di civiltà ).
La crisi si palesava completamente quando si sviluppava una psicologia
collettiva di superiorità rispetto al mondo esterno, che veniva definito
barbaro, per cui non si era più aperti al contributo esterno e si entrava in un
lungo periodo di stagnazione. Si consumavano le glorie del passato. Questo è
stato il caso delle civiltà dell'Antico oriente, della civiltà classica, del
Rinasciemto e dell'Inghilterra del mondo contemporaneo.
Il sistema politico ha giocato un grande ruolo nella realizzazione di
questo processo. Esso era favorito in quelle società che garantivano
all'individuo la libertà di essere e di agire ( Popper, 1973: 19; Hume, 1963:
116 ); non sorgeva, o si inaridiva, in quelle società che comprimevano ( o
negavano ) la sua libertà di autorealizzazione. Il ruolo della potenza
politica, invece, sembra sia stata irrilevante. Infatti " la cultura greca
fiorì prima e dopo che le piccole città-stato ebbero la loro breve era di
gloria militare; gli italiani diedero il loro contributo quando le loro città
erano lacerate dalla guerra civile ed erano in gran parte sotto il dominio di
altre nazioni"(Muller,1952:70 ). L'Inghilterra lo diede quando ancora
lottava per risolvere i suoi problemi istituzionali all'interno e cercava un
proprio spazio all'esterno nella sua eterna lotta contro la potenza militare
dominatrice dell'epoca: la
Francia.
Il passaggio da un livello all'altro era " molto più complesso di
una pura e semplice identificazione " ( Piaget, 1967: 51 ). Il popolo, che
aveva raggiunto l'ultimo livello, era incapace di raggiungere il successivo. Per poterlo fare, esso avrebbe
avuto bisogno di una maggiore capacità di rielaborazione delle conoscenze che
esso stesso aveva prodotto. Questa incapacità lo rendeva non suscettibile di
ulteriore sviluppo e lo faceva entrare in una fase di stagnazione indefinita Il processo si bloccava finchè non si
iniziava di nuovo con un altro popolo o civiltà esterna, dotata di una grande
capacità ricettiva e della duttilità mentale necessaria per compiere la nuova
sintesi.
Nel mondo classico, questo popolo era un popolo barbaro ( il proletariato esterno di Toynbee ), che
premeva sulle frontiere della civiltà. Nel mondo moderno, invece, era un
popolo, che - pur partecipando della stessa civiltà - era rimasta indietro
nello sviluppo, ma conservava intatte le sue potenzialità per fare un nuovo
balzo in avanti (Kroeber,a Roaster of civilazation: 234), come è stato il caso
dell'Inghilterra nell'ambito della civiltà europea.
Nel mondo classico, questo processo avveniva a livello di psicologia
collettiva ( civiltà, nazione, stato ). Nel mondo moderno, sotto i colpi
incalzanti della nuova massa di conoscenze accumulate in tutti i campi e la sua organizzazione attraverso il metodo
scientifico, questo processo si verifica a livello di psicologia di gruppo
(branca del sapere). Nel campo della scienza moderna, per fare un esempio,
quando una teoria scientifica, o paradigma, non risponde più alle esigenze
della ricerca, la scienza, a cui quella teoria si riferisce, entra in crisi
finchè non viene fornito un nuovo paradigma. Tuttavia, questo nuovo paradigma,
anche se anticipato da molto tempo, viene riconosciuto ed accettato solo quando
il vecchio viene manifestamente ed universalmente dichiarato in crisi. Di
solito, il nuovo non sorge fintanto che il vecchio è ancora valido in qualche
modo. " Quale sia la natura dello stadio finale - come avvenga che un
individuo inventi ( o trovi di aver inventato ) un modo nuovo di dare ordine ai
dati ora raccolti tutti insieme - rimane per ora inscrutabile e può darsi che
lo rimanga per sempre. Possiamo notare soltanto una cosa in proposito: coloro
che riescono a fare questa fondamentale invenzione di un nuovo paradigma sono
quasi sempre o molto giovani oppure sono nuovi arrivati nel campo governato da
quel paradigma che essi modificano. Forse non c'era bisogno di rendere
esplicito questo: è ovvio, infatti, che sono quelli gli uomini, i quali,
proprio perchè sono solo scarsamente condizionati dalle regole tradizionali
della scienza normale da parte della precedente attività, hanno una maggiore
probabilità di vedere che quelle regole non servono più a definire problemi
risolvibili e di concepire un altro insieme di regole che possano sostituirle
" ( Kuhn, 1969: 117 ).
" Tutta la storia passata dell'uomo è un preludio alla sua capacità
odierna di un pensiero logico [ formale ] " ( Copeland, 1974: 35 ). Pensiero
logico che, tuttavia, l'uomo ha incominciato ad acquisire con le prime civiltà
urbane, ma a livello diverso, o - se vogliamo - ad una maturità diversa. La
storia dell'uomo è stata una successione di stati di maturità. In ogni epoca,
l'uomo storico ha raggiunto la sua maturità, ma ad un livello diverso,
generalmente superiore a quello precedente, tranne nell'epoca medievale
occidentale, quando si ebbe un regresso. In termini piagetiani, ogni maturità
raggiunta (forma ), o massimo livello di struttura mentale per quell'epoca,
costituiva il contenuto della forma successiva. E questo è il principio che ha
guidato l'evoluzione mentale dell'uomo nella storia. Quando un popolo, una
civiltà, o uno stato, aveva raggiunto la sua maturità ( forma ), aveva
preparato, per ciò stesso, il contenuto per l'uomo della civiltà successiva.
" Attraverso questo processo, gli stadi dello sviluppo cognitivo
dimostrano un'essenziale relatività di forma e contenuto, poichè ciò che è
forma ad un livello diventa contenuto al successivo. Così le strutture
operative concrete sono forma rispetta al livello senso-motorio che esse
soppiantano, ma sono contenuto rispetto all'operatività ipotetica-deduttiva che
ancora deve venire " ( Rotman, 1977: 83 ). La forma delle civiltà
dell'Antico Oriente ( pensiero transduttivo ) costituì il contenuto della forma
della civiltà greca ( pensiero operatorio concreto ), come quest'ultima
costituì il contenuto della forma della civiltà europea ( pensiero operatorio
formale ).
Per riassumere, il concetto di maturità è relativo, non assoluto. E
questo è vero sia per l'uomo come specie, sia per l'individuo. La maturità
assoluta, per l'uomo, se esiste, si avrà solo quando egli avrà imparato ad
utilizzare tutte le capacità-possibilità del suo organo cervello, che ora, come
abbiamo visto, utilizza solo al tre per cento. Ma anche allora, non è certo che
non ci sarà un livello successivo. Se le capacità del cervello sono quelle di
assimilare, organizzare, connettere, inventare, ecc., è probabile che egli
troverà un modo nuovo di utilizzare questa capacità-abilità, per cui la fine
potrebbe significare un nuovo cominciamento. Già altre volte, l'uomo ha
dimostrato di avere questa possibilità. Quando si credeva che ormai avesse
raggiunto il massimo delle sue possibilità nel campo della conoscenza, c'è
stato sempre qualcuno, individuo, nazione o civiltà, che ha fornito un nuovo
paradigma ed il cammino è ripreso, ma su un altro binario. Non sarà questo il
caso prossimo venturo ?
La civiltà europea, di cui l'Inghilterra fa parte, è figlia dell'eredità
sociale dell'uomo che ha realizzato se stesso nella storia. Nel XVI secolo
dell'era moderna, in Inghilterra si erano create le condizioni per la nascita
di un uomo nuovo, ma vecchio quanto la storia, che era destinato a prendere in
mano i destini dell'umanità per condurla verso un nuovo ed impensabile
traguardo: quello del sovvertimento totale dell'organizzazione sociale e
produttiva, che era esistita sin dalla notte dei tempi, e dell'instaurazione di
un nuovo sistema di produzione che avrebbe cambiato il volto del mondo.
In questo libro narreremo la storia di quest'uomo.