Capitolo XII
VERSO
LA DEMOCRAZIA
Garantendo, sul punto di morte, la
successione al trono alla casa di Hannover, la regina Anna aveva reso
irrevocabili le conquiste costituzionali della Gloriosa Rivoluzione. Questa
aveva stabilito che: 1) «il governo dell'Inghilterra doveva essere una
monarchia costituzionale parlamentare » (1); 2) che il centro del potere era il
parlamento; 3) che il re saliva al trono non per diritto divino, ma per scelta
del parlamento.
Ma mentre sui due primi punti le forze
presenti nel parlamento del 1714 erano concordi, sul terzo il partito tory
rimaneva attaccato al suo tradizionale principio del diritto ereditaria. Nel
1689, i tories avevano accettato la soluzione whig dell'assetto monarchico
perchè non seppero fornire una soluzione alternativa accettabile. La diffusa
convinzione che il figlio di Giacomo II non fosse legittimo aveva tacitato, sul
momento, le loro coscienze, ma col passare degli anni divenne chiaro che
l'erede era legittimo. Tuttavia, essi sarebbero rimasti fedeli alla soluzione
del 1689 se essa avesse garantito una successione al trono in linea diretta. Ma
nessuno dei tre sovrani nominati nella Legge dei Diritti (Maria, Guglielmo e
Anna) lasciò eredi diretti e questo era per loro un segno che doveva essere
ristabilita la successione legittima rappresentata dal giovane pretendente.
Negli ultimi giorni di vita della regina
Anna, essi brigarono per riportare sul trono, con un colpo di mano, l'ultimo
degli Stuart. La tempestiva azione della regina fece fallire i loro piani ed
evitò all'Inghilterra un possibile ritorno alle lotte del passato contro un re
cattolico, imbevuto della dottrina del diritto prerogative. La Rivoluzione del 1688
aveva stabilito, sovvertendo la dottrina continentale del cuis regio eius
religio che Elisabetta aveva fatta propria, che un popolo protestante doveva
avere un re protestante (anglicano, sanciva la Legge dei Diritti) e l'Inghilterra del 1714
rimaneva ferma in quella scelta. Ma i tories non erano soddisfatti.
Quando Giorgio I sale al trono, in
Inghilterra esiste un solo partito interamente costituzionale: i whigs. I
tories non nascosero, anche se non tutti, la loro avversione per la nuova
dinastia e non ritennero definitiva l'esclusione del giovane Stuart.
Questi sentimenti di ostilità dei tories
erano ben noti a Giorgio I e il suo primo atto di sovrano fu quello di nominare
un governo formato interamente dai whigs, che si erano dimostrati fedeli,
sicuri e tenaci difensori della nuova casa regnante. Ma la sola formazione di
un ministero whig non era sufficiente per garantire la stabilità della corona.
Bisognava che anche in parlamento vi fosse una maggioranza fedele, che
sostenesse la politica del nuovo governo. La vita del governo, in questo
periodo, non dipendeva dal parlamento, ma dalla corona. Anche se il parlamento
bocciava tutte le proposte legislative del governo, esso continuava a restare
in carica fintantochè aveva la fiducia del re. Ma una maggioranza parlamentare
ostile avrebbe reso impossibile qualsiasi politica e alla lunga avrebbe creato
dei contrasti il cui sbocco era imprevedibile, ma certamente avrebbe messo in
discussione la scelta dinastica. Fintantochè uno dei due partiti rimaneva fuori
del nuovo assetto costituzionale era necessario che in parlamento vi fosse una
maggioranza costituzionale e « il governo prese le misure necessarie per fare
delle elezioni del gennaio del 1715 un trionfo dei whigs » (2).
La schiacciante maggioranza whig uscita
dalle elezioni rese chiaro ai tories che la via legale e parlamentare per
mettere in discussione la dinastia non era più percorribile, almeno per il
momento, e allora « la destra del partito... decise per la guerra civile » (3)
e appoggiò un tentativo insurrezionale del giovane Pretendente Stuart.
I risultati di questo fallito tentativo
furono disastrosi per il partito tory. Alcuni dei suoi capi, quelli più
compromessi, furono processati e condannati; altri riuscirono a riparare
all'estero. La corona e il governo, rafforzati nella convinzione che i tories
rappresentavano un pericolo per la dinastia, decisero di prendere dei
provvedimenti atti a garantire alla corona un periodo di stabilizzazione per
renderla definitivamente accettata da tutti.
Il tentativo insurrezionale dell'ultimo
Stuart aveva dimostrato che il pericolo maggiore per la dinastia non era nel
paese, ma nel parlamento. «Da questa parte stavano i grandi pericoli per la
dinastia. Se la fisionomia del parlamento continuava a flottare così
rapidamente come aveva fatto nella prima decade del secolo; se la chiesa e la
nobiltà di campagna continuavano a guardare alla casa regnante con ostilità o
con profonda indifferenza, era inevitabile che il normale gioco del governo
parlamentare avrebbe portato al potere i nemici della dinastia. Se la dinastia
di Brunswick doveva continuare a regnare era assolutamente necessario fare
qualcosa per bloccare la macchina parlamentare, per prevenire che essa potesse
rispondere subitamente ad ogni mutazione dei sentimenti popolari e per
rafforzare l'influenza dell'esecutivo sulla Camera e sui collegi elettorali. Il
primo passo in questo senso fu l'Atto Settennale ' del 1716, col quale si
prolungava la vita del parlamento da tre a sette anni.
L'Atto Settennale non
modificava assolutamente i poteri del parlamento, nè apportava modifiche alla
sua struttura. La sua durata settennale, inoltre, non rendeva meno necessarie
le sue sessioni annuali: esse ormai erano una necessità alla vita dello stato.
La durata settennale serviva solo allo scopo di prolungare al potere un partito
politico, anche se « fuori del parlamento si diceva che le elezioni triennali avevano
aumentato la corruzione » (4) e quelle settennali volevano combatterla.
Per circa mezzo secolo i tories rimarranno
fuori dal potere, anche se nel frattempo avranno abbandonato la loro
tradizionale posizione ideologica sul diritto divino dei re per riconoscersi
nell'ordinamento costituzionale esistente. In vero, non passarono molti anni
dal fatidico 1715 che essi si resero conto, come affermò il loro massimo
esponente dell'epoca, Bolingbroke, che la dottrina del diritto divino « era una
legge falsa, una falsa concezione e una falsa religione » (5). Il
consolidamento «al trono di un re, nel cui titolo essi non credevano e la cui
persona non era desiderata, fece di loro... un partito aristocratico più che un
partito monarchico » (6).
Abolita ogni distinzione ideologica di fondo
tra tory e whig, l'Inghilterra si avviò verso un lungo periodo di pace politica
e sociale: « un periodo di soddisfazione materiale e indifferenza politica. Non
c'erano acute differenze di principi che dividessero i combattenti gli uni
dagli altri nell'arena politica o li dividessero in due campi separati e
distinti... Durante il periodo di consolidamento sotto Walpole e in quello dei
piccoli intrighi sotto i suoi successori, l'indifferenza politica divenne
quasi una virtù» (8).
Il potere politico era saldamente nelle mani
dell'aristocrazia terriera e della grassa borghesia agraria e mercantile: le
classi che nel 1688 stipularono la grande alleanza per rendere vittoriosa la Gloriosa Rivoluzione.
Il parlamento rispecchiava fedelmente la nuova realtà politica della nazione.
Nella Camera bassa i rappresentanti dei comuni non erano più i piccoli
artigiani ed i piccoli mercanti del periodo medievale. Questi, già dal periodo
Tudor, avevano ceduto volontariamente il loro posto alla piccola nobiltà e
alle classi professionali: « di conseguenza non c'era più una distinzione
sociale tra i cavalieri della contea e i borghesi dei comuni » (9). Ma quello
che era stato un ritiro volontario nel periodo Tudor, dopo la Rivoluzione divenne
un'esclusione sanzionata dalla legge, anche se non fu molto avvertita. La
piccola borghesia non aveva ancora
maturato alcuna coscienza politica. Era gente pratica che badava ai propri
affari e non aveva molto tempo da dedicare ad altre attività non direttamente
produttive.
La rivoluzione era stata voluta ed era
stata vinta dai proprietari terrieri di fede
anglicana che erano
divenuti la classe dominante del paese (10) e la borghesia minuta era
indifferente al fatto che questa nuova classe dominante esercitasse il potere
politico.
Nel 1710 fu approvata una legge che sanzionò
ufficialmente la supremazia dell'aristocrazia terriera e della grande borghesia
agraria, sua alleata. In base a questa legge i deputati dovevano essere
proprietari terrieri con una rendita annua di 600 sterline (11)
Questa legge, anche se all’epoca non suscitò
alcuna opposizione da parte degli esclusi, doveva dimostrarsi gravida di conseguenze
quando, a partire dal 1770, la piccola e media borghesia - che nel frattemo
avranno preso coscienza del loro ruolo - incominceranno a bussare alle porte
del potere.
In base al sistema elettorale vigente, la
borghesia minuta godeva del diritto all'elettorato attivo, ma - con la legge
del 1710 veniva defraudata dell'elettorato passivo che teoricamente aveva
conservato sin dal medioevo, anche se ormai non l’esercitava
Completamente da quasi un
secolo. Anche se « esistevano espedienti ben sperimentati per eludere i
requisiti di legge » (12), per riacquistare il diritto all'elettorato passivo,
nell’elezione del parlamento, comuni dovranno aspettare fino al 1858.
Agli inizi del XVIII secolo l'elettorato
passivo era il diritto di una ristrettissima cerchia di cittadini. Esso non era
limitato solo dal ceto sociale e dal censo, ma anche dalla fede religiosa. Il
principio di tolleranza religiosa, faticosamente eleborato dal parlamento del
1689, negli ultimi anni del regno di Anna venne messo in discussione dal
governo tory e furono approvati alcune leggi che lo restrinsero ulteriormente.
Ai dissidenti fu esclusa qualsiaze partecipazione al potere amministrativo
(13).
Una legge del 1711, Occasional Conformity
Act, chiuse loro l'unica strada che avevano per partecipare al potere locale:
quella di prendere la comunione anglicana una volta all'anno (14). Per i
dissidenti la tolleranza non si spinse oltre la libertà di culto che potevano
praticare pubblicamente. Ai cattolici fu negato anche questo. All'ascesa al
trono della casa di Hannover si verificò una certa liberalizzazione per i dissidenti.
I whigs, di cui i dissidenti erano storicamente alleati, nel 1720 abrogarono la Occasional Conformity
Act e a partire dal 1727 fecero approvare dal parlamento una legge annuale di
indennità, con la quale si consentiva loro di partecipare al governo locale
senza incorrere nelle sanzioni previste dalle leggi penale. Per avere la loro
completa emancipazione politica bisogna aspettare fino al 1828, quando saranno
abrogati il Test Act e il Corporation Act. L'emancipazione politica dei
cattolici avverrà nel 1829 con l'approvazione del Roman Catholic Emancipation
Act.
Quando Giorgio I sale al
trono egli è un principe tedesco che conosce poco il paese su cui è stato
chiamato a regnare. Non ne conosce neanche la lingua. Con i suoi ministri è
costretto a comunicare in francese, quando questi lo conoscono, altrimenti la
conversazione deve avvenire in latino, la lingua internazionale dell'epoca. Ma
anche in questa lingua la comunicazione è difficile: le differenze di
pronuncia, le inflessioni nazionali e la sua non perfetta conoscenza rendono
penoso il colloquio. I suoi vincoli con il minuscolo principato di Hannover
sono e rimarranno sempre più forti di quelli che egli sente per l'Inghilterra,
i cui problemi gli sono estranei e la cui politica gli è indifferente. Questa «
sua indifferenza alla politica inglese ebbe due grandi effetti - uno
temporaneo, l'altro permanente. Quello temporaneo fece dei whigs il partito
predominante in Inghilterra; quello permanente doveva ridurre ulterioramente il
potere della corona, già diminuito dalla Rivoluzione » (15).
I whigs rimasero al potere ininterrottamente
fino al 1762. In
tutto questo periodo la loro supremazia fu incontrastata. Il partito tory,
dopo gli eventi del 1715, conobbe un periodo di declino. La sua partecipazione
all'insurrezione giacobita lo aveva discreditato nel paese (l6). Quando
incominciò a riemergere come partito e si riconobbe nell'assetto costituzionale
esistente, non ebbe mai la forza di contrastare l'egemonia whig. Le simpatie di
Giorgio I e Giorgio II rimasero sempre con il partito che aveva voluto la loro
successione al trono d'Inghilterra, che l'aveva garantita nel momento del
pericolo e che ora lavorava per renderla definitivamente accettata da tutti.
Il mutato atteggiamento dei tories verso la
corona aveva fatto diminuire i pericoli per la nuova dinastia, ma non li aveva
fatti scomparire del tutto. Nel paese esisteva ancora un'agguerrita minoranzaa
giacobita che non demorderà fino al 1745, quando, per l'ultima volta, tenterà
di portare sul trono l'ultimo Stuart. Solo dopo questa data la casa di
Brunswick potrà considerarsi definitivamente consolidata nel suo diritto al
possesso della corona inglese.
Il predominio di un solo partito non aveva
evitato che in parlamento si creasse un'area di consenso per il governo e una
di opposizione. Lo spartiacque tra maggioranza ed opposizione, tuttavia, non
correva assolutamente lungo una linea di partito, ma lungo un sottile e
complicato gioco di potere in cui erano interessati tutti gli esponenti più
noti del partito predominante.
Fintanto che la dinastia era stata in grave
pericolo, il partito whig si era dimostrato unito e compatto sulla linea
politica monarchica, ma non appena la crisi del 1715 fu superata esso si
divise in tante fazioni in concorrenza tra di loro nella ricerca del potere. «
Tutti i whigs volevano il potere, ma essi non potevano averlo tutti allo stesso
tempo. Perciò ci furono due specie di whigs - quelli che governavano e quelli
che criticavano il governo. Non c'era differenza di principio tra di loro, nè
dì impostazione politica... La loro lealtà non andava ad un credo [che non
c'era], ma ad un capo di una delle grandi famiglie - un duca o un marchese»
(17), che, controllando un certo numero di collegi elettorali, controllava di
conseguenza un gruppo di deputati e questo gli dava un certo potere
contrattuale ai fni della sua partecipazione al potere o alla divisione delle
sue spoglie (18).
Quello che noi chiamiamo impropriamente
partito era nella realtà un gruppo di interesse all'interno del quale si
organizzavano cricche che dovevano essere soddisfatte nelle loro richieste per
poter contare sul loro appoggio in parlamento. Nel XVIII secolo, il partito
politico non ha alcuna coesione o identità, ma ha soltanto un labile richiamo a
sentimenti comuni su alcune scelte fondamentali (19) e alcuni comportamenti
largamente condivisi. Al di fuori di questo, l'etichetta del partito non aveva
alcun valore indicativo dì adesione ad un programma comune e ad una disciplina
comune. Il partito era una cornice entro la quale i gruppi si aggregavano per
conquistare e monopolizzare le leve dello stato a fini di potere. Le
aggregazioni, essendo basate su vincoli interpersonali, erano molto fluide. Le
maggioranze e le minoranze a cui essi davano vita in seno al parlamento erano
estremamente instabili e cangianti. La frantumazione di una maggioranza non
necessariamente portava all'opposizione tutti i gruppi o fazioni che la
componevano. Essa dava vita ad un nuovo rimescolamento di carte, per cui alcuni
gruppi dell'ex maggioranza passavano all'opposizione ed altri entravano nella
nuova maggioranza.
Solo lentamente si incominciarono a formare
maggioranze ed opposizioni su linee di partito. Sotto Giorgio I e Giorgio II
maggioranza ed opposizione si richiamavano entrambe al partito whig, ma
esisteva anche una pattuglia di opposizione che si richiamava al partito tory.
Sotto Giorgio III la situazione fu alquanto confusa nella prima parte del suo
regno: « gli amici del re », cioè la maggioranza, provenivano da entrambi i
partiti e da nessuno nello stesso tempo. Lord North, che restò in carica dal
1770 al 1782, aveva un lontano passato tory, ma nel presente era solo il
ministro del re, come del resto gli altri suoi colleghi. Questo fu un periodo
in cui il re tenne lontane dal potere le grandi famiglie whig che avevano
dominato la scena sotto i suoi antenati. Ma a partire dal 1784, quando Wiliam Pitt junior dette vita ad
un rinnovato partito tory, tra maggioranza ed opposizione si stabilì una demarcazione
di partito che poi resterà costante.
Da questo periodo i due partiti
incominciarono ad assumere soltanto fisionomie ben precise. I tory di Pitt si
richiamavano alla piccola nobiltà di campagna, alle classi mercantili e alla
burocrazia statale. I whigs di Fox, invece, si richiamavano agli interessi dei
dissidenti e della sorgente classe industriale e si battevano per la riforma dello stato (riforma elettorale e del
parlamento) e per le riforme sociali. In altre parole, i primi si richiamavano
alla tradizione ed erano quindi conservatori, mentre i secondi erano molto più
sensibili alle mutazioni dei tempi ed erano perciò progressisti.
Il Primo ministro veniva nominato non in
base alla sua appartenenza di partito, anche se questa contava qualcosa, ma in
base al favore che godeva presso il re. Una volta nominato, egli doveva
costituirsi una maggioranza, anche se questa non era una condizione essenziale
affinchè egli rimanesse in carica. La responsabilità politica dei ministri
verso il parlamento era di là da venire.
« Prima del 1830 non esiste un esempio di un
ministro che si dimette perchè è stato sconfitto su un disegno di legge o su
una misura finanziaria » (20). Teoricamente, ma solo teoricamente, i ministri
erano responsabili verso la corona che li aveva nominati e
conservavano l'incarico
finchè ne godevano la fiducia. Ma di fatto, un contrasto lungo e profondo tra
governo e parlamento, come dimostrerà la storia successiva, si sarebbe risolto
a favore di quest'ultimo che teneva il potere reale nel paese. « Nessun governo
che desiderava restare in carica ed evitare quella che Giorgio III chiamò
"la completa stagnazione dell'Attività Pubblica" poteva permettersi
il lusso di trascurare il problema di esercitare il proprio controllo sulla
Camera dei Comuni. Per questo motivo primi ministri come Walpole, Pelham, North
e Pitt rimasero nei Comuni » (21).
Nell'ambito del parlamento la Camera bassa era « più
potente e più autorevole, ma non era emancipata. La sua posizione più elevata
era mantenuta a certe condizioni, con un compromesso con la Camera dei Lords. I Lords
non erano contrari all'aumentato prestigio ed autorità della Camera bassa
fintantochè essi riuscivano a determinare la sua composizione » (22)
attraverso le elezioni. « Di conseguenza, la politica divenne il processo per
avere il controllo delle elezioni e stabilire la propriaa influenza su un
numero sufficiente di parlamentari indipendenti in modo da assicurare una
maggioranza alla corona » (23). Tutte le leve del potere venivano usate per
influire sulle elezioni. I posti di sottogoverno, come li chiameremmo oggi; le
prebende pubbliche; gli appalti di stato; il clientelismo; la corruzione; i
fondi del servizio segreto: tutto veniva usato allo scopo. « Fu l'epoca del
burattinaio, la cui tenica fu inventata da Sir Robert Walpole, fu sviluppata
dal duca di Newcastle e messa in pratica da Giorgio III » (24).
L'aggregazione della maggioranza in
parlamento non avveniva su un programma di governo concordato ed accettato.
Essa avveniva assicurandosi il voto dei deputati con vari mezzi: la corruzione,
il clientelismo e il patrocinio reale. Walpole riuscì a restare in carica per
di più di vent'anni perchè era insuperabile nella capacità di formare una
maggioranza. Quando Giorgio II salì al trono (1727) avrebbe voluto fare a meno
dei suoi servigi, ma - a quell'epoca - in tutto il parlamento non esisteva un
altro uomo politico che sapesse aggregare una maggioranza attorno ad un
governo. Walpole si era reso conto che « il potere politico era tutto nella
Camera dei Comuni; e il potere nella Camera dipendeva dai voti; i partiti o le
persone che volevano il potere dovevano comprare voti al mercato pubblico »
(25)
Il sistema elettorale in vigore era ancora
quello uscito dal XV secolo. Esso, come abbiamo visto, aveva due livelli: la
contea e il potente borgo. Nella contea il diritto elettorale era esercitato da
tutti i proprietari diretti con una rendita annua di quaranta scellini. Questi
collegi di contea erano sotto l'influenza diretta dell'aristocrazia terriera
che spesso, per evitare le spese e l'incertezza di una competizione elettorale,
preferiva spartirsi la posta in palio, nominando un deputato per ciascuno dei
due partiti. Il peso elettorale delle contee, tuttavia, era limitato. Esse
contribuivano a fornire solo un quarto dei membri della Camera bassa, ma erano
meno soggette alla corruzione.
La realtà elettorale dei borghi era
infinitamente più complessa. Mentre nelle contee i deputati venivano eletti
nell'assemblea di contea, nei borghi esistevano cinque tipi di collegi
elettorali divisi in due grandi categorie: collegio chiuso e collegio aperto.
Erano collegi aperti: 1) quelli in cui il diritto elettorale era esercitato da
tutti coloro i quali dimostravano di avere un tetto proprio e di non essere
nell'elenco dei poveri; 2) quelli in cui il diritto elettorale era esercitato
da tutti coloro che pagavano le tasse locali; 3) quelli in cui « praticamente
vigeva il suffragio universale» (26).
Erano, invece, collegi chiusi: 1) quelli in
cui il diritto elettorale era esercitato dalla corporazione che governava il
comune (Corporation borough) ; 2) quelli in cui il diritto elettorale era
legato ad un pezzo di terra o ad alcuni edifici (Burgage borough). I borghi erano la parte più marcia
del sistema politico inglese. La distribuzione dei seggi era diventata un
anacronismo che sopravviveva a se stesso: il metodo elettorale « era fonte di
assurdità elettorale e di corruzione » (27).
La distribuzione dei collegi elettorali corrispondeva
alla distribuzione del corpo sociale sul territorio nazionale nel XVI secolo,
ma - già a partire dalla metà del XVII - essa era fuori dalla realtà. I borghi,
che avevano conservato il diritto di mandare due deputati al parlamento,
avevano subito una notevole modificazione. Molti di essi si erano
completamente spopolati per il trasferimento della popolazione; in altri la
popolazione si era ridotta a poche decine di persone. Mentre in altre zone del
paese erano intanto sorti nuovi borghi che - in base alle leggi elettorali
esistenti - non godevano del diritto di mandare i propri rappresentati in parlamento. IL
diritto ad una propria rappresentanza elettorale, infatti, non era legato alla
consistenza della popolazione o alla popolazione tout court, ma era
strettamente legato alla località che, tramite decreto reale inviato allo
sceriffo, veniva invitata a mandare due rappresentanti al parlamento nazionale.
Fino ad Edoardo VI, la tendenza fu di
aumentare il numero di comuni rappresentati in parlamento per dare spazio ai
cadetti dei nobili ed alle classi professionali che premevano per entrare nella
politica attiva, nella prospettiva di un avanzamento personale nell'unica
carriera che prometteva larghe possibilità per queste classi. Ma, a partire da
Elisabetta, la tendenza si invertì. Questa sovrana, infatti, si rifiutò di
firmare nuovi decreti e si proponeva di revocarlo ad alcuni borghi ormai
spopolati, ma non se ne fece niente. Giacomo I, nel 1604, diede istruzioni agli
sceriffi di non mandare deputati da quei borghi ormai in disfacimento. Oliviero
Cromwell, con la costituzione scritta Instrument of Government (Strumento di
Governo), aveva riconosciuto l'evidente discrasia tra il sistema vigente e la
realtà del paese e propose un sistema elettorale con una distribuzione dei
seggi più aderente alla distribuzione della popolazione. La Restaurazione bloccò
questo tentativo rinnovatore e fece ritorno al vecchio sistema,
cristallizzandolo. I borghi che nel passato avevano ricevuto il decreto reale
avrebbero continuato a mandare deputati al parlamento e si bloccò l'emissione
di nuovi decreti.
Questo stato di cose creò forti disparità
nella rappresentanza nel XVI secolo. Città popolose, ma di nuova origine, non
venivano rappresentate in parlamento, mentre località deserte, o quasi,
mandavano due deputati a Westminster. La lotta politica si basava proprio su
questa realtà. Chi voleva creare una maggioranza in parlamento doveva
stabilire una qualche « influenza » sui borghi e sui deputati indipendenti che controllavano
autonomamente il borgo o la contea che li eleggeva. I borghi più esposti all'«
influenza » dei grandi magnati che sedevano
nella Camera alta o del governo erano proprio
quelli in cui vigeva il collegio elettorale chiuso: burgage borough o
corporation borough.
Nel primo, il diritto elettorale ricadeva su
alcuni edifici o terreni che un tempo erano al centro di una fiorente comunità,
ma che ora erano quasi completamente deserte. Il proprietario di quei luoghi,
di conseguenza, divenne proprietario del diritto ad eleggere, ma sarebbe più
giusto dire di nominare due deputati (28). Che il diritto alla rappresentanza
parlamentare fosse diventato una proprietà privata, come qualsiasi altra
proprietà, era una cosa che non scandalizzava nessuno, anzi era considerata una
cosa assolutamente naturale e di essa si faceva libero commercio nel XVIII
secolo.
Nel secondo, il diritto elettorale era
esercitato dalla corporanon che governava il comune. Molto spesso, però, la
corporazione vendeva questo suo diritto al maggiore offerente. Altre volte
il diritto veniva ceduto ad un « patrono
» che, « in cambio, doveva proteggere l'amministrazione civica, prendersi cura
degli interessi della città e addossarsi le spese pubbliche, da quelle per
la costruzione e manutenzione degli
edifici a quella per i festeggiamenti nelle feste nazionali. Il
"patrono" poteva così parlare del "suo borgo" » (29).
Gli altri borghi - quelli in cui vigeva il
sistema del collegio aperto - erano anch'essi soggetti all'« influenza » di
qualche « patrono », ma non tutti. Alcuni di essi erano fieri della loro
indipendenza che conservarono fino alla Legge di Riforma del 1832. Altri,
erano sotto l'influenza di qualche signorotto che non si riconosceva in nessuna
delle grandi famiglie che dominavano la scena politica del XVIII secolo, ma che
era pronto a contrattare il suo voto in parlamento di volta in volta (30).
L'indifferenza di Giorgio I verso la
politica inglese, pose involontariamente le basi per l'ulteriore crescita del
sistema di governo parlamentare con lo sviluppo del Gabinetto. Guglielmo ed
Anna avevano presieduto di persona « quell'organo ristretto di consiglieri che
noi chiamiamo il gabinetto... le loro opinioni ed i loro desìderi personali..,
costituivano un fattore importante nella discussione che seguiva e sulle
decisioni finali » (31), ma Giorgio I è nell'impossibilità pratica di
parteciparvi attivamente. La sua « difficoltà a capire la lingua rese la sua
presenza... inutile e noiosa. Egli non prese più parte a queste riunioni a
partire dal 1717 e il suo esempio è stato costantemente seguito come
consuetudine consolidata »(32).
L'assenza della corona dalle riunioni del
Gabinetto ebbe degli effetti importanti nello sviluppo delle istituzioni
parlamentari. Essa consentì ìl sorgere della figura del Primo ministro e il
consolidamento e lo sviluppo del Gabinetto stesso, come organo esecutivo
peculiare del sistema di governo parlamentare, mentre la corona venne lentamente,
ma progressivamente, spinta nello sfondo fino a farla uscire dalla scena del
potere politico e raggiungere, così, l'ultimo traguardo della lunga lotta per
il potere tra nobiltà, corona e parlamento in Inghilterra: quello di una
monarchia che regna, ma non governa.
Sarebbe, tuttavia, fuorviante pensare che
questo obiettivo fosse il frutto di un disegno preordinato. Come tutte le
altre conquiste costituzionali del passato, esso sarà il frutto delle
circostanze, delle esigenze pragmatiche dell'epoca e delle necessità evolutive
del sistema.
Il Primo ministro nacque non perchè qualcuno
ravvisò la necessità di quest'organo e si batté per realizzarne l'istituzione,
ma perchè l'assenza del re dal consiglio dei ministri rese necessa ria la presenza di qualcuno che presiedesse
e coordinasse i lavori di quest'organo e tenesse i contatti con la corona. Sul
principio definire Primo ministro il ministro principale del Gabinetto
significava esprimere un giudizo negatvo e di condanna. Il termine era di
importazione francese e rievocava un'immagine che gli inglesi avevano sempre
respinto.
Il Premier francese, infatti, godeva di una posizione di supremazia sugli
altri ministri « che gli osservatori inglesi consideravano un sinistro
avvertimento » (33) della possibile evoluzione di questa carica. Walpole, il
primo Premier del governo parlamentare inglese, respinse sempre, e con sdegno
(34) , la definizione di Primo ministro che i suoi avversari politici tentavano
di imporgli per screditarlo presso la corte e l'opinione pubblica. In effetti
la sua posizione giuridica-costituzionale non era diversa dagli altri ministri.
Egli, come gli altri, era il ministro del re che era a capo di un settore
dell'amministrazione pubblica.
La posizione di preminenza che ben presto
acquistò sugli altri membri del governo era dovuta al fatto che godeva la
fiducia del re (la regina era la sua più potente alleata), ne era il portavoce
ed era il solo uomo politico che sapesse costruire e mantenere in vita una
maggioranza parlamentare, senza la quale era impossibile governare, anche se
teoricamente e giuridicamente il potere esecutivo era un'esclusiva prerogativa
della corona. Che poi egli usasse questa sua posizione di preminenza per far
allontanare dal Gabinetto tutti quei ministri che si dimostravano recalcitranti
ad accettare il suo ascendente era una conseguenza naturale per un uomo dalla
sua personalità. Ma, nella sua lunga gestione (1722-1742), non ebbe mai il
potere di allontanarli direttamente. Egli dovette sempre fare ricorso alla sua
abilità politica e all'aiuto della regina per far perdere loro il favore del re
e farli licenziare. « Con l'estromettere dal suo Gabinetto tutti ì colleghi che
non erano d'accordo con la sua politica o che non volevano sottostare alle sue
dìrettìve di Primo Ministro, egli fissò e pose ìn atto il contegno con cui è
finora governata la Gran
Bretagna in pace e in guerra,. Il sistema del Consiglio dei
ministri è la chiave con cui l'Inghilterra riuscì ad ottenere un'azione
efficiente di governo da parte dì un esecutivo responsabile ed unito » (35).
Ai tempi di Walpole, il Gabinetto non era
formato da un gruppo di persone omogeneo che era stato scelto perchè rappresentativo
di una politica che il re o la maggioranza parlamentare intendeva portare
avanti. A quei tempi non esisteva nulla del genere. Non c'era una politica
generale programmata della corona, ma solo delle linee molto generali di
politica estera. Non c'era un partito o gruppo parlamentare che avesse un
disegno politico a cui richiamarsi e attorno al quale raggrupparsi, ma c'era la
sola preoccupazione di conservare il potere quando lo si era conquistato.
Questo, naturalmente, non significava che il governo non avesse delle proprie
misure che intendeva portare avanti, ma esse erano misure dettate, proposte e
portate avanti dai singoli ministri e non dal Gabinetto collettivamente.
Sotto i primi hannoveriani non esisteva
niente che potesse far pensare ad una responsabilità collettiva del Gabinetto.
I ministri erano scelti e nominati individualmente dalla corona che affidava
loro la responsabilità di un settore della pubblica amministrazione. Anche se «
i ministri di Giorgio I erano tutti whig... questo non significava che il re
avesse perso il suo controllo sull'esecutivo. Essi rimanevano i ministri che
egli aveva scelto » (36). La loro responsabilità e lealtà andava verso la
corona e non verso il collettivo (il Consiglio dei ministri) alle cui riunioni
partecipavano. « Finchè ciascuno di essi era responsabile soltanto per il suo
dicastero ed era perfettamente libero di votare, parlare o intrigare contro i
suoi colleghi, era ovvio che il potere principale e più efficiente doveva
risiedere nel sovrano » (37).
Ci potevano essere delle misure concordate
dal Gabinetto nel suo insieme, ma esse non erano assolutamente la regola. La
regola era che ogni ministro portava avanti la propria politica, di cui
rispondeva al sovrano.
La responsabilità collettiva non poteva
nascere finchè i ministri erano scelti e nominati dalla corona, non in base
alle loro idee politiche, anche se appartenevano allo stesso partito, ma in
base al favore che essi godevano a corte. Solo lentamente si affermò la
responsabilità collettiva del Gabinetto. Sotto Walpole, la corona si era
ritirata volontariamente nello sfondo ed il Gabinetto conobbe una certa
autonomia decisionale ed una qualche coesione interna, voluta e mantenuta dalla
predominante personalità del Walpole. Ma, sotto i suoi successori ed eredi,
quella coesione si frantumò, anche se si conservò, per tutto il regno di
Giorgio II, quella certa autonomia decisionale.
Giorgio III iniziò una politica di recupero
del potere della corona. Per un ventennio (1762-1782), il Gabinetto fu spinto
nell'ombra da questo sovrano che volle fare la propria politica. Quando sale
al trono Giorgio III ha un proprio programma politico mutuato dal capo
dell'opposizione tory, Bolingbroke. Questo programma prevedeva l'emancipazione
della corona dallo strapotere dei partiti (in sostanza dal partito whig che
era al potere dal 1714). Il re doveva riassumere quella pienezza del potere che
sotto i primi due Giorgi era stata, de facto, esercitata dai whigs. In una
monarchia rinnovata, il re doveva esercitare direttamente il potere esecutivo
per eliminare la corruzione, il clientelismo e il patronato » delle fazioni
politiche: tutti metodi di cui si era servita l'oligarchia whig per perpetuarsi
al potere; tutti metodi che lo stesso Giorgio III dovrà usare per creare una
maggioranza ai suoi governi.
Giorgio III fu l'ultimo sovrano che impose
la sua politica al parlamento e al paese. La sua gestione diretta del potere
esecutivo, però, costò alla nazione la perdita delle colonie dell'America
settentionale, che si ribellarono contro l'arroganza politica del sovrano e la
sordità del parlamento da lui controllato e si proclamarono indipendenti col
nome di Stati Uniti d'America.
Quando egli sale al trono, tuttavia, la sua
ansia di eliminane i mali del corrotto sistema politico inglese era sincera.
Egli pensava che esercitando direttamente il potere avrebbe eliminato la lotta
delle fazioni politiche per il potere e con essa, egli credeva, avrebbe
eliminato anche la corruzione, il clientelismo e il parassitismo che erano gli
strumenti di cui essi si servivano. Ma ben presto si rese conto che per
governare bisognava avere una maggioranza in parlamento e questa non poteva
essere creata che con il sistema di « influenza » elaborato da Walpole e
perfezionato dal duca di Newcastle. Un'alternativa non esisteva, o - anzi -
l'alternativa era « la completa stagnazione della Attività Pubblica », come
egli stesso disse. La moralizzazione della vita politica e pubblica si avrà
solo quando il sistema politico, diventato maturo, acquisirà il concetto del
potere come servizio e non come fonte di arricchimento o avanzamento
personale. Ma bisogna aspettare ancora cento anni e la nascita dei grandi
partiti politici che spazzeranno via, e per sempre, l'individualismo politico
per sostituirlo con le grandi visioni dell'organizzazione della società di cui
essi saranno portatori.
Fino al 1782, i ministri del Gabinetto
furono di nome e di fatto i ministri della corona. Essi venivano « scelti, non
perchè godevano la fiducia del parlamento o del paese, ma perchè essi erano
congeniali al re ed erano disposti a fare la sua politica. Questo era il vero
obiettivo del re... Quando erano in carica ministri non dì sua scelta,
complottava e manovrava finchè li faceva cadere; e quando era riuscito a
mandare in carica i suoi amici, imponeva loro la sua politica»".
Nel 1782, dopo la vittoria delle colonie
nella guerra di indipendenza americana, l'opposizione whig, rappresentata da
Lord Rockingham e da Fox, chiese ed ottenne da Giorgio III le dimissioni dei
ministri che avevano condotto l'Inghilterra alla perdita delle colonie e la
nomina di un ministero che godesse la fiducia del parlamento. « Così, per la
prima volta nella storia inglese, i desideri del parlamento ebbero il
sopravvento sui desideri del re nella formazione di un ministero » (39). Un
primo tentativo del parlamento provocare le dimissioni di un ministero per
motivi politici era stato fatto nel 1741, quando la Camera dei Comuni presentò
una mozione che chiedeva le dimissioni di Walpole. La mozione fu sconfitta, ma
l'anno successivo Walpole si dimise perché in quell'anno era stata eletta una
maggioranza a lui non favorevole.
Il ministero Rockingham, tuttavia, restò in
carica solo pochi mesi a causa della
morte dello stesso Rockingham, per le beghe interne alla maggioranza che nel
frattempo erano insorte e per le manovre
del sovrano che diede il potere a Shelbourne, uno dei capi dell'opposizione al
potere. Ma una lotta più tenace fra Giorgio III e il parlamento ebbe luogo nel
1783, quando si coalizzarono le forze di
North (Tory) e quelle di Fox (Whig), fino ad allora tenaci rivali in campi
opposti, ed imposero al re le dimissioni di Shelbourne (sconfitto in parlamento
sopra una mozione di censura) e la costituzione di un loro ministero. Questo
ministero di coalizione non ebbe fortuna. Esso rappresentava un connubio
innaturale tra due avversari (tory e whig) di lunga tradizione.
Il paese era rimasto turbato da quest'unione
e il re ne approfittò per dare il potere al giovane Pitt e fare eleggere una
maggioranza favorevole al nuovo ministero.
Il giovane Pitt segna un momento importante nello sviluppo delle
istituzioni parlamentari inglesi. Il partito tory, da lui rifondato, rimarrà
al potere ininterrottamente fino al 1830. Sotto la sua gestione, maggioranza ed
opposizione acquisteranno quella caratteristica partitica come la conosciamo
oggi, e l'influenza della corona nella determinazione della politca del governo
diminuì. Senz'altro lo stato di salute del sovrano, con i suoi alterni periodi
di pazzia e lucidità, contribuì a favorire questa evoluzione. Comunque, « dal
1784 la linea politica era principalmente determinata dal Gabinetto »(40) e non
dal sovrano.
Alla corona rimaneva intatto, ma ancora per
poco, il diritto di scelta e di nomina dei ministri. « Prima della Legge di
Riforma era così essenziale che il capo del Gabinetto godesse la fiducia del re
che molto spesso il Capo reale del Gabinetto occupava solo un posto di
second'ordine... Fu soltanto con la fine del sistema di corruzione parlamentare
e con la formazione dei grandi partiti sulla questione della riforma
parlamentare che si può dire che si sia raggiunto il governo di Gabinetto [come
lo conosciamo oggi]. Il risultato fu che la politica generale del paese divenne
la responsabilità di un gruppo di individui scelti da uno di loro: il Primo
Ministro. Egli ha la fiducia della Camera dei Comuni e, non importa quanto
successo possano avere nei singoli ministeri, essi governano e cadono con lui »
(41)
Il primo precedente di
azione collettiva e solidale del Gabinetto fu stabilito nel 1746, quando i
ministri rassegnarono in blocco le dimissioni e « costrinsero il re a chiamare
in carica William Pitt. Nel 1763 lo stesso Pitt seguì questo precedente,
rifiutandosi di accettare l'incarico se non gli si consentiva di formare un
proprio Gabinetto... Ma il primo riconoscimento di questa responsabilità
collettiva venne nel 1782, quando il secondo ministero Rockingham ridusse il
Gabinetto a solo undici persone che occupavano i massimi posti di
responsabilità e agivano collegialmente » (42).
Fino al 1830 la corona riuscì sempre a
creare una maggioranza ai suoi ministri. Ma nelle elezioni di quell'anno la sua
« influenza subì uno scossone da cui non si riebbe più. La rivoluzione francese
del 1830 diede un grosso contributo alla formazione di una maggioranza
favorevole alla riforma parlamentare, di cui l'opposizione whig aveva fatto la
sua bandiera da oltre sessan'anni. La notizia degli avvenimenti francesi venne
nel mezzo di una campagna elettorale piuttosto surriscaldata. Le elezioni nei borghi
erano in pieno svolgimento, mentre quelli di contea non erano ancora cominciate.
« Dove l'opinione pubblica era un fattore importante nella determinazione del
voto - ed era questo il caso di alcuni collegi di contea e nella maggior parte
dei collegi aperti dei borghi - i candidati di tutti i partiti dovettero
impegnarsi a sostenere la riforma parlamentare » (43). Il re fu, quindi,
costretto a chiamare al il capo dell'opposizione whig, Grey. Da questo momento
il re non riuscirà più a controllare una maggioranza in parlamento. E questo gli
toglierà l'ultimo potere rimastogli: la scelta dei ministri.
Guglielmo IV per due
volte tenterà di formare un Gabinetto di
suo gradimento, ma tutte e due le volte trovò la fortissima opposizione della
Camera dei Comuni che non era disposta ad appoggiare un governo in cui non
aveva fiducia o che non fosse di sua espressione. La prima volta nel 1832,
quando il re propose alla Camera un ministero Wellington con la speranza di fare, fin dove era
possibile, macchina indietro sulla strada della riforma parlamentare, ma
Wellington stesso gli consigliò, dopo essere stato sconfitto alla Camera, di
richiamare al potere i whigs che avevano una schiacciante maggioranza. « Il re
non ebbe alternativa se non quella di nominare Primo Ministro Grey. In questa occasione storica la sua
libertà di scelta non esisteva; e in questo rispetto, come in altri, era
incominciata una nuova epoca » (44).
La seconda volta nel 1834, quando -
licenziati i whigs che avevano portato avanti la riforma del parlamento chiamò
al potere Sir Robert Peel. Ma « ... forse non aveva
percepito il cambiamento
che si era verificato nel baricentro del potere politico... Il suo ministro fu
battuto alle elezioni che seguirono e per la prima volta nella storia politica
inglese un ministero fu costretto a dimettersi perchè sconfitto nella
competizione elettorale. Così il principale effetto costituzionale del 1832 fu
di trasferire la scelta dei ministri, nella loro veste politica, dalla corona
alla Camera dei Comuni » (45).
Il movimento di riforma che, con alterne
vicende, doveva portare all'approvazione della Legge di Riforma del 1832 era
incominciato nella seconda metà del XVIII secolo. Il primo a farsi promotore,
ma senza successo, di una riforma elettorale e parlamentare fu William Pitt,
il vincitore della Guerra dei Sette Anni. Egli riconobbe, nel 1766, che il
borgo marcio (rotten borough) era « la piaga naturale della costituzione » e
propose, come rimedio, di dare un seggio in più alle contee, « la parte più
sana del sistema », e di abrogare l'Atto Settennale per fare ritorno ai parlamenti
triennali del passato.
I whigs, estromessi dal potere da Giorgio
III, si resero conto che erano impotenti di fronte al sistema di « influenza »
governativa sulle elezioni della Camera bassa e sul controllo dei voti in
parlamento che essi stessi avevano creato e utilizzato per quasi un
cinquantennio. Ben presto incominciarono a lamentare che il potere della
corona, sotto forma di « influenza », era « aumentato, stava aumentando e
andava limitato »(46). In parlamento incominciarono a battersi per la riforma
del sistema esistente. Essi, tuttavia, nella loro richiesta di riforma, non
andavano al di là di una limitazione dell'influenza della corona nella vita
politica del paese. Quando conquistarono il potere, nel 1782, riuscirono a far
approvare una limitata riforma economica, proposta da Burke, che eliminava i
più evidenti casi di corruzione e di clientelismo nell'elezione del parlamento,
ma la struttura dei collegi non venne toccata. Con questa mini riforma gli
appaltatori di stato ed i funzionari dell'amministrazione finanziaria furono
privati del diritto al voto; inoltre, si pose un freno al sottogoverno e si
ridusse il numero dei beneficiari di « pensioni » pubbliche (47).
La riforma economica aveva esaurito tutto il
programma di riforma dei whigs. Il prossimo tentativo fu fatto da William Pitt
il giovane. Nel 1784, egli si fece promotore di una riforma parlamentare che
prevedeva un leggero ritocco dei collegi. 36 borghi marci dovevano essere
privati del diritto di eleggere deputati alla Camera e per questa perdita
dovevano essere, però, indennizzati. A questo scopo si prevedeva lo
stanziamento di un milione di sterline. I 72 deputati dei 36 borghi, poi, dovevano
essere ridistribuiti tra le contee e le principali città che non avevano ancora
una rappresentanza parlamentare.
La proposta di indennizzare i praprieta.ri
dei borghi marci era una proposta realistica per quell'epoca. Il diritto al
voto non era un diritto soggettivo inalienabile, ma era una proprietà di cui si
poteva fare libero commercio. Molti, come abbiamo visto, compravano le
proprietà dei borghi (nei burgage borough) per comprare il diritto ad eleggere
(nominare) i due deputati che il borgo mandava a Westminster. Il realismo di
Pitt consisteva, appunto, in questo: egli sapeva che la riforma aveva una
possibilità di essere approvata solo se si offriva un adeguato indennizzo a chi
aveva investito il proprio denaro in quel diritto.
Lo schema di riforma di Pitt non passò alla
Camera perchè « i suoi stessi seguaci non vollero sentirne parlare. Burke aveva
colpito il serpente della corruzione parlamentare con il suo progetto di
riforma economica, ma nè Burke stesso, nè i suoi avversari tory volevano
arrivare ad ucciderlo riducendo il numero dei rotten boroughs. Quel rettile
prosperoso aveva ancora di fronte a sè una vita lunga e rispettata » (48).
A partire dagli anni settanta il movimento
di riforma incominciò ad uscire dai ristretti ambienti politici e parlamentari
per investire i nuovi ceti emergenti: la piccola e media borghesia urbana.
Londra divenne il centro di formazione di un'opinione pubblica che,
abbandonata l'ormai tradizionale apatia per i fatti politici, premeva per il
rinnovamento radicale del sistema elettorale. Questo rinnovato impegno per la
politica attiva portò ad una maggiore diffusione della stampa, alla formazione
di associazioni politiche, alla pubblicazione dei resoconti parlamentari e alla
nascita di un movimento radicale organizzato.
La diffusione della stampa politica era
ancora regolata dalle leggi restrittive approvate nei primi anni della
restaurazione, quando ancora era vivo, e perciò incuteva paura, il ricordo del
ruolo che giocarono i libelli prima, durante e dopo la guerra civile. La paura
del ruolo che essa avrebbe potuto esercitare nella vita politica non era ancora
scomparsa del tutto. Il governo la temeva e premeva affinchè i giudici
applicassero le leggi sulla stampa sediziosa nella speranza di reprimere il
dissenso".
Il primo a fare largo uso
della stampa e dell'opinione pubblica come forza politica fu John Wilkes, un
deputato che dopo la caduta dei whigs nel 1762 si era fatto notare per la sua
veemente opposizione al governo e per le aspre critiche rivolte alla corona.
Nel 1763 egli pubblicò, sul suo giornale North Briton, il discorso della corona
di cui era venuto in possesso prima che fosse pronunciato in parlamento. Nel
suo articolo, Wilkes contestò aspramente parecchie affermazioni di Giorgio III
e diede un giudizio completamente negativo del discorso. La sua irruenza gli
costò l'arresto e la perdita del seggio alla Camera.
Il suo arresto venne contestato nella
forma e nella sostanza. Nella forma, Wilkes sostenne con successo, esso
calpestava i diritti dei cittadini, in quanto eseguito in base ad un mandato di
cattura « generale » (50) in cui il nome dell'arrestao non figurava. Nella
sostanza esso calpestava le libertà, i privilegi e le immunità dei membri del
parlamento (e in quanto tale Wilkes fu liberato subito dopo). Nella sostanza,
ancora, esso ledeva i diritti dei cittadini alla libertà di informazione e,
quindi, di stampa. L'opinione pubblica più avvertita aveva preso coscienza che
la politica dello stato non poteva essere lasciata solo nelle mani di una
classe politica che discuteva in parlamento e custodiva gelosamente i termini e
la sostanza della discussione. Questa segretezza dei lavori parlamentari aveva
un senso e uno scopo quando il parlamento e il parlamentare dovevano essere
difesi dalle possibili interferenze esterne di un potere più vasto, come quello
della corona, limitativo della libertà di dibattito e di parola, ma non aveva
più motivo d'essere nel presente. Il parlamento era il vero centro del potere
politico, l'antagonista diretto della corona, alla quale spesso imponeva la
propria politica ed i propri governi. Al parlamentare erano riconosciute e
garantite tutte quelle immunità per le quali, nel passato, si erano combattute
aspre battaglie. E il caso Wilkes stesso era una testimonianza della validità
di queste.
Wilkes, infatti, venne arrestato insieme ad
altre 40 persone sotto l'accusa di aver violato le leggi sulla stampa
sediziosa. Gli esecutori dell'arresto, ritenuto illegale dai giudici, vennero
successivamente condannati al risarcimento dei danni.
Wilkes era stato arrestato su ordine di
Giorgio III che aveva preso il suo articolo come un insulto personale. In altri
tempi la sua condizione di parlamentare non gli avrebbe evitato la prigione e
la fine della carriera politica. Ora, invece, gli fu riconosciuta l'immunità
dagli arresti e il diritto alla libertà di critica. L'arroganza del potere di
Giorgio III nulla aveva potuto contro questi privilegi parlamentari. Quando
Wilkes sarà processato e condannato, lo sarà perchè il parlamento aveva
bollato come libello sedizioso (e come tale cadeva sotto il rigore delle leggi
sulla stampa) il numero 45 del North Briton e lo aveva espulso dal parlamento.
Giorgio III aveva raggiunto il suo scopo, ma aveva dovuto farlo tramite il
parlamento. Con un parlamento meno « influenzato », difficilmente la corona
avrebbe preso la sua vendetta contro un deputato che aveva avuto l'ardire di
dissentire, anche se violentemente, sulle linee politiche (51) che essa indicava
al parlamento e al paese.
In queste mutate condizioni era anacronistico
mantenere segreti i lavori del parlamento. L'opinione pubblica voleva essere
informata, voleva partecipare al dibattito che si svolgeva in parlamento, da
cui si sentiva ingiustamente esclusa. I reseconti parlamentari incominciarono
ad essere pubblicati regolarmente a partire dal 1772.
Fino al 1780 John Wilkes sarà una figura
dominante nella vita politica inglese. Egli sarà al centro di un diffuso
movimento di opinione pubblica che vede in lui il campione dei diritti civili e
politici.
« Nelle elezioni del 1774 Wilkes scese in
campo alla testa di un embrione di Partito radicale... » e riesce a far
eleggere « ... una dozzina di parlamentari, fatto notevole, se si considera
l'esiguo numero dei collegi di cui disponeva il suo pur largo elettorato »
(52).
Nel 1776 egli propose un suo progetto di
riforma parlamentare. Wilkes partiva dall'affermazione che lo stato esiste per
il bene dei cittadini, perciò le questioni di governo interessavano tutti gli
strati sociali (ma egli si riferiva alla piccola e media borghesia, di cui era
esponente) che devono avere uguali diritti nella conduzione della cosa
pubblica. Il suo progetto prevedeva la dissoluzione del vecchio sistema elettorale
per crearne uno su basi nuove che tenesse conto della nuova distribuzione della
popolazione sul territorio nazionale ed estendesse il diritto al voto alla
classe media.
Nel contempo il movimento di riforma si
arricchiva con il sorgere delle prime associazioni politiche. Le prima fu la Società per la difesa
della Legge sui Diritti, fondato da Cartwright « che sebbene effimera, fu la
prima di una lunga serie dalla quale alla fine emersero i partiti politici
della classe operaia » (53).
La Società per la difesa della Legge sui Diritti
aveva un programma che oggi definiremmo radicale. « Cartwright chiedeva
parlamenti annuali, diritto di voto per tutti gli adulti, voto segreto e
uguale, e il pagamento di uno stipendio ai membri del parlamento » (54). Tutto
il paese era pervaso da un intenso movimento di opinione pubblica che chiedeva
la riforma parlamentare. Le associazioni politiche si moltiplicarono. Da ogni
angolo della nazione vennero inviate al parlamento petizioni in sostegno della
riforma. Nelle grandi città si organizzarono manifestazioni di popolo. Ma il
parlamento non era intenzionato ad autoriformarsi.
Lo scoppio della Rivoluzione francese sul
principio diede un forte impulso al movimento. Nel paese l'agitazione si fece
più intensa. La classe media, che era il centro motore di tutto il movimento,
utilizzò tutti i canali a sua disposizione per premere sul governo e sul
parlamento. « Poichè essa non aveva alcun potere politico doveva creare un
clima favorevole alla sua causa che avrebbe costretto il governo a fare delle
concessioni o indurre un partito politico a fare propria la sua causa » (55).
Le sue aspirazioni furono fatte proprie dai Wigs, che simpatizzavano con la Rivoluzione francese,
e, per oltre mezzo secolo, essi costituiranno un legame tra i nuovi ceti che
chiedono di entrare nell'area del potere e il sistema anacronistico che cerca
di perpetuare se stesso con la totale chiusura ad ogni forma di rinnovamento.
Il precipitare degli avvenimenti in Francia,
col regicidio e il regno del terrore, provocò una svolta nel movimento. La
classe media e tutti coloro che avevano degli interessi da difendere
nell'ordine costituito si incominciarono a stringere attorno al governo,
abbandonando la lotta per la riforma, di cui erano stati, fino a quel momento,
i più tenaci assertori. Il movimento di riforma divenne, allora, la bandiera
della classe operaia che in quegli anni si andava organizzando come movimento
politica con proprie associazioni, la più importante delle quali era la London Corresponding
Society.
« Al centro del programma della Società era
il suffragio per gli adulti e il voto uguale, ma nell'agosto [del 1792] fu
lanciato un pubblico appello in cui si sottolineava che un parlamento onesto e
genuinamente rappresentativo poteva rimuovere le gravi oppressioni che
pesavano sul cittadino: la riduzione delle pensioni, degli effettivi
dell'esercito e dei servizi segreti avrebbero alleggerito il peso delle tasse,
le leggi avrebbero potuto essere semplificate, le terre comuni, tolte al popolo
e recintate, restituite...
« Il nuovo radicalismo
della classe operaia gettò il governo nel panico » (56). I tories che erano al
potere, iniziarono una politica di repressione. Vennero dichiarate illegali
tutte le associazioni politiche e sociali (sindacati). I leaders della classe
operaia più esposti vennero arrestati e processati. Venne sospeso l'habeas
corpus; vennero proibite le riunioni e fu approvata una nuova legge che poneva
forti limitazioni alla libertà di stampa (57).
Fino al 1815, « il radicalismo della classe
operaia fu privato di ogni possibilità di aperta espressione. Ma ciò non
significa affatto che si fosse posto fine al movimento della classe operaia »
(58).
All'interno del parlamento, il partito whig,
che era rimasto fedele al programma di riforma, aveva subito una scissione.
L'ala più moderata, capeggiata da Burke, si era unita alla maggioranza di Pitt.
Attorno a Fox rimase un nucleo molto ristretto di deputati che per tre volte
(nel 1793, nel '95 e nel '97) si farà promotore di un progetto di riforma
parlamentare. In quegli anni cruciali per la storia inglese, i whigs «
costituirono un legame tra la classe al potere e l'inarticolata aspirazione
politica della popolazione e, nei giorni tristi del dopo guerra, quando questa
aspirazione incominciò a trovare delle voci appassionate, fu di vitale
importanza che il grido di riforma che proveniva dall'esterno trovasse un'eco
all'interno del parlamento. Se non ci fosse stato questo manipolo di
aristocratici, non ci sarebbe stato un vettore per imporre la volontà del
popolo alla Camera dei Comuni, che era stata riempita con gli uomini dei grandi
proprietari terrieri e dei Lords. Gli organi privilegiati non hanno l'abitudine
di autoriformarsi e coloro che controllavano i collegi elettorali ridevano
delle elezioni generali. Trovando i mezzi di agitazione costituzionali chiusi,
i liberali inglesi avrebbero seguito i loro fratelli del continente negli
oscuri sentieri della cospirazione e dell'intrigo. La lotta per la Riforma sarebbe diventata
una lotta di classe violenta. I whigs di Fox salvarono il paese da questa
catastrofe » (59).
Dopo le guerre napoleoniche il movimento
riformatore riprese con rinnovato vigore. I «difetti radicali del sistema, in
base al quale veniva eletta la
Camera dei Comuni, divennero rapidamente più evidenti quando
l'Inghilterra da paese agricolo divenne un paese industrializzato e quando la
popolazione si spostò dal sud-est al nord e all'ovest. Lo spostamento di
popolazione, causato dalla rivoluzione industriale, mutò l'equilibrio della
rappresentanza fino a tal punto che, alla fine, tutti - tranne coloro i quali
avevano da difendere degli interessi costituiti - furono costretti a
riconoscere la necessità di una riforma del sistema » (60)
Nel movimento di riformaa
erano coinvolte tre grandi forze, tre grandi classi - la classe degli agrari,
la media borghesia e la classe operaia - di due mondi in conflitto: il mondo
della civiltà agricola e quello della nascente civiltà industriale. Erano due
concezioni in lotta in una società in fermento; erano due mondi che si
affrontavano per avere la supremazia: quello vecchio legato all'agricoltura e
quello del nascente industrialismo. La storia non poteva essere fermata e il
secondo avrà il sopravvento sul primo.
Anche se la media borghesia e la classe
operaia rappresentavano due classi in conflitto, esse appartenevano allo
stesso mondo e alla lunga stabiliranno un'alleanza per raggiungere un obiettivo
comune: la riforma parlamentare. La classe operaia vedeva la riforma
parlamentare come il primo passo per migliorare le proprie condizioni di
lavoro e di vita: orario di lavoro più corto, più alti salari, migliori
condizioni in fabbrica, abolizione del lavoro minorile, ecc. Ma si poteva
attendere questa legislazione sociale, che andava chiedendo da più di un quarto
di secolo, solo se in parlamento sedevano i propri rappresentanti (programma
massimo), o quanto meno, deputati sensibili ai problemi della classe
lavoratrice (programma minimo).
La classe media vedeva nella riforma un suo
innegabile diritto alla partecipazione nella direzione politica dello stato
per promuovere i propri interessi che non sempre erano conciliabili con quelli
della classe al potere: l'aristocrazia terriera e la grossa borghesia agraria.
Il mondo agrario controllava saldamente
parlamento e governo. Esso si serviva di questo potere per portare avanti una
politica protezionistica intesa a salvaguardare i propri interessi economici
che erano minacciati dall'apertura delle frontiere dopo il ristabilimento
della pace. La guerra aveva fatto salire i prezzi dei prodotti agricoli di cui
l'Inghilterra era deficitaria. Il blocco continentale, attuato da Napoleone,
aveva fatto valorizzare quei terreni che prima, in una libera economia, non
erano competitivi. Questo aveva fatto salire il prezzo del grano che era
l'elemento base dell'alimentazione della popolazione. Una politica liberista,
come la chidevano gli emergenti ceti industriali, avrebbe fatto entrare in
crisi tutto il mondo agricolo. Per proteggere l'agricoltura e gli interessi che
essa rappresentava, nel 1815 il parlamento approvò la famosa Legge sul Grano
(Corn Law) che sarà al centro di una grossa battaglia politica tra due
concezioni dell'economia: quella protezionistica, invocata dagli agrari, e
quella liberalista, voluta dagli industriali.
Fino al 1830 il movimento della riforma
conobbe fasi alterne. Nei periodi di crisi economica si faceva più intenso e
l'agitazione diventava quasi insurrezionale. Nei periodi di prosperità
diventava meno acuto e spesso cadeva nell'ombra. Ma nel 1830 la congiuntura
internazionale, come abbiamo visto, gli diede un impulso che doveva dimostrarsi
decisivo.
La rivolzuione francese del luglio di
quell'anno giocò un ruolo determinante nella soluzione della lunga lotta per la
riforma del parlamento, come la
Rivoluzione del 1789 aveva giocato un grande ruolo per il suo
affossamento. Il grande movimento di opinione pubblica che essa determinò in
Inghilterra nel mezzo di una campagna elettorale fu determinante per dare al
partito della riforma una grossa maggioranza in parlamento. Nominalmente questa
maggioranza era tory, ma i suoi componenti si erano impegnati col corpo
elettorale di appoggiare la riforma in parlamento; e in parlamento la riforma
si identificava con i whigs.
I whigs erano stati fuori dal potere per
quasi mezzo secolo. Per tutto questo tempo essi si erano battuti, ma senza
successo, per la riforma parlamentare. Il costo che essi avevano pagato per
rimanere fedeli a questa loro scelta fu enorme: subirono una scissione che li
ridusse al lumicino e per oltre un decennio, durante gli anni cruciali della
guerra con la Francia
di Napoleone, quando ogni dissenso veniva classificato come alto tradimento,
subirono un'eclisse politica quasi totale.
Subito dopo le elezioni del 1830 il re
invitò il leader della maggioranza nominale, il duca di Wellington, a formare
un ministero. Ma Welllington, che forse non si era accorto che gli umori della
Camera dei Comuni erano cambiati, al grido di riforma lanciato dai whigs,
rispose che egli riteneva che quello inglese fosse il migliore sistema
elettorale esistente sulla terra e che egli lo avrebbe senz'altro consigliato
alle altre nazioni. In novembre egli fu sconfitto alla Camera e al re non restò
che chiamare al potere Lord Grey, leader dei whigs.
La strada verso la riforma era, così,
aperta, ma essa dimostrò di avere un percorso difficile. Nel marzo del 1831,
i whigs presentarono alla Camera bassa
il loro progetto di riforma. « Tale progetto presentava due caratteristiche
principali: primo, aboliva un certo numero di piccoli collegi marci e
distribuiva i loro seggi nelle contee e in città come Manchester, Leeds e
Sheffield, in passato non rappresentate; e, secondo, estendeva il diritto di voto fino a comprendere la classe media nelle
città e i fittavoli» (61).
Il progetto fece unire nella lotta la media
borghesia e la classe operaia. La prima premeva per entrare nell'area del
potere politico per promuovere i propri interessi che erano soffocati dalle
leggi protezionistiche dello stato, la seconda, pur rendendosi conto che il
progetto era tutto a favore della media borghesia capitalistica,, sperava di
portare in parlamento un numero sufficiente di deputati radicali che avrebbe
consentito di raggiungere più concreti traguardi nel futuro.
Il progetto superò la prima e la seconda
lettura, ma fu sconfitto in
commissione con uno scarto minimo di voti. Molti deputati tory avevano fatto macchina indietro
nella loro adesione alla riforma. Essi ritennero il progetto troppo avanzato e
videro in esso un pericolo alla loro stessa esistenza. Il parlamento fu,
quindi, sciolto e dalle nuove elezioni uscì una fortissima maggioranza whig.
In giugno Lord Russel ripresentò il progetto
che fu approvato con una larga maggioranza di voti nella Camera bassa, ma fu
respinto dai Lords. Respingendo il progetto di riforma, la Camera alta difendeva i
suoi privilegi e il potere ad essi connesso. Il vecchio sistema elettorale
garantiva ai Lords il controllo dei collegi elettorali e quindi il controllo
della stessa Camera dei Comuni. e la nuova legge, invece, rendeva la Camera arbitra di se stessa
e faceva entrare sulla scena politica i nuovi ceti emergenti: la media
borghesia cittadina ed industriale.
« La sconfitta subita alla Camera dei Lords
creò una nuova situazione... In tutto il paese si svolsero grandi dimostrazioni
spesso accompagnate da tumulti. A Derby fu presa d'assalto la prigione, a
Nottingham fu incendiato il castello, mentre a Bristol, dove i ribelli rimasero
virtualmente padroni della città per diversi giorni, i danni furono ancora
maggiori. A Londra la folla aggredì i vescovi e i Pari nelle vie, ruppe le
finestre delle loro case e affluì numerosa ai comizi dei rotundisti » (62).
In dicembre il progetto fu ripresentato
ancora una volta alla Camera dei Comuni che l'approvò nel marzo del 1832 e
l'inviò alla Camera alta. La battaglia era ancora tutta da combattere. «Non
c'erano dubbi, se la Camera
dei Lords non fosse stata forzata a cedere sarebbe scoppiata una rivoluzione.
Così come stavano le cose, l'agitazione fu spinta fino al limite della
legalità. Ai Comuni fu chiesto di non votare la spesa; il pubblico fu invitato
a non pagare le tasse e a paralizzare l'industria ritirando tutto il denaro
dalle banche e, come ultima risorsa, era stato preparato un piano per
un'insurrezione armata»(63).
Il re ed i circoli di corte erano spaventati
da questo grande movimento di popolo che il progetto aveva suscitato. «La
dottrina della democrazia allarmava e riempiva di orrore i conservatori, mentre
ispirava i radicali... Re Guglielmo IV guardava con ripugnanza alla crescita
nel paese di un sentimento ostile all'aristocrazia, alla forte inclinazione di
instaurare una forma di governo democratico » (64). La Rivoluzione francese
del 1789 aveva fatto associare nella mente dei benpensanti, e non soltanto di
essi, la parola democrazia con la folla, la moltitudine, che nel suo furore
irrazionale distrugge ogni ordine costituito. «La paura della folla divenne
l'emozione politica dominante per i prossimi cinquant'anni, anche se Napoleone
fece molto per suscitare questo sentimento: e la parola "democrazia"
divenne una parola tabù per quasi un secolo nei circoli più esclusivi»(65).
Il re tentò di formare un nuovo ministero
Wellinghton con la speranza di far
passare una riforma meno radicale, ma questi falli nello scopo e gli consigliò
di richiamare Grey. A Guglielmo non rimase altra scelta che appoggiare il
progetto. Egli prese l'impegno
che all'occorrenza avrebbe creato tanti
nuovi pari quanti ne sarebbero stati sufficienti e necessari per creare una
magogioranza al progetto nella Camera alta. Nello stesso tempo esercitò tutta
la sua influenza per convincere i pari più moderati a « rendere possibile l'approvazione della
riforma. La creazione di nuovi pari non fu necessaria. La Legge di Riforma, infatti,
fu approvata, con una larga maggioranza, nel giugno del 1832. Non era la prima
volta che un sovrano inglese minacciava di creare nuovi pari per creare una
maggioranza nella Camera alta. La prima a fare ricorso a quest'arma fu la
regina Anna che la usò per approvare il Trattato di Utrect. Nel 1718, Stanhope
e Sunderland, che avevano appena sbarcato dal loro ministero il Walpole,
cercarono di far approvare dal parlamento un disegno di legge che limitava il
potere del re nella creazione di nuovi pari. L'obiettivo del governo Shanhope
era quello di garantirsi una maggioranza in
parlamento anche quando sarebbe salito al trono il principe di Galles, di cui Walpole era diventato il
sostenitore.
Il disegno di governo legge non passò alla
Camera bassa per la decisa opposizione di
Walpole. E questo fu un bene, come dimostrerà la storia successiessi.
Se la corona non avesse avuto quest'arma in mano, molte crisi costituzionali
avrebbero avuto uno svolgimento diverso, senz'altro più drammatico. Infatti, fu
la minaccia di ricorrere a quest'arma che convinse i moderati a far passare la Legge di Riforma. Sarà
ancora la minaccia di fare ricorso a quest'arma che convincerà la Camera dei Lords ad
approvare la Legge
del 1911 che la priverà molti suoi poteri e farà della Camera dei Comuni la
vera unica detentrice del potere.
« Grey, Russel e molti
altri tra i suoi promotori consideravano la loro Legge di Riforma come un punto
di arrivo, ma questa concezione doveva essere attaccata ben presto» (66). Il
movimento operaio ben presto si rese conto che, finchè in parlamento sedevano
i datori di lavoro o i loro rappresentanti, la classe lavoratrice non avrebbe
ottenuto alcunchè. La media borghesia industriale si rese conto che la Riforma oltre al diritto
al voto non le aveva portato nulla. In parlamento continuavano a sedere i
rappresentati del mondo agricolo. Il potere effettivo era nelle loro mani e lo
usavano per mantenere le leggi protezionistiche. La legge del 1710, infine,
favoriva il predominio dei proprietari terrieri e mortificava gli interessi
del mondo industriale.
Quasi contemporaneamente, la classe operaia
e la media borghesia industriale diedero vita a due movimenti
extraparlamentari: il Cartismo e la
Lega contro la
Legge sul grano. Il primo era diretto alla conquista del
potere politico per la classe operaia e alla lotta per la democrazia. Il suo
programma era racchiuso in sei punti: 1) suffragio universale per gli uomini;
2) voto segreto; 3) collegi elettorali uguali; 4) parlamenti annuali; 5)
abolizione della qualificazione censitaria per i membri del parlamento; 6)
stipedio ai parlamentari. Il secondo movimento, invece, aveva un obiettivo più
limitato. Esso mirava a far accettare una politica liberista in economia ed a
respingere quella protezionistica.
«Il credo del movimento cartista era che i
mali del salariato urbano potevano essere eliminati attraverso la legislazione
sociale, che tale legislazione non sarebbe stata approvata da un parlamento che
rappresentava i datori di lavoro, e di conseguenza i salariati dovevano
acquisire il diritto al voto e il parlamento doveva essere riformato
diversamente » (68). Il movimento cartista scomparve nel 1848, senza vedere
approvato il suo programma, ma esso era destinato a realizzarsi, quasi
completamente, nel corso del secolo e nei primi anni del XX secolo. Il
movimento della Lega, invece, raggiunse il suo obiettivo nel 1846, con
l'abolizione della Corn Law.
Anche la marcia verso la democrazia doveva
dimostrarsi lenta, graduale, ma irreversibile. Nel 1838 fu modificata la legge
del 1710 per aprire le porte del parlamento alla borghesia industriale. Nel
1858 questa legge fu abolita e con essa si abolì il requisito del censo per i
deputati. Nel 1867 una nuova legge elettorale estese il voto segreto. Nel 1884,
un'ulteriore riforma elettorale, estese il suffragio ai salariati agricoli. Nel
1885 fu approvata la Legge
sulla Ridistribuzione dei Collegi: si istituiva il collegio uninominale con un
seggio per ogni 54 mila abitanti. Questa legge costituì una rottura netta col
passato nello status del parlamentare. Prima era il rappresentate di una
località-comunità, ora diventava il rappresentante di un numero di elettori.
Nel 1911, infine, si approvò la retribuzione ai parlamentari.
Il programma politico dei cartisti, così,
poteva dirsi completamente attuato, tranne un solo punto: quello dei
parlamenti annuali. Ma esso non era importante. La durata del parlamento venne
fissata in cinque anni, con un'articolazione in sessioni della durata di un
anno.
Nel 1918 il suffragio fu esteso a tutti gli
adulti, ma si fissò il limite di età per le donne a trent'anni e si previdero
anche alcune restrizioni censitarie. Nel 1928 si istituì il suffragio
universale per gli adulti di ambo i sessi che avevano raggiunto il 21° anno.
La riforma elettorale del
1832 ebbe due grandi effetti nello sviluppo del parlamento. Primo, essa provocò
uno spostamento del centro del potere; secondo, essa rivoluzionò i rapporti tra
le due Camere.
Con la quasi completa eliminazione del borgo
corrotto... il sistema di "influenza" divenne molto meno importante e
i candidati incominciarono a richiamarsi ad una politica » (69) che andavano ad
esporre nei collegi elettorali durante le elezioni. Da questo momento il
parlamento incominciò ad essere sensibile all'opinione pubblica. Se fino ad
allora il parlamento era stato il centro del potere politico e legale, d'allora
in poi l'opinione pubblica, l'elettorato, incominciò ad affermarsi come il
depositario del potere politico, mentre il parlamento continuò ad esercitare il
potere legale. Se nel passato il parlamento non era responsabile che verso se
stesso, con la Legge
di Riforma incominciò ad essere responsabile verso il corpo elettorale che lo
elegge. Quando questa responsabilità sarà piena, l'Inghilterra avrà raggiunto
l'ultimo stadio della lotta per decidere chi avesse il diritto di esercitare il
potere sovrano: i nobili, la corona, il parlamento o il popolo. La storia
decise che la sovranità spetta al popolo che la esercita tramite i suoi
rappresentanti in parlamento. L'Inghilterra diventava, così, una democrazia
parlamentare rappresentativa.
La
Legge di Riforma rivoluzionò, infine, i rapporti tra le due
Camere. Prima della riforma, la
Camera bassa, anche se le era riconosciuto un potere
preminente - era sotto la completa influenza della Camera alta, che -
attraverso il sistema elettorale - controllava l'elezione dei suoi membri. La
maggior parte dei deputati erano i clienti o gli uomini d'affari delle grandi
famiglie dell'aristocrazia, i cui esponenti maggiori sedevano nei Lords. Erano
questi che determinavano la composizione della Camera e le maggioranze che si
creavano nel suo seno.
Con la Legge di Riforma, aboliti i borghi corrotti, si
dava un colpo di spugna alla supremazia elettorale dei Lords. Il deputato non
doveva più la sua elezione ad un magnate, ma ad un collegio elettorale libero
da qualsiasi « influenza » di tipo tradizionale. Anzi era il collegio che ora
esercitava la propria influenza sui deputati che eleggeva. In un certo senso
era un ritorno all'antico. Nei parlamenti medievali il deputato era il
rappresentante di una località, alla cui comunità egli doveva relazionare sui
lavori svolti nell'assemblea nazionale e da cui riceveva il rimborso delle
spese sostenute.
Questo rapporto di servizio tra eletto ed
elettori in parte si disperse quando la piccola nobiltà e le classi
professionali incominciarono ad offrirsi per rappresentare il borgo senza
pretendere alcun rimborso spese. La piccola comunità del borgo era lieta di
liberarsi del doppio peso delle spese e del tempo perduto dai suoi
rappresentanti, ma pagò questa libertà con l'instaurazione di un rapporto
diverso tra eletti ed elettori. La dipendenza del deputato dal suo collegio
veniva a cessare sensibilmente. Anche, se, in seno al parlamento, si farà
sempre portavoce e sostenitore degli interessi della località-comunità
rappresentata, egli è ora un uomo che fa politica per il proprio vantaggio
personale. «Egli può ricevere, chiedere ed anche accettare i consigli che gli
vengono dal suo collegio; ma non è obbligato, nè dovrebbe metterli in pratica
se egli pensa che essi siano in contrasto con gli interessi generali del
paese... Una volta eletto, egli è il rappresentante e, se vi piace, il deputato
del popolo d'Inghilterra e come tale egli ha la più completa libertà d'azione
nell'interesse del popolo » (70).
Questo in teoria, nella realtà questa
libertà era usata per promuovere non l'interesse generale, ma il proprio
avanzamento personale in politica e nella società. Nel XVIII secolo essa
divenne una merce in vendita al maggiore offerente, che di solito era il
governo in carica. «Per molto tempo i ministri inglesi si assicurarono solide
maggioranze comprando voti, se non addirittura la coscienza dei deputati. La
cosa era quasi ufficiale: esisteva alla Camera persino uno sportello, dove i
parlamentari andavano a riscuotere il prezzo del loro voto al momento dello
scrutinio. Nel 1714 fu creata la carica di segretario politico della tesoreria
per dirigere queste operazioni finanziarie » (71).
I Nuovi rapporti tra le
due Camere divennero ben presto difficili. Dopo la Riforma, la vita politica
e parlamentare fu dominata - tranne brevi periodi - per quasi un cinquantennio
dai Whig-liberali, il partito che si era fatto portavoce del movimento
riformatore esistente nel paese e che aveva realizzato la grande riforma
elettorale. La Camera
dei Lords, invece, era su posizioni conservatrici. Essa era largamente dominata
dai tory-conservatori, eredi del grande Pitt. Spesso tra le due Camere si
formavano dei contrasti insanabili. La Camera bassa, progressista e liberale, poneva sul
tappeto misure riformistiche che venivano sistematicamente bocciate alla
Camera alta.
Quando i Comuni difendevano la loro
politica, obiettando che la
Camera alta non aveva il potere di rigettare le misure
proposte ed approvate dai rappresentanti del popolo, i Lords rispondevano che
questa volontà popolare doveva essere dimostrata concretamente attraverso
elezioni. Il ricorso alle urne diveniva, così, una necessità. Altre volte la
crisi veniva sanata facendo ricorso alla creazione di nuovi pari, ma solo
quando il contrasto era lieve e il numero dei pari occorrenti era limitato.
Tra le due Camere si stabiliva un perfetto
accordo solo quando i conservatori avevano una maggioranza nei Comuni.
Il sistema parlamentare bicamerale, come
esso era venuto fuori nel corso dei secoli, si stava dimostrando incapace di un
corretto funzionamento. Esso continuava a creare quei contrasti tra due poteri
(nobili-corona; corona-parlamento) che era stata una caratteristica della
storia inglese del passato. Il difetto del sistema stava nel carattere delle
due Camere: elettiva la Camera
dei Comuni, ereditaria quella dei Lords. Quando la Camera elettiva assumeva
una fisionomia marcatamente progressista, mentre la non elettiva, per la sua
composizione sociale, conservava il suo carattere prevalentemente conservatore,
tra le due Camere si creava un contrasto che portava ad una situazione di
stallo nell'attività legislativa.
Il sistema poteva essere
reso funzionante solo stabilendo la supremazia di una Camera sull'altra. « Ed è
quello che è avvenuto in Gran Bretagna. La Camera dei Lords è diventata una specie di organo
consultivo che può fermare l'azione della Camera bassa solo per un breve
periodo » (72).
Nel 1911, dopo un'aspra battaglia
parlamentare, in cui il governo fece ricorso alla minaccia di creare tutti i
pari necessari per creare una maggioranza al suo progetto di legge, fu
approvato il Parliament Act. In base a questa legge, il potere dei Lords di
rigettare un disegno di legge dei Comuni venne fortemente limitato. Sulle
leggi di natura finanziaria ai Lords non venne riconsciuto alcun potere: se
esse non vengono approvate entra un mese vanno alla firma del sovrano,
indipendentemente dall'approvazione della Camera alta. Sulle altre leggi,
l'opposizione dei Lords venne ridotta drasticamente: infatti, esse diventano
leggi dello stato se la Camera
bassa le approva per tre sessioni consecutive (2 anni). La lotta per il potere
- iniziata nel 1215 - si concludeva, così, dopo sette secoli, con la vittoria
finale ed assoluta di quei Comuni che, nel XIII secolo, furono trascinati, loro
malgrado, in quella istituzione che incominciava ad essere chiamata
parlamento!
Nel 1949 una nuova legge fece scendere le
sessioni necessarie per superare il veto dei Lords a due (un anno). « Questa
legge fu voluta dalla maggioranza laburista della Camera bassa per supeapace
l'opposizione della Camera dei Lords sulla legislazione sociale che il governo
aveva intenzione di approvare. La legge fu approvata una prima volta nel 1947,
ma - come previsto- fu rigettata dai Lords. I Comuni la riapprovarono nel 1948
e nel 1949 (come prevedeva la legge del 1911) e, così, divenne legge dello
stato»(73).
I Parliament Acts del 1911 e del 1949
distrussero il potere legislativo dei Lords e resero la Camera dei Comuni la sola,
vera depositaria della sovranità. L'evoluzione del parlamento poteva dirsi,
così, conclusa con la realizzazione di un sistema politico costituzionale in
cui tutto il potere legale è esercitato da una sola Camera del parlamento, la
quale - per la peculiarità del sistema (assenza di una costituzione scritta e
la mancanza, quindi, di una Corte costituzionale) - nella sua attività
legislativa non è soggetta a limitazioni di sorta, derivanti dall'osservanza
dei dettami di una Legge fondamentale, o freni che non siano quelli derivanti
dalla normale dialettica politica delle forze in essa rappresentate.