Capitolo V
IL
PARLAMENTO COSTRUISCE I SUOI POTERI
Il XIV secolo occupa un posto particolare
nella storia inglese. Esso è un secolo di decadenza e di progresso. Di
decadenza nella sfera economico-sociale e di progresso nel campo
politico-istituzionale.
La crisi economica - sebbene iniziata nei
primissimi anni del secolo - incominciò a far sentire i suoi effetti sotto il
regno di Edoardo II (1307-1327). Sotto questo sovrano si ha un generale
abbassamento del livello di vita; la moneta perde quasi la metà del suo valore
nominale; i prezzi dei manufatti salgono, mentre scendono quelli dei prodotti
agricoli. A questo si aggiunge una decadenza del potere centrale che non riesce
a frenare gli abusi dei suoi rappresentanti locali, nè a garantire l'ordine
pubblico.
Con Edoardo III (1327-1377) due avvenimenti
fanno precipitare la crisi economica: primo, la Guerra dei Cent'Anni contro
la Francia
(1337-1453), che, con il suo continuo drenaggio di mezzi finanziari e di vite
umane, provocò un « arresto nell'incremento della popolazione e depresse il livello
di vita del popolo »(1) ' ; secondo, La Morte Nera (2) che, nel 1349, decimò più di un
terzo della popolazione.
Le immediate conseguenze
di questo flagello furono lo spopolamento delle campagne e dei villaggi, con la
conseguente scarsità dì manodopera (3)e un incremento generalìzzato dei prezzi,
che - a sua volta - provocò un aumento dei salari. La classe padronale tentò dì
fronteggiare la situazione in parte « sostituendo i pascoli per le pecore alle
coltivazioni » (4) e in parte con una legge (lo statuto dei lavoratori)
approvata dal parlamento nel 1351, la quale impose vari vincoli ai lavoratori,
tra cui quello di noi richiedere salari superiori a quelli percepiti prima
della peste.
Nel campo politico-istituzionale la scena
era estremamente favorevole per lo sviluppo del parlamento. I tre sovrani di
questo secolo favoriranno - inconsciamente e per vie diverse - l'affermarsi
del parlamento come co-protagonista nella vita dello stato: Edoardo Il per la
sua incapacità a governare. « Egli è il primo re. sin dai giorni della
Conquista, che non è uomo di stato, e non conosce affatto gli ingranaggi della
macchina del governo » (5) per cui è sempre sotto l'influenza di qualche
favorito (Piers Gaveston, prima, e Hugh Le Despenser, poi), che governa al suo
posto, suscitando, così, la reazione dei baroni che prima gli imporranno la
loro tutela e poi chiederanno al parlamento la sua deposizione.
Edoardo III, più guerriero che uomo di
stato, sarà costretto a fare molte concessioni al parlamento per avere in
cambio i mezzi necessari per iniziare e proseguire la sua lotta contro la Francia. nella Guerra dei
Cento Anni.
Riccardo II (1377-1399), salito al trono
minorenne, lascia il governo nelle mani dei reggenti: quando lo prenderà nelle
sue, e tenterà di introdurre la monarchia assoluta, il parlamento lo deporrà e
darà la corona alla casa di Lancaster.
Se nel XIII secolo il parlamento aveva
iniziato a muovere i primi passi, in questo esso diventa maturo, acquistando
quella articolazione e quelle caratteristiche che saranno poi una costante,
attraverso i secoli, fino ai giorni nostri. E' in questo secolo, infatti, che
il parlamento assume la sua forma
bicamerale e la Camera
dei Comuni pone le basi per diventare - quale rappresentante eletta della
Comunità - il ramo più importante, guadagnando prima il controllo sulla
tassazione e poi il potere di iniziativa nell'attività legislativa.
Questa lunga e travagliata marcia inizia
col regno di Edoardo II. Sotto questo sovrano saranno ancora i nobili a
recitare il ruolo più importante, mentre i Comuni, quando saranno chiamati a
partecipare, svolgeranno il ruolo di spettatori, di testimoni e non di
co-attori. Tuttavia, sarà proprio in questo regno che si stabilirà il principio
che ogni e qualsiasi legislazione non sarà tecnicamente valida senza
l'approvazione dei Comuni.
Per certo si sa che i Comuni parteciparono
al primo parlamento di Edoardo II, nel 1309, e sembra che essi vi abbiamo
svolto un ruolo attivo, almeno fin quando riguarda la stesura della petizione
che fu presentata al re. Questa petizione, infatti, contiene, quasi
esclusivamente, lagnanze di mali e di abusi che affliggevano gli strati
intermedi della popolazione. I Comuni chiedevano al re di eliminare l'eccessivo
carico di imposte di consumo; di dare certezza al valore della moneta, che i
mercanti scambiavano a metà del valore nominale; di garantire l'ordine
pubblico, turbato dalla violenza dei criminali, a cui troppo spesso le
autorità vendevano il perdono giudiziale; di accelerare il corso della
giustizia; di eliminare gli abusi degli ufficiali regi e, infine, di stabilire
una procedura certa e rapida per l'inoltro delle petizioni al re in
parlamento.
In sostanza si chiedeva al re di eliminare
il malgoverno causato dalla sua incapacità a governare. Al successivo parlamento,
convocato di li a poco « senza la presenza dei Comuni e del basso clero » (6),
il re promise di soddisfare tutte le richieste, ma fu incapace di mantenere
fede ai suoi impegni.
L'anno successivo i baroni, convocati e
riuniti in parlamento senza la presenza dei Comuni, imposero ad Edoardo II la
nomina di una Commissione di Lords Ordinatori, alla quale venne affidato il
compito di proporre misure per mettere ordine nelle cose del
regno e venne investita
del potere di tradurre queste misure in ordinanze.
Le ordinanze, su proposta
degli Ordinatori, furono approvate dal parlamento nel 1311. Esse posero forti
limiti al potere del re e diedero ai baroni il controllo del governo: il re non
poteva lasciare ìl paese, nè dìchìarare guerra senza il consenso dei baroni;
non poteva concedere benefici, nè alterare il valore della moneta, o nominare i
grandi ufficiali del regno senza il consenso dei baroni seduti in parlamento.
Gli Ufficiali, inoltre, dovevano essere responsabili verso il parlamento, a
cui dovevano prestare giuramento all'atto della nomina.
Era il programma del 1258 che veniva
realizzato: una olígarchìa di baroni che gestisce il potere dello stato in nome
del re. Anche nel modo di concepire il parlamento non c'è differenza tra i
baroni di Enrico III e quelli di Edoardo II. Per entrambi è un'assemblea di
baroni, anche se sotto quest'ultimo sovrano i Comuni, a partire dal 1311,
verranno regolamente convocati. Ma essi verranno convocati come testimoni che
prendono atto della volontà dei detentori del potere. Infatti, le ordinanze
mettevano bene in chiaro che esse diventavano valide, e perciò vincolanti. con
la sola approvazione dei baroni: quella dei Comuni non era necessaria. Essi
ancora «non erano una parte integrante dei parlamento ».
Il parallelo tra di due movimenti -
tuttavia - finisce qui, perchè mentre il primo, quello del 1258, ebbe uno
sviluppo rivoluzionario e progressista, il secondo è conservatore e
reazionario, ma ai baroni di Edoardo Il mancava un Simone de Montfort.
Nel 1322, Edoardo riesce - dopo una lotta
condotta sui campi di battaglia - a liberarsi dalla tutela dei baroni e nel
parlamento di York dello stesso anno vennero abrogate le ordinanze del 1311,
con due motivazioni: una politica e una tecnica. La motivazione politica
dichiarò abrogate le ordinanze perchè esse calpestavano le prerogative regie,
quella tecnica le dichiarò nulle perchè esse erano state approvate soltanto dai
baroni e non dai «prelati, grandi e piccoli baroni ed i comuni del regno, come
era abituale nel passato » (8), Da questo momento in poi, il consenso dei
Comuni sarà tecnicamente necessario affinchè una legge fondamentale sia
dichiarata valida.
« Ma il fatto di essere
riconosciuti parte integrante del parlamento non attribuì ai Comuni un peso
pari a quello dei magnati nelle discussioni e nelle decisioni sui grandi affari
di stato. Essi erano principalmente presentatori di petizioni; ma – poichè si
presentavano petizioni che lamentavano mali generali della comunità di cui
erano i rappresentanti - il loro ruolo era destinato ad assumere una sempre
crescente importanza” (9).
Riacquistare la pienezza
del potere per Edoardo non significò governare in prima persona, ma significò
trasferirla ad un altro favorito, Hugh Le Despenser, che la usò in modo
arrogante e per fini personalistici che, alla fine, provocheranno la sua caduta
e quella del suo sovrano.
La politica del nuovo favorito creò attorno
al sovrano un clima di sospetto. Si vedevano nemici dappertutto. Anche la
regina fu sospettata di tradimento e nel settembre del 1324 le furono confiscati
i suoi possedimenti, le fu concesso « un assegno annuo di 2920 marchi » (10) e
venne messa sotto la stretta sorveglianza della moglie di Le Despenser.
Isabella era sorella al
re di Francia, contro il quale Edoardo era in guerra per il possedimento di
Guascogna. Nel 1325, l'evolversi
degli eventi in Guascogna « offrì ad Isabella un'occasione per uscire da questa
situazione ed ella ne approfittò. Una missione inglese a Parigi non riusciva a
trovare una via di accordo sulla questione della Guascogna e il nunzio
apostolico propose che fosse affidata una missione personale ad Isabella, con
l'intesa che ella doveva adoperarsi per trovare un accordo tra il marito e suo
fratello... Il suo intervento si dimostrò efficace » (11) e l'accordo fu
raggiunto. In base a questo accordo Edoardo rientrava in possesso dei suoi
domini francesi non appena avesse pronunciato il giuramento di omaggio al re
francese. E, poichè Edoardo non era in grado di viaggiare, fu concordato che il
giuramento l'avrebbe prestato il principe ereditario Edoardo. « Con l'erede
apparente al suo fianco, la regina aveva un asso nella manica... Ella fece
sapere che non sarebbe ritornata in patria finchè Le Despenser fosse rimasto a
corte » (12).
Nel 1327, l'anno in cui Edoardo perde
definitivamente la Scozia
provocando un forte risentimento per la sua incapacità, la regina, con un
manipolo di uomini, sbarcò in Inghilterra e subito attorno a lei si formò una
grande coalizione di baroni e di popolo che obbligò Edoardo II a convocare il
parlamento.
« Quando il parlamento si
riunì (... 7 gennaio) la folla di Londra si riversò ìn Wastmìnster Hall...
Orleton, vescovo di Hereford, parlò all'assemblea. Spiegò che il re era assente
perchè la regina aveva paura di lui e domandò se il parlamento voleva essere
ancora governato dal re » (14).
Immediatamente ìl parlamento si pose la
questione se esso avesse il potere dì deporre il re e, con scarsa opposizione,
arrivò alla conclusione che, quale rappresentante della comunità, aveva questo
potere, che d'altronde aveva già esercitato quando si era ribellato a Giovanni
Senza Terra nel 1215 e aveva offerto la corona a Luigi di Francia, e lo aveva
per sei buoni motìvì che vennero sanciti in uno statuto: «primo, il re era
incapace di governare; per tutto il suo regno si era lasciato guidare da
cattivi consiglieri, senza preoccuparsi di distinguere il bene dal male o
correggere il mal fatto quando ciò gli era stato richiesto dai saggi e daì
grandi del regno.
« Secondo, egli aveva
costantemente rifiutato i buoni consigli e aveva sprecato tutto il suo tempo in
fatiche ed occupazioni disdicevoli, trascurando gli affari del regno.
« Terzo, a causa del
cattivo governo egli aveva perso la
Scozìa, l'Irlanda e la Guascogna.
« Quarto, egli aveva
offeso la Chiesa
ed imprigionato ì suoi ministri; e aveva imprigionato, esiliato, diseredato e
condannato a morte molti grandi e nobili del regno.
« Quinto, egli aveva
rotto il suo giuramento d'incoronazione, specialmente al punto in cui
prometteva di rendere giustizia a tutti.
« Sesto, egli aveva
rovinato il regno ed era egli stesso incorregibile e senza speranza di
miglioramento. Le accuse si ritennero provate perchè notorie, ma i consiglieri
della regina pensarono bene di ottenere dal re un atto formale di abdicazione
[in favore del figlio] piuttosto che creare un pericoloso precedente e fornire
al popolo una giustificazione per reazioni future » (15). Ma questo
accorgimento non eviterà a Riccardo II ed a Carlo I la loro tragedia e a
Giacomo II il suo fato.
Intanto, nell'ultimo anno di regno di
questo sfortunato sovrano era accaduto un altro avvenimento di grande portata
costituzionale. La petizione individuale, che ogni singolo deputato aveva il
diritto di indirizzare al sovrano per ottenere la riparazione di un torto
individuale, o di una località, e per chiedere un privilegio per il proprio
distretto o per la propria casata, aveva mostrato quale erano gli inconvenienti
di tale sistema. La procedura di accoglimento, infatti, voleva che esse
fossero trasformate in statuti, ordinanze o patenti, subito dopo la chiusura
della sessione parlamentare.
Questo creava l'inconveniente che molto
spesso la stesura del provvedimento - fatta dai ministri del re - non
corrispondeva esattamente al contenuto della petizione. Di questo si erano
lamentati i Comuni, che nel frattempo avevano incominciato a presentare
petizioni collettive, limitando nel numero quelle individuali. Nel 1327 essi
chiesero ed ottennero che queste petizioni comuni fossero trasformate in
statuti in piena sessione parlamentare e nella loro stesura originaria. Il re
doveva solo approvarle o respingerle. «Se egli rispondeva con la formula
affermativa le roi le veut, la petizione acquistava subito forza di legge, ciò
che non avveniva se la formula era negativa o sospensiva le roi s'avisera. « Fu
così che nacque l'istituzione della sanzione regia la quale anche oggi è
indispensabile per la validità di una legge e fu così che il Parlamento
acquistò una certa partecipazione al potere legislativo » (17).
Il potere di legiferare, che Edoardo I aveva
introdotto in parlamento ad esclusivo vantaggio della corona, incominciava,
così, ad essere esercitato dai Comuni. E, « fin dove ciò era vero, la
formazione del diritto scritto, attraverso leggi parlamentari, non doveva
avvenire che attraverso proposte di legge presentate dai Comuni, approvate, o
modificate, dal re e dai Lords »'a
Se « sotto Edoardo I [e - fino al 1321 - anche
sotto Edoardo II] i Comuni non erano un elemento essenziale del parlamento,
sotto Edoardo III essi assunsero una posizione distinta, vitale e permanente »
(19). Essi divennero la fonte più cospicua di finanziamento per un re sempre
più bisognoso di mezzi per allestire eserciti da condurre in Francia per
affermare, con la forza, il suo presunto diritto alla corona di quel paese e,
naturalmente, essi incominciarono a pretendere delle contropartite.
Nel 1339 essi chiesero ed ottennero dal re
il rinvio di una loro decisione al successivo parlamento perchè, rendendosi
conto - questa la motivazione ufficiale - della giustezza della richiesta e
delle effettive grandi necessità della corona, essi volevano concedere un
aiuto adeguato, ma per farlo dovevano prima consultare le loro comunità per
averne un mandato preciso; nel frattempo presentarono una petizione ìn cui si
chiedevano l'eliminazione dì molti torti e alcune modifiche alla precedura per
l'elezione dei deputati al parlamento.
Nel nuovo parlamento i Comuni ripresero il
discorso e promisero al re un contributo finanziario di 30.000 balle di lana
(che rappresentava una cifra eccezionale per quell'epoca) se egli si impegnava
ad accogliere la petizione. Intanto gliene consegnarono 2500, che egli doveva
considerare come primo scaglione delle 30.000
se accoglieva la petizione, o come dono ultimo e definitivo fu così se la respingeva.
« I Comuni avevano, davvero, fatto un passo
coraggioso e stupefacente. La loro precedente promessa" di aiuto era ora divenuto
in un'offerta a condizione... In questo modo i Comuni avevano aperto una nuova fase tra il momento in cui
riconoscevano la effettiva necessità
dell'aiuto richiesto e la sua concessione. Il potere di decidere il quantum
spettava a loro e, collegando questo potere con la richiesta dell'eliminazione
dei mali che affliggevano » la comunità, essi
sottolineavano il fatto che al loro obbligo di fornire gli aiuti corrispondeva
il dovere del re di soddisfare le richieste di giustizia. Procrastinando la
loro efferta formale all'ultimo giorno di seduta del parlamento, essi
rafforzarono la loro antica richiesta
che le petizioni dovevano essere soddisfatte prima
della chiusura del
parlamento » (20).
Il re accettò le condizioni e quindi si diede
vita ad una commissione composta da «una
dozzina di borghesi e una dozzina di cavalieri per incontrarsi con alcuni
prelati, grandi baroni per esaminare
insieme la petizione e... tradurla in statuti che dovevano avere forza perpetua.
Questo è il metodo attraverso il quale i Comuni affermarono il loro potere
legislativo.
« Essi non hanno mai rivendicato il diritto di
iniziativa legislativa; e si sono sprecate molte energie nel tentativo di
stabilire la data in cui i Comuni affermarono il loro diritto a legiferare.
Essi non posseggono quel diritto astratto neppure oggi. Solo la corona legifera
in parlamento; i Comuni presentano semplicemente petizioni, e il diritto di
presentare petizioni è esistito sin dai tempi di Enrico II. Il processo di
questo sviluppo fu più sottile di qualsiasi dichiarazione di diritto. La
petizione individuale fu gradualmente
trasformata nella
petizione collettiva della Camera, la quale aveva dietro di sè il potere della
borsa. Il cosidetto diritto a legiferare consiste nel potere dei Comuni di
rendere impossibile qualsiasi politica governativa se non si dà la dovuta
attenzione alle petizioni
che essi hanno il diritto
di presentare.
« La trasformazione della petizione
individuale in quella collettiva fu fondamentale. L'alta corte di giustizia
del parlamento fu trasformata ìn un corpo legislativo e le sue funzioni
giurisdizionali furono oscurate dall'attività legislativa. Le petizioni
collettive ci fanno uscire dal regno del diritto per farcì entrare in quello della
politica; poiché i mali individuali sono appannaggio della giustizia, quelli
di tutta la comunità sono questioni di politica » (21).
La commissione esaminò la petizione e
trasformò tutte le richieste di carattere generale e permanente in quattro statuti
e lasciò quelle di natura contingente alla cura degli organi preposti a tale
scopo per trasformarle in ordinanze o patenti. Dei quattro statuti approvati,
il secondo stabiliva « non solo che il contributo concesso [appunto perchè
eccezionale] non doveva essere preso come esempio per imposizioni future, ma
anche che non sì potevano imporre contribuzioni senza il consenso.., del
parlamento. Con questo provvedimento il re concede l'abolizione delle taglie
non autorizzate... Questo statuto può essere considerato come una integrazione
alla riconferma delle Carte [del 1297]; il vero Statuto de Tallagio non
Concedendo: la rinuncia al privilegio di imporre taglie che Edoardo I aveva
conservato in quanto non espressamente vietato dallo statuto del 1297 » (22).
Questo nuovo statuto,
tuttavia, non metteva fine alla questione. Fu necessario che questa rinuncia
fosse sancita di nuovo nel 1362 e poi nel 1371, quando Edoardo III accettò di
non imporre tasse sulla « lana e altre mercanzie principali... senza il consenso
del parlamento. »(23).
Dopo questa data la questione della
tassazione indiretta poteva dirsi risolta in via definitiva in favore del
parlamento (anche se i sovrani avranno una inesauribile capacità di
stratagemmi per inventare nuove voci di tassazione, come prestiti,
benevolenze, ecc. - che evitassero il controllo del parlamento).
La questione della
tassazione indiretta sul commercio estero rimase una questione aperta, in
quanto i sovrani ritennero che il dazio all'importazione non ricadesse sui
sudditi inglesi e quello all’esportazione
fosse una prerogativa regia in quanto serviva per regolamentare il commercio. «
La questione sarà decisa, una volta per tutte, solo dopo la Rivoluzione del 1688 »
(24).
Le decisioni e le deliberazioni del parlamento
del 1340 prepa prepararono gli eventi del 1341, quando il parlamento riuscì a
strappare ad Edoardo III - senza eccessivo sforzo - quelle concessioni per le
quali i baroni del 1311 avevano dovuto imporre la loro tutela al sovrano.
I mancati successi sui campi di battaglia in
Francia, nell'autunno del 1340, Edoardo li attribuì (25) ai mancati rinforzi
che dovevano essere approntati in patria con i fondi stanziati dal parlamento.
Ritornato in patria, dimise il cancelliere, arcivescovo Stratford, e il
tesoriere. Mentre fece arrestare alcuni altri grandi magistrati.
All'arcivescovo Stratford, in particolare,
Edoardo muoveva l'accusa di averlo «
deluso nell'amministrazione del denaro concessogli dal parlamento in marzo e,
avendolo lasciato praticamente senza fondi, egli era responsabile del
fallimento della spedizione
che era iniziata sotto
così buoni auspici... Quindi egli era arrivato talla determinazione di
promuovere un'inchiesta per accertare che fine avesse fatto il denaro » (26).
Ma l'arcivescovo - ammaestrato dall'arresto dei magistrati rifiutò di
presentarsi davanti alla corte del re,
dove era stato convocato per fornire un rendiconto della sua amministrazione.
Egli affermò che si sarebbe presentato solo davanti al parlamento in
convocazione generale.
Dopo un breve braccio di ferro, il re
decise di convocare il parlamento nell'aprile del 1341 e chiese ad una
commissione parlamentare di pronunciarsi su chi dovesse giudicare Stratford:
la corte del re, come egli sosteneva, o i suoi pari in parlamento, come
affermava l'arcivescovo. La risposta fu che « per nessun motivo un pari - sia
che fosse ministro oppure no - poteva essere giudicato, arrestato, privato dei
suoi beni, o messo fuori legge, né essere chiamato a rispondere, eccetto che in
pieno parlamento e davanti ai suoi pari » (27).
L'arcivescovo aveva, così, vinto la sua
battaglia (e fu assolto dalle accuse) e le istituzioni fecero un altro passo
avanti con l'affermazione del principio che solo il parlamento ha il diritto di
giudicare i ministri o gli ex ministri (come era il caso di Stratford) per i
reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni. Questo principio sarà molto
utile di li a poco, quando - nello stesso regno di Edoardo III - il parlamento
metterà in stato d'accusa e giudicherà i ministri del re.
Nello stesso parlamento venne istituita una
commissione di indagine per esaminare i rendiconti di tutti coloro i quali
erano stati preposti all'incasso del denaro pubblico sin dall'inizio della
guerra. Inoltre, il parlamento riuscì ad affermare il principio che la nomina
dei grandi ufficiali del regno doveva essere fatta in parlamento, verso il
quale essi dovevano essere responsabili. Alla convocazione di un nuovo
parlamento, gli ufficiali del regno « dovevano rimettere il loro mandato nelle
mani del re e dovevano rispondere [della loro gestione] a tutti coloro ì quali
avanzavano lamentele contro di loro. E se le accuse riguardavano un ministro,
se riconosciuto colpevole dal parlamento, doveva essere rimosso e punito secondo
il giudizio dei pari » (28).
« Questo fu un coraggioso
tentativo di introdurre qualcosa come la responsabilità ministeriale, ma esso
fallì perchè i ministri ed i giudici si rifiutarono dì accettare incarichi a
queste condizioni. Sotto la monarchia del XIV secolo era impossibile per un
ministro pensare di dovere la sua lealtà a qualchedun'altro che non fosse il re
» (29).
Questi provvedimenti
furono ripudiati dal re nello stesso anno e successivamente (1343) furono
abrogati dal parlamento. Ma essi avevano stabilito un precedente che sarà
ripreso negli anni futuri. «La facilità con cui si aggiustarono le cose in
questa faccenda, dopo che Edoardo aveva ripudiato lo statuto del 1341, ci può
solo servire per ricordarci quanto limitata fosse l'area di conflitto tra un re
medievale ed i suoi baroni. Un governante forte e capace, che avesse il buon senso di sottoporsi al
metodo di consultare il suo Consiglio e il suo parlamento sui grandi affari di
stato, di scegliere come ministri persone ragionevolmente efficienti e personalmente
inoffensive, alle quali concedesse, con discrezione, il suo favore, di solito trovava i baroni disposti a
lasciargli amministrare le sue cose. La lotta dei baroni per il controllo
dell'esecutivo sorgeva solo quando un re come Edoardo II agiva come uno
sciocco, o come Riccardo II, come un tiranno, o quando, come Edoardo III nella
vecchiaia, allentava la sua presa sulle redine del governo » (30).
L'affermazione dei Comuni come parte
integrante del parlamento, e la loro partecipazione attiva ai suoi lavori,
aveva spinto i Lords ad accentuare la loro funzione di consiglieri naturali
della corona e, mentre i Comuni costruivano, gradino per gradino, la loro
funzione politica, essi esaltavano la loro antica funzione giurisdizionale e
«ritenevano un loro diritto essere consultati separatamente nell'ambito del
parlamento » (31).
Nel parlamento del 1343 ai « Lords fu
chiesto di riunirsi nella White Chamber... allo stesso modo fu chiesto ai
cavalieri e ai Comu di riunirsi nella Painted Chamber per trattare, per
consultarsi e mettersi d'accordo »
(32) sui temi in discussione.
Questa è la prima testimonianza della
divisione del parlamento in due camere. Il processo evolutivo che condusse alla
formazione della Camera dei Comuni è strettamente legato al nuovo sistema della
petizione collettiva iniziato sotto Edoardo II.
ssi «La petizione collettiva è la matrice
della camera dei comuni come corpo legislativo separato. Le istituzioni nel
medioevo non vengono costruite: esse crescono; la petizione collettiva
ríchiedeva una deliberazione comune, un'azione comune; e, forse, anche un
funzionario comune; l'azione comune divenne una consuetudine, la consuetudine
un'istituzione e l'istituzione una camera. Questi processi, specialmente nelle
loro fase iniziale non venivano registrati, ma nelle scienze storiche, come in
quelle fisiche, abbiamo a che fare con sviluppi di cui non possediamo
testimonianza, e il fatto che esse non furono registrate non prova che esse non
abbiano avuto luogo. C'è una massa di testimonianze che ci dice che sotto
Edoardo I non esisteva alcuna Camera dei Comuni, una massa di testimonianze
ancora maggiore ci prova che sotto Edoardo III questa camera esisteva; ed è
nostro compito determinare, dalle conoscenze che abbiamo, il processo
attraverso il quale essa si sia sviluppata » (33).
La divisione del parlamento in due camere -
una, quella dei Lords, composta da membri convocati per decreto diretto e personale,
l'altra, quella dei Comuni, composta da rappresentanti eletti dalla comunità -
apre una nuova fase nello sviluppo del parlamento.
Questa divisione porta - quasi
immediatamente - anche ad una divisione dei compiti tra le due camere. La Camera dei Comuni si farà
portavoce delle istanze della comunità e - attraverso il sistema della
petizioni -- ne chiederà l'accoglimento e il soddisfacimento: funzione, questa,
tipicamente politica. La Camera
dei Lords si porrà come anello intermedio tra i Comuni ed il sovrano, di cui -
come abbiamo visto - è il consigliere naturale e il supremo giudice: funzione
questa tipicamente giurisdizionale.
Così la Camera, dei Lords continuerà a svolgere la sua
antica ed originaria funzione di alta corte di giustizia. Questo, però, non
vuol dire che essa avrà una minore partecipazione nell'attività politica del
parlamento, perchè in questo periodo, e ancora per molto tempo, essa è
l'elemento principale nella vita politica dello stato, dopo il sovrano.
Coscienti di costituire
la borsa del paese, i Comuni incominciano a formare i propri organi e ad
accrescere i loro poteri attraverso il controllo della finanza. Il loro potere
di contrattazione cresce, col crescere delle esigenze finanziarie del re. Più
esse crescono, più essi diventano forti, e perciò possono strappare al sovrano
nuove concessioni ed ottenere di limitare le sue prerogative. Quando queste
esigenze decrescono o sono a livello zero (o non esistono), il loro potere di
contrattazione e quasi nullo.
«Durante il medioevo molto raramente
vengono imposte tasse in via permanente. In generale una tassa viene concessa
soltanto in questa occazione: al re viene concesso un decimo sui beni mobili, o
un dazio, o un testatico per far fronte alle sue necessità di denaro. Qualche
volta le tasse vengono concesse per una durata di due o tre anni, ma è raro.
Questo rende l'annualità del parlamento una necessità pratica, specie dopo
l'inizio delle ostilità contro la
Francia: ogni anno il re ha bisogno di denaro e lo può
ottenere soltanto convocando il parlamento. Il suo reddito extra parlamentare,
che proviene dalle terre della corona, dai suoi diritti feudali, ecc.; non è
sufficiente a coprire il drenaggio di una guerra » (34).
Se nei 1339 i Comuni si erano limitati a
porre delle condizioni alla concessione degli aiuti finanziari, nel 1348 essi
chiesero ed ottennero che le petizioni fossero discusse ed approvate prima
della deliberazione degli aiuti richiesti. Questo fece acquistare loro un
grande potere di persuasione e di contrattazione. Se il re voleva gli aiuti
nella misura richiesta, o se li voleva tout court, doveva prima approvare le
richieste della comunità.
Queste, comunque, non sono conquiste
definitivamente acquisite. Esse devono essere costantemente rivendicate e
difese dal potere regio, che tende sempre a non rispettarle, in particolar modo
quando essi limitano le sue prerogative. Esse saranno definitivamente
acquìsite al patrimonio costituzionale del Paese solo quando diventeranno
radicate nella coscienza della nazione, per cui lo stesso re sentirà l'obbligo
di non metterle più in discussione. In questo processo sembra quasi che gli
inglesi siano stati favoriti dalla particolarità della loro storia, che ha
voluto che a un re forte e capace - a cui erano state imposte limitazioni di
potere, sia succeduto un re in minore età (Enrico III e Riccardo II) o uno
debole ed incapace (Edoardo Il) che darà la possibilità alle nuove conquiste di
consolidarsi e quindi mai più facilmente revocabili.
Nel 1376 il parlamento (Parlamento Buono)
ottenne dí partecipare al potere esecutivo attraverso una propria Commissione
Permanente che doveva essere parte integrante del Consiglio del re. Ma a questa
Commissione toccò la stessa sorte dei provvedimenti del 1341: essa fu revocata
« non appena il parlamento fu sciolto » (35). Nè migliore sorte toccò al
procedimento di « stato d'accusa » che in questo parlamento i Comuni avevano
adottato contro alcuni ministri della corona, basando la loro azione sul
precedente stabilito nel 1341. Anche questi provvedimenti saranno revocati, ma
essi ritorneranno, e con rinnovato vigore, sotto il regno del minore Riccardo
Il. Questo darà al parlamento ìl potere dì esercitare un certo controllo sulla
politica del governo e sull'operato dei singoli ministri.
Il procedimento di messa in stato d'accusa è
un processo che sì « basa sulla dottrina della responsabilità ministeriale come
l'intendevano nel Medio Evo, una dottrina che fu espressa nella massima
"il re non può far male". Questa massima politica non è, come sembra
a prima vista, la pietra angolare della monarchia assoluta. E' piuttosto una
delle pietre fondamentali su cui fu costruita la monarchia limitata. Perchè
essa non afferma che il governo non può fare del male, e che tutte le cose che
fa il governo sono giuste. Ciò che essa afferma è che se il governo commette
delle ingiustizie, non è il re a commetterle, ma i suoi ministri...
« La prassi della messa
in stato d'accusa si basava chiaramente sulla dottrina della responsabilità
ministeriale... Essa fu il risultato migliore nella sperimentazione medievale
per trovare qualche strumento costituzionale che - come il comitato dei ventiquattro
baroni della Magna Charta o le commissione create dalle Provvisioni di Oxford -
consentisse di legare il re ad una responsabilità reale, per evitare, per
quanto possibile, il ricorso a guerre civili o a rivoluzioni » (36).
Nel Parlamento Buono prende consistenza la
figura dello nuove speaker. Questa carica aveva già avuto dei precedenti, il
primo dei quali nel 1343, quando per la
prima volta le Camere si riunirono separatamente.
« Il primo e più importante dovere dello
Speaker - almeno nel nel periodo medievale - era di fare quello che il suo nome
suggerisce: fungere da portavoce dei
Comuni quando essi dovevano comunicare col re e con i Lords, sia per fornire
risposte o avanzare richieste »(37). La necessità di un portavoce derivava dal
fatto che contro nelle sedute a camere riunite i Comuni non avevano il diritto
di parola. Nell'aula del parlamento, infatti, « potevano parlare i prelati, i
baroni e i consiglieri del re, ma non i membri dei Comuni, tranne lo Speaker, e
questa è la regola ancora oggi » (38). Ma lo Speaker, per la delicata funzione
che svolgeva, doveva essere un portavoce
che avesse piena libertà di parola nelle riunioni plenarie del parlamento o
davanti al sovrano e godesse della prerogativa di non essere personalmente
responsabile degli atti compiuti in nome e
per conto dell'intera Camera.
Essere la voce dei Comuni implicava una
responsabilità enorme per quei tempi in cui ai membri della Camera bassa non
era riconosciuta alcuna immunità.
Bastava usare un linguaggio non troppo ossequioso verso il sovrano per essere
arrestati ed imprigionati e restare in prigione fino a quando il re non ne
decideva la liberazione. Quando iniziava a parlare, lo Speaker premetteva
sempre un preambolo col quale chiedeva scusa e perdono al re se, nel riportare
il pensiero della Camera, egli usava qualche parola o frase che potesse suonare
offesa, la quale doveva essere giustificata come dovuta alla difficoltà di
trovare a braccio le parole idonee ad esprimere il contenuto del messaggio. In
sostanza, in questo preambolo, egli chiedeva di non ritenerlo responsabile per
il contenuto del messaggio (se sgradevole al re), nè per il modo come esso
veniva espresso (qualora anche la forma fosse sgradevole al re) (39).
Ma al primo Speaker questo prerogativa non
fu riconosciuta. Allo scioglimento del parlamento egli fu arrestato « perchè
aveva espresso troppo liberamente il suo pensiero » (40). Ritornò in libertà e
fu rieletto nella carica solo quando salì al trono Riccardo II.
A partire dal parlamento del 1378 questo
diritto e questa prerogativa vennero generalmente riconosciute allo Speaker e
più tardi, come vedremo, saranno estesi a tutti i membri del parlamento. I
primi « Speakers furono invariabilmente scelti tra i ranghi dei cavalieri,
fino al regno di Enrico VIII, quando - per la, prima volta - un borghese venne
eletto nella carica » (41).
Nel parlamento del 1376, intanto, si erano
formati due partiti o fazioni: una, capeggiata da Giovanni di Gaunt - figlio
terzogenito di Edoardo e grande sostenitore di Wycliffe con il quale si era
impegnato nella lotta contro la chiesa - era contraria a qualsiasi riforma che
limitasse i poteri della corona che in quel momento era sotto l'influenza di
Giovanni e dei suoi seguaci: l'altra, sostenuta dall'erede al trono, Principe
Nero, mirava ad una maggiore influenza del parlamento nella vita pubblica e
alla realizzazione di un programma di riforme per migliorare le condizioni del
popolo.
Quest'ultima fazione ebbe il sopravvento
nelle decisioni del parlamento, ma la prematura morte del principe, avvenuta
nello stesso anno, fece ribaltare la situazione e negli ultimi mesi del regno
di Edoardo « il lavoro del Parlamento Buono fu disperso e un partito di corte
si assicurò il controllo del governo. Ma era un partito di corte in cui il re
contava poco o nulla. L'amministrazione, in effetti, era passata nelle mani di
una fazione aristocratica che agiva in nome del re, che predominava nel
Consiglio ed aveva imposto i suoi uomini nei ministeri principali.
« I settanta anni che
erano passati dalla morte di Edoardo I erano, così, culminati nel declino del
governo personale del re in modo tale che sarebbe sembrato inconcepibile a questo
monarca” (42).
La minore età di Riccardo (1377-1399)
favorì questo processo. Alla sua ascesa al trono, il partito di Gaunt perse la
sua posizione di privilegio a corte, ma non la sua influenza sul governo.
Durante la minore età di Riccardo non furono nominati reggenti. Il re fu
affidato alla tutela della madre, mentre il potere esecutivo era esercitato dal
Consiglio. Nel primo parlamento di Riccardo, nell’ autunno del 1377, i Comuni,
con l'assistenza di Gaunt e di una commissione della camera alta, chiesero ed
ottennero che una commissione parlamentare sedesse in permanenza nel Consiglio
re per partecipare ai suoi lavori e convalidarne le decisioni. Inoltre, i
Comuni ottennero che durante la minore età del re, i ministri fossero nominati
dal parlamento, compreso due tesorieri per la raccolta del sussidio che il
parlamento aveva concesso al sovrano.
Gli anni che seguono, fino al 1386, sono
anni di governo parlamentare. I ministri, come i tesorieri dei sussidi, sono
responsabili verso il parlamento al quale rimettono il loro mandato (che riassumono
non appena l'inchiesta si conclude positivamente per loro) e forniscono un
rendiconto preciso e dettagliato del loro operato ogni qual volta esso lo
richiede, anche se il re ogni volta si premura di precisare che ciò avviene per
un suo atto di buona volontà e non per un diritto acquisito del parlamento.
In questi anni il re cerca di formare un suo
partito a corte col preciso intento di liberarsi della tutela parlamentare e
della fazione che lo controllava per assumere il potere in prima persona.
Questi sono anni in cui le fazioni si formano e si combattono «non tinto per
riformare il malgoverno quanto per il possesso del potere » (43).
Fino al 1386 Giovanni di Gaunt esercitò « una
influenza dominante nella politica inglese, sia interna che estera,
commerciale o ecclesiastica. Dal 1386 al 1389 egli aveva portato il suo
esercito privato in Spagna nel tentativo di conquistarsi le corone di Castilia
e di Leon.
« La sua assenza fornì l'occasione » (44) per
la formazione di una nuova fazione, capeggiata dal suo fratello minore, duca di
Gloucester.
Lo scontro per la conquista del potere
avvenne nel parlamento di ottobre del 1386. Le due camere, sotto l'influenza
del partito di Gloucester, chiesero che la nomina del cancelliere, del
tesoriere, del Lord del sigillo privato e di altri ministri fosse fatta in
parlamento e misero in stato di accusa il cancelliere sotto 1'imputazìone di
malversazioni.
Questa era un'accusa molto comune in quell'epoca.
« Fu ricorrendo a questa accusa che i re si liberavano dei ministri di cui
erano stanchi: l'esempio di Enrico Il con Becket, di Enrico III con Hubert de
Burgh, di Edoardo III con l'arcivescovo Stratford, e di Giovanni di Gaunt con
Wykeham, formarono dei precedenti per ìl parlamento quando esso, a sua volta,
voleva mettere sotto accusa un ministro » (45) per attaccare, suo tramite, il
potere reale. Il procedimento iniziato contro il cancelliere Michael de la Pole, conte di Suffolk,
serviva ottimamente a questo scopo.
Il re, negli ultimi tempi, aveva mostrato di
mal sopportare la tutela del parlamento e molto spesso aveva rigettato le sue
richieste per affermare le prerogative della corona. Michael de la Pole era di nomina
parlamentare, ma egli si erano molto avvicinato al sovrano che lo aveva creato
conte di Suffolk. Con questa politica dì promozione personale, il re aveva
tentato, come abbiamo visto, di creare un partito di corte in contrappposizione
alle fazioni che dominavano il governo e che erano capeggiate da uomini della
sua stessa dinastia: Giovanni di Gaunt e il Duca di Gloucester, suoi zii, e -
più tardi - Enrico di Bolingbroke, suo cugino.
La fazione di Gloucester, col suo attacco a
Suffolk, mirava non tanto ad estromettere un ministro incapace ed inefficiente,
quanto ad instaurare la sua influenza sul potere esecutivo, eliminando gli
uomini del re o di Gaunt per sostituirli con i suoi. Il sovrano, in un primo
momento, si rifiutò sprezzantemente di dimettere il cancelliere e gli altri,
come chiedeva il parlamento, ma, quando questo gli ricordò il precedente di
Edoardo II, dovette cedere, e non solo su questo punto.
Suffolk fu riconosciuto colpevole e
condannato. Al suo posto fu nominato il vescovo di Ely, Arundel, oppositore del
re. Anche il tesoriere e il Lord del Sigillo privato furono dimessi e ai loro
posti furono nominati uomini dell'opposizione » (46).
« La colpevolezza o l'innocenza di la Pole era, comunque, una
questione di minore importanza una volta che egli era stato rimosso; e il
verdetto può variare a seconda che le circostanze siano giudicate attraverso le
lettere della legge o attraverso la prassi ordinaria dei ministri. E' chiaro
che in base alle sue capacità amministrative egli era da assolvere ed è
altrettanto chiaro che la sua condanna non fu richiesta per queste ragioni. Il
risultato del procedimento lo provò.
« Il successo del partito
di Gloucester incoraggiò i Comuni ad andare oltre nell'imitazione degli
avvenimenti del Parlamento Buono, e Riccardo Il, prima che potesse ottenere un
sussidio... e un aumento e una proroga del dazio, fu costretto a dare il suo
consenso alla nomina di una commissione di reggenza o Consiglio Riformatore.
Quest'organo doveva restare in carica un anno ed aveva il compito di riformare
la casa reale e lo stato, doveva indagare su tutte le entrate e sulla spesa,
doveva riparare tutte le ingiustizie ed esaminare tutti quei casi che non
ricadevano nei termini della legge ordinaria; tutti i sudditi erano tenuti ad
osservare le dispozioni della Commissione e nessuno doveva consigliare al re
di revocarla altrimenti si sarebbe reso passibile di severe sanzioni » (47).
In pratica questa Commissione doveva
esercitare il potere assoluto per un anno. Costretto, il re diede il suo
assenso, ma tenne a precisare, oralmente, che avrebbe difeso le
prerogativecdella corona.
Sulle risoluzioni di questo parlamento, egli
chiese - nel 1387 - un giudizio ai giudici del regno. Questi affermarono che le
risoluzíoni calpestavano le prerogative regie •e quindi non dovevan essere
considerate valide. Nello stesso tempo egli aveva chiamato a raccolta tutti i
suoi sostenitori e, con un esercito, si preparava a sostenere sul campo i suoi
diritti. Gloucester e gli altri baroni, da parte loro, avevano allestito un altro
esercito ed accusarono i giudici e gli altri sostenitori del re di alto
tradimento.
Dopo una rapida trattativa, il re dovette
cedere ancora una volta e le accuse di alto tradimento furono formalizzate con
un appello alla corona presentato dai cinque baroni (che perciò saranno
chiamati Lords Appellanti) che avevano guidato la resistenza al sovrano. Il re
sottopose le accuse al parlamento e questo stabilì che in materia di alto
tradimento era il solo e supremo giudice e che, porciò, tale reato non poteva
cadere sotto le legge ordinaria (comunque, i giudici avevano già dichiarato la
loro incapacità).
Gli amici del re furono condannati e un nuovo
parlamento - convocato nel 1388 -, dopo aver concesso un cospicuo contributo ai
Lords Appellanti per ripagarli delle spese sostenute per aver messo in campo un
esercito, prorogò la
Commissione ancora per un anno, durante il quale Gloucester
ed i suoi aderenti coprirono gli uffici più importanti ed esercitarono tutti i
poteri.
Nel 1389 il re, durante una riunione del
Consiglio, effettua un colpo di stato: si fa dichiarare maggiorenne dal
Consiglio ed esige la immediata restituzione dei sigilli. Quindi nomina ai
posti chiave dello stato ì suoi sostenitori, ma non infierisce sul partito dei
baroni; anzi, dimostra - sin dall'inizio - di voler governare con l'ausilio del
Consiglio e dei suoi vecchi oppositori, ai quali sembra aver perdonato le
vicende del recente passato.
« Riccardo era ora, a ventidue anni, re de
facto come de iure; le sue capacità ed i suoi disegni futuri dovevano ancora
essere svelati » (48).
Gli anni che seguono sono caratterizzati dalla
politica concìliatrice dì Riccardo che governa come monarca costituzionale. Il
Consiglio continua ad esercitare il potere esecutivo e la sua composizione rappresenta
un ben dosato equilibrio delle forze esistenti nella nazione, per cui esso
godeva la fiducia dei magnati e del parlamento. «Comunque, come si verificherà,
questo equilibrio fu sconvolto non da una rinnovata opposizione, ma dal re
stesso, e la reazione a questa sua azione gli costerà indirettamente il trono »
(49).
Fino al 1397 il re adotta una sottile politica
di rafforzamento della propria posizione. Egli cerca di guadagnarsi le
simpatie, e ci riesce, degli uomini più potenti. Nello stesso tempo si ingegna
dividere il campo dei suoi oppositori, approfittando delle discordie chd
sorgono tra di loro. Egli sa che può contare su Giovanni di Gaunt, che - negli
ultimi anni - aveva esercitato la sua influenza a favore della corona, anche
se si era prodigato a mantenere l'equilibrio raggiunto. Abilmente, egli riesce,
anche, a costruire una sottile maglia di funzionari pubblici che gli assicurano
il controllo della macchina del governo (50).
Quando si sente pronto passa all'azione e
si avvia a fare un secondo colpo di stato per instaurare una monarchia
personale ed assoluta. L'occasione gliela fornisce una petizione, presentata
nel parlamento di quell'anno, che egli giudica un'offesa alla corona e accusa
il suo presentatore di alto tradimento, mentre chiede al parlamento di
riaffermare i suoi poteri e le sue prerogative.
Il parlamento affermò che i poteri e le
prerogative della corona erano quelli tradizionali goduti dai suoi
predecessori. Era quello che Riccardo voleva. Forte di questa prima vittoria,
egli si sente sicuro per scagliare il colpo definitivo. Negli ultimi mesi del
1397 convoca un nuovo parlamento, prendendosi cura di riempirlo con i propri
aderenti.
A questo nuovo parlamento egli chiede di
giudicare per alto tradimento tre dei Lords Appellanti del 1388, sotto la
specifica accusa di tentato sovvertimento dello stato e per i crimini commessi
negli anni 1386-88, di cui sembrava averli perdonati. In questa sua mossa, il
re dimostrò una perfetta e consumata conoscenza della dinamica dei colpi di
stato. Egli giocò i suoi nemici di un tempo gli uni contro gli altri. Prima
elimina tre di essi (tra cui Gloucester, suo zio) con l'aiuto e il beneplacito
degli altri due (tra cui Bolingbroke, figlio di Giovanni di Gaunt e, perciò,
suo cugino. Poi, alla prima occasione, si libererà anche di questi due.
« Terminato ìl tempo della vendetta... il
parlamento fu aggiornato al 27 gennaio 1398. La riunione di Shrewsbury fu
ancora piu breve di quella di Westeminster (51). In soli quattro giorni di
seduta esso abrogò le risoluzioni del parlamento del 1386 e del 1388 ed approvò
due nuove risoluzioni. Con una sì concedeva al re il dazio sulla lana e sulle
pelli a vita; un precedente, questo, chi verrà ripreso in seguito dagli altri
sovrani. Con l'altra si istituiva una commissione a cui si delegava il potere
di esaminare ed approvare quelle petizioni che esso non aveva potuto approvare
per la brevità della sessione.
Nel trascrivere quest'ultima decisione sui
registri parlamentari, il re ne alterò i termini e la commissione si trovò,
così, delegati tutti i poteri del parlamento. Il colpo di stato era così
completato. E il re poteva, finalmente, affermare apertamente la sua teoria
della monarchia assoluta che aveva saputo tenere ;accosta per tanto tempo.
Quello di Riccardo «fu un risoluto tentativo
ìnteso non tanto ad evitare, quanto a distruggere le limitazioni che la nazione
aveva imposto al monarca in quasi due secoli di lotta, prima per mezzo dei soli
baroni e ultimamente per mezzo del parlamento unito » (52).
In questo suo tentativo Riccardo si rifaceva
agli esempi dell'Europa continentale e specialmente della Francia, con la
quale aveva stabilito un legame dinastico, avendo sposato, in seconde nozze, la
sorella di Carlo VI. Egli reintroduceva, così, il principio: quod principi
placuit legis abet vigorem, che gli inglesi avevano rigettato alcuni secoli
prima e contro il quale avevano combattuto aspre battaglie.
«Che il re potesse cambiare o fare le leggi a
sua volontà era una sfida che nessun sovrano inglese dell'ultimo periodo del
XIV secolo poteva lanciare impunemente » (53).
Egli governò con poteri
assoluti per quasi due anni, « ma aveva mal giudicato il carattere dei suoi
concittadini » (54). Quando Enrico di Bolingbroke - spogliato da Riccardo
dall'eredità paterna ed esiliato - sbarcò in Inghilterra per affermare i suoi
diritti, tutto il popolo si unì alle sue schiere e a Riccardo non rimase altra
scelta che arrendersi al vincitore e alla nazione.
Nel parlamento del settembre del 1399, egli
prima si dimise e poi fu deposto e al suo pasto fu eletto Enrico di
Bolingbroke, duca di Lancaster, col nome di Enrico IV.
Riccardo «aveva
combattuto quattro duelli mortali con la aristocratica società feudale. Nel
1386 fu vinto; nel 1389 vinse a sua volta; nel 1397-98 egli fu signore
assoluto; nel 1399 fu distrutto, » (55)
« Per la seconda volta un re fu deposto dal
parlamento dopo la conquista armata del potere. Questa volta il parlamento si
spinse più lontano di quanto avesse fatto nel caso di Edoardo II. Allora,
Edoardo fu sostituito con suo figlio, senza travagli; ora il parlamento
eleggeva un re che nella linea di successione ereditaria non era il primo e il
cui titolo alla successione poggiava esclusivamente sul diritto di conquista e
sulla volontà del parlamento » (56).