Capitolo
IX
IL
PARLAMENTO CONTRO LA CORONA
Carlo
I
Quando Carlo I sale al trono la sua
popolarità è molto alta. Egli sembra godere la fiducia del popolo che vede in
lui il principe cresciuto sul suolo inglese e quindi in grado di capire, meglio
di suo padre, i sentimenti e le aspirazioni della nazione e del parlamento che,
nei lavori del 1624, aveva apprezzato la sua politica antispagnola.
In quel parlamento, infatti, i Comuni, che
erano stati sempre contrari alla politica filo spagnola di Giacomo, nella quale
vedevano un possibile rafforzamento del partito cattolico, sempre presente in
Inghilterra, si erano dichiarati favorevoli ad una guerra navale contro la Spagna, voluta da Carlo e
dal suo favorito Buckingham, i quali - fallito miseramente ed ingloriosamente
il progettato matrimonio con l'Infanta - nutrivano forti rancori verso gli
spagnoli che li avevano umiliati e respinti.
La ritrovata intesa col parlamento, spinse
Buckingham a liberarsi, con l'aiuto di Carlo, dei suoi nemici interni. Insieme
(1), Carlo e Buckingham, incoraggiarono la messa in stato d'accusa del Lord
tesoriere Middlesex che « fu condannato dai pari all'unanimità. Il suo processo
costituì un evento della massima importanza per Comuni, perchè esso fece
ritornare definitivamente in vita quel salutare diritto costituzionale che il
solo precedente di Lord Bacone avrebbe potuto non essere sufficiente per
garantirlo ed esercitarlo contro i ministri della corona » (2).
Con il loro atteggiamento, Carlo e
Buckingham si erano conquistati le simpatie del parlamento, al quale Carlo
aveva, inoltre. promesso che se la sua futura moglie fosse stata di religione
cattolica ella avrebbe avuto solo il diritto di praticarla con la propria famiglia.
Questo era molto lontano dal loro desiderio - espresso nel parlamento del 1621
- che egli sposasse una principessa protestante, ma tuttavia costituiva un
impegno ad assicurare la non ingerenza, da parte della futura regina, nella
questione religiosa, cui essi attribuivano un'importanza fondamentale.
Gli eventi del 1624 convinsero Buckingham
di poter dominare il parlamento e non appena Carlo salì al trono gli consigliò
di convocarlo per farsi concedere i mezzi finanziari necessari per condurre un'ambiziosa
politica estera. Al suo primo parlamento (1625), Carlo I dichiara di voler
intraprendere una guerra navale contro la Spagna e di voler riconquistare il Palatinato a
suo cognato Federico V. Il parlamento, in segno di buona volontà, gli vota due
sussidi che sono una modesta parte della somma di cui egli ha bisogno, ma gli
promette di votargliene altri cinque non appena egli avrà riparato i torti
lamentati. Nella seconda sessione, tenuta ad Oxford a causa della peste che
aveva colpito Londra, scoppia lo scandalo del contratto di matrimonio di Carlo
con la sorella di Luigi XIII di Francia, Maria Enrichetta. Il contratto
prevedeva, tra l'altro, due clausole segrete. Con la prima, il re d'Inghilterra
si impegnava a sospendere le leggi penali contro ì cattolici inglesi, e questo
costituiva una grave rottura della promessa fatta al parlamento del 1624; con
la seconda, Carlo si impegnava a mettere a disposizione della Francia le
proprie navi per combattere gli Ugonotti francesi. In cambio Luigi XIII prometteva
di aiutarlo a riconquistare il trono di Boemia a Federico V.
Se con la prima clausola egli mostrava la
sua natura fedifraga, che sarà poi un costante della sua vita, e la sua
propensione a concedere maggiore spazio ai cattolici, con la seconda colpiva e
offendeva i sentimenti filo protestante dei Comuni che - al di là dei confini
politici, delle differenze linguistiche o etniche - si sentivano legati da un
vincolo di solidarietà con tutti coloro che avevano abbracciato e combattevano
per la fede protestante (3).
I Comuni erano irritatissimi e votarono una
risoluzione con la quale si dichiaravano propensi a concedere i sussidi
richiesti, a condizione che la loro amministrazione fosse affidata a ministri
che godevano la fiducia del parlamento. Era una condizione chiaramente
inaccettabile per il re che sciolse, quindi, il parlamento.
L'attacco dei Comuni era rivolto
principalmente contro il favorito Buckingham che era stato l'artefice del
contratto e conduceva, per conto di Carlo, la politica estera del regno.
« C'erano difficoltà anche su un altro
importante aspetto finanziario. Sin dal tempo di Edoardo IV il parlamento
aveva concesso al re il dazio doganale a vita all'inizio del regno. Questa
concessione si era ridotta ad una pura formalità, tanto che l'Atto di
concessione del dazio nel periodo Tudor lo descriveva come goduto dal re
d'Inghilterra da tempo immemorabile. Ma quando fu proposta la solita
concessione nel primo parlamento di Carlo I, venne fuori di nuovo la questione delle
legalità di quelle imposizioni, non incluse nel dazio, che Giacomo I aveva
aumentato attraverso la pubblicazione del Libro delle Tariffe; e i Comuni
decisero di concedere il dazio doganale solo per un anno in modo da avere il
tempo e la possibilità di esaminare tutto il sistema dell'imposizione
indiretta. In questo passo rivoluzionario essi non furono seguiti dai Lords che
si rifiutarono di approvare la legge in quanto essa fissava dei limiti di
tempo, e così la concessione decadde del tutto » (4) a causa dello scioglimento
prematuro del parlamento.
Il successivo parlamento fu convocato dopo
sei mesi circa, a causa delle impellenti necessità del re di mezzi finanziari.
Questo nuovo parlamento cominciò sotto cattivi auspici. Per eliminare dal
nuovo parlamento i membri più influenti del vecchio -
i bollenti e popolari
spiriti » che maggiormente si erano distinti nella difesa dei diritti della
Camera e nell'attacco alla politica della corona - Carlo nominò sceriffi, per
quell'anno, Coke, Phaelips, Selden, Wentworth ed altri. Ma la decapitazione
dell'opposizione non riuscì perchè i vecchi leaders vennero rimpiazzati da
nuovi e più aggressivi deputati.
Nello stesso tempo il re cercò di tenere
lontano dalla Camera alta due Lords reputati scomodi: Arundel e Bristol. Il
primo fu imprigionato sotto l'accusa ufficiale di aver permesso il matrimonio
di suo figlio con Arabella Stuart, figlia del duca dì Lennex senza aver
consultato il re nella sua qualità di capo della casa Stuart, ma in realtà
perchè era un nemico del suo favorito Buckingham. I Lords protestarono
fermamente, affermando che questo arresto - avvenuto in connessione con i
lavori del parlamento - violava i privilegi della Camera e reclamarono ed
ottennero la liberazione di Arundel. Al secondo, in un primo tempo, fu negato
ìl decreto di convocazione a cui aveva diritto in quanto nobile, e - quando
l'ottenne, in conseguenza delle proteste dei Lords, a cui si era rivolto - gli
fu consigliato - con una lettera personale del re - di non avvalersi del suo
diritto di sedere in parlamento (5). Ma poichè Bristol consegnò la lettera ai
Lords, il re lo fece arrestare per alto tradimento. Egli tuttavia rimase in
prigione solo poco tempo, perchè i Lords pretesero ed ottennero la sua
liberazione.
Nel messaggio indirizzato ai Comuni
all'apertura del parlamento, Carlo aveva avanzato la richiesta di sussidi e
aveva ammonito che questa volta non avrebbe accettato rinvii o scuse. Il
sussidio doveva essere votato entro una settimana, altrimenti egli minacciò di
essere costretto a fare ricorso ad altre misure. Bristol era stato ambasciatore
presso la Corte
dì Spagna durante il periodo di permanenza a Madrid di Carlo e Buckingham in
connessione delle trattative del matrimonio di Carlo con l'Infanta e Buckingham
temeva che egli potesse rivelare i retroscena di quelle ingloriose trattative.
I Comuni si mostravano sensibili alla sua
richiesta, egli prometteva di lasciar loro discutere gli altri affari che
stavano loro a cuore. Inoltre egli si impegnava a riconvocare il parlamento nel
successivo inverno'. I Comuni risposero, seguendo la tradizione costituzionale,
che erano decisi a non fare alcuna concessione, anche se promettevano che alla
chiusura del parlamento avrebbero votato un congruo sussidio, se prima il re
non riparava i torti lamentati e non riconosceva al parlamento il
diritto-potere di discutere la conduzione della politica estera.
Il loro obiettivo era quello di mettere
sotto accusa Buckingham che ritenevano il vero responsabile della politica del
governo. Il favorito del re venne formalmente accusato del disastroso risultato
dell'attacco navale inglese alla baia di Cadice, del mancato controllo navale
dello stretto della manica con relativo pericolo per le navi e per il commercio
inglese, dell'allegra gestione del denaro pubblico e per aver messo a
disposizione dei francesi una squadra di navi inglesi per essere impiegata
contro gli ugonotti. Ma la colpa più grande che gli attribuivano era il forte
ascendente che egli esercitava su Carlo. Il re tentò di difendere il suo
favorito, assumendosi la paternità di tutti i suoi atti, ma il parlamento si
dimostrò risoluto nel suo procedimento di accusa.
Già altre volte nel passato il parlamento
aveva messo sotto accusa i ministri della corona, ma I'impeachment di
Buckingham era di natura diversa. Nel medioevo i ministri venivano messi sotto
accusa su iniziativa dei baroni della Camera alta per attaccare indirettamente
la politica della corona, ma formalmente venivano accusati di reati comuni
(corruzione, malversazioni, ecc.) di cui si erano effettivamente resi
colpevoli. Bacone nel 1621 era stato accusato e riconosciuto colpevole di
corruzione. Middlesex, nel 1624, era stato processato per malversazioni. A
Buckingham, invece, venivano attribuite solo colpe di natura politica: l'insuccesso
della politica del governo. Questo implicava un nuovo modo di intendere la
funzione di ministro della corona. Se nel passato il ministro-favorito era
responsabile politicamente verso il re che lo aveva investito di quella carica,
che egli riusciva a conservare solo e finchè godeva la fiducia del sovrano, ora
i Comuni, con 1'impeaclzment di Buckingham, reclamavano - anche se le
implicazioni costituzionali della richiesta sfuggivano loro - la diretta responsabilità
politica dei ministri verso il parlamento. E per farlo, essi non si basavano su
nuovi principi o leggi che intendevano stabilire o approvare, ma si appellavano
alle antiche leggi del regno, che essi avevano studiato nel loro significato
normativo ed istituzionale.
Nell'aprire il dibattito sul procedimento
di accusa contro Buckingham, il deputato Digges affermò: «Le leggi
d'Inghilterra ci hanno insegnato che i re non possono comandare cose illegali o
dannose. E per tutti gli eventi negativi o dannosi dei loro atti ne devono
rispondere gli esecutori». Nell'intervento di chiusura del procedimento, Sir
John Eliot fu ancora più preciso.
« Signori » - egli disse
- « io dico che anche se sua maestà si fosse compiaciuta di dare il suo assenso
[a questa politica], o di averla ordinata egli stesso, cosa che io non credo,
questo non potrebbe giustificare il duca e rendere la sua colpa più lieve, poichè
era suo dovere, per l'ufficio che ricopriva, opporsi con le preghiere e far
notare a sua maestà i pericoli e le conseguenze dannose che ne sarebbero potuto
derivare » (7).
Digges ed Eliot, con il loro lucido
argomentare, la cui effettiva portata sfuggiva a loro stessi', avevano fatto un
tentativo, non nuovo nella storia del parlamento inglese, per acquisire al parlamento
il potere di controllo sui ministri e sulla politica del governo. Ma per il
parlamento « non sarebbe stato facile acquisire la responsabilità ministeriale.
Con un sovrano che non pretende di governare o con un sovrano che è pronto a
fare di un ministro impopolare un capro espiatore, acquisirla non presentava
difficoltà. Ma Carlo non solo riteneva che era suo diritto governare lo stato,
ma era anche troppo cosciente di questa sua prerogativa per abbandonare un
ministro che egli riteneva accusato ingiustamente. Ci vollero due rivoluzioni
per fare accettare questa dottrina in Inghilterra. Prima che i Comuni avessero
successo nell'acquisire la responsabilità dei ministri, dovettero ristabilire
de facto - non in teoria - la responsabilità della corona » (9).
Il tentativo di metter sotto accusa
Buckingham abortì per il deciso intervento del re che fece arrestare i due
grandi accusatori del duca. I Comuni reagirono rfiutandosi di proseguire i
lavori se prima non venivano liberati Eliot e Digges. Il re, dapprima giustificò
il loro arresto perchè colpevoli di reati che nulla avevano a che vedere con il
loro mandato parlamentare, ma alla fine cedette alla richiesta dei Comuni e li
liberò, ma ordinò alla Camera di lasciare da parte tutti gli altri affari per
dedicarsi all'approvazione dei sussidi, che era - egli affermò - il vero
compito istituzionale del parlamento.
I Comuni erano di tutt'altro avviso. Essi
sostennero che il dazio doganale era una forma di sussidio ed era illegale
imporlo senza l'approvazione del parlamento, come Carlo aveva fatto. Essi sapevano
che il potere della borsa era l'unica arma che essi possedevano per piegare la
volontà del re ed erano determinati a non approvare alcun sussidio se prima
Buckingham non veniva rimosso. Per salvare il suo favorito, il re rinunciò al
sussidio e sciolse il parlamento.
La protesta dei Comuni non faceva altro che
riaprire un problema vecchio quanto il parlamento: la tassazione indiretta era
un'esclusiva prerogativa regia o aveva anch'essa bisogno del consenso
parlamentare per essere legale? Formalmente il parlamento incominciò ad
approvare la tassazione sul commercio con lo Statuto di Westminster del 1275 e
continuò a farlo nei secoli successivi. Ad Enrico V, per la prima volta, il
parlamento concesse a vita la tassazione doganale. E questo precedente fu
regolarmente seguito e ripetuto con tutti i sovrani a partire da Edoardo IV. Ma
di fatto, i sovrani l'avevano sempre considerata una prerogativa reale. I Tudor
ne estesero la portata, anche se poi provvedevano a regolarizzare la nuova
situazione con l'approvazione del parlamento, come era loro politica. Giacomo I
aveva aumentato autocraticamente le tariffe doganali senza consultare il
parlamento. Carlo I, ora, incominciava ad imporla nonostante il suo primo
parlamento non gliela avesse concessa. I Comuni del 1626 dichiararono illegale
questa imposízione, ma essi furono mandati a casa prima che prendessero una
decisione in materia.
Nel mese successivo allo scioglimento del
parlamento, il re emisi un decreto con il quale impose la riscossione di tutti
quei dazi, sussidi ed imposte che erano state riscosse nel regno precedente
sull'import-export e giustificò la sua azione col fatto che esse «erano state
riscosse ininterrottamente per secoli e costituivano ormai la parte principale
delle entrate della corona » (11). La mancata approvazione del parlamento, si
premurava di giustificare il decreto, era dovuta al fatto che sia il
parlamento del 1625 che quello del 1626 erano stati sciolti mentre la stavano
discutendo. Nella realtà, la mancata approvazione parlamentare ultimamente era
stata una precisa scelta politica e non un inconveniente tecnico. E questa
scelta condizionerà gli eventi storici degli anni immediatamente successivi.
La riscossione delle entrate ordinarie si
dimostrò subito insufficiente a coprire il fabbisogno di un re che si era
impegnato in una ambiziosa politica estera, la quale richiedeva la formazione
di una flotta e il reclutamento di un esercito da inviare sul continente, dove
il re e Buckingham, capovolgendo la politica che avevano seguito appena un anno
prima, avevano aperto le ostilità anche contro la Francia. Il motivo di
questa nuova guerra era nella dichiarata intenzione di aiutare gli ugonotti che
erano assediati dalle truppe del cardinale Richelieu nella fortezza di La Rochelle.
Per far fronte a queste spese aggiuntive
il re fece ricorso, nel 1627, ad un prestito forzoso, il quale «era stato
congegnato per diventare una tassa regolare. Esso era basato sull'accertamento
dell'ultimo sussidio ed era inteso a coprire la somma equivalente a cinque
sussidi, ma in realtà si raccolse poco. I giudici, chiamati a dichiarare la
legalità del prestito, si rifiutarono di farlo, e sebbene il presidente della
corte d'appello fosse licenziato - gli altri giudici persistettero nel loro
rifiuto. Il pagamento non poteva essere imposto facendo ricorso ai tribunali
ordinari»(12). Ma il re lo poteva fare e fece ricorso alle corti prerogative.
Cinque gentiluomini che si erano rifiutati di pagare vennero arrestati e
quando si rivolsero alla giustizia ordinaria per ottenere un'ordinanza di
Habeas corpus ed essere giudicati dal loro giudice naturale – dopo la
contestazione degli addebiti - essi scoprirono, loro malgrado, che il giudice
ordinario, pur dichiarando che, in base al diritto comune, l'arresto era
illegale in quanto nel mandato di cattura non si specificava l'accusa, non
poteva rimetterli in libertà, nemmeno dietro
cauzione, perchè - come aveva dichiarato il procuratore generale - erano stati arrestati per « speciale ordine del re »
(13) ed era una prerogativa reale « mantenere il silenzio e il segreto negli affari di stato o in tempi di pericolo
nazionale » (14).
Mentre i gentiluomini che si rifiutavano di
pagare venivano arrestati, «i
borghesi venivano arruolati forzosamente nell'esercito che si stava formando
per andare sul continente. Per controllare questi coscritti, che per mancanza
di fondi dovevano essere acquartierati a
cura delle comunità locali, era necessaria la legge marziale. Molto
probabilmente queste misure non venivano adottate per punire il popolo che non
voleva pagare le tasse del re, ma mostravano chiaramente a cosa poteva arrivare
un governo arbitrario e crearono un clima di allarme » (15).
L'insuccesso della politica continentale,
dove le forze inglesi avevano
conosciuto un'altra pesante sconfitta, costrinse il re a convocare il suo terzo
parlamento nel 1628 per chiedergli mezzi finanziari più adeguati. E, per
conciliarsi il paese, egli fece liberare i gentiluomini che erano stati
arrestati e molti di essi furono eletti al nuovo parlamento, tra cui Tommaso
Wentworth, che sarà uno dei leaders della nuova Camera e, più tardi, diventerà
il più importante uomo politico di cui Carlo potrà disporre.
Questo parlamento, che era destinato a
rappresentare una pietra miliare nella storia inglese, nasceva in un periodo di
crisi politica profonda. L'arroganza degli Stuart, che sarà la causa della loro
tragedia, era un prodotto del loro tempo. Essi vivevano in un'epoca in cui
tutti i sovrani del continente, o quasi, si erano liberati di quella
istituzione feudale che era il parlamento e avevano stabilito il potere
assoluto, giustificandolo con la teoria. allora prevalente, del diritto divino
dei re. Gli scrittori di cose politiche erano tutti a favore di questa teoria;
i giuristi la suffragavano con documenti tratti dall'antichità e la Chiesa la consacrava con
l'olio santo.
Gli Stuart volevano essere come gli altri
sovrani d'Europa. E il vicerè d'Irlanda, più tardi, si farà merito di aver
realizzato questa loro aspirazione in quell'isola: « li Tommaso Wentworth aveva
innalzato il potere del re in modo tale che egli si vantava che Carlo era un
sovrano assoluto come gli altri re del mondo » (16). Gli Stuart sostenevano che
qualsiasi diritto goduto dai sudditi era un privilegio concesso dalla corona,
la quale conservava il potere-diritto di revocarlo in qualsiasi momento, se lo
riteneva opportuno. Ma essi non si rendevano conto che non basta affermare questo
principio quando non si posseggono gli strumenti per farlo rispettare. E gli
Stuart questi strumenti non li possedevano. I sovrani continentali avevano
affermato la loro supremazia grazie all'esistenza di un esercito stanziale che
rendeva impossibile qualsiasi resistenza agli ordini della corona.
In Inghilterra, favorita com'era dai confini
naturali quasi sicuri, « il compito di difendere il territorio metropolitano
era affidato a bande addestrate che costituivano una specie di milizia
nazionale» (17) e che venivano reclutate soltanto in caso di necessità e
venivano sciolte non appena questa necessità cessava. « Il potere militare
veniva così a non essere nelle mani del re, e questa è la ragione per cui nel
paese non prese mai piede una monarchia assoluta » (18).
Il re, al di fuori di una guardia armata, non
poteva contare su altre forze. L'ordine nelle province del regno era garantito
da un servizio civile formato dagli sceriffi, di solito appartenenti alla
piccola nobiltà di campagna, e dai giudici di pace non retribuiti, reclutati
nella stessa classe sociale. Se in Irlanda si era realizzata la forma di
governo assoluto, a cui Carlo mirava e di cui Wentworth si vantava, era perchè
nell'isola esisteva un esercito dì occupazione che la imponeva.
La questione dì fondo era stabilire la
natura del potere del re. Se esso era politico, come lo avevano inteso i Tudor
e lo intendeva il parlamento, doveva essere esercitato attraverso il parlamento
che era ìl rappresentante del corpo politico nazionale; se esso, invece, era
divino, come lo intendevano gli Stuart, ed era esercitato dalla corona per
delega, il parlamento non poteva fare altro che prendere atto della volontà del
sovrano che diventava, ipso facto, norma. In quest'ultimo caso, se il re consultava
il parlamento, lo faceva per proprio atto di buona volontà (tesi sostenuta
dagli Stuart) e non per un obbligo che gli derivava da qualche contratto
sociale. La lotta, che era iniziata con Giacomo e che ora sotto Carlo diventava
più calda, si combatteva per stabilire quale di questi due principi dovesse
trionfare.
Prima che il parlamento del 1628 si
riunisse, l'opposizione si organizzò. E questo costituisce un altro passo
avanti verso la costruzione di un governo parlamentare. L'organizzazione dell'opposizione
non è più lasciata allo spontaneismo di qualche leader isolato che con i suoi
discorsi infuocati riusciva a trascinare il resto della Camera nell'opposizione
alla corona, ma viene maturata attraverso riunioni segrete (19) di tutti i
leaders più influenti dei vecchi parlamenti e dei nuovi membri che si erano
distinti nell'opposizione alla politica del governo nel paese. Nella prima dì
queste riunioni venne deciso, dopo un profondo dibattito che vide molte tesi
contrapposte, che l'obiettivo primario del nuovo parlamento doveva essere
quello di difendere ì diritti del popolo ed i privilegi del parlamento. Gli
altri obiettivi, come quello di mettere sotto accusa il principale ispiratore
della politica dì Carlo, il duca di Buckingham, venivano dopo.
I Comuni sapevano che questo obiettivo
primario poteva realizzarsi solo se mantenevano fermo il principio, ormai
acquisito da secoli, che la riparazione dei torti doveva precedere la
concessione dei sussidi. Questa loro determinazione era nettamente in
contrasto con i desideri del re, il quale si dichiarava disposto a prendere in
esame le lamentele del parlamento, ma dopo la concessione dei sussidi.
All'apertura del parlamento, Carlo
indirizzò alle Camere un messaggio minaccioso nel quale affermava: « Non c'è
nessuno che non sappia che la causa della convocazione di questo parlamento è
il pericolo comune e che, in queste occasioni, il suo scopo fondamentale è
quello di votare i sussidi... Ogni uomo ora deve agire seguendo la propria
coscienza; perciò se voi (che Dio non voglia) non doveste fare il vostro dovere
dì fornire allo stato ciò di cui esso ha bisogno in questo frangente, io devo -
per liberare la mia coscienza - usare tutti quegli strumenti che Dio ha voluto
mettere nelle mie mani, per salvare quello che la follia di alcuni uomini
farebbe rischiare di perdere. Non prendete questa per una minaccia (poiché io
odio nlinacciate se non i miei egualí), ma come un ammonimento da parte di
colui che, per natura e per dovere, ha la più grande cura della vostra salvezza
e della vostra prosperità ».
Ma questa minacce, che potevano avere un
certo effetto su una Camera divisa, disorganizzata ed impaurita, ottennero
l'effetto di rafforzare la volontà dei leaders di combattere la loro battaglia
per le antiche libertà (20) del popolo e del parlamento.
I Comuni nominarono una commissione alla
quale diedero l'incarico di studiare e proporre soluzioni per gli abusi
lamentati e si impegnarono a concedere al re un grosso sussidio, ma ne
condizionavano il perfezionamento all'approvazione delle loro risoluzioni
sugli abusi. La commissione individuò i grandi torti in quattro punti: primo,
la tassazione illegale ed arbitraria; secondo, arresti arbitrari; terzo,
sottrazione del cittadino al suo giudice naturale; quarto, acquartieramento dei
soldati nelle case dei privati cittadini e uso della legge marziale in tempo
di pace.
Ora si trattava di decidere quale forma
dovevano assumere questi quattro punti per garantirne l'eliminazione (2l). Il
re era disposto a riconfermare la Magna Charta con i sei statuti che la
interpretavano. I Comuni pensarono a diverse soluzioni e alla fine prevalse la
forma della petizione, sulla quale tutti erano d'accordo: ì Comuni, i Lords e
il sovrano. Il ricorso all'antica e collaudata forma della petizione dava alla
risoluzione dei Comuni una continuità ideale con i grandi documenti
costituzionali della storia nazionale che essa richiamava.
La Petizione dei Diritti, com'essa venne chiamata,
ricordava al re che il popolo aveva ereditato il diritto - sancito nelle leggi
del regno - a non essere costretto a pagare tasse, taglie, contributi e altre
simili imposizioni, o sottoscrivere prestiti forzosi o ad acconsentire a
benevolenze, se queste non erano state approvate dal parlamento. Le tasse,
taglie, ecc., senza il consenso del parlamento, erano state dichiarate
ellegali dallo Statuto De Tallagio non Concedendo, approvato nel 1297, sotto
Edoardo I. I prestiti forzosi alla corona erano stati dichiarati illegali nel
parlamento del 1352, sotto Edoardo III, e le benevolenze erano state abolite
dall'unico parlamento di Riccardo III nel 1483.
Ciò nonostante, il re - ultimamente - aveva
imposto un prestito forzoso e coloro i quali si erano rifiutati di
sottoscriverlo erano stati arrestati e condannati dai tribunali speciali,
violando l'habeas corpus della Magna Charta del 1215, che stabiliva - all'art.
39 - che « nessun uomo libero potrà essere arrestato, imprigionato, privato dei
suoi beni, usanze e libertà, ne messo fuori dalla legge, esiliato o molestato
in alcun modo... se non in forza di un giudizio legale dei suoi pari e secondo
la legge del paese ».
Con i fondi così raccolti il re manteneva
un esercito che aveva acquartierato nelle case dei privati cittadini e, per mantenere
la disciplina, aveva fatto ricorso alla legge marziale, illegale in tempo di
pace, che ricadeva anche sui civili. Questo, ancora una volta, ledeva il
diritto del cittadino che veniva sottratto al suio giudice naturale. Per tutto
ciò, il parlamento chiedeva al re « che d'ora in poi nessuno sia costretto a
fare doni, a sottoscrivere prestiti, a concedere benevolenze, a pagare tasse e
simili, senza il consenso del parlamento, espresso per legge; e che nessuno sia
molestato, confinato e arrestato... per essersi rifiutato di eseguire l'ordine;
che sua Maestà sia disposta a rimuovere i soldati e marinai in modo che il
popolo non debba sopportare il loro peso nel futuro, e che tutti i procedimenti
in base alla legge marziale siano revocati ed annullati » (22).
Il re dapprima, più che una vera e propria
approvazione, diede alla Petizione il suo consenso, è le parole che usò
lasciarono molti dubbi sulla sua reale intenzione di rispettarne il contenuto.
Ma quando i Comuni espressero la loro insoddisfazione ed i loro dubbi sulla
generica formula usata da Carlo e si rifiutarono di votare i sussidi se prima
non ricevevano un'approvazione più conforme alla consuetudine, che impegnasse
il re al suo rispetto, egli disse in pieno parlamento: « la risposta che vi ho
già dato era stata concepita con buone intenzioni ed era stata approvata da
tanti dotti che non immaginavo che essa potesse essere completamente
insoddisfacente per voi; ma per evitare ogni interpretazione ambigua e per
dimostrarvi che non c'è doppiezza nelle mie parole, sono disposto ad
accontentarvi nelle parole come nella sostanza. Leggete la vostra petizione ed
avrete la risposta che sono sicuro vi piacerà ». Allora « il funzionario della
corona lesse la Petizione
dei Diritti. E il funzionario del parlamento lesse e pronunciò la risposta del
re: Soit droit fait Gomme est désiré » (23).
Questa formula dava alla Petizione la forza
di un atto legislativo e la faceva entrare nel rango dei grandi documenti
costituzionali inglesi. « Per noi la Petizione dei Diritti
segna una tappa fondamentale nella lotta che doveva finire con la sconfitta
del re da parte del parlamento, ma per i contemporanei deve essere sembrato sul momento di aver raggiunto poco o
nulla » (24).
Infatti, nonostante i Comuni gli avessero
votato la somma promessa, dopo aver ottenuto la Petizione dei Diritti,
il re continuò ad imporre la tassazione
arbitraria sul dazio doganale. I Comuni
erano intenzionati a fare a Carlo la stessa concessione a vita che i loro predecessori avevano fatto agli
altri sovrani, ma prima volevano approvare una Grande Rimostranza contro la «
riscossione illegale di quei dazi senza la sanzione del parlamento, e volevano
chiedere la rimozione di Buckíngham dal suo incarico, alla cui cattiva
influenza essi attribuivano tutte le sfortune del regno, sia all'interno che
all'estero. Per prevenire la consegna di questa Rimostranza » (25) e per
prevenire anche 1'impeachment di Buckingham che si profilava all'orizzonte, il
re prorogò il parlamento con un
discorso arrogante in cui affermava: « Lords e gentlemen, può í sembrare strano
che io venga così improvvisamente a chiudere 1e questa sessione... Ve ne dirò
la causa, sebbene io presuma che non
debba dare conto a nessuno delle mie azioni, tranne che a Dio solo...
Sono stato informato che si sta preparando una... rimostranza per togliermi il
beneficio del dazio doganale - uno dei principali sostegni della corona
-affermando che io abbia rinunciato a questo mio diritto con l'approvazione
della vostra petizione; questo è così pregiudizievole per me che sono
costretto a chiudere questa sessione qualche tempo prima di quanto avevo
deciso, poìchè non voglio ricevere più alcuna rimostranza, alla quale sarei
costretto a dare una brutta risposta » (26).
La contesa si spostava alla prossima sessione
che fu convocata nel gennaio del 1629. Nel frattempo Buckingham era stato assassinato da un veterano della
Campagna continentale, eliminando così uno degli elementi di frattura tra il
re e il parlamento.
Intanto il problema religioso si era
riacutizzato. Agli inizi del secolo era sorto un movimento di reazione alla
tendenza prevalente nella chiesa anglicana di un lento, ma progressìvo
avvicinamento alla stretta osservanza della dottrina calvinista. Gli aderenti a
questo movimento, che prese il nome di arminianesimo, « ma è meglio descritto
come cattolicesimo anglicano » (27), sostenevano che la chiesa inglese si
stava allontanando dai precetti racchiusi nei libri sacri usciti dalla riforma,
i quali non modificavano la fondamentale natura cattolica del credo inglese e
chiedevano un ritorno alla tradizione, accentuando - nella pratica religiosa -
tutti quegli elementi che andavano progressivamente scomparendo: osservanza
dell'aspetto esteriore della fede che - secondo Laud, futuro Primate
d'Inghilterra - è il testimone della vera « fede del cuore »; l'uso delle
immagini; l'uso del velo per le donne; l'uso dell'altare per la comunione; il
rispetto della tradizione cattolica in alcune cerimonie e il rispetto della gerarchia
ecclesiale.
Questo movimento trovava ì suoi aderenti
soprattutto negli alti ranghi della chiesa e - sebbene più volte Giacomo I
avesse dichiarato la propria neutralità - godeva dell'appoggio della corona,
la quale vedeva in esso un sostegno all'ordine costituito e alla teoria del
potere assoluto dei re. Durante gli eventi del 1627 i più eminenti arminiani
del momento - Montagne, Manwaring e Laud - si schierarono a favore della corona
e nelle loro prediche sostennero la legittimità del prestito forzoso che Carlo
aveva imposto alla comunità. Per questo suo atteggiamento Manwaring fu posto in
stato d'accusa dal parlamento del 1628 e condannato. Ma nelle more tra la prima
e la seconda sessione, Carlo - che aveva già nominato Laud consigliere reale -
concesse il perdono a Manwaring e lo nominò vescovo; nominò vescovo anche Montagne.
In tutto questo, i Comuni
del 1629 videro un pericolo per la religione stabilita e si preparavano ad
approvare una risoluzione contro la diffusione dell'armenianesimo. Nello stesso
tempo chiesero la punizione di quei funzionari di dogana che avevano confiscato
la merce a quei mercanti che si erano rifiutati di pagare il dazio. Ma il re
non era disposto a sconfessare se stesso punendo gli ufficiali di dogana e così
diede ordine allo Speaker di aggiornare la Camera.
« Non appena terminarono le preghiere, lo
Speaker andò alla sua sedia (28) e comunicò l'ordine del re per l'aggiornamento
della Camera fino a martedì ad otto. La Camera gli rispose che non era compito dello
Speaker comunicare un tale ordine, ma l'aggiornamento della Camera dipendeva
da essa stessa; e avrebbe soddisfatto l'ordine del re non appena sistemato
alcune cose di cui riteneva utile discutere... » (29). Lo Speaker tentò di
lasciare la sedia per rendere la seduta non valida, ma due giovani deputati,
Holles e Valentine, lo costrinsero a stare seduto. Altri si precipitarono a
chiudere la porta della Camera per evitare che gli ufficiali del re venissero a
prelevare la Mazza
(30). Un altro deputato, John Eliot, preparò una protesta in tre punti e chiese
allo Speaker di metterla ai voti. Questi si rifiutò ed Eliot, in un momento
d'ira, gettò la protesta nel fuoco. Intanto le guardie cercavano di entrare
sfondando la porta, ed è a questo punto che Holles - avvertendo l'urgenza di
una risoluzione - sfruttò ìl clima di tensione e di suspense che sì era creato
e recitò la protesta a memoria: l'assemblea l'approvò per acclamazione. Nella
protesta sì affermava:
1) « Chiunque porterà
innovazioni nella religione, o favorirà la diffusione o l'introduzione del
papismo o armìnianesimo, o altre opinioni in disaccordo con la vera chiesa
ortodossa, sarà reputato un nemico capitale di questo regno;
2) Chiunque consiglierà
al re di riscuotere ed imporre il sussidio del dazio doganale, non concesso
dal parlamento, o sarà agente o strumento della sua raccoltà, sarà similmente
considerato un innovatore nel governo e un nemico capitale di questo regno;
3) Se un mercante o
qualsiasi altra persona cederà volontariamente e pagherà il suddetto dazio
doganale, senza che questo sia stato concesso dal parlamento, sarà similmente
considerato un traditore delle libertà inglesi e un nemico del paese » (31).
Questi tre punti, approvati nel finale
drammatico della sessione, non avevano nessuna forza legale, ma costituivano
un appello al paese contro la politica della corona e dei suoi sostenitori. Con
essi la Camera
faceva conoscere il suo pensiero alla nazione e metteva in guardia coloro che,
per quieto vivere o per viltà, si sottomettevano volontariamente agli atti
illegali del re. Nello stesso tempo la protesta era un atto di sfida alla
corona e una dichiarazione di lotta aperta che poteva terminare solo con la
sottomissione del re o del parlamento.
Il re approfittò di questa occasione per
sciogliere il parlamento, per arrestare i membri più influenti (Eliot, Holles
Valentine ed altri, alcuni dei quali saranno liberati solo all'apertura del
parlamento del 1640, mentre Eliot morirà in carcere nel 1632) ed iniziare un
periodo di governo personale che doveva durare undici anni. Egli si liberò dei
suoi impegni continentali, rinunciò a qualsiasi politica di potenza, e dedicò
tutti i suoi sforzi ad instaurare una monarchia forte e finanziariamente
autosufficiente.
In questa sua determinazione a governare
senza il parlamento, finchè i suoi sudditi « non avessero avuto le idee più
chiare sulle sue intenzioni e sulle sue azioni, e finchè coloro i quali avevano
voluto e predicato questa interruzione del parlamento non avessero avuto la
loro adeguata punizione » (32), egli si rifaceva all'esperienza di suo padre,
Giacomo I, che fece a meno del parlamento per sette anni, dal 1614 al 1621.
Anche nel suo sforzo di trovare nuove
entrate egli seguì, fino ad un certo punto, le orme di Giacomo I. Egli fece
ricorso a tutta una serie di espedienti, alcuni dei quali risuscitati
dall'oblio del passato, altri di dubbia legalità e altri, infine, chiaramente
illegali e anticostituzionali.
Dall'antico passato egli riesumò la
prerogativa della corona di imporre il titolo di cavaliere, dietro compenso in
denaro, a tutti coloro i quali godevano di un certo reddito; chi si sottraeva
era costretto a pagare una multa; si riesumò anche l'odiosa legge delle
foreste, la cui portata fu estesa fino ad allargare a dismisura le foreste
demaniali a danno di tutta la popolazione (borghesi, gentry e nobili) che
viveva ai suoi margini, la quale fu costretta a pagare pesanti multe per
riscattare la loro proprietà che la nuova interpretazione della legge aveva
fatto ricadere nei presunti confini delle foreste demaniali.
Dal recente passato furono riportati in vita
i monopoli che furono estesi a tutti gli articoli di consumo e la cui legalità
venne fatta risalire, con un'alquanto discussa interpretazione, alla recente
legge sulle corporazioni. Ancona dal passato era stata rispolverata la tassa
per la flotta (ship money). Era un'antica prerogativa della corona pretendere,
dalle province marittime del regno, la fornitura di navi in tempo di guerra o
quando un pericolo minacciava la nazione. In tempi di pace questa prerogativa
non era riconosciuta. Carlo, per raccogliere denaro, fece ricorso anche a
questo espediente finanziario e nel 1634 emise un decreto con il quale chiedeva
alle province maritti me di fornirigli
un certo numero di navi o l'equivalente in denaro.
Già nel 1628 aveva tentato di avvalersi di
questa prerogativa, ma la forte opposizione incontrata, gli consigliò di
ritirare il decreto. Nel 1635 un nuovo decreto estese questo dovere anche alle
province interne. Questo suscitò una forte opposizione e si incominciò
A temere che il re
volesse convertire questa prerogativa, illegale in tempo di pace anche nelle
province marittime, in una forma di tassazione permanente, senza l'approvazione
del parlamento.
Il timore che il re volesse trasformare il
diritto di scutaggio in una tassa
permanente, nel 1215, aveva provocato la ribellione dei baroni che lo
costrinsero a firmare la
Magna Charta, la quale sancì che ogni forma di tassazione,
senza il consenso del Gran Consiglio, era illegale. Ora, sotto Carlo,
l'opposizione della nazione a
questa forma di tassazione non era meno ferma e decisa, ma essa si esprimeva con gli strumenti e le
armi del secolo.
A partire dalla dinastia Tudor, che con il
tribunale della Camera Stellata aveva
distrutto i residui poteri dei nobili, l'unico centro di opposizione alla
politica arbitraria del re era rappresentato dal parlamento. Quando esso era
in vacanza, alla comunità, per difendere i propri diritti, non rimanevano che i
tribunali ordinari e il diritto.
Nel 1637 John Hampden si rifiutò di pagare la
tassa per la flotta e venne arrestato (33). Il suo caso fu portato davanti al
tribunale speciale dello Scacchiere e divenne subito un caso nazionale: pro o
contro il potere della corona di imporre la tassazione senza il consenso del
parlamento. La difesa di Hampden fu assunta da due dei più noti legali
dell'epoca, St. John e Holborne; mentre la corona era rappresentata
dall'avvocato generale dello stato e dal procuratore generale. Dall'una e
dall'altra parte si portarono a sostegno tutti i precedenti storici che
giustificavano l'azione delle parti. I difensori di Hampden identificarono i
suoi diritti con quelli del parlamento, mentre l'accusa si richiamò alle prerogative
regie e ad una sentenza che i giudici avevano passato, su richiesta di Carlo,
qualche mese prima. Questa sentenza disponeva che il re era il solo che potesse
stabilire, a suo insindacabile giudizio, quando il paese si trovava in momenti
di pericolo e quindi l'imposizione della ship money diventava legale se essa
serviva per aumentare le difese del regno.
Ma Hampden ed i suoi difensori sostenevano
che l'imposizione della ship money era un problema politico di tale vastità e
profondità che andava al di là del caso legale. St. John, infatti, diede per
concesso che il re aveva il potere di imporre la tassa sulle navi. Non era
questa la questione. La questione era che il re, «come amministrava la
giustizia attraverso i giudici, così doveva imporre la tassazione straordinaria
attraverso il parlamento » (34).
« I giudici decisero, sette contro cinque, a
favore del re. Finch, uno dei giudici favorevoli al re, si spinse così lontano
da dichiarare: "gli atti del parlamento che tolgono al re il potere di
difendere il suo regno sono nulli. Tutti gli atti del parlamento che
proibiscono al re di disporre dei suoi sudditi, dei loro beni e - oso dire -
anche del loro denaro, sono nulli » (35).
Gli arresti a causa della ship money furono
moltissimi, quello di Hampden era solo il più noto per la sua appartenenza al
partito parlamentare. Anche se il processo si risolse a favore del re, la
nazione era tutta a favore di Hampden che venne considerato il campione dei
diritti del parlamento, e se prima, obtorto collo, sopportava questa tassazione
illegale, ora l'irrequietezza e la resistenza crescevano e venivano manifestate
apertamente in tutto il paese con pagamenti meno regolari che ne fecero
diminuire il ricavato. Il risentimento cresceva anche contro i giudici che,
secondo il giudizio prevalente, avevano basato la loro sentenza non sulle
testimonianze del diritto, ma sulla pericolosa teoria che il re poteva «
disporre dei suoi sudditi, dei loro beni... e anche del loro denaro».
Nonostante la crescente
opposizione del paese, « dal punto di vista finanziario gli undici anni di
tirannia, si stavano dimostrando un successo. Nel 1635, per la prima volta nel
suo regno, le entrate e le uscite del re erano quasi in pareggio; e nel 1638 la
finanza era nello stato più florido che essa avesse conosciuto in qualsiasi
periodo da quando gli Stuart salirono al trono. Il denaro raccolto attraverso
la tassazione non superava le effettive necessità del regno; ed era tutto
onestamente devoluto allo scopo per cui era stato raccolto. Ora si sa che il
denaro della tassa per la flotta, imposta alle province marittime, fu realmente
usato per costruire una flotta di grandi navi che dovevano servire come il
nucleo della potenza navale della [futura] Repubblica nella Prima Guerra olandese.
La lagnanza era dovuta al fatto che questo
denaro veniva raccolto senza il consenso del parlamento e con un sistema che
poteva essere applicato all'infinito per rendere la corona indipendente dal
parlamento in modo permanente » (36).
In questo periodo l'attività legislativa del
parlamento venne sostituita dall'emanazione di proclami reali, i quali - poichè
i giudici del 1610 avevano sentenziato che essi non potevano avere forza di
legge e quindi creare nuove norme - non ricadevano sotto l'autorità della
magistratura ordinaria, per la quale essi avevano solo valore amministrativo,
ma sotto l'arbitraria giurisdizione dei tribunali speciali (Camera Stellata,
ecc.).
Fin quando Carlo riusciva a non coinvolgere
il paese in uno stato di guerra, il suo tentativo di governare senza il
parlamento sembrava avesse successo; con l'imposizione della ship money, egli
aveva posto le premesse della futura potenza navale inglese. ma le finanze dello stato non erano
assolutamente in grado di armare e mantenere un esercito per una guerra
prolungata. Solo il parlamento poteva fornire questi mezzi.
Nel 1638, la politica dì anglicizzazione
della chiesa scozzese. perseguita da Carlo e da Laud - dal 1633 arcivescovo di
Canterbury e Primate d'Inghilterra - conobbe un grave rovescio. In reazione al
tentativo di Laud di introdurre in Scozia il nuovo libro di preghiera, i
presbiteriani scozzesi, che vedevano in questo tentativo un attacco non solo
alla religione nazionale, ma anche all'indipendenza nazionale, convocarono
un'assemblea nazionale a Glasgow, firmarono un patto nazionale e reclutarono un
esercito per costringere Carlo ad accettare le risoluzioni votate dall'assemblea.
Con queste risoluzioni, gli scozzesi chiedevano l'abolizione del sistema
episcopale, introdotto nel paese nel passato, ed altri precetti e
regolamentazioni che miravano a favorire la diffusione del credo anglicano in
Scozia.
«Carlo fu costretto a fronteggiare la forza
con la forza. Grazie all'efficiente amministrazione di Juxon, egli aveva denaro
sufficiente per condurre una campagna. Ma il successo era imperativo. Il
trattato di Berwick del 1639 non lo procurò. Al re, [sconfitto], fu chiesto di
rinunciare al controllo sul parlamento e sulla chiesa scozzese, con
l'abolizione dei Lords degli Articoli e consentendo all'abolizione
dell'episcopato.
Egli non avrebbe fatto nessuna delle due
cose, e il rinnovo del conflitto nella seconda Guerra dei Vescovi del 1640 lo
forzò a rivolgersi ancora una volta al suo parlamento inglese. La corona era
stata di nuovo forzata ad intraprendere una guerra, e questa volta non una
guerra all'estero che poteva essere interrotta, ma una che si combatteva nel
regno stesso e che scaricò sul governo un peso che lo schiacciò » (37).
Al parlamento che si riunì il 13 aprile del
1640, il re chiese dodici sussidi per armare un esercito. Gli scozzesi si erano
installati nelle regioni del nord dell'Inghilterra e Carlo si era impegnato a
versare loro un sussidio di 25000 sterline al mese. Il parlamento era ben
disposto verso il sovrano ed era pronto a concedergli l'aiuto richiesto, ma
prima voleva discutere i mali che affliggevano la comunità e denunciare il
magoverno che, fino a quel punto, attribuiva più ai cattivi ministri che al re
stesso. Il parlamento, in sostanza, dichiarava la propria disponibilità a
soddisfare le richieste del re senza apportarvi tagli, ma voleva che si
rispettasse la prassi, ormai consolidata da secoli, secondo la quale la riparazione
dei torti doveva precedere la votazione dei sussidi.
I torti lamentati dai Comuni erano
raggruppati in tre grandi voci:
1) « Innovazioni in
materia di religione: a) la persecuzione dei i ministri
del culto che non si conformavano alle direttive non previste dalle leggi; b)
la pubblicazione di dogmi papisti in libri, sermoni e saggi autorizzati; c) il
divieto ai ministri del culto di
predicare nella loro
parrocchia.
2) Riguardo alla
proprietà dei beni: a) monopoli e limitazioni del commercio; tassa per la
flotta; c) la regolamentazione delle foreste; d) oneri di carattere militare;
e) arresti arbitrari per non aver pagato tasse illegali e per non aver
accettato i monopoli illegali.
3) Libertà e privilegi
del parlamento: a) deputati perseguiti fuori del parlamento per atti compiuti
in parlamento » (38).
Ma il re non desisteva dalla sua tradizionale
politica. Egli voleva e pretendeva che l'approvazione dei sussidi fosse il
primo (e forse l'ultimo) atto dei Comuni, poi, prometteva, li avrebbe
riconvocati « il prossimo inverno per presentare e dibattere le loro giuste
lagnanze » (39). Per vincere la loro resistenza, Carlo si presentò ai Lords,
che erano più sensibili alla sua richiesta. Con un discorso meno arrogante del
passato e pieno di promesse per il futuro, e con un finale ad effetto sulle
possibili calamità che potevano investire il paese per la mancata approvazione
dei sussidi da parte dei Comuni, li convinse a votare una risoluzione con la
quale si impegnavano a dare precedenza alla votazione dei sussidi e a questo
scopo avrebbero tenuto una conferenza con i Comuni.
A questa conferenza i Comuni delegarono il
deputato Pym, più prestigioso leader della Camera del prossimo parlamento,
quale espresse l'ira della Camera bassa per il comportamento dei Lords e
dichiarò che « i grandi privilegi che appartengono a questa alta corte del
parlamento non sono questione di pompa e di immaginazione, ma sono dotati di
efficacia e forza reale... Tra questi privilegi peculiari c'è un grande
privilegio, riconosciuto dai Lords nell'ultima conferenza - che in materia di
sussidi e di entrate l'iniziativa spetta alla Camera dei Comuni... Ora ci dite
che avete votato di dare la precedenza ai sussidi su tutti gli altri affari...
Se lo avete fatto, non solo avete invaso il campo dei sussidi, ma avete anche
stabilito l'ordine e la materia dei lavori, il che la Camera considera una
violazione dei suoi privilegi... e chiede una riparazione da parte vostra»
(40).
Fallito il tentativo di avere il denaro dal
parlamento, il re dovette rifare ricorso ai provvedimenti a cui era ricorso
negli undici anni di governo assoluto: tassa per la flotta, prestiti, ecc. La
sua mano fu così pesante che suscitò l'indignazione di tutta la popolazione, la
quale incominciò a vedere gli scozzesi come liberatori più che come invasori.
Gli scozzesi, in fondo, avevano varcato il confine non per sete di conquista,
ma per difendere il loro diritto all'indipendenza nazionale e religiosa che
erano state minacciate da Carlo e dal Primate d'Inghilterra, Laud. Essi avevano
preso le armi, non per combattere il popolo inglese, ma per combattere i metodi
di governo di Carlo che era anche il loro sovrano.
Il ricorso ai provvedimenti finanziari
tradizionali, si dimostrò del tutto insufficiente a coprire i fabbisogni. Nel
mese di settembre Carlo convocò un anacronistico Gran Consiglio, che - però -
gli fece prendere atto della mutata realtà del paese. La ricchezza della
nazione era in mano alla classe dei borghesi, ormai in ascesa. E la borghesia
sedeva in parlamento, nella Camera dei Comuni.
Se voleva denaro doveva rivolgersi alla Camera bassa.
«Nel novembre del 1640 si riunì quel famoso
Parlamento che, malgrado i suoi errori
ed i suoi disastri, ha un giusto titolo all'ammirazione e alla gratitudine di
tutti coloro che, in tutti i paesi del mondo, oggi godono i benefici di un
governo costituzionale» (41). Per la prima volta nella sua storia, alcuni
membri uscenti del vecchio parlamento si impegnarono in una vera e propria campagna
elettorale, con lo scopo di costituire una maggioranza favorevole al programma
del parlamento di aprile. « Pym, Hampden ed altri fecero il giro del paese per
promuovere l'elezione di noti puritani e per rafforzare la loro posizione di
leadership dell'opposizione`. Il risultato fu l'elezione di una schiacciante
maggioranza del partito della grossa borghesia, dei proprietari terrieri e dei
mercanti, non repubblicana, ma decisa nella stragrande maggioranza a
subordinare la corona al parlamento, di cui essa aveva il controllo assoluto »
(42).
Questa maggioranza non era composta
esclusivamente da puritani. Essa rappresentava le due sezioni più importanti
delle classi la sociali inglesi: la grande borghesia e la nobiltà di campagna.
La prima era tutta a favore della
riforma puritana della chiesa e dello stato, la seconda - pur mirando ad una
riforma dello stato e ad una limitazione del potere della corona - era, in
sostanza, realista e anglicana in religione. Fin quando la lotta, che essi
stavano per intraprendere, mirerà a combattere l'assolutismo regio, le due
sezioni saranno unite e compatte, ma quando la contesa assumerà una svolta
radicale, esse si separeranno per fronteggiarsi in campi opposti. La boghesia
col parlamento, in nome della riforma totale dello stato, la piccola nobiltà di
campagna col re e la tradizione.
« Per restaurare e consolidare il parlamento
come fattore za integrale e durevole di governo furono ritenute necessarie tre
lineed'azione: 1) riconfermando la lealtà alla persona del re, rimuovere tutti
quei cattivi consiglieri che lo circondavano; 2) eliminare per legge i più
pericolosi tribunali speciali e la tassazione arbitraria; 3) assicurare
regolari convocazioni del parlamento con sessioni di una ragionevole durata.
« A molti sembrava che ci fosse bisogno di una
quarta linea d'azione, persino più vitale: quella religiosa. Le prime tre
furono realizzate. La quarta implicava problemi che sembravano insolubili a
quel tempo » (44).
Questo programma venne realizzato attraverso
una serie di leggi approvate nei primi nove mesi di vita di quello che sarà
chiamato il Parlamento Lungo, in contrapposizione al parlamento di aprile, che
per la sua breve durata (ventidue giorni) fu chiamato Parlamento Corto.
La prima legge approvata stabilì che il
parlamento doveva riunirsi improrogabilmente ogni tre anni. Se il re mancava di
emettere il decreto di convocazione, esso - al limite - aveva il potere di
autoconvocarsi attraverso libere elezioni indette dalle comunità che avevano il
diritto di eleggere deputati al parlamento. Nella legge si aggiungeva, pensando
al Parlamento Corto, che nessun parlamento poteva essere sciolto nei primi
cinquanta giorni di vita. Questa legge non era nuova nella storia del
parlamento inglese. Anche sotto Edoardo III il parlamento aveva approvato una
risoluzione con la quale si stabiliva che esso doveva essere convocato ogni
anno, ma - poichè quella risoluzione non prevedeva modi sostitutivi di
convocazione al decreto reale - i re non si erano mai preoccupati di
osservarla, Con la legge del 1641 si colmava questa lacuna.
Con una seconda legge, il parlamento si
liberò, mandandolo al patibolo, di uno dei due uomini che più avevano
contribuito alla politica autoritaria di Carlo e nel quale il parlamento vedeva
il suo più grande nemico: Tommaso Wentworth, ora conte di Stratford. Il solo
che avrebbe potuto sovvertire la situazione, grazie anche all'esercito che egli
comandava in Irlanda, e che aveva minacciato di far sbarcare in Inghilterra.
Anche Laud sarà posto sotto accusa,
condannato e rinchiuso nella Torre, da dove sarà tratto nel 1645 per essere giustiziato. Per garantirsi contro un
eventuale e possibile colpo di mano
del sovrano, il
parlamento - ricordando gli eventi del 1629 - approvò una legge che dichiarava
illegale lo scioglimento e l'aggiornamento delle Camere senza il loro
consenso.
Seguì l'approvazione di «una serie di leggi
che privò il re di quei poteri prerogativì che più avevano suscitato
l'opposizione dei Comuni, particolarmente quelli che erano considerati
limitativi delle libertà e del diritto
di proprietà dei sudditi, o che potevano rendere il re finanziariamente [dazio
doganale, tassa per la flotta, limitazione dell'uso delle foreste, imposizione
del titolo di cavaliere, ecc.] indipendente dal parlamento » (45).
Furono aboliti tutti i tribunali speciali,
compreso il più odioso e il più temuto: quello della Camera Stellata, « e con
esso cadde il potere normativo
dei proclami » (46), di cui Carlo aveva fatto grande abuso. «La presenza
dell'esercito scozzese nelle contee del nord rendeva
ìl re ìmpotente dì fronte alla volontà del parlamento.
Invece di aiutarlo a castigare i ribelli,
come aveva chiesto loro di fare nel suo discorso di apertura, i Comuni decisero
di concedere agli scozzesì una "fraterna assistenza", successivamente
fissata a 300.000 sterline » (47).
Un altro elemento che contribuì a rendere
Carlo impotente di fronte alla volontà
del parlamento era costituito dall'atteggiamento filo parlamentare della città di Londra. Essa era « il
centro della rivoluzione, il freno della vicina Corte e la rude protettrice del
non
lontano parlamento» (48).
Essa costituiva una massa di manovra abilmente sfruttata dai leaders puritani.
Pym era il magistrale tribuno che teneva desto - attraverso un'abile propaganda
– il sentimento puritano della popolazione e la sua ostilità verso Carlo, il
quale - non potendo contare che sulla sua guardia reale (i re inglesi, come
abbiamo visto, non disponevano di un esercito stanziale) - nulla poteva contro
la « folla dei borghesi, di operai, di marinai sempre pronte a rovesciarsi in
piazza e a far sentire la loro voce di tuono, come cento anni più tardi faranno
le folle di Parigi al tempo della grande rivoluzione » (49).
Durante l'estate Carlo si recò in Scozia col
proposito dichiarato di comporre le divergenze col parlamento di Edinburgo, ma
in realtà col suo viaggio si proponeva di riconquistare la fiducia degli
scozzesi, facendo loro larghe concessioni, per poi chiedere il loro aiuto
contro ii parlamento inglese. Ma durante il suo soggiorno ad Edinburgo fu
ordito un complotto per arrestare i due membri più influenti dell'opposizione
del parlamento scozzese e Carlo fu sospettato di aver preso parte nel
complotto. Questo ebbe una grossa risonanza in Inghilterra e provocò un certo
disorientamento nel partito dei moderati che si stava avvicinando alla corona,
in quanto riteneva che l'obiettivo di distruggere il potere arbitrario della
corona fosse stato raggiunto. Il partito dei radicali puritani, invece, ne
approfittò per dimostrare la insincerità di Carlo, di cui - essi sostenevano -
non era possibile fidarsi, e per premere l'acceleratore delle riforme,
trascinando i moderati nell'approvazione di quei provvedimenti a cui fino ad
allora si erano opposti.
Sulla riforma dello stato il parlamento era
stato unito e compatto, ma sulla riforma della religione si era diviso. Nella
primavera-estate del 1641 aveva respinto due disegni di legge che miravano ad
abolire il sistema episcopale della chiesa anglicana e a
sostituirlo con un'organizzazione puritana. Ancora si era diviso,per
l'opposizione determinante dei Lords, su un disegno di legge che mirava a
togliere ai vescovi il diritto di sedere in parlamento.L'incidente scozzese
trovò le cose a questo punto: il parlamento era diviso, ma solo sul problema
religioso, in due schieramentiquasi bilanciati. I Leaders dello schieramento
puritano approfittarono del disorientamento provocato dagli avvenimenti
scozzesi per presentare e sottoporre all'approvazione del parlamento una Grande
Rimostranza, che era, « nello stesso tempo, una difesa e un programma. E' stata
definita un appello alla nazione del partito risoluto ad andare oltre nei
radicali cambiamenti dello stato e della chiesa... Essa ricapitolava gli abusi
di Carlo, illustrava le riforme già ottenute, ed esponeva quelle ancora da
fare » (50). Essa provocò un acceso dibattito tra i due schieramenti, i quali -
da questo momento - sanzionano, con le sopraggiunte divergenze politiche, la
loro divisione definitiva in due partiti: il partito realista e il partito
parlamentare. La
Grande Rimostranza, alla fine, fu approvata con uno scarto di
undici voti.
La Grande Rimostranza
segna un punto di svolta nella storia del Parlamento Lungo e sarà la causa
contingente della Guerra Civile che stava per seguire. Se il re fosse stato un
politico più accorto avrebbe potuto facilmente sovvertire quella risicata
maggioranza di undici voti. Il suo comportamento, invece, creò fughe dal campo
dei suoi stessi sostenitori. Egli mal digeriva la nuova sconfitta che il
parlamento gli aveva inflitto e cercò dapprima di usare il potere per
corrompere i leaders dell'opposizione, offrendo loro le maggiori cariche dello
stato, e quando non vi riuscì, per l'orgoglioso rifiuto di Pym ed altri, fece
ricorso alla connaturata maniera forte. Nominò, alle cariche prima offerte
all'opposizione, i leaders dei suoi sostenitori (ma alcuni di essi opposero un
rifiuto) e chiese alla Camera dei Lords di iniziare un procedimento d'accusa
contro cinque membri della Camera bassa: Pym, Hampden, Holles, Haslerigg e
Strode e di porli agli arresti. Quando l'ufficiale del re si recò alla Camera
per chiedere la consegna dei Cinque, questa rispose che prima doveva esaminare
le accuse, per cui nominava una commissione, e dopo averle vagliate, avrebbe
esaudito l'ordine del re; ai Cinque fu chiesto di presenziare ai lavori della
Camera per rispondere alle accuse che venivano loro mosse.
Temendo quello che poi sarebbe in effetti
accaduto, la Camera
chiese alla città di Londra una guardia armata per garantire i lavori del
parlamento. Carlo era determinato a spingere fino in fondo la sua azione. La
mattina del 4 gennaio 1642, con la sua guardia reale e con un gruppo di armati,
si presentò al parlamento per arrestare di persona i Cinque, ma questi - preavvertiti
- si erano resi, su suggerimento della Camera, uccelli di bosco.
Quando Carlo, arrabbiato, chiese conto dei
Cinque allo Speaker, questi si getto in ginocchio e disse: « Maestà, io non ho
occhi per vedere, nè lingua per parlare in questo posto, eccetto che su
istruzione di questa Camera di cui sono il servitore; chiedo umilmente scusa e
perdono a vostra maestà, ma non posso fornire una risposta diversa » (52).
Con questa risposta si concludeva, dopo tre
secoli, un altro processo evolutivo nelle istituzioni parlamentari inglesi. Lo
Speaker, da agente della corona, e non più tardi del 1629 era stato ligio agli
ordini del re, diventava il servitore imparzìale della Camera dei Comuni; da
cui derivava potere e prestigio, e verso la quale era responsabile.
« L'arresto dei Cinque fu la fase finale della
lotta contro la
Grande Rimostranza. Fu un violento sforzo per sovvertire gli
undici voti con i quali era stata approvata e per rendere i leaders della
minoranza, a cui nel frattempo erano stati dati i più alti uffici dello stato,
padroni della Camera dei Comuni » (53).
Fallito il tentativo dì decapitare
l'opposizione, Carlo « il 10 gennaio 1642, lascia la città, in cui non era più
al sicuro, giusto in tempo per perdere lo spettacolo del ritorno trionfale dei
Cinque a Westminster (54), in aperta sfida alla sua autorità, scortati dalla
folla armata della città » (55).
Ormai Carlo non pensava che a come liberarsi
del parlamento e incominciò a preparare dei piani che includevano l'intervento
di truppe straniere. La lotta armata era alle porte, ma ancora si dovevano
compiere alcuni atti preliminari.
L'attacco al parlamento gli aveva fatto
perdere molte simpatie e aveva inferto un colpo decisivo alla residua fiducia
di cui egli godeva. Egli aveva dimostrato che non si poteva credere alla sua
sincerità quando prometteva di voler regnare come sovrano costituzionale. La
sua ultima azione provava che egli si sarebbe servito della forza non appena ne
avrebbe avuto la possibilità. E questa possibilità non era tanto lontana. Era
dall'ottobre del 1641 che il parlamento
era alle prese col problema dell'Irlanda, dove era scoppiata una rivolta cattolica. Si doveva
armare un esercito da spedire nell'isola, ma il problema era a chi affidarne il
comando. Il diritto e la storia erano per Carlo, ma il parlamento nutriva dei
dubbi. Aveva paura che Carlo potesse usare questo esercito contro il
parlamento.
Dopo gli avvenimenti del 1642 questi dubbi
divennero certezza e nel febbraio successivo il parlamento approvò una legge
con la quale si conferiva il comando della milizia ad uomini di sua fiducia.
Nello stesso mese trovò anche una maggioranza per approvare, finalmente, la
legge che escludeva i vescovi dalla Camera alta. Carlo approvò quest'ultima
legge, ma si rifiutò categoricamente di approvare quella sulla milizia che fu,
perciò, trasformata dal parlamento in un'ordinanza.
Il 1 giugno il parlamento chiese a Carlo di
approvare un documento composto da Diciannove Proposizioni, ma egli si rifiutò.
Le principali di queste proposizioni stabilivano «che i grandi affari di stato
dovevano essere discussi in parlamento e non altrove; che tutti gli atti
pubblici, di competenza del consiglio privato, erano validi, solo se approvati
dalla maggioranza del Consiglio; che il consiglio fosse composto da un massimo
di venticinque e un minimo di quindici membri che potevano essere nominati
consiglieri reali solo quelle persone che godevano della di fiducia del
parlamento; che in assenza del parlamento i posti del consiglio fossero coperti
solo col consenso della maggioranza del Consiglio, le cui decìsìoni dovevano
essere ratificate dal parlamenie per essere valide; che i posti dì governo
dovevano essere 'coperti col consenso del parlamento; che la milizia e le
fortezze dovevano essere comandate da ufficiali nominati col consenso del
parlamento; che il governo della chiesa e la liturgia dovevano essere riformate
secondo i desideri del parlamento; che i tutori dei figli del re ricevessero il
consenso di entrambe le Camere; che le trattative per il matrimonio dei figli
del re con principi stranieri fossero condotte dal parlamento; che i Lord
papisti fossero privati del diritto di voto alla Camera alta; che tutti gli
ufficiali del regno prestassero un giuramento col quale si impegnavano a
rispettare la Petizione
dei Diritti e tutti gli altri documenti costituzionali; che i giudici e tutti
gli alri ufficiali restessero in carica soltanto fintanto che avevano la
fiducia del parlamento; che fosse sciolta la forza speciale che il re aveva
armato e che nel futuro poteva armare tale forza solo nel caso di un'effettiva
ribellione o invasione; e che, infine, il re acconsentisse all'approvazione di
una legge che negasse il diritto di sedere in parlamento a tutti i Lords di
nuova nomina, eccetto quelli che venivano chiamati a sedervi da entrambe le
Camere » (56).
Se il re accettava le Proposizioni,
concludeva il documento, il parlamento si impegnava a fornirgli tutti quei
mezzi finanziari che non erano stati mai concessi nel passato e li avrebbe «
costantemente aumentati in modo tale da garantire la dignità reale nell'onore
e nella ricchezza. » (57).
In sostanza con le Diciannove Proposizioni
il parlamento apriva la borsa al re senza limiti, ma gli toglieva tutto il
potere. E di questo egli ne era più che cosciente. Nella sua risposta alle
Proposizioni egli affermò: « Se noi le approvassimo... potremmo continuare ad
avere tutti i segni esteriori della Maestà... ma per quanto riguarda il potere
reale ne saremmo tagliati fuori; non saremmo che una figura, l'ombra di un re »
(58).
Infatti, se avesse acconsentito, la
sovranità sarebbe passata dalla corona al parlamento, ma egli oppose un netto
rifiuto. Solo la forza poteva stabilire a chi apparteneva il potere sovrano e
il 22 agosto 1642 il re alzò le proprie insegne nei campi di Nottingham. La Guerra Civile era
incominciata.