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Capitolo V

Capitolo V

 

IL PARLAMENTO COSTRUISCE I SUOI POTERI

 

   Il XIV secolo occupa un posto particolare nella storia inglese. Esso è un secolo di decadenza e di progresso. Di decadenza nella sfera economico-sociale e di progresso nel campo politico-istituzio­nale.

 

    La crisi economica - sebbene iniziata nei primissimi anni del secolo - incominciò a far sentire i suoi effetti sotto il regno di Edoardo II (1307-1327). Sotto questo sovrano si ha un generale abbassamento del livello di vita; la moneta perde quasi la metà del suo valore nominale; i prezzi dei manufatti salgono, mentre scendono quelli dei prodotti agricoli. A questo si aggiunge una decadenza del potere centrale che non riesce a frenare gli abusi dei suoi rappresentanti locali, nè a garantire l'ordine pubblico.

 

   Con Edoardo III (1327-1377) due avvenimenti fanno precipitare la crisi economica: primo, la Guerra dei Cent'Anni contro la Francia (1337-1453), che, con il suo continuo drenaggio di mezzi finanziari e di vite umane, provocò un « arresto nell'incremento della popolazione e depresse il livello di vita del popolo »(1) ' ; se­condo, La Morte Nera (2) che, nel 1349, decimò più di un terzo della popolazione.

 

Le immediate conseguenze di questo flagello furono lo spopolamento delle campagne e dei villaggi, con la conseguente scarsità dì manodopera (3)e un incremento generalìzzato dei prezzi, che - a sua volta - provocò un aumento dei salari. La classe padronale tentò dì fronteggiare la situazione in parte « sostituendo i pascoli per le pecore alle coltivazioni » (4) e in parte con una legge (lo statuto dei lavoratori) approvata dal parlamento nel 1351, la quale impose vari vincoli ai lavoratori, tra cui quello di noi richiedere salari superiori a quelli percepiti prima della peste.

 

   Nel campo politico-istituzionale la scena era estremamente fa­vorevole per lo sviluppo del parlamento. I tre sovrani di questo se­colo favoriranno - inconsciamente e per vie diverse - l'affermar­si del parlamento come co-protagonista nella vita dello stato: E­doardo Il per la sua incapacità a governare. « Egli è il primo re. sin dai giorni della Conquista, che non è uomo di stato, e non cono­sce affatto gli ingranaggi della macchina del governo » (5) per cui è sempre sotto l'influenza di qualche favorito (Piers Gaveston, pri­ma, e Hugh Le Despenser, poi), che governa al suo posto, susci­tando, così, la reazione dei baroni che prima gli imporranno la loro tutela e poi chiederanno al parlamento la sua deposizione.

 

   Edoardo III, più guerriero che uomo di stato, sarà costretto a fare molte concessioni al parlamento per avere in cambio i mezzi necessari per iniziare e proseguire la sua lotta contro la Francia. nella Guerra dei Cento Anni.

 

   Riccardo II (1377-1399), salito al trono minorenne, lascia il governo nelle mani dei reggenti: quando lo prenderà nelle sue, e tenterà di introdurre la monarchia assoluta, il parlamento lo deporrà e darà la corona alla casa di Lancaster.

 

   Se nel XIII secolo il parlamento aveva iniziato a muovere i pri­mi passi, in questo esso diventa maturo, acquistando quella artico­lazione e quelle caratteristiche che saranno poi una costante, attra­verso i secoli, fino ai giorni nostri. E' in questo secolo, infatti, che il  parlamento assume la sua forma bicamerale e la Camera dei Comuni pone le basi per diventare - quale rappresentante eletta della Comunità - il ramo più importante, guadagnando prima il controllo sulla tassazione e poi il potere di iniziativa nell'attività legislativa.

 

    Questa lunga e travagliata marcia inizia col regno di Edoardo II. Sotto questo sovrano saranno ancora i nobili a recitare il ruolo più importante, mentre i Comuni, quando saranno chiamati a partecipare, svolgeranno il ruolo di spettatori, di testimoni e non di co-attori. Tuttavia, sarà proprio in questo regno che si stabilirà il principio che ogni e qualsiasi legislazione non sarà tecnicamente valida senza l'approvazione dei Comuni.

 

   Per certo si sa che i Comuni parteciparono al primo parlamen­to di Edoardo II, nel 1309, e sembra che essi vi abbiamo svolto un ruolo attivo, almeno fin quando riguarda la stesura della petizione che fu presentata al re. Questa petizione, infatti, contiene, quasi esclusivamente, lagnanze di mali e di abusi che affliggevano gli strati intermedi della popolazione. I Comuni chiedevano al re di eliminare l'eccessivo carico di imposte di consumo; di dare certez­za al valore della moneta, che i mercanti scambiavano a metà del valore nominale; di garantire l'ordine pubblico, turbato dalla vio­lenza dei criminali, a cui troppo spesso le autorità vendevano il perdono giudiziale; di accelerare il corso della giustizia; di elimi­nare gli abusi degli ufficiali regi e, infine, di stabilire una proce­dura certa e rapida per l'inoltro delle petizioni al re in parlamento.

 

   In sostanza si chiedeva al re di eliminare il malgoverno causato dalla sua incapacità a governare. Al successivo parlamen­to, convocato di li a poco « senza la presenza dei Comuni e del basso clero » (6), il re promise di soddisfare tutte le richieste, ma fu incapace di mantenere fede ai suoi impegni.

 

   L'anno successivo i baroni, convocati e riuniti in parlamento senza la presenza dei Comuni, imposero ad Edoardo II la nomina di una Commissione di Lords Ordinatori, alla quale venne affidato il compito di proporre misure per mettere ordine nelle cose del

regno e venne investita del potere di tradurre queste misure in ordinanze.

 

Le ordinanze, su proposta degli Ordinatori, furono approvate dal parlamento nel 1311. Esse posero forti limiti al potere del re e diedero ai baroni il controllo del governo: il re non poteva lasciare ìl paese, nè dìchìarare guerra senza il consenso dei baroni; non poteva concedere benefici, nè alterare il valore della moneta, o nominare i grandi ufficiali del regno senza il consenso dei baroni seduti in parlamento. Gli Ufficiali, inoltre, dovevano essere re­sponsabili verso il parlamento, a cui dovevano prestare giuramen­to all'atto della nomina.

 

    Era il programma del 1258 che veniva realizzato: una olígarchìa di baroni che gestisce il potere dello stato in nome del re. Anche nel modo di concepire il parlamento non c'è differenza tra i baroni di Enrico III e quelli di Edoardo II. Per entrambi è un'assemblea di baroni, anche se sotto quest'ultimo sovrano i Comuni, a partire dal 1311, verranno regolamente convocati. Ma essi verranno convocati come testimoni che prendono atto della volontà dei detentori del potere. Infatti, le ordinanze mettevano bene in chiaro che esse diventavano valide, e perciò vincolanti. con la sola approvazione dei baroni: quella dei Comuni non era necessaria. Essi ancora «non erano una parte integrante dei parlamento ».

 

    Il parallelo tra di due movimenti - tuttavia - finisce qui, perchè mentre il primo, quello del 1258, ebbe uno sviluppo rivolu­zionario e progressista, il secondo è conservatore e reazionario, ma ai baroni di Edoardo Il mancava un Simone de Montfort.

 

   Nel 1322, Edoardo riesce - dopo una lotta condotta sui campi di battaglia - a liberarsi dalla tutela dei baroni e nel parlamento di York dello stesso anno vennero abrogate le ordinanze del 1311, con due motivazioni: una politica e una tecnica. La motivazione politica dichiarò abrogate le ordinanze perchè esse calpestavano le prerogative regie, quella tecnica le dichiarò nulle perchè esse erano state approvate soltanto dai baroni e non dai «prelati, grandi e piccoli baroni ed i comuni del regno, come era abituale nel passato » (8), Da questo momento in poi, il consenso dei Comuni sarà tecnicamente necessario affinchè una legge fondamentale sia dichiarata valida.

 

« Ma il fatto di essere riconosciuti parte integrante del parla­mento non attribuì ai Comuni un peso pari a quello dei magnati nelle discussioni e nelle decisioni sui grandi affari di stato. Essi erano principalmente presentatori di petizioni; ma – poichè si presentavano petizioni che lamentavano mali generali della comunità di cui erano i rappresentanti - il loro ruolo era destina­to ad assumere una sempre crescente importanza”  (9).

 

Riacquistare la pienezza del potere per Edoardo non significò governare in prima persona, ma significò trasferirla ad un altro favorito, Hugh Le Despenser, che la usò in modo arrogante e per fini personalistici che, alla fine, provocheranno la sua caduta e quella del suo sovrano.

 

    La politica del nuovo favorito creò attorno al sovrano un clima di sospetto. Si vedevano nemici dappertutto. Anche la regina fu sospettata di tradimento e nel settembre del 1324 le furono confi­scati i suoi possedimenti, le fu concesso « un assegno annuo di 2920 marchi » (10) e venne messa sotto la stretta sorveglianza della moglie di Le Despenser.

 

Isabella era sorella al re di Francia, contro il quale Edoardo era in guerra per il possedimento di Guascogna. Nel 1325, l'evol­versi degli eventi in Guascogna « offrì ad Isabella un'occasione per uscire da questa situazione ed ella ne approfittò. Una missione inglese a Parigi non riusciva a trovare una via di accordo sulla questione della Guascogna e il nunzio apostolico propose che fosse affidata una missione personale ad Isabella, con l'intesa che ella doveva adoperarsi per trovare un accordo tra il marito e suo fratello... Il suo intervento si dimostrò efficace » (11) e l'accordo fu raggiunto. In base a questo accordo Edoardo rientrava in possesso dei suoi domini francesi non appena avesse pronunciato il giura­mento di omaggio al re francese. E, poichè Edoardo non era in grado di viaggiare, fu concordato che il giuramento l'avrebbe prestato il principe ereditario Edoardo. « Con l'erede apparente al suo fianco, la regina aveva un asso nella manica... Ella fece sapere che non sarebbe ritornata in patria finchè Le Despenser fosse rimasto a corte » (12).

 

  Nel 1327, l'anno in cui Edoardo perde definitivamente la Scozia provocando un forte risentimento per la sua incapacità, la regina, con un manipolo di uomini, sbarcò in Inghilterra e subito attorno a lei si formò una grande coalizione di baroni e di popolo che obbligò Edoardo II a convocare il parlamento.

« Quando il parlamento si riunì (... 7 gennaio) la folla di Londra si riversò ìn Wastmìnster Hall... Orleton, vescovo di Hereford, parlò all'assemblea. Spiegò che il re era assente perchè la regina aveva paura di lui e domandò se il parlamento voleva essere ancora governato dal re » (14).

 

   Immediatamente ìl parlamento si pose la questione se esso avesse il potere dì deporre il re e, con scarsa opposizione, arrivò alla conclusione che, quale rappresentante della comunità, aveva questo potere, che d'altronde aveva già esercitato quando si era ribellato a Giovanni Senza Terra nel 1215 e aveva offerto la corona a Luigi di Francia, e lo aveva per sei buoni motìvì che vennero sanciti in uno statuto: «primo, il re era incapace di governare; per tutto il suo regno si era lasciato guidare da cattivi consiglieri, senza preoccuparsi di distinguere il bene dal male o correggere il mal fatto quando ciò gli era stato richiesto dai saggi e daì grandi del regno.

 

« Secondo, egli aveva costantemente rifiutato i buoni consigli e aveva sprecato tutto il suo tempo in fatiche ed occupazioni disdi­cevoli, trascurando gli affari del regno.

« Terzo, a causa del cattivo governo egli aveva perso la Scozìa, l'Irlanda e la Guascogna.

« Quarto, egli aveva offeso la Chiesa ed imprigionato ì suoi ministri; e aveva imprigionato, esiliato, diseredato e condannato a morte molti grandi e nobili del regno.

« Quinto, egli aveva rotto il suo giuramento d'incoronazione, specialmente al punto in cui prometteva di rendere giustizia a tutti.

« Sesto, egli aveva rovinato il regno ed era egli stesso incorre­gibile e senza speranza di miglioramento. Le accuse si ritennero provate perchè notorie, ma i consiglieri della regina pensarono bene di ottenere dal re un atto formale di abdicazione [in favore del figlio] piuttosto che creare un pericoloso precedente e fornire al popolo una giustificazione per reazioni future » (15). Ma questo accorgimento non eviterà a Riccardo II ed a Carlo I la loro tragedia e a Giacomo II il suo fato.

 

    Intanto, nell'ultimo anno di regno di questo sfortunato sovrano era accaduto un altro avvenimento di grande portata costituziona­le. La petizione individuale, che ogni singolo deputato aveva il diritto di indirizzare al sovrano per ottenere la riparazione di un torto individuale, o di una località, e per chiedere un privilegio per il proprio distretto o per la propria casata, aveva mostrato quale erano gli inconvenienti di tale sistema. La procedura di accogli­mento, infatti, voleva che esse fossero trasformate in statuti, ordinanze o patenti, subito dopo la chiusura della sessione parla­mentare.

 

   Questo creava l'inconveniente che molto spesso la stesura del provvedimento - fatta dai ministri del re - non corrispondeva esattamente al contenuto della petizione. Di questo si erano lamen­tati i Comuni, che nel frattempo avevano incominciato a presenta­re petizioni collettive, limitando nel numero quelle individuali. Nel 1327 essi chiesero ed ottennero che queste petizioni comuni fossero trasformate in statuti in piena sessione parlamentare e nella loro stesura originaria. Il re doveva solo approvarle o re­spingerle. «Se egli rispondeva con la formula affermativa le roi le veut, la petizione acquistava subito forza di legge, ciò che non avveniva se la formula era negativa o sospensiva le roi s'avisera. « Fu così che nacque l'istituzione della sanzione regia la quale anche oggi è indispensabile per la validità di una legge e fu così che il Parlamento acquistò una certa partecipazione al potere legislativo » (17).

 

  Il potere di legiferare, che Edoardo I aveva introdotto in parlamento ad esclusivo vantaggio della corona, incominciava, così, ad essere esercitato dai Comuni. E, « fin dove ciò era vero, la formazione del diritto scritto, attraverso leggi parlamentari, non doveva avvenire che attraverso proposte di legge presentate dai Comuni, approvate, o modificate, dal re e dai Lords »'a

 

  Se « sotto Edoardo I [e - fino al 1321 - anche sotto Edoardo II] i Comuni non erano un elemento essenziale del parlamento, sotto Edoardo III essi assunsero una posizione distinta, vitale e permanente » (19). Essi divennero la fonte più cospicua di finanziamento per un re sempre più bisognoso di mezzi per allestire eserciti da condurre in Francia per affermare, con la forza, il suo presunto diritto alla corona di quel paese e, naturalmente, essi incominciarono a pretendere delle contropartite.

 

   Nel 1339 essi chiesero ed ottennero dal re il rinvio di una loro decisione al successivo parlamento perchè, rendendosi conto - questa la motivazione ufficiale - della giustezza della richiesta e delle effettive grandi necessità della corona, essi volevano conce­dere un aiuto adeguato, ma per farlo dovevano prima consultare le loro comunità per averne un mandato preciso; nel frattempo presentarono una petizione ìn cui si chiedevano l'eliminazione dì molti torti e alcune modifiche alla precedura per l'elezione dei de­putati al parlamento.

 

    Nel nuovo parlamento i Comuni ripresero il discorso e promi­sero al re un contributo finanziario di 30.000 balle di lana (che rappresentava una cifra eccezionale per quell'epoca) se egli si impegnava ad accogliere la petizione. Intanto gliene consegnarono 2500, che egli doveva considerare come primo scaglione delle     30.000 se accoglieva la petizione, o come dono ultimo e definitivo fu così se la respingeva.

 

   « I Comuni avevano, davvero, fatto un passo coraggioso e stupefacente. La loro precedente promessa" di aiuto era ora diven­uto in un'offerta a condizione... In questo modo i Comuni avevano      aperto una nuova fase tra il momento in cui riconoscevano la  effettiva necessità dell'aiuto richiesto e la sua concessione. Il potere di decidere il quantum spettava a loro e, collegando questo potere con la richiesta dell'eliminazione dei mali che affliggevano » la comunità, essi sottolineavano il fatto che al loro obbligo di fornire gli aiuti corrispondeva il dovere del re di soddisfare le richieste di giustizia. Procrastinando la loro efferta formale all'ul­timo giorno di seduta del parlamento, essi rafforzarono la loro  antica richiesta che le petizioni dovevano essere soddisfatte prima

della chiusura del parlamento » (20).

 

  Il re accettò le condizioni e quindi si diede vita ad una   commissione composta da «una dozzina di borghesi e una dozzina di cavalieri per incontrarsi con alcuni prelati, grandi baroni  per esaminare insieme la petizione e... tradurla in statuti che dovevano avere forza perpetua. Questo è il metodo attraverso il quale i Comuni affermarono il loro potere legislativo.

 

 « Essi non hanno mai rivendicato il diritto di iniziativa legisla­tiva; e si sono sprecate molte energie nel tentativo di stabilire la data in cui i Comuni affermarono il loro diritto a legiferare. Essi non posseggono quel diritto astratto neppure oggi. Solo la corona legifera in parlamento; i Comuni presentano semplicemente peti­zioni, e il diritto di presentare petizioni è esistito sin dai tempi di Enrico II. Il processo di questo sviluppo fu più sottile di qualsiasi dichiarazione di diritto. La petizione individuale fu gradualmente

trasformata nella petizione collettiva della Camera, la quale aveva dietro di sè il potere della borsa. Il cosidetto diritto a legiferare consiste nel potere dei Comuni di rendere impossibile qualsiasi politica governativa se non si dà la dovuta attenzione alle petizioni

che essi hanno il diritto di presentare.

 

    « La trasformazione della petizione individuale in quella collet­tiva fu fondamentale. L'alta corte di giustizia del parlamento fu trasformata ìn un corpo legislativo e le sue funzioni giurisdizionali furono oscurate dall'attività legislativa. Le petizioni collettive ci fanno uscire dal regno del diritto per farcì entrare in quello della politica; poiché i mali individuali sono appannaggio della giusti­zia, quelli di tutta la comunità sono questioni di politica » (21).

 

  La commissione esaminò la petizione e trasformò tutte le richieste di carattere generale e permanente in quattro statuti e lasciò quelle di natura contingente alla cura degli organi preposti a tale scopo per trasformarle in ordinanze o patenti. Dei quattro statuti approvati, il secondo stabiliva « non solo che il contributo concesso [appunto perchè eccezionale] non doveva essere preso come esempio per imposizioni future, ma anche che non sì poteva­no imporre contribuzioni senza il consenso.., del parlamento. Con questo provvedimento il re concede l'abolizione delle taglie non autorizzate... Questo statuto può essere considerato come una inte­grazione alla riconferma delle Carte [del 1297]; il vero Statuto de Tallagio non Concedendo: la rinuncia al privilegio di imporre taglie che Edoardo I aveva conservato in quanto non espressamen­te vietato dallo statuto del 1297 » (22).

Questo nuovo statuto, tuttavia, non metteva fine alla questio­ne. Fu necessario che questa rinuncia fosse sancita di nuovo nel 1362 e poi nel 1371, quando Edoardo III accettò di non imporre tasse sulla « lana e altre mercanzie principali... senza il consenso

del parlamento. »(23).

 

  Dopo questa data la questione della tassazione indiretta poteva dirsi risolta in via definitiva in favore del parlamento (anche se i so­vrani avranno una inesauribile capacità di stratagemmi per inventa­re nuove voci di tassazione, come prestiti, benevolenze, ecc. - che evitassero il controllo del parlamento).

 

La questione della tassazione indiretta sul commercio estero rimase una questione aperta, in quanto i sovrani ritennero che il dazio all'importazione non ricadesse sui sudditi inglesi e quello    all’esportazione fosse una prerogativa regia in quanto serviva per regolamentare il commercio. « La questione sarà decisa, una volta per tutte, solo dopo la Rivoluzione del 1688 » (24).

 

  Le decisioni e le deliberazioni del parlamento del 1340 prepa­ prepararono gli eventi del 1341, quando il parlamento riuscì a strappare ad Edoardo III - senza eccessivo sforzo - quelle concessioni per le quali i baroni del 1311 avevano dovuto imporre la loro tutela al sovrano.

 

 I mancati successi sui campi di battaglia in Francia, nell'autunno del 1340, Edoardo li attribuì (25) ai mancati rinforzi che dovevano essere approntati in patria con i fondi stanziati dal parla­mento. Ritornato in patria, dimise il cancelliere, arcivescovo Stratford, e il tesoriere. Mentre fece arrestare alcuni altri grandi magistrati.

 

 All'arcivescovo Stratford, in particolare, Edoardo muoveva  l'accusa di averlo « deluso nell'amministrazione del denaro conces­sogli dal parlamento in marzo e, avendolo lasciato praticamente senza fondi, egli era responsabile del fallimento della spedizione

che era iniziata sotto così buoni auspici... Quindi egli era arrivato talla determinazione di promuovere un'inchiesta per accertare che fine avesse fatto il denaro » (26). Ma l'arcivescovo - ammaestrato dall'arresto dei magistrati rifiutò di presentarsi davanti alla corte     del re, dove era stato convocato per fornire un rendiconto della sua amministrazione. Egli affermò che si sarebbe presentato solo davanti al parlamento in convocazione generale.

 

    Dopo un breve braccio di ferro, il re decise di convocare il parlamento nell'aprile del 1341 e chiese ad una commissione par­lamentare di pronunciarsi su chi dovesse giudicare Stratford: la corte del re, come egli sosteneva, o i suoi pari in parlamento, come affermava l'arcivescovo. La risposta fu che « per nessun motivo un pari - sia che fosse ministro oppure no - poteva essere giudicato, arrestato, privato dei suoi beni, o messo fuori legge, né essere chiamato a rispondere, eccetto che in pieno par­lamento e davanti ai suoi pari » (27).

 

  L'arcivescovo aveva, così, vinto la sua battaglia (e fu assolto dalle accuse) e le istituzioni fecero un altro passo avanti con l'affermazione del principio che solo il parlamento ha il diritto di giudicare i ministri o gli ex ministri (come era il caso di Strat­ford) per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni. Que­sto principio sarà molto utile di li a poco, quando - nello stesso regno di Edoardo III - il parlamento metterà in stato d'accusa e giudicherà i ministri del re.

 

   Nello stesso parlamento venne istituita una commissione di indagine per esaminare i rendiconti di tutti coloro i quali erano stati preposti all'incasso del denaro pubblico sin dall'inizio della guerra. Inoltre, il parlamento riuscì ad affermare il principio che la nomina dei grandi ufficiali del regno doveva essere fatta in parlamento, verso il quale essi dovevano essere responsabili. Alla convocazione di un nuovo parlamento, gli ufficiali del regno « do­vevano rimettere il loro mandato nelle mani del re e dovevano rispondere [della loro gestione] a tutti coloro ì quali avanzavano lamentele contro di loro. E se le accuse riguardavano un ministro, se riconosciuto colpevole dal parlamento, doveva essere rimosso e punito secondo il giudizio dei pari » (28).

« Questo fu un coraggioso tentativo di introdurre qualcosa come la responsabilità ministeriale, ma esso fallì perchè i ministri ed i giudici si rifiutarono dì accettare incarichi a queste condizio­ni. Sotto la monarchia del XIV secolo era impossibile per un ministro pensare di dovere la sua lealtà a qualchedun'altro che non fosse il re » (29).

 

Questi provvedimenti furono ripudiati dal re nello stesso anno e successivamente (1343) furono abrogati dal parlamento. Ma essi avevano stabilito un precedente che sarà ripreso negli anni futu­ri. «La facilità con cui si aggiustarono le cose in questa faccen­da, dopo che Edoardo aveva ripudiato lo statuto del 1341, ci può solo servire per ricordarci quanto limitata fosse l'area di conflitto tra un re medievale ed i suoi baroni. Un governante forte e capace,  che avesse il buon senso di sottoporsi al metodo di consultare il suo Consiglio e il suo parlamento sui grandi affari di stato, di scegliere come ministri persone ragionevolmente efficienti e per­sonalmente inoffensive, alle quali concedesse, con discrezione, il            suo favore, di solito trovava i baroni disposti a lasciargli ammi­nistrare le sue cose. La lotta dei baroni per il controllo dell'esecu­tivo sorgeva solo quando un re come Edoardo II agiva come uno sciocco, o come Riccardo II, come un tiranno, o quando, come Edoardo III nella vecchiaia, allentava la sua presa sulle redine del governo » (30).

 

  L'affermazione dei Comuni come parte integrante del parla­mento, e la loro partecipazione attiva ai suoi lavori, aveva spinto i Lords ad accentuare la loro funzione di consiglieri naturali della corona e, mentre i Comuni costruivano, gradino per gradino, la loro funzione politica, essi esaltavano la loro antica funzione giurisdizionale e «ritenevano un loro diritto essere consultati se­paratamente nell'ambito del parlamento » (31).

 

   Nel parlamento del 1343 ai « Lords fu chiesto di riunirsi nella White Chamber... allo stesso modo fu chiesto ai cavalieri e ai Comu­ di riunirsi nella Painted Chamber per trattare, per consultarsi e       mettersi d'accordo » (32) sui temi in discussione.

 

 Questa è la prima testimonianza della divisione del parlamento in due camere. Il processo evolutivo che condusse alla formazione della Camera dei Comuni è strettamente legato al nuovo sistema della petizione collettiva iniziato sotto Edoardo II.

ssi        «La petizione collettiva è la matrice della camera dei comuni come corpo legislativo separato. Le istituzioni nel medioevo non vengono costruite: esse crescono; la petizione collettiva ríchiedeva una deliberazione comune, un'azione comune; e, forse, anche un funzionario comune; l'azione comune divenne una consuetudine, la consuetudine un'istituzione e l'istituzione una camera. Questi processi, specialmente nelle loro fase iniziale non venivano registrati, ma nelle scienze storiche, come in quelle fisiche, abbiamo a che fare con sviluppi di cui non possediamo testimonianza, e il fatto che esse non furono registrate non prova che esse non abbiano avuto luogo. C'è una massa di testimonianze che ci dice che sotto Edoardo I non esisteva alcuna Camera dei Comuni, una massa di testimonianze ancora maggiore ci prova che sotto Edoardo III questa camera esisteva; ed è nostro compito determinare, dalle conoscenze che abbiamo, il processo attraverso il quale essa si sia sviluppata » (33).

 

    La divisione del parlamento in due camere - una, quella dei Lords, composta da membri convocati per decreto diretto e perso­nale, l'altra, quella dei Comuni, composta da rappresentanti eletti dalla comunità - apre una nuova fase nello sviluppo del parla­mento.

 

   Questa divisione porta - quasi immediatamente - anche ad una divisione dei compiti tra le due camere. La Camera dei Comuni si farà portavoce delle istanze della comunità e - attra­verso il sistema della petizioni -- ne chiederà l'accoglimento e il soddisfacimento: funzione, questa, tipicamente politica. La Came­ra dei Lords si porrà come anello intermedio tra i Comuni ed il sovrano, di cui - come abbiamo visto - è il consigliere naturale e il supremo giudice: funzione questa tipicamente giurisdizionale.

 

  Così la Camera, dei Lords continuerà a svolgere la sua antica ed originaria funzione di alta corte di giustizia. Questo, però, non vuol dire che essa avrà una minore partecipazione nell'attività politica del parlamento, perchè in questo periodo, e ancora per molto tempo, essa è l'elemento principale nella vita politica dello stato, dopo il sovrano.

Coscienti di costituire la borsa del paese, i Comuni incomin­ciano a formare i propri organi e ad accrescere i loro poteri attraverso il controllo della finanza. Il loro potere di contrattazio­ne cresce, col crescere delle esigenze finanziarie del re. Più esse crescono, più essi diventano forti, e perciò possono strappare al sovrano nuove concessioni ed ottenere di limitare le sue prerogati­ve. Quando queste esigenze decrescono o sono a livello zero (o non esistono), il loro potere di contrattazione e quasi nullo.

 

    «Durante il medioevo molto raramente vengono imposte tasse in via permanente. In generale una tassa viene concessa soltanto in questa occazione: al re viene concesso un decimo sui beni mobili, o un dazio, o un testatico per far fronte alle sue necessità di denaro. Qualche volta le tasse vengono concesse per una durata di due o tre anni, ma è raro. Questo rende l'annualità del par­lamento una necessità pratica, specie dopo l'inizio delle ostilità contro la Francia: ogni anno il re ha bisogno di denaro e lo può ottenere soltanto convocando il parlamento. Il suo reddito extra parlamentare, che proviene dalle terre della corona, dai suoi diritti feudali, ecc.; non è sufficiente a coprire il drenaggio di una guerra » (34).

 

    Se nei 1339 i Comuni si erano limitati a porre delle condizioni alla concessione degli aiuti finanziari, nel 1348 essi chiesero ed ottennero che le petizioni fossero discusse ed approvate prima della deliberazione degli aiuti richiesti. Questo fece acquistare loro un grande potere di persuasione e di contrattazione. Se il re voleva gli aiuti nella misura richiesta, o se li voleva tout court, doveva prima approvare le richieste della comunità.

 

  Queste, comunque, non sono conquiste definitivamente acquisi­te. Esse devono essere costantemente rivendicate e difese dal potere regio, che tende sempre a non rispettarle, in particolar modo quando essi limitano le sue prerogative. Esse saranno defini­tivamente acquìsite al patrimonio costituzionale del Paese solo quando diventeranno radicate nella coscienza della nazione, per cui lo stesso re sentirà l'obbligo di non metterle più in discussione. In questo processo sembra quasi che gli inglesi siano stati favoriti dalla particolarità della loro storia, che ha voluto che a un re forte e capace - a cui erano state imposte limitazioni di potere, sia succeduto un re in minore età (Enrico III e Riccardo II) o uno debole ed incapace (Edoardo Il) che darà la possibilità alle nuove conquiste di consolidarsi e quindi mai più facilmente revocabili.

 

   Nel 1376 il parlamento (Parlamento Buono) ottenne dí parteci­pare al potere esecutivo attraverso una propria Commissione Permanente che doveva essere parte integrante del Consiglio del re. Ma a questa Commissione toccò la stessa sorte dei provvedi­menti del 1341: essa fu revocata « non appena il parlamento fu sciolto » (35). Nè migliore sorte toccò al procedimento di « stato d'ac­cusa » che in questo parlamento i Comuni avevano adottato contro alcuni ministri della corona, basando la loro azione sul precedente stabilito nel 1341. Anche questi provvedimenti saranno revocati, ma essi ritorneranno, e con rinnovato vigore, sotto il regno del minore Riccardo Il. Questo darà al parlamento ìl potere dì eserci­tare un certo controllo sulla politica del governo e sull'operato dei singoli ministri.

 

   Il procedimento di messa in stato d'accusa è un processo che sì « basa sulla dottrina della responsabilità ministeriale come l'in­tendevano nel Medio Evo, una dottrina che fu espressa nella massima "il re non può far male". Questa massima politica non è, come sembra a prima vista, la pietra angolare della monarchia assoluta. E' piuttosto una delle pietre fondamentali su cui fu costruita la monarchia limitata. Perchè essa non afferma che il governo non può fare del male, e che tutte le cose che fa il governo sono giuste. Ciò che essa afferma è che se il governo commette delle ingiustizie, non è il re a commetterle, ma i suoi ministri...

« La prassi della messa in stato d'accusa si basava chiaramen­te sulla dottrina della responsabilità ministeriale... Essa fu il risultato migliore nella sperimentazione medievale per trovare qualche strumento costituzionale che - come il comitato dei ven­tiquattro baroni della Magna Charta o le commissione create dalle Provvisioni di Oxford - consentisse di legare il re ad una respon­sabilità reale, per evitare, per quanto possibile, il ricorso a guerre civili o a rivoluzioni » (36).

 

  Nel Parlamento Buono prende consistenza la figura dello nuove speaker. Questa carica aveva già avuto dei precedenti, il primo  dei quali nel 1343, quando per la prima volta le Camere si riuniro­no separatamente.

 

 « Il primo e più importante dovere dello Speaker - almeno nel nel periodo medievale - era di fare quello che il suo nome suggerisce:  fungere da portavoce dei Comuni quando essi dovevano comunicare col re e con i Lords, sia per fornire risposte o avanzare richieste »(37). La necessità di un portavoce derivava dal fatto che contro nelle sedute a camere riunite i Comuni non avevano il diritto di parola. Nell'aula del parlamento, infatti, « potevano parlare i pre­lati, i baroni e i consiglieri del re, ma non i membri dei Comuni, tranne lo Speaker, e questa è la regola ancora oggi » (38). Ma lo Speaker, per la delicata funzione che svolgeva, doveva essere un        portavoce che avesse piena libertà di parola nelle riunioni plenarie del parlamento o davanti al sovrano e godesse della prerogativa di non essere personalmente responsabile degli atti compiuti in nome e per conto dell'intera Camera.

 

   Essere la voce dei Comuni implicava una responsabilità enorme per quei tempi in cui ai membri della Camera bassa non era  riconosciuta alcuna immunità. Bastava usare un linguaggio non troppo ossequioso verso il sovrano per essere arrestati ed imprigionati e restare in prigione fino a quando il re non ne decideva la liberazione. Quando iniziava a parlare, lo Speaker premetteva sempre un preambolo col quale chiedeva scusa e perdono al re se, nel riportare il pensiero della Camera, egli usava qualche parola o frase che potesse suonare offesa, la quale doveva essere giustifi­cata come dovuta alla difficoltà di trovare a braccio le parole idonee ad esprimere il contenuto del messaggio. In sostanza, in questo preambolo, egli chiedeva di non ritenerlo responsabile per il contenuto del messaggio (se sgradevole al re), nè per il modo come esso veniva espresso (qualora anche la forma fosse sgrade­vole al re) (39).

 

   Ma al primo Speaker questo prerogativa non fu riconosciuta. Allo scioglimento del parlamento egli fu arrestato « perchè aveva espresso troppo liberamente il suo pensiero » (40). Ritornò in libertà e fu rieletto nella carica solo quando salì al trono Riccardo II.

 

  A partire dal parlamento del 1378 questo diritto e questa prerogativa vennero generalmente riconosciute allo Speaker e più tardi, come vedremo, saranno estesi a tutti i membri del parla­mento. I primi « Speakers furono invariabilmente scelti tra i ran­ghi dei cavalieri, fino al regno di Enrico VIII, quando - per la, prima volta - un borghese venne eletto nella carica » (41).

 

  Nel parlamento del 1376, intanto, si erano formati due partiti o fazioni: una, capeggiata da Giovanni di Gaunt - figlio terzoge­nito di Edoardo e grande sostenitore di Wycliffe con il quale si era impegnato nella lotta contro la chiesa - era contraria a qualsiasi riforma che limitasse i poteri della corona che in quel momento era sotto l'influenza di Giovanni e dei suoi seguaci: l'altra, sostenuta dall'erede al trono, Principe Nero, mirava ad una maggiore influenza del parlamento nella vita pubblica e alla realizzazione di un programma di riforme per migliorare le condi­zioni del popolo.

 

  Quest'ultima fazione ebbe il sopravvento nelle decisioni del parlamento, ma la prematura morte del principe, avvenuta nello stesso anno, fece ribaltare la situazione e negli ultimi mesi del regno di Edoardo « il lavoro del Parlamento Buono fu disperso e un partito di corte si assicurò il controllo del governo. Ma era un partito di corte in cui il re contava poco o nulla. L'amministrazio­ne, in effetti, era passata nelle mani di una fazione aristocratica che agiva in nome del re, che predominava nel Consiglio ed aveva imposto i suoi uomini nei ministeri principali.

 

« I settanta anni che erano passati dalla morte di Edoardo I erano, così, culminati nel declino del governo personale del re in modo tale che sarebbe sembrato inconcepibile a questo monar­ca” (42).

 

    La minore età di Riccardo (1377-1399) favorì questo processo. Alla sua ascesa al trono, il partito di Gaunt perse la sua posizione di privilegio a corte, ma non la sua influenza sul governo. Durante la minore età di Riccardo non furono nominati reggenti. Il re fu affidato alla tutela della madre, mentre il potere esecutivo era esercitato dal Consiglio. Nel primo parlamento di Riccardo, nel­l’ autunno del 1377, i Comuni, con l'assistenza di Gaunt e di una commissione della camera alta, chiesero ed ottennero che una commissione parlamentare sedesse in permanenza nel Consiglio re per partecipare ai suoi lavori e convalidarne le decisioni. Inoltre, i Comuni ottennero che durante la minore età del re, i ministri fossero nominati dal parlamento, compreso due tesorieri per la raccolta del sussidio che il parlamento aveva concesso al sovrano.

 

   Gli anni che seguono, fino al 1386, sono anni di governo parla­mentare. I ministri, come i tesorieri dei sussidi, sono responsabili verso il parlamento al quale rimettono il loro mandato (che riassu­mono non appena l'inchiesta si conclude positivamente per loro) e forniscono un rendiconto preciso e dettagliato del loro operato ogni qual volta esso lo richiede, anche se il re ogni volta si premura di precisare che ciò avviene per un suo atto di buona volontà e non per un diritto acquisito del parlamento.

 

   In questi anni il re cerca di formare un suo partito a corte col preciso intento di liberarsi della tutela parlamentare e della fazio­ne che lo controllava per assumere il potere in prima persona. Questi sono anni in cui le fazioni si formano e si combattono «non tinto per riformare il malgoverno quanto per il possesso del potere » (43).

 

  Fino al 1386 Giovanni di Gaunt esercitò « una influenza domi­nante nella politica inglese, sia interna che estera, commerciale o ecclesiastica. Dal 1386 al 1389 egli aveva portato il suo esercito privato in Spagna nel tentativo di conquistarsi le corone di Casti­lia e di Leon.

 

 « La sua assenza fornì l'occasione » (44) per la formazione di una nuova fazione, capeggiata dal suo fratello minore, duca di Glou­cester.

 

  Lo scontro per la conquista del potere avvenne nel parlamento di ottobre del 1386. Le due camere, sotto l'influenza del partito di Gloucester, chiesero che la nomina del cancelliere, del tesoriere, del Lord del sigillo privato e di altri ministri fosse fatta in parlamento e misero in stato di accusa il cancelliere sotto 1'impu­tazìone di malversazioni.

 

   Questa era un'accusa molto comune in quell'epoca. « Fu ricorrendo a questa accusa che i re si liberavano dei ministri di cui erano stanchi: l'esempio di Enrico Il con Becket, di Enrico III con Hubert de Burgh, di Edoardo III con l'arcivescovo Stratford, e di Giovanni di Gaunt con Wykeham, formarono dei precedenti per ìl parlamento quando esso, a sua volta, voleva mettere sotto accusa un ministro » (45) per attaccare, suo tramite, il potere reale. Il procedimento iniziato contro il cancelliere Michael de la Pole, conte di Suffolk, serviva otti­mamente a questo scopo.

 

   Il re, negli ultimi tempi, aveva mostrato di mal sopportare la tutela del parlamento e molto spesso aveva rigettato le sue richieste per affermare le prerogative della coro­na. Michael de la Pole era di nomina parlamentare, ma egli si erano molto avvicinato al sovrano che lo aveva creato conte di Suffolk. Con questa politica dì promozione personale, il re aveva tentato, come abbiamo visto, di creare un partito di corte in contrappposizione alle fazioni che dominavano il governo e che erano capeggiate da uomini della sua stessa dinastia: Giovanni di Gaunt e il Duca di Gloucester, suoi zii, e - più tardi - Enrico di Bolingbroke, suo cugino.

 

 La fazione di Gloucester, col suo attacco a Suffolk, mirava non tanto ad estromettere un ministro incapace ed inefficiente, quanto ad instaurare la sua influenza sul potere esecutivo, eli­minando gli uomini del re o di Gaunt per sostituirli con i suoi. Il sovrano, in un primo momento, si rifiutò sprezzantemente di di­mettere il cancelliere e gli altri, come chiedeva il parlamento, ma, quando questo gli ricordò il precedente di Edoardo II, dovette cedere, e non solo su questo punto.

 

  Suffolk fu riconosciuto colpevole e condannato. Al suo posto fu nominato il vescovo di Ely, Arundel, oppositore del re. Anche il tesoriere e il Lord del Sigillo privato furono dimessi e ai loro posti furono nominati uomini dell'opposizione » (46).

 

  « La colpevolezza o l'innocenza di la Pole era, comunque, una questione di minore importanza una volta che egli era stato rimosso; e il verdetto può variare a seconda che le circostanze siano giudicate attraverso le lettere della legge o attraverso la prassi ordinaria dei ministri. E' chiaro che in base alle sue capacità amministrative egli era da assolvere ed è altrettanto chiaro che la sua condanna non fu richiesta per queste ragioni. Il risultato del procedimento lo provò.

« Il successo del partito di Gloucester incoraggiò i Comuni ad andare oltre nell'imitazione degli avvenimenti del Parlamento Buono, e Riccardo Il, prima che potesse ottenere un sussidio... e un aumento e una proroga del dazio, fu costretto a dare il suo consenso alla nomina di una commissione di reggenza o Consiglio Riformatore. Quest'organo doveva restare in carica un anno ed aveva il compito di riformare la casa reale e lo stato, doveva indagare su tutte le entrate e sulla spesa, doveva riparare tutte le ingiustizie ed esaminare tutti quei casi che non ricadevano nei termini della legge ordinaria; tutti i sudditi erano tenuti ad osser­vare le dispozioni della Commissione e nessuno doveva consigliare al re di revocarla altrimenti si sarebbe reso passibile di severe sanzioni » (47).

 

  In pratica questa Commissione doveva esercitare il potere assoluto per un anno. Costretto, il re diede il suo assenso, ma tenne a precisare, oralmente, che avrebbe difeso le prerogativecdella corona.

  Sulle risoluzioni di questo parlamento, egli chiese - nel 1387 - un giudizio ai giudici del regno. Questi affermarono che le risoluzíoni calpestavano le prerogative regie •e quindi non dovevan essere considerate valide. Nello stesso tempo egli aveva chiamato a raccolta tutti i suoi sostenitori e, con un esercito, si preparava a sostenere sul campo i suoi diritti. Gloucester e gli altri baroni, da parte loro, avevano allestito un altro esercito ed accusarono i giudici e gli altri sostenitori del re di alto tradimento.

 

  Dopo una rapida trattativa, il re dovette cedere ancora una volta e le accuse di alto tradimento furono formalizzate con un appello alla corona presentato dai cinque baroni (che perciò saranno chiamati Lords Appellanti) che avevano guidato la resistenza al sovrano. Il re sottopose le accuse al parlamento e questo stabilì che in materia di alto tradimento era il solo e supremo giudice e che, porciò, tale reato non poteva cadere sotto le legge ordinaria (comunque, i giudici avevano già dichiarato la loro incapacità).

 

 Gli amici del re furono condannati e un nuovo parlamento - convocato nel 1388 -, dopo aver concesso un cospicuo contributo ai Lords Appellanti per ripagarli delle spese sostenute per aver messo in campo un esercito, prorogò la Commissione ancora per un anno, durante il quale Gloucester ed i suoi aderenti coprirono gli uffici più importanti ed esercitarono tutti i poteri.

 

 Nel 1389 il re, durante una riunione del Consiglio, effettua un colpo di stato: si fa dichiarare maggiorenne dal Consiglio ed esige la immediata restituzione dei sigilli. Quindi nomina ai posti chiave dello stato ì suoi sostenitori, ma non infierisce sul partito dei baroni; anzi, dimostra - sin dall'inizio - di voler governare con l'ausilio del Consiglio e dei suoi vecchi oppositori, ai quali sembra aver perdonato le vicende del recente passato.

 

 « Riccardo era ora, a ventidue anni, re de facto come de iure; le sue capacità ed i suoi disegni futuri dovevano ancora essere svelati » (48).

 

 Gli anni che seguono sono caratterizzati dalla politica concì­liatrice dì Riccardo che governa come monarca costituzionale. Il Consiglio continua ad esercitare il potere esecutivo e la sua com­posizione rappresenta un ben dosato equilibrio delle forze esistenti nella nazione, per cui esso godeva la fiducia dei magnati e del parlamento. «Comunque, come si verificherà, questo equilibrio fu sconvolto non da una rinnovata opposizione, ma dal re stesso, e la reazione a questa sua azione gli costerà indirettamente il trono » (49).

 

 Fino al 1397 il re adotta una sottile politica di rafforzamento della propria posizione. Egli cerca di guadagnarsi le simpatie, e ci riesce, degli uomini più potenti. Nello stesso tempo si ingegna dividere il campo dei suoi oppositori, approfittando delle discordie chd sorgono tra di loro. Egli sa che può contare su Giovanni di Gaunt, che - negli ultimi anni - aveva esercitato la sua influen­za a favore della corona, anche se si era prodigato a mantenere l'equilibrio raggiunto. Abilmente, egli riesce, anche, a costruire una sottile maglia di funzionari pubblici che gli assicurano il controllo della macchina del governo (50).

 

     Quando si sente pronto passa all'azione e si avvia a fare un secondo colpo di stato per instaurare una monarchia personale ed assoluta. L'occasione gliela fornisce una petizione, presentata nel parlamento di quell'anno, che egli giudica un'offesa alla corona e accusa il suo presentatore di alto tradimento, mentre chiede al parlamento di riaffermare i suoi poteri e le sue prerogative.

 

  Il parlamento affermò che i poteri e le prerogative della corona erano quelli tradizionali goduti dai suoi predecessori. Era quello che Riccardo voleva. Forte di questa prima vittoria, egli si sente sicuro per scagliare il colpo definitivo. Negli ultimi mesi del 1397 convoca un nuovo parlamento, prendendosi cura di riempirlo con i propri aderenti.

 

   A questo nuovo parlamento egli chiede di giudicare per alto tradimento tre dei Lords Appellanti del 1388, sotto la specifica accusa di tentato sovvertimento dello stato e per i crimini com­messi negli anni 1386-88, di cui sembrava averli perdonati. In questa sua mossa, il re dimostrò una perfetta e consumata cono­scenza della dinamica dei colpi di stato. Egli giocò i suoi nemici di un tempo gli uni contro gli altri. Prima elimina tre di essi (tra cui Gloucester, suo zio) con l'aiuto e il beneplacito degli altri due (tra cui Bolingbroke, figlio di Giovanni di Gaunt e, perciò, suo cugino. Poi, alla prima occasione, si libererà anche di questi due.

 

  « Terminato ìl tempo della vendetta... il parlamento fu aggior­nato al 27 gennaio 1398. La riunione di Shrewsbury fu ancora piu breve di quella di Westeminster (51). In soli quattro giorni di seduta esso abrogò le risoluzioni del parlamento del 1386 e del 1388 ed approvò due nuove risoluzioni. Con una sì concedeva al re il dazio sulla lana e sulle pelli a vita; un precedente, questo, chi verrà ripreso in seguito dagli altri sovrani. Con l'altra si istituiva una commissione a cui si delegava il potere di esaminare ed approvare quelle petizioni che esso non aveva potuto approvare per la brevità della sessione.

 

   Nel trascrivere quest'ultima decisione sui registri parlamenta­ri, il re ne alterò i termini e la commissione si trovò, così, delegati tutti i poteri del parlamento. Il colpo di stato era così completato. E il re poteva, finalmente, affermare apertamente la sua teoria della monarchia assoluta che aveva saputo tenere ;accosta per tanto tempo.

 

  Quello di Riccardo «fu un risoluto tentativo ìnteso non tanto ad evitare, quanto a distruggere le limitazioni che la nazione aveva imposto al monarca in quasi due secoli di lotta, prima per mezzo dei soli baroni e ultimamente per mezzo del parlamento unito » (52).

 

   In questo suo tentativo Riccardo si rifaceva agli esempi del­l'Europa continentale e specialmente della Francia, con la quale aveva stabilito un legame dinastico, avendo sposato, in seconde nozze, la sorella di Carlo VI. Egli reintroduceva, così, il principio: quod principi placuit legis abet vigorem, che gli inglesi avevano rigettato alcuni secoli prima e contro il quale avevano combattuto aspre battaglie.

 

 «Che il re potesse cambiare o fare le leggi a sua volontà era una sfida che nessun sovrano inglese dell'ultimo pe­riodo del XIV secolo poteva lanciare impunemente » (53).

Egli governò con poteri assoluti per quasi due anni, « ma aveva mal giudicato il carattere dei suoi concittadini » (54). Quando Enrico di Bolingbroke - spogliato da Riccardo dall'eredità paterna ed esilia­to - sbarcò in Inghilterra per affermare i suoi diritti, tutto il popolo si unì alle sue schiere e a Riccardo non rimase altra scelta che arrendersi al vincitore e alla nazione.

 

   Nel parlamento del settembre del 1399, egli prima si dimise e poi fu deposto e al suo pasto fu eletto Enrico di Bolingbroke, duca di Lancaster, col nome di Enrico IV.

Riccardo «aveva combattuto quattro duelli mortali con la aristocratica società feudale. Nel 1386 fu vinto; nel 1389 vinse a sua volta; nel 1397-98 egli fu signore assoluto; nel 1399 fu distrut­to, » (55)

 

  « Per la seconda volta un re fu deposto dal parlamento dopo la conquista armata del potere. Questa volta il parlamento si spinse più lontano di quanto avesse fatto nel caso di Edoardo II. Allora, Edoardo fu sostituito con suo figlio, senza travagli; ora il parla­mento eleggeva un re che nella linea di successione ereditaria non era il primo e il cui titolo alla successione poggiava esclusivamen­te sul diritto di conquista e sulla volontà del parlamento » (56).

 

 
 
Indice
Prefazione
Capitoli
1) I progenitori del Parlamento
2) L'Inghilterra normanna
3) La nascita del Parlamento
4) Il Parlamento modello
5) I poteri del Parlamento
6) Supremazia del Parlamento
7)Parlamento strumento di governo
8) Il Parlamento contro Giacomo I
9) Il Parlamento contro Carlo I
10) Il Parlamento nella guerra civile
11) La supremazia del Parlamento
12) Verso la democrazia
 

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