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CAPITOLO IV

CAPITOLO  IV

 

IL PARLAMENTO MODELLO

 

   Gli anni che seguono la sconfitta di Simone di Montfort sono anni di preparazione e di assestamento. Non tutto il programma di riforma dei baroni andò perduto. Parte di esso fu acquisito in via definitiva al patrimonio giuridico-costituzionale che in quegli anni si andava accumulando.

 

    Il Dictum di Kenilworth del 1267 segna il momento di riconci­liazione tra i baroni e la casa reale, di cui ormai Edoardo, il vincitore di Evesham, è l'indiscusso campione.

 

   L'anno successivo fu approvato lo statuto di Marlborough, nel quale furono recepite interamente - o quasi - tutte le clausole giuridiche delle Provvisioni di Westminster. Del programma dei baroni fu rigettato solo la parte politico-istituzionale delle Provvi­sioni di Oxford.

 

    Essa era troppo avanzata per quei tempi. Se si fosse realizzata, il re « sarebbe diventato il primus inter pares » (1). Questo era l'obiettivo, anche se inconscio e confuso, della setten­nale Guerra dei Baroni. Con la loro ribellione, infatti, « i baroni fecero il primo tentativo di ottenere il controllo del potere esecu­tivo.

 

   I baroni di Runnymede avevano cercato, con la clausola di garanzia della Magna Charta, soltanto un meccanismo per imporre al re il rispetto dei patti, nel caso egli intendesse violarli e per costringerlo a rimettere giustizia; i baroni che imposero ad Enrica III le Provvisioni di Oxford cercavano molto di più e, per un certo periodo, l'ottennero; essi miravano ad assicurarsi il controllo e l'esercizio del potere esecutivo. Essi non miravano ad abolire la monarchia, ma intendevano esercitare il potere esecutivo nel modo che essi più ritenevano giusto, senza tener conto dei desideri personali del re.

 

  « Il Consiglio dei Quindici, istituito nel 1258, come giustamente osserva Sìr Maurice Powick, al contrario di ogni altro consiglio del passato, non era considerato e non agiva come espressione della Curia Regis. Per un breve periodo, di conseguenza, il re re­gnava e il Consiglio governava » (2).

 

   Gli ultimi anni del regno di Enrico III vedono una Inghilterra provata dalla lunga lotta e con un'amministrazione statale appros­simativa, che non riesce a tenere il passo con l'evoluzione della società che proprio in quegli anni incominciava ad uscire dal lun­go tunnel del feudalesimo (3).

 

  Alla morte di Enrico, nel novembre del 1272, Edoardo si trova impegnato in una crociata in terra santa e ritornerà in patria ne: 1274. Nonostante la lunga assenza dall'Inghilterra, il suo diritto alla successione non fu mai messo in discussione (4); anzi, « per la prima volta all'erede venne riconosciuta la piena legalità degli atti prima ancora della sua incoronazione: il nuovo regno fu ufficial­mente datato dal 20 novembre e non dal giorno dell'incoronazio­ne... Nel gennaio del 1273 una grande assemblea fu convocata a Westminster per far prestare il giuramento di fedeltà a re Edoar­do ai grandi del regno che non l'avevano fatto, perchè assenti, ai funerali [di Enrico] ed ai rappresentanti delle contee e dei Comuni »(5)

 

   Il regno di Edoardo I occupa un posto fondamentale nello sviluppo della costituzione inglese. Uomo dalla forte personalità, delle qualità necessarie per essere un ottimo sovrano, come in effetti fu, Edoardo si pose come primo compito, alla sua ascesa al trono, la riforma dell'amministrazione del regno. Egli si rendeva conto che il sistema feudale non corrispodeva più alle esigenze dei tempi e al corretto funzionamento di un'amministrazione cen­tralizzata. I rapporti tra stato e baroni, tra stato e chiesa, tra baroni e piccola nobiltà, andavano corretti, rivisti, razionalizzati (6).

 

In questo egli fu l'erede spirituale del gran ribelle della Guerra dei Baroni (1258-1265), Simone de Montfort, di cui era nipote e figlioccio.

 

   Edoardo fu il primo sovrano inglese che iniziò un'attività legislativa che non fosse limitata alla trascrizione o promulgazione della consuetudine, ma fosse l'attività cosciente di un legislatore che intendeva modificare o regolamentare la nuova realtà sociale con un atto di volontà espresso dalla comunità su cui quell'atto ricadeva. In questo senso egli fece del parlamento la seconda fonte del diritto: il diritto scritto.

 

  «Per l'uomo medievale il diritto non era qualcosa che poteva essere foggiata, ma era un insieme di consuetudini che dovevano essere definite, affermate, promulgate ed applicate, poichè si pensava che fossero basate su principi che andavano al di là dell'uomo » (7). L'uomo poteva soltanto trascriverle ed interpretarle e questo era quanto si ora incominciata a fare nei tribunali e nelle assisi a partire da Enrico II, il codificatore del diritto consuetudi­nario.

 

  Ma molto spesso questo diritto si dimostrava insufficiente a soddisfare tutte le richieste di giustizia che si presentavano nei tribunali. Lo stesso Enrico II, come Enrico III e persino Edoardo I si erano trovati costretti a modificarlo « con istruzioni impartite ai giudici, ma questa prassi non poteva essere mantenuta indefiniti­vamente. Il diritto scritto è la conseguenza del necessario bisogno di emendare il corpo delle leggi per iscritto, in una forma accessi­bile per il pubblico »(8). Tuttavia, in Europa « gli statuti di Edoardo I non erano assolutamente un fenomeno... La stessa cosa avveniva ìn Aragona, Castiglia, Sicilia (9) e, in qualche misura, anche in Francia. Una grande attività legislativa stava percorrendo l'Euro­pa » (10).

 

  Nell'arco di quindici anni (1275-1290) fu approvata dal parla­mento una serie di statuti che fece dell'Inghilterra uno stato moderno. A questi parlamenti i borghesi non furono convocati se non saltuariamente. Da documenti di recente scoperta risulta che essi furono convocati con certezza nel parlamento del 1275 e in quello del 1283. L'esempio di Simone de Montfort, pur costituendo un precedente, rimaneva al di fuori della continuità legittima delle istituzioni. Il suo parlamento, infatti, pur essendo stato convocato in nome del re, era - come abbiamo visto - un'assemblea rivoluzionaria a cui i borghesi furono convocati per rispondere ad una esigenza di natura politica: quella di coinvolgere ì Comuni alla causa del partito dì Simone che, per la defezione dì molti baroni, si era di molto indebolita. Con la loro convocazione, Simo­ne si proproneva di dare al suo tentativo di rinnovamento un più vasto consenso nel paese e una più vasta base popolare.

 

   Ma la convocazione dei Comuni non diventerà continua neanche quando essi saranno chiamati da Edoardo. Per avere la loro definitiva presenza bisognerà aspettare ancora mezzo secolo, sino a quando, cioè, sì prenderà coscienza, in via definitiva, del fatto che essi non erano semplicemente e soltanto i rappresentanti di una località (i Comuni) - come venivano considerati precedentemente - ma erano anche e soprattutto i rappresentanti dì una classe, di una nuova classe in ascesa: la borghesia.

 

  I grandi statuti di Edoardo si muovono in quattro direzioni:

1) ordine pubblico (statuto di Westmínster I e II, Distríctiones, Winchester);

2)riaffermazione dei poteri del sovrano (statuto di Gloucester, «-arronto);

3 ) aggiornamento delle leggi (statuto di Westminster II, Marlborough, Quia Emptores);

4) regolamentazione del commercio (statuto di Acton Burnell, Merchant).

 

  Lo sviluppo del diritto rappresenta una delle tre direttrici in cui Edoardo dispiega la sua azione. La seconda, quella dell'espan­sione territoriale, lo vide impegnato a combattere su tre diversi fronti: contro il Galles, che conquista definitivamente; contro la Scozia, che riuscirà, dopo dure lotte e alterne vicende, a conserva­re la sua indipendenza, e contro la Francia per la conquista di alcuni possedimenti perduti dai suoi avi. La terza, infine, è quella dello sviluppo del parlamento.

 

   Ma mentre nelle prime due egli agiva sulla base di un disegno politico preciso, in quella dello sviluppo del parlamento agiva secondo le necessità del momento e non sempre si rendeva conto di quali conseguenze erano gravide le concessioni che egli faceva alla comunità che esso ormai rappre­sentava.

     Sotto Edoardo il parlamento continua a svolgere le funzioni ed i compiti ad esso tradizionali (fiscali, politici e giurisdizionali) ma con più ampi scopi e maggiore determinazione. La funzione politi­ca, con la partecipazione più o meno regolare dei borghesi, assu­merà un significato e una dimensione nuova rispetto al passato.

 

« Edoardo I fece diventare consuetudine un espediente occa­sionale, non per associare tutta la nazione al governo del regno, ma per rafforzare il potere reale. Egli convocò i rappresentanti dei Comuni quando gli sembrò che ciò favoriva i suoi interessi; e spesso i problemi più importanti furono discussi senza di loro. Se alla fine li convocò quasi regolarmente fu perchè egli percepì che il preventivo consenso della piccola nobiltà e dei borghesi facilita­va in modo notevole la raccolta dei tributi e metteva persino il governo nella condizione di raccogliere di più di quanto sarebbe stato altrimenti possibile senza il loro consenso.

 

« Un'altra ragione era che le petizioni, attraverso le quali i rappresentanti della comunità lo supplicavano di riparare i torti e le ingiustizie che non ricadevano sotto 1'imperio della legge ordi­naria, gli davano un'esatta informazione sulla condizione del paese e lo mettevano in condizione di far sentire a tutti la potenza del braccio reale.

 

« Ogni abuso di potere da parte dei grandi baroni, ogni ingiu­stizia dei funzionari pubblici, ogni invasione dei diritti reali veniva denunciata davanti alla corte del re; e così le sessioni, in cui erano rappresentate tutte le classi, continuavano le grandi inchie­ste dell'inizio del regno normanno.

 

« Infine, le assemblee dei rappresentanti delle contee e dei Comuni realizzavano una delle idee fondamentali della politica di Edoardo. In parlamento, come egli lo formò, la vecchia distinzione feudale tra signore e vassallo fu abolita completamente. Il re aveva davanti a sè soltanto sudditi. Nonostante la sua forma feudale, la convocazione dei Comuni fu essenzialmente una misura antifeudale, il cui obiettivo era quello di rafforzare il potere centrale e di sottomettere tutti gli abitanti del regno, non importa quale gradino occupassero nella gerarchia feudale, alla diretta autorità del monarca...

 

« Ma il piano di Edoardo non riuscì: o piuttosto esso riuscì solo in parte. L'assemblea dei rappresentanti delle contee e dei Comuni riuscì a distruggere rapidamente il sistema feudale. Ma questo non si risolse in un rafforzamento del potere reale, come Edoardo sperava » (11).

 

    La funzione giurisdizionale, che vedeva il parlamento impe­gnato come corte di giustizia, incomincia a trasformarsi - attra­verso la consuetudine delle petizioni - in funzione legislativa con potere di iniziativa. In questa seconda funzione risiede una delle condizioni essenziali che resero possibile lo sviluppo del parlamen­to inglese nella forma in cui lo conosciamo. Senza di essa molto difficilmente esso si sarebbe sviluppato in assemblea legislativa.

 

 « Si afferma che le fondamenta del parlamento sono dì natura finanziaria e che il suo sviluppo fu dovuto alle necessità del re e al controllo parlamentare della borsa nazionale. Nessuno negherà che l'aspetto fiscale e finanziario abbiamo svolto un ruolo ìmpor­tante nello sviluppo delle istituzioni rappresentative; ma ci sono due ragioni che ci fanno affermare che l'aspetto fiscale e finan­ziario non fu l'unico fattore nella nascita e sviluppo del parlamen­to inglese... In molti dei parlamenti di Edoardo Il, se non anche di Edoardo III, non fu richiesto alcun aiuto finanziario, nè ne fu concesso alcuno. le frequenti convocazioni del parlamento non fuono tanto richieste dalla Corona quanto dai sudditi.

 

« Furono i baroni che nel 1258 chiesero che il parlamento fosse convocato tre volte all'anno; furono i Lords Ordinatori che insi­stettero affinchè si tenessero una o più sessioni all'anno; e furono borghesi che sotto Edoardo III lo reclamavano. Non possiamo credere che i baroni e i borghesi volessero andare a Westminster per essere tassati tre volte o anche una volta all'anno.

 

 “”Se fosse stato per la tassazione essi avrebbero rinunciato volentieri al suo controllo se ciò avesse consentito loro di evitarla. Se essi volevano che si tenessero dei parlamenti era per la giustizia che in quella sede si dispensava e non per la tassazione che vi veniva imposta.

 

  « I fattori rappresentativi e finanziari erano strettamente con­nessi con una corte di giustizia; e fu questa unione che diede al parlamento inglese la sua forza. La sua assenza, la separazione tra il parlement (12) francese e gli stati [generali], fu fatale all'ordi­nato sviluppo costituzionale in Francia » (13)

 

   Nella funzione fiscale, infine, il parlamento porrà le basi per il suo esclusivo controllo.

Il parlamento del 1275 è importante non solo perchè esso approvò alcuni statuti fondamentali, di cui abbiamo già parlato, o per il fatto che, per la prima volta dopo l'esperienza di Simone de Montfort, vi furono convocati i borghesi, ma anche e soprattutto perchè esso costituisce un precedente importante nella lunga mar­cia per il controllo parlamentare sulla tassazione indiretta (la lotta per la tassazione diretta, come abbiamo visto, era iniziata con la Magna Charta).

 

  Con la Magna Charta, il re aveva rinunciato ad imporre le tasse dirette senza il consenso del Gran Consiglio. Rinuncia che verrà poi riconfermata - ma quasi mai rispettata - con le varie riconferme della Charta che si ebbero nel corso del secolo. Della tassazione indiretta, nella stesura della Charta, non si parla che evasivamente all'art. 13. In questo articolo, infatti, si riconoscono alla città di Londra e agli altri Comuni « le antiche libertà e la franchìglia daziale ».

 

   Per antica consuetudine feudale, il signore aveva la facoltà di imporre taglie « a piacimento »  all'interno del proprio feudo. Il re, come gli altri feudatari, godeva di questo diritto nei domini sotto la sua diretta amministrazione (15). Molto spesso, però, i sovra­ni concedevano alle comunità più importanti delle franchigie in cambio di un contributo una tantum oppure annuale. La Magna Charta non faceva altro che riconoscere queste franchigie alla città di Londra e le estendeva ad alcune comunità minori.

 

   La tassazione sulle attività commerciali era e rimaneva una prerogativa regia. Ma, nel parlamento del 1275, Edoardo rinunciò a questo « suo diritto prerogativo di imporre la tassazione indiretta sul commercio e fissò il dazio sulla lana e sul cuoio col consenso dei rappresentanti dei Comuni. Un errore che egli ed i suoi successori dovevano rimpiangere e che invano cercheranno di eliminare » (16).

 

 Sotto Edoardo il parlamento divenne uno strumento di cui il re molto spesso si serviva per ottenere il consenso e il sostegno (non sempre e non necessariamente di natura materiale) della nazione alla sua politica dì potenza. Edoardo si rendeva conto che la sua posizione diventava più forte quando aveva dietro di sé tutto il paese e questo consenso gli era necessario per realizzare la sua ambiziosa politica di espansione nell'isola e all'estero.

 

 Il Model Parliament del 1295 fu convocato con questo spirito. Edoardo era impegnato nella lotta contro i francesi per la riconquista dei possedimenti perduti e, nello stesso tempo, aveva intrapreso una camnpagna contro la Scozia, mentre la campagna del Galles si era appena conclusa vittoriosamente.

 

    Al Parlamento Modello furono convocate tutte le classi sociali allora importanti. Ed esse si riunirono separatamente in tre as­semblee distinte: i nobili, a cui si unì la piccola nobiltà o cavalie­ri, l'alto clero - feudatario del re - assieme al basso clero, per la prima volta convocato a sedere in parlamento; e la borghesia. Le tre assemblee votarono separatamente.

 

  Questo tipo di assemblea parlamentare non costituiva una novità per l'Europa di quell'epoca. Abbiamo visto che in Spagna essa si era realizzata più di un secolo prima; in Sicilia quasi sessanta anni prima e in Francia sarebbe stata convocata - col nome di Stati Generali - da Filippo IV, il Bello, nel 1302.

 

  Quello che renderà il Parlamento Modello il punto di partenza del moderno sistema parlamentare bicamerale è l'evoluzione della sua struttura sociale. In Inghilterra si faceva netta distinzione tra alta nobiltà - i grandi feudatari, i conti ed i grandi baroni - che veniva convocata al parlamento per mezzo di un decreto personale e diretto, e la piccola nobiltà - i barones minores - che veniva convocata con decreto generale attraverso lo sceriffo. Anche il clero veniva distinto in basso clero e alto clero, feudatario del re o grande ufficiale della corona, che a questo titolo veniva convo­cato al parlamento per mezzo di decreto personale e diretto e, quindi, era assimilabile all'alta nobiltà.

 

  La divisione del Model Parliament in tre stati non trovava giu­stificazione nella struttura sociale del paese. « Infatti, la più impor­tante caratteristica della società inglese del primo medioevo è la confusione delle classi » (17). La piccola nobiltà era molto più vicina alla borghesia che non all'alta nobiltà. L'alto clero era strettamen­te legato ai grandi baroni, insieme ai quali costituiva la struttura portante di tutta l'amministrazione del regno. Il basso clero, infi­ne, sentiva di fare parte a sè e mal sopportava la sua presenza in parlamento: successivamente otterrà di votare le tasse in una propria assemblea, detta Convocazione (18).

 

    Lo stesso sistema di convocazione reale metteva in evidenza questa realtà del paese. Il decreto personale e diretto della coro­na, tramite il quale la grande nobiltà e l'alto clero venivano con­vocati al parlamento, stava. a significare che il destinatario era un « pari » del regno ed apparteneva a quella ristrettissima cer­chia di Lords temporali o spirituali che nel XIV secolo si costituirà in Camera dei Lords. L'uscita del basso clero dal parlamento facilitò questa evoluzione.

 

    La piccola nobiltà e la borghesia, invece, venivano convocati attraverso un decreto generale che ingiungeva agli sceriffi di inviare al parlamento due « discreti cavalieri » della contea e due « borghesi » di ogni singolo comune esistente nella loro giurisdizio­ne.

«Se mai ci fu una classe di nobili in Inghilterra, essa fu tagliata in due, senza cerimonie, dai monarchi inglesi: la parte più piccola fu convocata alla Camera dei Lords, mentre la parte più grande fu relegata - nelle persone dei cavalieri - col terzo stato, nella Camera dei Comuni. Poichè i cavalieri erano baroni, i barones minores che, in base alla Magna Charta, venivano convo­cati al Gran Consiglia per mezzo di un decreto generale indirizzato allo sceriffo e non attraverso un decreto indirizzato al singolo barone.

 

  « Meno che mai la Camera dei Comuni può essere considerata la rappresentante del terzo stato. Essa non è una semplice as­semblea di borghesi sul modello del vecchio terzo stato francese. Il suo elemento più importante e turbolento nel medioevo è costi­tuito dai cavalieri, i barones minores o chivalers, come sono chiamati, ì quali erano feudatari della corona, che spesso si autodefinivano "nobili" e che, in base alla teoria degli stati, appartenevano al secondo e non al terzo stato.

« Fu il loro amalgamarsi con i rappresentanti dei Comuni che diede alla Camera dei Comuni la sua particolare forza nel medioe­o e la rese unica traa le istituzioni rappresentative » (19).

 

« Gli anni immediatamente successivi al 1295 videro una serie di grandi crisi, politiche, militari, finanziari ed ecclesiastiche. Per poter continuare le sue numerose guerre, Edoardo I aveva bisogno di grandi mezzi finanziari che egli raccoglieva imponendo a tutte le classi, laiche ed ecclesiastiche, tributi arbitrari.

« Il clero cercò, invano, di sfuggire citando la bolla di Bonifa­cio VIII, clericos laicos (24 febbraio 1296), che gli proibiva in modo assoluto, sotto pena di scomunica, il pagamento di qualsiasi tassa al potere laico sui redditi della chiesa...

« .., i mercanti erano ugualmente risentiti a causa delle pesan­ti imposizioni sull'esportazione della lana che veniva in parte confiscata... anche i baroni erano risentiti a causa dell'atteggia­mento provocatorio del re che violava apertamente le clausole del­la Magna Charta e della Charta delle Foreste, che si era sempre rifiutato di confermare » (20).

 

   La crisi sfociò in aperto conflitto nel parlamento del 1297, quando i baroni, stanchi dei metodi dittatoriali del re, che nel frattempo si era fatto votare da un'assemblea irregolare (21) gli « aiuti » finanziari richiesti, fanno ricorso alle armi e gli strappano la riconferma delle Carte concesse dai suoi predecessori (Magna Charta e Charta delle Foreste) con l'aggiunta di nuovi articoli.

 

   Questi nuovi articoli, che alcuni ritengono abbiano fatto parte di uno statuto a parte, approvato insieme alla riconferma delle Carte, stabilivano, tra l'altro, che: «Nessuna taglia o contributo sarà imposto o riscosso da noi e dai nostri successori, nel nostro regno, senza la volontà e l'assenso comune degli arcivescovi, vescovi ed altri prelati, conti, baroni, uomini d'arme, borghesi ed altri liberi cittadini del nostro regno » (art. 1) e che « nulla sarà prelevato sui sacchi di lana a titolo di mal tolto o a qualsiasi titolo » (art. 3) .

 

« Questi articoli sono la somma dei vantaggi acqusiiti al termine di una lotta di ottantadue anni e, nella lettera, essi ammor­tarono a poco più di una re-introduzione delle clausole omesse dal­la Magna Charta di Giovanni (23). Ma in realtà essi stanno a quelle clausole nella stessa relazione tra la sostanza e la forma, tra la attuazione e la promessa. Poichè il consenso della nazione del 1297 non significa, come nel 1215, il consenso di un corpo cosciente della sua esistenza e dei suoi interessi, ma è incapace di far rispettare le sue richieste senza un meccanismo adeguato, la continuità dei precedenti, o un definitivo accordo sui ruoli e sulle funzioni, ma esso significa il consenso deliberato di un parlamenti formato e basato su severi principi organizzativi, convocato per mezzo di decreti distinti e per scopi distinti - un ben definito e. per quel tempo, un ben organizzato rappresentante della volontà. popolare » (24).

 

Con l'approvazione dello Statuto De Tallagìo non Concedendo si acquisisce il principio che il re non può imporre tributi e tasse senza il consenso e l'approvazione del parlamento.

 

Ma se nel 1297 la questione della tassazione diretta poteva dirsi avviata a soluzione in favore del parlamento, ben diversa­mente stavano le cose per quella indiretta. Essa rimarrà una questione aperta ancora per alcuni secoli e verrà definitivamente risolta con la guerra civile del 1640-49.

 

  Gli eventi del 1297 confermano, ancora una volta, che il par­lamento inglese cresce e si sviluppa nei momenti di tensione. La dura e fiera lotta dei baroni contro il potere del sovrano, lotta condotta in nome dei diritti della comunità, pose le basi dei primi poteri del parlamento. La dura e fiera lotta - sempre in nome della comunità - del parlamento contro la volontà egemonica del re farà del parlamento - nel XVII secolo -- l'organo sovrano nello stato. La dura e fiera lotta della comunità contro il parla­mento darà al paese - nel XIX secolo - la democrazia.

 

  Negli ultimi anni del regno, Edoardo tentò di far pendere la bilancia dalla sua parte e « quando mori (1307).., era sulla via divetare padrone assoluto dell'Inghilterra e della Scozia. Negli ultimi  anni della sua vita era giunto molto avanti nell'opera di smantellamento dell'opposizione dei baroni in patria ed era riuscito in gran parte a soffocare le braci del fuoco che Wallace aveva acceso e che Bruce tentava di ravvivare.

 

  Un abile successore avrebbe potuto distruggere la libertà costituzionale in Inghilterra e la libertà nazionale in Scozia. Il parlamneto sarebbe potuto diventare non una forza di opposizione e di critica, ma un utile  ingranaggio nel meccanismo del governo regio, come senza dubbio lo intendeva Edoardo » (35).

 

 L'Inghilterra fu salvata da questo fato dalla particolarità della sua storia che ha visto un succedersi alternato di re forti, a cui venivano strappate concessioni di valore costituzionale, e re deboli, che consentivano a quelle concessioni di consolidarsi, almeno fino alla dinastia dei Tudor. Ma anche questa dinastia non sarà in grado, nè tenterà mai, di diminuire o sopprimere i poteri del parlamento (l'esperienza di Riccardo Il insegnava) che erano,ormai, profondamente radicati nella coscienza della nazione, ma li eviterà non convocandolo (Enrico VII) e quando lo convocherà lo farà per servirsi di esso per portare avanti la propria politica (Enrico VIII). Quando gli Stuart, nel XVII secolo, tenteranno di introdurre la monarchia assoluta, sulla scia di quella francese, sarà troppo tardi e il parlamento, dopo un'aspra e cruenta lotta, si affermerà come la vera sede del potere sovrano.

 

 

 
 
Indice
Prefazione
Capitoli
1) I progenitori del Parlamento
2) L'Inghilterra normanna
3) La nascita del Parlamento
4) Il Parlamento modello
5) I poteri del Parlamento
6) Supremazia del Parlamento
7)Parlamento strumento di governo
8) Il Parlamento contro Giacomo I
9) Il Parlamento contro Carlo I
10) Il Parlamento nella guerra civile
11) La supremazia del Parlamento
12) Verso la democrazia
 

Nessuna parte di questi lavori può essere riprodotta in nessun modo o forma senza il permesso dell' Autore.
Contattando l'Autore, i manuali di storia potranno essere disponibili per farne testi per le scuole.

   
 

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