Capitolo
XI
LA SUPREMAZIA DEL
PARLAMENTO
Se è vero che tutti gli esperimenti politico-istituzionali,
intervenuti nei diciannove anni di governo parlamentare prima e repubblicano
poi, erano così lontani dalla tradizione e dalla natura del popolo inglese che
furono rigettati interamente, con la generale soddisfazione di tutto il popolo,
per fare ritorno alla vecchia, collaudata e ora venerata istituzione
monarchica, è altrettanto vero che in questo periodo presero forma alcune idee
fondamentali che, se non trovarono una immediata e concreta applicazione al
momento della restaurazione, si andarono ad aggiungere al patrimonio ideale
della nazione per fare il loro ritorno e trovare una concreta attuazione quando
i tempi, le circostanze e le mutate coscienze lo resero possibile (1).
Tuttavia, un ritorno, sic et simpliceter,
alla situazione preesistente al 1642 era impossibile, perchè, ormai erano
acquisite alcune mutazioni tacitamente accettate anche da Carlo II, che pur
aveva datato l'inizio del suo regno al 30 gennaio 1649, il giorno successivo
alla decapitazione di suo padre, cancellando - con un atto
politico-amministrativo - undici anni di governo repubblicano dalla storia
ufficiale della nazione.
Se il periodo repubblicano, con
l'incertezza delle sue istituzioni, i cui parlamenti erano a volte più
arroganti e arbitrari della stessa corona (il Rump), a volte più fanatici (il
Parlamento dei Santi) e in cui l'unica certezza era rappresentata dall'esercito
che deteneva il potere effettivo e aveva in Cromwell il capo carismatico che
sapeva frenarne gli impulsi disgregatori e distruttori che poi emersero nel
breve periodo dell'Interregno, aveva fatto maturare e radicare nel popolo la
convinzione che la monarchia era un'istituzione congeniale al popolo inglese e
perciò andava restaurata e preservata (2), non meno forte era la consapevolezza
che essa non poteva essere la monarchia di Giacomo I e Carlo I, dotata di
poteri assoluti, ma una monarchia limitata di fatto, se ancora era prematuro
limitarla nel diritto, con tutta una serie di contrappesi per evitare che essa
potesse invocare un suo reale o presunto diritto prerogativo per instaurare un
governo dispotico ed arbitrario.
La monarchia restaurata di Carlo II, solo
nella forma riassumeva la definizione di monarchia assoluta di diritto divino.
Nella prassi e nel diritto essa era assoluta solo nell'ambito delle proprie
competenze e del potere riconosciutole, il quale trovava un ostacolo e una
limitazione nei diritti fondamentali del popolo alla proprietà, alla libertà e
alla sicurezza personale (3).
Il ruolo svolto dai militari nella vita
nazionale durante il periodo della repubblica e dell'Interregno, aveva fatto
prendere coscienza, in via definitiva, che nessun governo poteva essere
autorizzato ad arruolare e mantenere un esercito permanente sul territorio
nazionale se non si trovavano le garanzie necessarie per evitare che esso
potesse trasformarsi o essere usato come strumento di oppressione.
La soluzione religiosa repubblicana,
nonostante la grande idea di tolleranza maturata da Cromwell, garantiva libertà
di culto solo alle congregazioni presbiteriane e a tutte le sette indipendenti
«che professavano fede in Dio per mezzo di Gesù Cristo » (4). L'attaccamento,
tuttora presente nei nostri giorni, del popolo a questa istituzione trova una
giustificazione storica anche negli avvenimenti dì questo periodo.
La libertà di coscienza era uno dei quattro
punti della Dichiarazione di Breda. Questa, come abbiamo visto, era un patto
politico tra il restaurando Carlo II e la nazione inglese. Ufficialmente la Dichiarazione era un
atto autonomo di Carlo II, ma segretamente era stata pattuita con gli emissari
del generale Monk (5). Con essa il re si impegnava a riconoscere, tacitamente,
come valida tutta le legislazione approvata fino allo scoppio della guerra
civile e lasciava al parlamento di Convenzione il potere di regolamentare i
quattro punti che egli prometteva avrebbero costituito la base della propria
politica al suo ritorno nell'isola.
Ma mentre il Parlamento di Convenzione era
riuscito a trovare delle soluzioni di compromesso sugli altri tre punti della
Dichiarazione, su quello religioso si trovò in un impasse. La soluzione di
compromesso che Clarendon, il ministro di Carlo II, tentava faticosamente di
fare accettare ai presbiteriani, che detenevano la maggioranza nel parlamento,
e agli anglicani, che detenevano la maggioranza nella nazione, non andò in
porto perchè il re premeva per far passare una soluzione che garantisse una
certa tolleranza, di cui avrebbero potuto beneficiare i cattolici, verso i
quali andavano le sue simpatie, anche se questo costava il prezzo di estendere
la tolleranza anche alle sette puritane. Le intenzioni reali, tuttavia,
incontravano la netta opposizione di entrambi i partiti religiosi e quindi il
problema fu demandato al successivo parlamento.
Sugli altri tre punti della Dichiarazione il
parlamento trovò delle soluzioni di compromesso, accettate da tutti, anche se
alcune non lasciarono tutti soddisfatti. All'esercito fu pagato il soldo
arretrato e fu quindi sciolto, secondo i desideri di tutta la nazione, con
l'eccezione di alcuni reggimenti che il re, approfittando del clima favorevole
che aveva creato un complotto contro le istituzioni, in cui era implicato un «
vecchio soldato di Cromwell » (6), riuscì a farsi assegnare per la difesa della
corona.
Un Atto di Indennità e di Oblio concesse il
perdono a tutta coloro che avevano preso parte attiva nella Grande Ribellione,
con la eccezione dei regicidi, tredici dei quali furono condannati a morte e
venticinque al carcere a vita. Cromwell e Ireton furono riesumati dalle loro
tombe e furono impiccati in catene. L'Atto di Indennità provvide, inoltre, a
restaurare le terre confiscate solo alla corona e alla chiesa e lasciò la vasta
e complessa casistica delle proprietà della massa dei cittadini alla
magistratura ordinaria, la quale restaurò la terra a quei realisti ai quali
era stata confiscata durante il periodo rivoluzionario, ma non a coloro i quali
erano stati costretti a venderla per pagare le tasse e i tributi durante la
repubblica.
Il problema finanziario della corona fu
risolto attribuendole un'entrata annua di 1.200.000 sterline, più il ricavato
di due nuove tasse istituite per compensarla delle mancate entrate sui diritti
feudali che venivano aboliti. Di queste due nuove tasse, una era molto
appetibile per la corona, in quanto il suo gettito era legato allo sviluppo
della ricchezza della nazione e faceva, quindi, prevedere larghi introiti;
l'altra era una tassa fondiaria che si prevedeva avrebbe fornito un gettito scarso.
Esaurito il suo compito, anche se lasciava
in eredità al prossimo parlamento il problema religioso, il parlamento di
Convenzione fu sciolto nel dicembre del 1660. Nell'aprile successivo si riunì
quello che poi sarà chiamato il Parlamento Lungo della Restaurazione, il quale
rimase in vita fino al 1679. «Il parlamento cavaliere(7), come esso fu anche
chiamato, era formato da una fortissima maggioranza di anglicani realisti. Esso
conteneva meno di sessanta presbiteriani” (8).
Questo era il primo parlamento anglicano e
realista che si riuniva dal 1642. Il parlamento di Convenzione aveva, sì,
restaurato la monarchia, ma esso era formato da una fortissima maggioranza di
presbiteriani, quegli stessi che erano stati protagonisti della prima fase
della guerra civile contro Carlo I. Gli anglicani, invece, avevano combattuto e
perso a fianco della corona. Ora, corona e anglicani realisti controllavano
tutto il potere dello stato. Il loro idillio, tuttavia, fu di breve durata:
fino al 1665.
In questi quattro anni, il parlamento
provvide, con una serie di leggi, a restaurare l'assetto istituzionale dello
stato, il potere della monarchia e la religione anglicana. In quest'ultimi due
compiti esso dimostrò « uno zelo per la monarchia maggiore di quello del re, e
uno zelo per l'episcopalismo superiore a quello dei vescovi » (9).
Poichè il parlamento di Convenzione aveva
approvato una risoluzione che implicitamente considerava nulla la legislazione
che non era stata approvata dai tre ordini del potere legislativo (Re, Lords e
Comuni) (10), ritornavano in vita tutti gli istituti preesistenti alla guerra
civile. Quindi ritornava in vita anche la Camera dei Lords, nella quale i Lords temporali
sedevano di diritto, ma non i Lords spirituali. Essi, infatti, erano stati
esclusi dal parlamento con una legge approvata nel 1642 da tutti e tre gli
ordini del legislativo e solo una nuova legge poteva farveli ritornare. Così,
il nuovo parlamento provvide con l'Atto di Restaurazione del potere temporale
del clero del 1661.
Nello stesso anno fu approvato un gruppo di
leggi che, « modificando la legislazione del Parlamento Lungo e ponendo
restrizioni alla libertà di stampa e alla procedura di presentazione delle
petizioni, rafforzava il potere della corona » (11). Con l'Atto sul Tradimento
si stabiliva che chiunque attentava del re o prendeva le armi contro di lui,
ribellandosi alla sua autorità, con lo scopo di deporlo o privarlo dei suoi
privilegi, si rendeva colpevole di alto tradimento. Chi, invece, si rendeva
colpevole di calunnia sia a mezzo stampa che orale, nei confronti del sovrano,
era passibile di pena detentiva e di interdizione dai pubblici uffici. Le
stesse pene erano previste per coloro i quali sostenevano, non accettanto
l'avvenuta restaurazione, che il Parlamento Lungo era ancora in vita.
Il ricordo delle folle inferocite del
1641, che si accalcavano davanti al parlamento per presentare delle petizioni,
fece approvare l'Atto contro le Petizioni Tumultuose, in base al quale non
potevano essere presentate, pena un'ammenda pecuniaria piuttosto forte,
petizioni al re o al parlamento da un gruppo superiore a venti persone. Da
questa limitazione era escluse quelle petizioni di modifica di leggi sulla
religione e sullo stato che avessero avuto la preventiva approvazione di tre
giudici di pace o del gran giuri della contea e, per la sola Londra, del
sindaco e del consiglio.
Il Militia Act, « annullando un altro
principio per la cui affermazione si era combattuta la Guerra Civile »
(12), stabilì che il comando supremo delle forze armate, di terra e di mare,
apparteneva al re, secondo le antiche leggi del paese, e che le Camere,
entrambe o singolarmente, non avevano alcun diritto di rivendicarlo, nè esse
potevano legalmente condurre una guerra, offensiva o difensiva, contro « sua
maestà, i suoi eredi o legittimi successori » (13). « Quest'ultime parole
sembravano spingersi fino ad un punto pericoloso e sanzionavano la dottrina
micidiale dell'assoluta obbedienza passiva » (14) alla corona.
L'Atto sulla libertà di stampa del 1662
affidò il controllo sulla stampa al potere esecutivo, limitò il numero delle
tipografie autorizzate, istituì il registro delle opere autorizzate e fissò
pene severissime per tutti coloro i quali davano alle stampe o stampavano essi
stessi libelli o altro materiale contro la religione, contro lo stato e il buon
costume. L'Atto aveva una validità triennale, ma esso fu costantemente
rinnovato fino al 1695. Durante tutto questo periodo le fonti di informazioni
erano limitate a quelle ufficiali, la London Gazette e l'Observator. Queste forti
limitazioni alla libertà di espressione, dovute al ricordo della guerra dei
libelli durante la guerra civile, contribuirono fortemente a far sviluppare
quelle fonti di informazione alternative che poi rimasero una caratteristica
delle epoche successive: le coffee houses, i moderni bars.
Con l'Atto triennale del
1664 si provvide a modificare quello del 1641, nel quale Carlo II vedeva un
insulto alla monarchia che l'aveva dovuto subire e ne chiese, perciò,
l'abrogazione.
Quello che gli sembrava
una bruciante offesa, non era tanto il principio piuttosto generale, sul quale
era d'accordo, che il parlamento doveva essere
convocato almeno una volta ogni tre anni, quanto quelle clausole che prevedevano
varie modalità di convocazione, qualora il re fosse stato inadempiente. Il
nuovo Atto, in effetti, abrogava quelle clausole, ma manteneva il principio
della convocazione triennale, «senza - però - un meccanismo di salvaguardia per
renderlo effettivo » (15).
Il tempo, tuttavia, doveva dimostrare che i
legislatori del 1641 avevano visto
meglio di quelli del 1664. Di fronte all'inadempenza del re, quest'ultimi non
avranno armi per costringerlo al
rispetto della legge. Nel 1681 Carlo II scioglierà il suo quinto parlamento e non lo convocherà più. Sarà
convocato di nuovo dal suo successore, Giacomo II, nel 1685.
l'Atto delle Corporazioni del 1661 occupa un
posto speciale nella storia di questo periodo. Esso contiene un doppio test,
politi co e religioso. Mentre
quello politico pone le basi e fissa la teoria, già intravista nel Militia Act,
della resistenza passiva al sovrano, che
sarà un cardine della politica degli anglicani, teoria che indubbiamente
rafforzava il potere del re, quello religioso raggiungeva un doppio scopo,
forse non ricercato coscientemente: quello di assicurare, nel tempo, una
maggioranza anglicana nella Camera
bassa, e quello di iniziare la restaurazione della religione anglicana.
Questi tests consistevano in un triplice
giuramento a cui erano tenuti, pena la decadenza dalla carica, tutti gli
amministratori locali, sia di nomina regia che elettivi. Il primo giuramento,
quello politico, recitava: « ...dichiaro e credo fermamente che è illegale
prendere, per qualsiasi motivo, le armi contro il re, e condanno chi si ribella
al re in nome del re» (16).
Questo primo giuramento, pur riferendosi
chiaramente agli eventi del 1642, ancora freschi nella memoria, quando il
parlamento prese le armi contro il sovrano e lo fece in suo nome per liberarlo
- secondo la motivazione ufficiale - dai suoi cattivi consiglieri e ministri,
ritenuti ispiratori e responsabili della sua poltica arbitraria, in effetti
tentava di porre termine ad un costume caratteristico nella storia inglese.
La lotta - cruenta e non cruenta - per il
potere nell'isola, infatti, fu sempre condotta, dai nobili o dal parlamento,
in nome del re, contro il re. La motivazione ufficiale era sempre quella di
liberare il re dalle cattive influenze in cui era caduto, ma in realtà si
voleva porre limiti al suo potere o stabilire la propria influenza sul potere
esecutivo. Solo in pochi casi motivazione ufficiale e motivi reali
coincidevano. Coincidevano contro Giovanni Senza Terre, quando si combattè per
destituirlo e mettere al suo posto il futuro Luigi VIII di Francia, a cui i
baroni avevano offerto la corona. Ma anche qui la lotta ebbe termine non appena
sì crearono le condizioni - la morte dì Giovanni e l'ascesa al trono del figlio
minore, Enrico III - per fare accettare alla corona dei limiti al suo potere.
Coincidevano contro Edoardo Il, quando la regina e i baroni erano determinati a
deporlo per mettere sul trono il figlio, Edoardo III. Coincidevano contro
Riccardo Il che fu deposto sotto l'accusa di malgoverno ed esercizio di poteri
arbitrari. E, infine, coincideranno contro Giacomo II, quando la corona sarà
offerta a Guglielmo d'Orange e a sua moglie Maria, figlia protestante di
Giacomo Il.
Il giuramento era importante perchè esso
stabiliva, per legge, il principio - caro agli anglicani - che al re non si
doveva resistere con la forza, neanche quando i suoi atti non erano
perfettamente legittimi. Con questo nuovo principio si intendeva cancellare
quel diritto - scritto per la prima volta nella stesura originaria della Magna
Charta e mai più riscritto, ma sempre esercitato - del popolo inglese alla
ribellione contro un sovrano che viene meno al contratto sociale. Ma anche qui
la storia doveva dimostrate che il ricorso alla forza e l'ultima risorsa di un
popolo per liberarsi di un governo che mortifica le libertà fondamentali del
cittadino. Il diritto del popolo inglese alla ribellione verrà esercitato
ancora una volta, l'ultima, nel 1688 contro Giacomo II Stuart.
Col secondo giuramento l'amministratore
locale doveva affermare di non sentirsi vincolato al giuramento presbiteriano
del Patto e Lega Nazionale, considerato illegalmente imposto «ai cittadini, in
contrasto con tutte le leggi e le libertà del regno » (17). Col terzo. i nuovi
eletti alle cariche cittadine dovevano impegnarsi a prendere, entro un anno
dall'elezione, « i sacramenti dell'ultima cena, secondo il rito della chiesa
anglicana » (18).
« Queste disposizioni colpirono al cuore il
partito presbiteriano, la cui forza si trovava nelle piccole oligarchie delle
corporazioni cittadine, le quali - direttamente o indirettamente - eleggevano
gran parte dei deputati al parlamento » (19). Esse rendevano difficile, se non
impossibile, l'elezione al parlamento di elementi presbiteriani.
Il sistema elettorale allora vigente, che -
cancellata la riforma elettorale dei puritani - era ritornato ad essere quello
ereditato direttamente dal XV secolo, con i suoi due livelli - di contea e
comunale - favoriva il partito che controllava il maggior numero di
corporazioni. Infatti, solo nella contea, l'elezione dei deputati avveniva
nell'assemblea di contea, alla quale partecipavano di diritto tutti i
proprietari diretti con un reddito annuo d quaranta scelti, mentre a livello
comunale il diritto-dovere di eleggere i due deputati era esercitato - a causa
del disinteresse della popolazione - dalla corporazione cittadina. Così, il
dovere imposto agli amministratori locali di prendere i sacramenti, secondo il
rito anglicano, per essere eleggibili, si risolveva in un espediente elettorale
a favore degli anglicani realisti.
Questo attacco del parlamento alle
corporazioni avrà notevoli sviluppi negli ultimi anni di regno di Carlo II e
nei primi di quello di Giacomo II, quando la corona, servendosi della magistratura
ordinaria, muoverà alla conquista delle corporazioni, per garantirsi una
maggioranza in parlamento che, nel frattempo, le era diventata ostile (20).
Nel 1683, dopo una sentenza della
magistratura, sollecitata dalla corte, alla città di Londra verrà revocata la
patente di corporazione e « la corporazione, allora, [verrà] rimodellata in
modo tale da renderla un semplice strumento della corte. La stessa politica
[sarà] seguita nei cinque anni successivi contro molte altre corporazioni; a molte
altre [sarà] intimato di rinunciare alla propria patente quasi
volontariamente, ricevendo in cambio una nuova patente, basata su un modello
molto più oligarchico che riservava al re il diritto di nominare i primi
magistrati; la conseguenza [sarà] di riservare alle persone indicate dalla
corte il potere di eleggere un gran numero di deputati della Camera bassa »
(21).
I presbiteriani più rigidi si rifiutarono
di prestare i giuramenti previsti dal Corporation Act, ma la maggioranza si
adeguò. Tuttavia, questo adeguamento non impedirà che nel futuro si formino
maggioranze animate dallo spirito del grande partito che l'Atto del 1661
colpiva così duramente.
Se il giuramento contro il Patto e Lega del
Popolo e il dovere di prender la comunione anglicana erano due tests religiosi
che perseguivano, però, scopi politici, con l'Atto di Uniformità del 1662 si
procedeva direttamente alla restaurazione della chiesa anglicana.
Con questo Atto la chiesa
anglicana diveniva la chiesa stabilita di stato, al posto della religione
presbiteriana che lo era stata, de facto, fino ad allora. L'uso del Libro della
Preghiera Comune, che era in via di pubblicazione, venne legalizzato e la sua
osservanza resa obbligatoria. L'accettazione del Libro venne imposta non soltanto
al clero, che doveva fare la sua scelta entro il giorno di S. Bartolomeo di
quell'anno, ma anche agli insegnanti elementari e ai tutori universitari. Una
parte del clero, circa un quinto del totale, si rifiutò di dichiarare la
propria sottomissione e fu quindi privata del beneficio. «E’ in questo esodo
del 1662 che va rintracciata l'origine del dissenso moderno » (22).
Ma se « l'Atto di Uniformità può essere
giustificato come una misura di regolamentazione, gli ultimi due Atti del
Codice di Clarendon furono semplicemente misure di persecuzione » (24).
L'Atto delle Conventicole del 1664 mirava,
con misure di repressione piuttosto dure, a proibire l'organizzazione del
dissenso. Già l'anno precedente c'era stata una rivolta armata, di uno sparuto
gruppo di dissidenti, che fu subito repressa. Il nuovo Atto colpiva alla radice
la possibilità di organizzare, su iniziativa del clero non conformista,
congregazioni religiose non autorizzate; erano passibili di pene di vario grado
(25) tutte le persone, al di sopra dei sedici anni, che partecipavano a riti
religiosi non conformisti in cui erano presenti più di cinque persone.
L'anno successivo fu approvato l'Atto delle
Cinque Miglia, in base al quale era fatto divieto al clero dissidente di
avvicinarsi oltre un raggio di cinque miglia dal luogo - città, parrocchia,
villaggio, istituto, scuola, ecc. - in cui aveva esercitato la propria missione
prima di essere espulso dalla chiesa ufficiale. L'Atto, inoltre, proibiva a
tutti i non conformisti, laici o religiosi, di organizzare scuole, di insegnare
nelle scuole pubbliche e private e nelle conventicole.
« Le disposizioni di questi impietosi
statuti non rimasero lettera morta. Si dice che la persecuzione religiosa sia
stata molto più severa che ai tempi della Repubblica, e molto più estesa che ai
tempi di Carlo I. Non meno di 8.000 protestanti furono imprigionati in questo
regno, oltre ad un grande numero di cattolici romani. Dei 1.500 quaccheri che
furono imprigionati, 350 morirono in prigione » (26).
Queste misure repressive, tenacemente volute
dal parlamento, composto nella stragrande maggioranza di un partito religioso
(anglicano) che per un lungo periodo era stato discriminato, emarginato e
spinto nell'illegalità, non sollecitate dalla corona, ma accettate obtorto
collo, non risolvevano, tuttavia, il problema religioso che era molto più
complesso.
Del cosiddetto Codice di Clarendon fanno
parte gli ultimi due Atti di cui abbiamo parlato e i primi due di cui diremo
brevemente.
La realtà religiosa dell'isola era molto
composita. C'era una larga maggioranza di anglicani che aveva ì suoi punti dì
forza nei centri rurali e nella piccola nobiltà. C'era una larga fetta di
presbiteriani, le cui roccaforti erano i grossi centri commerciali e la
borghesia mercantile. C'era una nutrita minoranza di puritani e altre sette
indipendenti, che avevano i loro aderenti nell'alta borghesia cittadina. E',
infine, c'era la minoranza cattolica romana, mai scomparsa nell'isola e che
sarà la causa immediata del crollo della dinastia Stuart.
Tutti questi partiti religiosi si
richiamavano a delle correnti religiose ben precise. Gli anglicani, nella forma
e nella struttura della chiesa, erano vicini alla chiesa cattolica romana, di
cui si differenziavano in alcuni punti della dottrina e nella liturgia. I
presbiteriani erano per una forma mitigata della dottrina calvinista, mentre i
puritani miravano alla realizzazione più rigida della dottrina di Calvino. Le
altre sette indipendenti vivevano, nella maggioranza dei casi, un'esperienza
religiosa autonoma, di derivazione biblica. I cattolici, infine, erano per un
ritorno all'antica fede.
Di queste realtà religiose, alcune erano
conciliabili, altre non lo erano e non lo saranno mai. Presbiteriani e
anglicani troveranno, nel corso degli anni successivi al 1665, un punto di
incontro e convergeranno nella rinnovata fede anglicana. Gli unì con conversioni
e accettazioni dei principi della chiesa stabilita `, gli altri spingendosi più
avanti sulla strada del protestantesimo. Le altre forme di culto protestante
saranno discriminate ancora per qualche tempo, ma a partire dalla rivoluzione
del 1688 verrà loro riconosciuto il diritto dì esercitare il loro culto in
libertà.
I cattolici costituivano un caso particolare.
La loro causa sarà al centro degli avvenimenti storici del prossimo
quindicennio che culmineranno nella Gloriosa Rivoluzione del 1688. Essi,
infatti, godevano del segreto (per ora) appoggio di Carlo II, il quale - nel
suo intimo - covava un'intensa fede cattolica che verrà fuori ufficialmente al
momento della sua morte, quando si convertirà alla fede romana. Con la Dichiarazione di
Breda egli aveva promesso di riconoscere il diritto a professare liberamente
la propria fede, secondo la propria coscienza, purchè questa non implicava la
turbativa dell'ordine costituito e di essere pronto a sottoscrivere qualsiasi
risoluzione in questo senso che il parlamento gli avrebbe sottoposto e
proposto.
Tenendo come punto di riferimento questa sua
promessa, alla quale ufficialmente diceva di sentirsi impegnato, egli cercava
in realtà di far cadere le leggi penali contro i cattolici. Nel maggio del
1662, quando l'Atto di Uniformità era stato appena approvato, egli si
apprestava, ufficialmente dietro pressione dei ministri presbiteriani, a
sospendere la nuova legge per tre mesi, ma il suo progetto fallì per la decisa
opposizione dei vescovi e dei giuristi.
Nel dicembre dello stesso anno egli emise
una Dichiarazione di Indulgenza. «Lo scopo di questa dichiarazione era di
ottenere dal parlamento una mitigazione, almeno, di tutte le leggi penali in
materia di religione, ma più per servire gli interessi dei cattolici che quelli
dei protestanti non conformisti» (30). Ma anche questa volta non se ne fece
nulla per l'opposizione del parlamento, il quale approvò una risoluzione in cui
si affermava che la promessa della Dichiarazione di Broda era vincolante solo
col consenso del parlamento e questo riteneva che la tolleranza non avrebbe condotto
alla pace religiosa, ma ad una rinnovata lotta per la vera fede.
La Dichiarazione di Indulgenza di Carlo II conteneva
un accenno ad un problema che costituirà un motivo di profondo contrasto tra
corona e parlamento: il potere prerogativo di sospendere le leggi penali. Nella
sua dichiarazione, Carlo II faceva intendere che l'indulgenza sarebbe stata
concessa in virtù del suo potere di sospensiva, ma il parlamento, nella sua
risoluzione, gli faceva capire moderatamente che non gli riconosceva questo
potere `.
Il Parlamento Lungo della Restaurazione era
anglicano e realista, ma nell'ordine: prima anglicano e poi realista. Esso era
disposto a seguire il sovrano e a difendere la causa monarchica e dinastica,
come l'aveva difesa e potenziata con le leggi approvate nel biennio 1661-62,
solo e fintantochè la religione anglicana rimaneva il cardine della vita dello
stato.
L'idillio tra corona e parlamento trovò il
suo punto di svolta nella guerra anglo-olandese dle 1665-67. La guerra era
molto popolare in quanto si vedeva nell'Olanda un rivale nel commercio e nella
lotta per le colonie. Ma la sua cattiva conduzione, che consentì agli olandesi
di distruggere la flotta inglese nel Tamigi, provocò un forte risentimento
popolare che fu espresso dal parlamento con la messa in stato d'accusa di
Clarendon.
Le accuse che sì muovevano a Clarendon erano
dì natura generale. Egli pagava per l'insuccesso della sua politica e quella
del suo sovrano. Anche se alcuni capi d'imputazione avevano un preciso
riscontro nella realtà - quello, per esempio, degli arresti arbitrari per
motivi politici e la conseguente deportazione - egli era vittima di un sistema
costituzionale in formazione, in cui i ministri della corona pagavano di
persona, con l'arresto e la perdita dei beni, o in altre forme, per il semplice
fatto che ancora non si era trovato un modo per garantire al parlamento e ìl
controllo sulla spesa pubblica e il controllo sulla politica del governo. Il
primo problema sarà risolto, in via definitiva, nel corso dì questo secolo, per
l'altro bisogna aspettare il secolo successivo. Ma di questi problemi parleremo
più avanti.
Nel 1670 Carlo II firmò un trattato segreto
con Luigi XIV (il trattato di Dover), in base al quale Carlo Il si impegnava a
restaurare il cattolicesimo in Inghilterra, quando i tempi gli sembravano
maturi. In caso di difficoltà, Luigi XIV sì impegnava a versare a Carlo 150.000
sterline e a fornirgli 6000 soldati. Non appena l'isola diventava cattolica,
Inghilterra e Francia si sarebbero unite per muovere guerra agli olandesi. Ma
il trattato non diventò mai operante perchè i suoi termini divennero noti e ciò
provocò un piccolo terremoto nelle file governative. La guerra all'Olanda fu
dichiarata (1672), ma dalla sola Inghilterra che aveva contraria l'opinione
pubblica.
Il trattato di Dover fece prendere coscienza
al popolo inglese, anche se confusamente, del complotto cattolico
internazionale contro il protestantesimo. Ora esso incominciò a vedere
nell'Olanda un paese amico e fratello. In queste senso il trattato di Dover
«può essere considerato il primo atto di un dramma che terminò con la
rivoluzione » (31) del 1688.
Qualche giorno prima dell'inizio delle
ostilità con l'Olanda, Carlo II, approfittando del fatto che il parlamento era
in vacanza, emise una seconda Dichiarazione di Indulgenza, in base alla quale
venivano sospese tutte le leggi penali contro i recusanti e i non conformisti.
Nella forma essa mirava alla tolleranza religiosa, ma nella sostanza doveva
costituire il primo passo verso il ristabilimento della fede cattolica, di cui
suo fratello Giacomo era diventato un seguace ufficiale ed egli stesso un
seguace non confessato.
« A partire da questo periodo divenne una
costante nella storia inglese degli anni futuri, che un forte gruppo di
inglesi, che era in disaccordo su molte cose, si trovava d'accordo nel temere
tre cose che esso riteneva strettamente interconnesse: il papismo, la Francia e il potere
arbitrario. L'alleanza di questi uomini era più forte nella loro immaginazione che nella realtà, ma
furono le loro convinzioni e non i fatti che fecero la storia inglese » (32)
degli anni successivi.
La seconda Dichiarazione di Indulgenza
incontrò la netta opposizione non solo della chiesa ufficiale, la quale era
furiosa, ma non sorpresa, contro il re per il favore che egli accordava ai
papisti e ai conformisti, ma anche dei non conformisti stessi che ne erano anche i diretti benificiari...
Quest'ultimi, infatti, vedevano di malocchio la libertà che si concedeva ai
loro odiati nemici papisti. Nel 1673 il parlamento passò una risoluzione in cui
si affermava « che le leggi penali in materia di religione potevano essere
sospese soltanto da una legge del parlamento. Il re tentò di difendere la Dichiarazione
affermando che il potere di sospensiva gli derivava dal fatto di essere il
Capo supremo della chiesa anglicana e non riconoscendo ai Comuni il diritto di
entrare in questioni non di loro competenza. In questa sua ultima affermazione,
egli si rifaceva ai precedenti del regno di Elisabetta I, la quale non permise
mai ai Comuni di interessarsi di questioni religiose. Ma un simile riferimento
era anacronistico. D'allora molta acqua era passata sotto i ponti e eglii
stesso l'aveva riconosciuto quando, con la Dichiarazione di
Breda, riconobbe al parlamento il potere di sistemare la questione religiosa.
I Comuni furono irremovibili. La posta in
gioco, infatti, era troppo alta. Far passare la Dichiarazione, a
prescindere dai suoi effetti religiosi immediati, significava riconoscere al
re, implicitamente, il potere prerogative di sospendere qualsiasi legge penale.
Il problema diventava, quindi, di natura costituzionale. I re, nel passato,
avevano sempre esercitato un potere dispensativo a favore di singole persone o
gruppi. ln base a questo potere dispensativo, riconosciuto ed accettato come
prerogativa della corona, Carlo II «poteva naturalmente, liberare, mediante
perdono, qualsiasi persona detenuta o accusata di contravvenzione alle leggi.
In questo modo, il potere delle leggi penali, in materia di religione, poteva -
in una misura piuttosto ampia - essere inefficace attraverso l'esercizio di una
prerogativa indiscussa; e in questo modo, infatti, dall'ascesa al trono della
casa Stuart, i cattolici riuscirono a sopravvivere alla severità delle leggi.
Ma la pretesa di sospendere in termini espliciti una serie di leggi e comandare
ai magistrati di non farle rispettare, significava una sorta di potere assoluto
che i benefici dell'indulgenza stessa (ammesso che fosse stata presentata in un
modo meno insidioso) non bastavano per indurre i difensori della costituzione
ad accettarla. Nonostante ci si preoccupasse di distinguere tra materia
temporale e religiosa, era chiaro che la supremazia del re poteva essere
limitata dal parlamento in entrambi i campi » (33).
Con una nuova risoluzione, i Comuni fecero
notare al re che un tale potere sospensivo (che era diverso da quello
dispensativo) non era stato mai esercitato dai suoi predecessori e che ammetterlo
avrebbe significato alterare la natura del potere legislativo che resiedeva
unitamente nella persona del sovrano e delle due Camere del parlamento. La Dichiarazione di
indulgenza fu ritirata, dopo che era stata in vigore per un intero anno, ma il
problema del potere sospensivo del re rimase nell'aria. Anch'esso sarà risolto
dalla rivoluzione del 1688.
Non soddisfatti del ritiro della
Dichiarazione e temendo che si potessero trovare altre forme per introdurre
surrettiziamente il credo cattolico, i Comuni approvarono, nello stesso 1673,
un Test Act in base al quale tutti i funzionari pubblici, sia civili che
militari, e le persone al servizio del re e del duca di York, erede al trono,
dovevano sottomettersi pubblicamente alla prova di prendere i sacramenti
secondo il rito anglicano, sottoscrivere una dichiarazione contro la
transustanzazione e giurare di riconoscere la Supremazia della chiesa
stabilita.
«Uno dei primi risultati dell'Atto di
Prova... fu di cacciare di carica Giacomo, duca di York, erede a1 trono. Ma per
quanto nessun papista potesse più occupare posti sotto la corona, l'accessione
alla corona stessa non era per il momento sottoposta a siffatta limitazione.
Giacomo, sebbene non potesse più presiedere l'ammiragliato, un giorno o l'altro
sarebbe salito al trono; e in quel giorno si poteva star certi che l'osservanza
o l'infrazione dell'atto di prova sarebbe diventata la posta massima tra lui e
i suoi sudditi protestanti » (34).
L'approvazione del Test Act provocò una
divisione delle forze in parlamento. Già in altre occasioni in questo regno, i
provvedimenti legislativi erano stati approvati con un'opposizione più o meno
nutrita, ma sia la maggioranza che la minoranza erano forze non organizzate che
si schieravano a favore a contro un singolo provvedimento. Questa volta,
invece, le forze si organizzarono in una maggioranza, il partito del paese, a
favore del Test Act, con la quale si schierarono anche i dissidenti che pur
venivano colpiti dal provvedimento, e una minoranza, il partito di corte,
contro. Questi due raggruppamenti sono gli embrioni dei due grandi partiti,
whig e tory, che incontreremo nel parlamento del 1679. Il partito di corte,
erede del partito dei cavalieri, era formato da anglicani altochiesisti, mentre
il partito del paese, erede delle teste rotonde, era formato da latitudinari
bassochiesisti e dissidenti.
Nel 1678 fu approvato un secondo Atto di
Prova che escludeva i papisti da entrambi i rami del parlamento.
Dall'osservanza di quest'Atto fu escluso solo l'erede al trono, ma con lo
scarto di due soli voti.
La severità e l'allarme di questo secondo
Atto di Prova erano stati determinati da un presunto complotto papista,
denunciato da un certo Titus Oates, che si prefiggeva l'assassinio del re per
far salire al trono l'erede cattolico. Una serie di circostanze e di
falsificazioni, tutte opere dell'Oates, fecero credere, sulle prime,
all'autenticità del complotto. Questo provocò un grande stato di tensione nel
paese e una profonda spaccatura nel parlamento. Il partito del paese chiedeva
che Giacomo, sebbene non implicato nel complotto, fosse escluso da tutti i
posti di responsabilità e una risoluzione in questo senso fu approvata da
entrambe le Camere, per cui il re pregò il fratello di non partecipare alle
riunioni del Consiglio Privato e di non frequentare la corte.
Il partito di corte, capeggiato dal
ministro principale della corona, Danby, cercava, invece, di dimostrare la
inconsistenza delle accuse di Oates. Ma la paura di una possibile restaurazione
cattolica era grande. Il ricordo delle stragi di Maria la sanguinaria, era
ancora vivo. E il protestantesimo era ancora assediato in tutta l'Europa. La Francia, la massima
potenza dell'epoca, cercava di schiacciare lo stato protestante dei paesi
bassi e dei princípatí germanici. All'interno stesso della Francia i
protestanti ugonotti avevano vita difficile e di li a poco se ne sarebbe fatta
una strage.
L'Inghilterra, superata la sua rivalità
commerciale e coloniale con l'Olanda, anche perchè ormai i loro interessi erano
diretti verso aree geografiche diverse, strinse i suoi rapporti con gli stati
protestanti e con la stessa Olanda suggellò un'alleanza con il matrimonio dello
Stadhouder Guglielmo d'Orange con la figlia protestante di Giacomo Stuart,
Maria.
Ufficialmente la politica inglese era ora
antifrancese e filo protestante, ma in realtà Carlo Il continuava a percepire
il soldo di Luigi XIV che aveva interesse a tenere di fatto l'Inghilterra fuori
del campo protestante.
Durante gli infuocati avvenimenti del
complotto cattolico venne fuori che Danby, che in parlamento aveva sempre
difeso la politica
antifrancese, era in realtà a conoscenza delle trame di Carlo II con Luigi XIV.
Egli fu subito messo sotto accusa dalla Camera dei Comuni; ma il re - per
salvare il suo ministro e -rifacendosi ai precedenti di suo padre - sciolse il
parlamento nei primi mesi del 1679.
Il Parlamento Lungo della restaurazione,
così, chiudeva i suoi battenti dopo 19 anni di esistenza. Durante questo
periodo avvennero dei progressi notevoli nello sviluppo del parlamento e
del sistema parlamentare. La Camera dei Comuni fissò per
sempre il suo ruolo di leadership tra i
due rami del parlamento; contestò, e con
successo, alla Camera alta il suo presunto diritto alla funzione di tribunale
di prima istanza in materia civile; affermò la sua ere supremazia in materia di
tassazione; mise una grossa ipoteca sul controllo della spesa pubblica e sul
controllo parlamentare dell'esecutivo.
Nel Parlamento Corto del 1640, i Comuni
avevano acquisito il principio che le leggi finanziarie dovevano iniziare nella
Camera bassa. Nel 1671 lo riaffermarono e fissano, per la prima volta, il
principio che la Camera
alta « non ha il potere di emendare le leggi finanziarie » (35). Nel 1678
questo principio diventa definitivo: ai Lords è riconosciuto solo il
diritto-potere di approvarle o di respingerle, ma non di emendarle (36).
Nel 1665, in occasione della prima guerra contro
l'Olanda, il parlamento votò al re i
sussidi necessari per far fronte alle necessità del momento, ma si inserì nell'Atto
di concessione la clausola che i fondi dovevano essere destinati all'uso per
cui venivano concessi. Questa clausola,
sebbene incontrasse la netta opposizione di Clarendon che vedeva in essa
un'invasione delle prerogative regie, non era nuova nella storia del
parlamento. Essa fu adottata nel regno di Riccardo II, in quello di Enrico IV,
in quello
di Giacomo I e, per
ultimo, in quello di Carlo I.
La pessima conduzione della guerra, la
prodigalità del re e la condotta leggera degli amministratori del denaro
pubblico, fecero si che il parlamento approvasse, nel 1667, una legge con la
quale si istituiva una commissione che aveva il mandato di esaminare ed
accertare la destinazione del denaro votato nel 1665. Anche qui si trovano dei
precedenti nel regno di Riccardo II, ma la differenza sta nel fatto che allora
Riccardo tenne a precisare che concedeva il controllo sulla spesa bellica per
un suo atto di buona volontà e non per un diritto del parlamento (e questo per
non creare un precedente di valore costituzionale), ora - invece - queste prerogative
del parlamento incominciavano a diventare regolari e creavano le premesse per
raggiungere, nel tempo, l'obiettivo del controllo della spesa pubblica, non
appena si sarà fatto ordine nelle finanze della corona e si acquisirà il
concetto della distinzione tra pubblico e privato nel bilancio della corona.
Quando questo avverrà, dopo la rivoluzione del 1688-89, il parlamento non avrà
più motivi per lesinare all'esecutivo (rappresentano dal re) i mezzi necessari
alla vita dello stato.
La lunga lotta, durata secoli, tra la corona
e il parlamento in questo campo era determinata proprio dal fatto che
quest'ultimo non aveva alcuna possibilità di controllare che il denaro della
nazione non fosse speso per fini che nulla, o quasi, avevano a che fare con la
cosa pubblica. Quando le finanze del re erano organizzate in modo privatistico,
secondo la concezione patrimoniale dello stato, senza possibilità di
discernimento tra necessità private del re e della sua corte e necessità
pubbliche, era facile che i fondi richiesti per uno scopo fossero dirottati ed
impiegati per altri meno edificanti.
In questo periodo vengono gettate anche le
basi del moderno sistema parlamentare, con la formazione della primitiva
ossatura del moderno Gabinetto.
Il Gabinetto, il moderno esecutivo formato
da un numero ristretta di ministri, sorge dal Consiglio Privato. Nel periodo
medievale quest'organo era composto da pochi membri. Questo rendeva possibile
una rapidità di convocazione, di discussione e di decisione. Esso era composto
principalmente dagli «ufficiali» di corte e qualche altro nobile che il re
riteneva convocare. Col passare del tempo la lista dei ministri del Consiglio
si andò
sempre più allargando
(solo in rare occasioni esso si mantenne ristretto), fino a raggiungere il
numero di cinquanta nel periodo degli Stuart, con perdita di agilità ed
efficienza (37).
Per sopperire a questa disfunzione, Carlo II -
non appena Clarendon, che vi si opponeva,
fu tolto di mezzo con 1'impeachment - pensò di convocare per le
decisioni più urgenti, non soltanto di politica estera, ma anche di politica
interna » (39) soltanto i ministri principali del Consiglio Privato e li
convocò nel suo Cabinet. Stabilito questo precedente tutti gli altri sovrani
lo seguirono.
Il primo nucleo ristretto di ministri, o
Gabinetto, è la cosiddetta « Cabal », dalla lettera iniziale del nome dei
cinque ministri principali: Clifford (tesoro), Arlington (segretario di stato),
Buckingham (maestro di equitazione), Ashley (cancelliere) e Lauderdale. La Cabala fu formata nel 1667,
alla caduta di Clarendon, e rimase in carica fino al 1673, quando fu sostituita
dal ministero Danby che cadde con lo scioglimento del parlamento nel 1679.
Sciogliendo il Parlamento Lungo della
Restaurazione, Carlo II pensava di dare all'opposizione, che aveva in
Shaftsbury (l'ex ministro Ashley della Cabala) il suo organizzatore, un colpo
da cui difficilmente si sarebbe più riavuta. Egli era fermamente convinto che
l'opposizione era solo un fenomeno parlamentare ed era dovuta alla capacità di
Shaftsbury di organizzare il dissenso tra i deputati, come Danby riusciva ad
organizzare il consenso. Con l'elezione di un nuovo parlamento, egli pensava,
l'opposizione sarebbe scomparsa o quanto meno sarebbe stata ridimensionata.
Egli non si rendeva conto che la realtà del paese e del parlamento era mutata.
L'opposizione, rappresentata dal partito del paese e la maggioranza,
rappresentata dal partito di corte, non erano fenomeni parlamentari, ma erano
realtà, ormai, esistenti nel paese e le elezioni che seguirono dovevano
dimostrarlo.
La lotta per l'elezione del nuovo parlamento
fu aspra. L'opposizione, anche se ebbe un momento di disorientamento al
momento dello scioglimento del parlamento, riuscì a darsi, in breve tempo,
un'organizzazione che le consentì di essere presente in tutto il paese. Fu
usato ogni espediente legale per aumentare i propri voti e quindi i propri
seggi. La tensione e l'allarme create dal presunto complotto papista giocarono
a favore del partito del paese. Chiuse le urne, la maggioranza del partito di
Shaftsbury fu schiacciante. Al partito di corte andarono solo trenta seggi.
Nel nuovo parlamento, Carlo II si trovò con
un'opposizione che era diventata maggioranza. Questo creò un'acuta tensione tra
la corona e il parlamento. « La prima conseguenza fu che Danby si dimise dal
suo incarico di Lord Tesoriere non appena il parlamento si riunì » (40). La
nuova maggioranza riprese alcuni provvedimenti che erano caduti col vecchio
parlamento, mentre ne introdusse altri per la prima volta. Tra i provvedimenti
ripescati troviamo l'Habeas Corpus che fu approvato e divenne legge dello
stato.
L'Habeas Corpus Act, tuttora in vigore, era
inteso a tutelare, come « tutelò e tutela i cittadini inglesi dagli arresti
arbitrari [una pratica di cui ultimamente Clarendon aveva fatto un grande
abuso] e le lunghe detenzioni in attesa di giudizio in modo così pratico ed
efficace che non è stato possibile in alcun altro paese, neppure nel secolo
decimonono, fare di meglio.
“L'Habeas corpus infatti
prescrive:
1) che quando si arresta
un cittadino inglese questo entro ventiquattro ore deve avere comunicato per iscritto
il titolo della imputazione che gli è addebitata.
2) Che tranne il caso di
fellonia, alto tradimento o altro gravissimo reato, qualunque persona arrestata
può mediante cauzione, ottenere la libertà provvisoria
3) Che entro venti giorni
dall'arresto l'imputato deve essere trodotto davanti al gran giurì, il quale
accerterà l'esistenza del fatto criminoso e giudicherà se vi siano indizi
sufficienti per proseguire contro l'imputato il procedimento penale.
4) Che ogni ufficiale di
polizia, magistrato e carceriere che violi in qualunque modo l'Habeas corpus
deve pagare, ognuno per conto proprio, cinquecento sterline... alla parte
lesa.
... Un efficacissimo strumento di tutela della
libertà individuale si è sempre dimostrato la disposizione contenuta nel comma
quarto, che stabilisce la responsabilità diretta e pecuniaria dei pubblici
ufficiali » (41).
L'Habeas corpus e, dopo la Magna Charta e la Petizione dei Diritti,
il terzo documento fondamentale della costituzione inglese, la quale sarà
completata, nella sua struttura fondamentale e legale, con gli altri due
documenti che saranno approvati nel prossimo ventennio: La Dichiarazione dei
Diritti (1689) e l'Atto di Successione (1701).
Tra i provvedimenti introdotti per la prima
volta troviamo la famosa Legge di Esclusione. Questa proposta di legge era la
naturale conseguenza della politica esclusionista che il partito del paese
aveva iniziato nel disciolto parlamento. In quel parlamento esso aveva ottenuto
che Giacomo fosse allontanato, da tutti i posti di responsabilità; in questo si
proponeva di escluderlo, in quanto cattolico, dalla successione al trono.
La lotta che seguì fu violenta. Il partito di
corte, sotto la guida di Danby, abbracciò la causa del diritto ereditario alla
successione, ma esso era in minoranza nella Camera bassa. Il re, per salvare
il diritto alla successione a suo fratello, sciolse il parlamento e ne convocò
uno nuovo, sicuro che il paese gli avrebbe fornito una maggioranza più
favorevole. Ma il responso delle urne non mutò la situazione. L'opposizione
aveva riconquistato la maggioranza. Al re non rimase che aggiornare il
parlamento prima che si riunisse.
Per un anno le Camere non furono più
convocate. Intanto la polemica tra i due schieramenti si fece sempre più
infuocata, violenta e piena di insulti reciproci. Il partito del paese venne ~ chiamato, spregiativamente dagli avversari,
Whig - dal nome dei ribelli protestanti della Scozia - mentre al partito di
corte fu dato l'appellativo di Tory, dal nome dei ladroni cattolici
dell'Irlanda.
Questi appellativi dispregiativi erano
destinati a diventare i nomi definitivi dei due partiti che, nati nel
Parlamento Lungo di Carlo I rappresentavano due realtà del paese. Il partito
tory era l'erede diretto dei cavalieri anglicani della guerra civile, che si
erano stretti attorno al sovrano per difendere il suo diritto prerogativo, come
facevano ora contro i whig; il partito whig era l'erede dei presbiteriani e
delle teste rotonde, i quali avevano combattuto per affermare la supremazia del
parlamento sulla corona, come facevano ora. I due partiti, «in una ferocia
orgia di dibattiti, libelli e propaganda, fissarono la tradizionale linea di
divisione per un'altra generazione » (42).
Entrambi i partiti si riconoscevano nella
costituzione, ma mentre i Tories ritenevano che la « costituzione era un punto
di arrivo, oltre il quale essi non guardavano mai e dal quale essi pensavano
era del tutto impossibile deviare, i Whigs ritenevano che tutte le forme di
governo sono subordinate al bene pubblico e perciò sono soggetti al cambiamento
quando essi non lo promuovono più » (43).
In altri termini, mentre i Tories erano e
saranno conservatori, i Whigs erano e saranno progressisti. Ma « i due partiti
non erano divisi soltanto dal grado della loro opposizione al potere regio, ma
anche più radicalmente dalla religione, i Tories erano anglicani
"alto-chiesisti", i quali cercavano di abbassare i dissidenti protestanti
mettendo in vigore il codice di Clarendon, ed estirpare in questo modo tanto il
presbiterianesimo, quanto il cattolicesimo da un'isola che doveva essere
interamente anglicana. I Whigs erano latitudinari "basso-chiesisti" e
dissidenti puritani, alleatisi per difendere le sette non conformiste da ogni
persecuzione, e un bel giorno cambiare ancora una volta le sorti della Chiesa
anglicana. Tanto i Whigs quanto i tories erano contro i cattolici, ma ogni
volta che il grido "Abbasso il papismo" si rinforzava, erano i whigs
a trarne il maggior beneficio; poichè allora gli anglicani scordavano la loro
paura dei dissidenti puritani.
« La lotta tra whigs e
tories... aveva perciò molte cause profonde... [e] toccò il suo culmine nel
contrasto intorno alla legge di esclusione » (44).
Quando il parlamento si riunì, ad un anno
dalle elezioni, i whigs ripresentarono la Legge di Esclusione e riuscirono a farla
approvare dalla Camera bassa, anche se le loro file non furono compatte perchè
non tutti erano d'accordo sul testo della legge che faceva intravedere che le
preferenze per la successione andavano al duca di Monmouth, figlio bastardo di
Carlo II e uomo di scarso ingegno e personalità. La legge, comunque, fu
rigettata dalla Camera alta.
« Nel mentre, l'ondata di eccitamento
popolare si stava smorzando e il re, che sapeva meglio di qualsiasi altro
leggere i segni dei tempi, sciolse, ancora una volta, il parlamento e ne
convocò uno nuovo che doveva riunirsi a Oxford il 21 marzo 1681. Il primo atto
di questo parlamento fu la reintroduzione della legge di esclusione, ma le
invenzioni di Oates e Dangerfield stavano mostrando segni di esaurimento. Fu
fatto un tentativo per mantenere desto il panico del complotto papista... ma
una mattina il re scese... nella Camera dei Lords.., e in pochi minuti il
parlamento aveva cessato di esistere. Non si sentì parlare più di esclusione,
nè il parlamento fu più convocato in questo regno » (45).
Negli anni che seguirono, Carlo II - che
aveva raggiunto l'autosufficienza finanziaria, grazie anche all'oro francese
che continuava ad arrivare - si preoccupò di rimodellare gli statuti delle
corporazioni cittadini per fare in modo che, nei futuri parlamenti, fosse resa
improbabile, se non addirittura impossibile, l'elezione di una maggioranza
whig. In questo egli era aiutato dal mutato atteggiamento dell'opinione
pubblica che, dissolta la paura del complotto papista, incominciava a voltare
le spalle all'opposizione per ritornare sotto le ali rassicuranti della corona
e dell'anglicanesimo. Due dei leaders più influenti dell'opposizione furono
giustiziati, mentre il suo organizzatore ed ispiratore - Shaftsbury - fu
costretto all'esilio, dove morì.
Tuttavia la guerra dei whigs non era ancora
perduta. Essi avevano combattuto per affermare il principio che una nazione
protestante non poteva essere governata, almeno in quell'epoca, da un re
cattolico e in questo erano nel giusto. Quando questo pericolo si farà
concreto, con l'ascesa al trono di Giacomo e la nascita di un erede che si
intendeva educare nella fede cattolica, whigs e tory si troveranno uniti per
affermare, con la forza delle armi, quello stesso principio che i whigs avevano
cercato di introdurre, prematuramente, e per via parlamentare, negli anni
1679-81.
Mentre Carlo II era stato un sovrano dotato
di senso politico, anche se non era stato un abile tessitore, che aveva saputo
trovare quasi sempre un modo per non esasperare i contrasti tra la corona e il
parlamento e aveva saputo frenare i propri impulsi interiori e nascondere i
propri sentimenti cattolici che confessò soltanto sul punto di morte, prendendo
la comunione secondo il rito romano, Giacomo II, con l'arroganza che gli
derivava dalla certezza di essere in possesso della verità, non si preoccupò
mai, tranne nei primissimi tempi della sua ascesa al trono, di nascondere i
suoi disegni sovvertitori delle antiche e accettate istituzioni per instaurare
una monarchia assoluta di tipo continentale. Egli si proponeva di raggiungere
tre obiettivi: 1) creare e mantenere un esercito stanziale; 2) esercitare di
fatto e di diritto il potere di sospensiva in materia di leggi; 3) reintrodurre
il cattolicesimo. Mentre nei primi due otterrà dei successi soddisfacenti, il
terzo provocherà la sua rovina e quella della sua dinastia.
Appena sale al trono, tuttavia, egli dichiara
di voler garantire la continuità delle istituzioni dello stato e della
religione (46).
Il suo primo ed ultimo parlamento « ... si
riunì negli ultimi giorni di maggio del 1685. Poichè le corporazioni cittadine
erano state arbitrariamente rimaneggiate alla fine del regno precedente, la
nuova Camera dei Comuni si presentava combinata nell'interesse del re molto
più accuratamente di tutte le altre con le quali avessero avuto a che fare gli
Stuart. Sir Edward Seymour... si lagnò per il modo come il governo era
intervenuto nelle elezioni. Comunque, c'erano soltanto una quarantina di membri
che non fossero tories o cortigiani. Davanti al parlamento il re ripetè le
promesse che aveva fatto al Consiglio privato, di mantenere le leggi e
difendere e appoggiare la chiesa di Inghilterra. Non parlò per il momento della revoca dell'Atto di
prova e dell'Atto dell'Habeas corpus, ma chiese in termini perentori la
concessione a vita di quelle entrate che erano state votate al fratello vita
naturaldurante. Se qualche membro del parlamento s'immaginava dimetterlo
finanziariamente a razione (con un boccone di tanto intanto) "risponderò
una volta per tutte, che questo con me sarebbe un sistema assai poco
conveniente". Voleva le entrate a vita.
«La Camera
dei Comuni tory, sedotta dalle sue promesse di appoggiare la Chiesa d'Inghilterra, fu
abbastanza lealista da cadere defilata nella trappola e votargli a vita i
redditi delle dogane.
Ciò lo mise in grado, non appena prese a
litigare col parlamento, di fare a meno di questo per lo spazio di tre fatali
anni. Invero, l'indipendenza finanziaria fu la sua rovina politica, poichè lo indusse a mettersi sulla strada della
tirannia. Dopo la rivoluzione, questa errata generosità da parte dei Comuni non
si ripetè più. A nessun re o regina dopo il 1685 si votò più una così
abbondante entrata a vita e conseguentemente non trascorse più un anno dopo il
1688 che non si convocasse il parlamento » (47).
Nella realizzazione del suo primo obiettivo,
quello di formare un esercito permanente, egli fu favorito dalla ribellione del
duca di Monmouth, il bastardo di Carlo II, che - con un esercito forte di 7.000
uomini, rivendicava il suo presunto diritto alla successione.
Il parlamento e tutte le forze attive del
paese, nel momento del pericolo, si
strinsero attorno alla corona. A Giacomo furono votati sussidi speciali per
arruolare un esercito con cui stroncare la ribellione, ed egli colse
l'occasione per affidare alcuni reggimenti ad elementi cattolici, per i quali -
usando la sua presunta prerogativa - aveva sospeso gli effetti delle leggi
penali e l'Atto di prova.
Stroncata la ribellione, il parlamento
chiese a Giacomo di ritornare nella legalità e licenziare gli ufficiali
cattolici, ma egli preferì liberarsi del parlamento prorogandolo e non
convocandolo più. Con quest'atto egli, « esasperato dalla riluttanza dei Comuni
ad approvare le sue misure [si rifiutarono, tra l'altro, di abrogare l'Atto di
Prova] e della decisa opposizione della Chiesa, gettò via i mezzi limiti che si
era autoimposto e dimostrò chiaramente che, con una magistratura che
trasformava i suoi comandi in sentenze e un esercito [forte di 20.000 uomini]
che le faceva rispettare, egli non avrebbe permesso che lo scherno delle
limitazioni costituzionali stesse più a lungo sul suo cammino » (48).
Nella realizzazione del suo secondo
obiettivo, quello di esercitare un potere di sospensiva sulle leggi, egli
trovò come alleati i giudici, i quali - privi di ogni indipendenza dal potere
esecutivo, da cui potevano essere licenziati in ogni momento - emisero una
sentenza (nel caso Hales) con la quale si riconosceva la validità giuridica del
decreto reale che dispensava alcuni individui dall'osservanza delle leggi
penali. Fin qui, tuttavia, si era nella normale dialettica costituzionale. Il
re, come abbiamo visto, aveva sempre esercitato questo potere prerogativa. Giacomo,
però, ne approfittò per riempire di cattolici l'esercito, la burocrazia, il
Consiglio privato e le università.
Nel 1687 egli emise la sua prima
Dichiarazione di indulgenza, con la quale si spingeva oltre il potere
dispensativo per arrogarsi il potere di sospensiva (49). La Dichiarazione,
infatti, sospendeva tutte le leggi penali in materia di religione. Il suo scopo
era quello di accattivarsi le simpatie dei non conformisti e farseli alleati
nella sua lotta per il potere assoluto. Ma i dissidenti, dopo un primo momento
di abbandono, capirono la manovra di Giacomo e si rifiutarono- di prestarsi al
gioco.
Nel 1688 egli riemise la Dichiarazione e «
ordinò ai vescovi di distribuirla a tutte le diocesi, in modo che essa potesse
essere letta pubblicamente in tutte le chiese. Ne conseguì che l'arcivescovo
di Canterbury, insieme ad altri sei vescovi, rivolse una petizione al re con la
quale gli chiedeva di non insistere nel pretendere obbedienza al suo ordine.
Per quest'atto essi furono arrestati sotto l'accusa di pubblicazione di libello
sedizioso e furono giudicati dal tribunale del banco del re e, in mezzo
all'entusiasmo popolare, essi furono assolti » (50).
« Il processo dei Sette Vescovi, uno dei
meglio noti incidenti della storia
inglese, è importante perchè il suo verdetto fu il verdetto contro un intero
sstema di governo » (51). Questi
avvenimenti, con l'attacco del re alla religione anglicana, suscitarono
l'opposizione di entrambi i partiti, tory e whig. I primi, che fino a poco
prima erano stati leali e fedeli sostenitori della corona, si ribellarono,
mettendo da parte il principio della resistenza passiva sancito nel 1661 e a
loro molto caro, e fecero causa comune con i tradizionali avversari. Ancora una
volta i tory dimostravano che la loro lealtà andava prima alla religione e poi
alla corona.
« Se fosse stato possibile indurre Giacomo a
cambiare l'ordine dei suoi disegni e abituare il popolo all'idea di un esercito
stanziale e al potere prerogativo di dispensare dall'osservanza della legge in
materia secolare, prima di invischiarsi troppo a fondo con la religione, molto
probabilmente egli avrebbe avuto successo nei suoi due obiettivi. Persino le
conversioni papiste potrebbero essere state più frequenti se la corte non le
avesse rese disonorvoli » (52).
Intanto a Giacomo, dopo qundici anni di
matrimonio, era nato un figlio maschio, dal suo secondo matrimonio con Maria di
Modena. Giacomo aveva avuto altri figli, « ma solo per vederli morire
nell'infanzia, e si credeva che ormai non ne avrebbe avuti più »(53).
La nascita di questo figlio, invece, fece
perdere ai tories le ultime speranze di risolvere pacificamente e con la
pazienza il problema religioso. Essi erano disposti a rimanere fedeli al loro
principio di resistenza passiva fintantochè erano sicuri che alla morte di Giacomo, ormai avanti negli anni,
sarebbe salita al trono la figlia di primo letto, la protestante Maria. Ma la
nascita dell'erede maschio, che tutti preferivano ritenere - per convenienza
politica - non essere vero figlio di Giacomo, ma di essere stato introdotto con
uno scaldino nella stanza della regina, faceva svanire questa possibilità.
Tories e Whigs, allora scrissero
congiuntamente una lettera a Guglielmo d'Orange, marito di Maria, invitandolo a
venire in Inghilterra a difendere la religione protestante.
Guglielmo sbarcò
nell'isola nell'autunno del 1688 alla testa di un piccolo esercito. Giacomo,
che era a conoscenza dell'immediato sbarco, cercò di guadagnarsi l'appoggio dei
capi locali della milizia che egli stesso aveva spodestato a favore dei
cattolici, ma non vi riuscì. Egli aveva un esercito di 22.000 uomini a sua
disposizione, ma era cosciente che non poteva contare molto sulla sua lealtà
(54). Per questo motivo egli cercò di evitare lo scontro frontale. Intanto i
suoi reggimenti passavano dalla parte di Guglielmo. Egli pagava per la politica
suicida di voler «puntellare il suo governo con le forze armate; questo lo
privò di un qualsiasi partito disposto a combattere; e senza forze al suo comando
la corona era alla mercè del parlamento » (55). A Giacomo non rimase che «
riprendere i viaggi» che suo fratello Carlo aveva interrotto per prendere
possesso del trono inglese nel 1660. Ma prima di partire gettò nel Tamigi i
sigilli di stato.
La fuga di Giacomo pose rilevanti problemi
costituzionali. L'Inghilterra, per la prima volta nella sua storia, si trovava
senza un organo costituzionale in carica. Il re, che rappresentava l'esecutivo,
era fuggito all'estero; il Consiglio privato non era un organo costituzionale
indipendente, ma era il Consiglio del re; il parlamento era stato sciolto
qualche tempo addietro e non era stato più convocato. Per rendere le cose
ancora più complicate, Giacomo aveva gettato il Sigillo nel Tamigi in modo da
essere sicuro che senza di lui nessuno avrebbe avuto il diritto legale di
governare.
Per uscire da questo dilemma costituzionale,
Guglielmo convocò un'assemblea di parlamentari, lords e ex deputati del parlamento
di Carlo II, a cui invitò anche i membri del Consiglio municipale di Londra.
Quest'assemblea gli consigliò di convocare un
parlamento di converzione, il quale si riunì il 22 gennaio 1689.In
stretti termini giuridici questo parlamento di convenzione era illegale, perchè
irregolare nella forma di convocazione.
Guglielmo, infatti, non aveva la capacità
legale di emettere il decreto di convocazione, cosa che in effetti non fece, ma
si limitò, invece, ad invitare i lords a riunirsi nella Camera alta e i Comuni
a mandare i loro rappresentanti in parlamento.
Il parlamento di convenzione del 1660,
tuttavia, poteva trovare una validità giuridica nel fatto che esso fu
convocato da un parlamento regolarmente
eletto (in Parlamento Lungo), il quale esercitò questo potere in base all'Atto
triennale del 1664 che prevedeva modi sostitutivi di convocazione in assenza
della volontà reale. Il parlamento del 1689 non aveva e non poteva avere
questa giustificazione. L'Atto triennale del 1641, infatti, era stato abrogato
e sostituito con quello del 1664, il quale stabiliva che l'unico organo competente a convocare il parlamento era la corona.
Comunque i lavori di entrambi i parlamenti furono dichiarati perfettamente
legali dai rispettivi successivi parlamenti eletti (1660 e 1690).
La fuga del re creò anche altri problemi. I
partiti che avevano deciso di chiamare Guglielmo non erano d'accordo sulla
soluzione da dare alla crisi. I tories volevano fare salvo il diritto
ereditario legittimo e proponevano una sorta di reggenza da affidare a
Guglielmo. I whigs ritenevano che con la fuga Giacomo II aveva di fatto
abdicato e quindi il trono era vacante e proponevano di proclamare regina Maria. Guglielmo, nel
frattempo, aveva fattosapere che non era venuto in Inghilterra per fare il
reggicoda di nessuno e se non poteva diventare
re di pieno diritto se ne sarebbe ritornato al suo paese.
Alla fine il punto di
vista whig prevalse e la corona fu offerta congiuntamente a Guglielmo e Maria.
«La corona fu accettata. La
Convenzione di conseguenza, seguendo il precedente del 1660,
approvò un Atto con il quale dichiarava di essere il parlamento d'Inghilterra
nonostante la mancanza del formale decreto di convocazione. Questo parlamento
di Convenzione rimase in vita fino al principio del 1690 e approvò molte leggi
importanti, tra le quali la
Legge sui Diritti » (56), l'Atto di Tolleranza e l'Atto di
Ammutinamento, i quali diedero un nuovo assetto allo stato e segnarono un punto
di svolta tra due epoche: chiusero per sempre quella iniziata nel 1215 e
aprirono quella che avrebbe condotto, di lì a poco, al sistema di governo
parlamentare dei nostri giorni.
Con i primi due articoli della Legge sui
Diritti (57) si risolveva « la principale questione in gioco nel 1688: deve il
re sottostare alla legge oppure la legge al re? L'interesse del parlamento
coincideva con quello della legge, perchè senza dubbio il parlamento poteva
alterare la legge. Ne conseguiva che se la legge, sovrastando all'autorità
regia, restava alterabile dal parlamento, il parlamento doveva essere supremo.
Giacomo II aveva tentato di rendere la legge alterabile su larga scala per
opera del re. Questo, qualora fosse stato permesso, avrebbe reso il re padrone
del parlamento, e di fatto un despota. Gli avvenimenti dell'inverno 1688-89
diedero la vittoria all'idea contraria, che Selden e il primo giudice Coke
avevano enunciato agli inizi del secolo: essere il re il primo servitore della
legge, non il suo padrone; l'esecutore della legge, non la sua fonte; la legge
potersi alterare soltanto dal parlamento (re, Lord e comuni insieme). E' questo
che fa della rivoluzione l'evento decisivo nella storia costituzionale inglese.
Fu decisiva perchè non venne mai più rinnegata, com'era stata rinnegata la
maggior parte dell'opera della rivoluzione cromwelliana » (58).
L'articolo IV riaffermò il principio, ormai
riconosciuto ed accettato da tempo, che imporre la tassazione, o imporla per un
periodo più lungo di quello concesso, senza il consenso del parlamento, era
illegale. L'art. V, in ricordo dell'odioso episodio dei sette vescovi che
furono arrestati e processati per aver inoltrato una petizione al re, stabilì
che era un diritto del cittadino presentare petizioni al sovrano e che
arrestare e processare i cittadini per averlo fatto era illegale.
L'art. VI riaffermò un vecchio, ma
spessissimo inosservato principio: che creare e mantenere un esercito, entro i
confini nazionali, in tempo di pace, era illegale, a meno che non fosse fatto
col consenso del parlamento. L'art. VIII, dichiarando che le elezioni per la Camera bassa dovevano
essere libere, pose rimedio all'attacco che gli ultimi due Stuart avevano
condotto contro le libere corporazioni cittadine per garantirsi una maggioranza
in parlamento. Molti degli statuti revocati furono ripristinati, altri furono
riconcessi. L'art. IX riaffermò il principio della libertà di parola per i
membri del parlamento. « Un'ultimo articolo (XII) della Legge stabilì che
nessuna legge poteva essere sospesa a meno che non lo prevedesse essa stessa o
qualche altra legge approvata in quella stessa sessione. E poichè non fu approvata
alcuna legge in questo senso, l'esercizio del potere dispensativo da parte del
re cessò di esistere » (59). L'art. XIII, infine, stabilì che il parlamento
doveva essere convocato di frequente.
La
Legge sui Diritti pose fine alla lunga lotta per il potere
tra nobili, corona e parlamento. Questa lotta si svolse in due tempi,
inframmezzati da un intervallo. Nel primo (1215-1485) la contesa si svolse tra
i nobili e la corona; e la corona ne uscì vittoriosa. Nel secondo (1603-1688)
la lotta si svolse tra il parlamento e la corona; e il parlamento si affermò
come l'organo sovrano della nazione. Solo i Tudor, il cui periodo costituisce
l'intervallo della lotta, non conobbero opposizioni e regnarono assoluti. Ma il
loro assolutismo era un assolutismo de facto. Gli Stuart, invece, andarono alla
ricerca di un assolutismo de iure e questo provocò la Grande Ribellione
prima e la
Gloriosa Rivoluzione, poi, combattuta senza spargimento di
sangue.
Sotto gli Stuart « lo stato, comunque, e la
sua espressione organizzata nel parlamento erano di carattere composito; ed ognuno
dei suoi elementi lottava per la supremazia. L'Inghilterra era stata unificata
sotto l'egida dell'alta corte del parlamento; non ci dovevano essere sovranità
locali, nè parlamenti provinciali, nè chiese autonome, e che il parlamento non
può essere in errore divenne una dottrina riconosciuta persino dai giuristi
realisti. Ma nell'ambito di questa corte, corona, Lords, giudici e Comuni erano
in contesa per la supremazia e rivendicavano la loro libertà in uno spirito
medievale.
Giacomo I e Carlo I erano presi dalla loro
"libertà" quanto la
Camera dei Comuni o il presidente Coke; e per ogni elemento
della costituzione la libertà significava la sua libertà, cioè, la sua
indipendenza e la sua non responsabilità. Giacomo I aveva scolpito nel cuore
"la legge della libera monarchia" e cercò di scolpirla anche nel
cuore del suo popolo. Questa libertà per lui significava l'indipendenza dal
papa come dal parlamento, e dipendenza solo da Dio... Carlo I pretendeva anche
che nel difendere la libertà dei re egli faceva causa comune col suo popolo.
I_ governo non era cosa che poteva interessare al popolo; era la sua
"libertà": la loro consisteva nel vivere sotto le leggi che garantivano
la loro sicurezza e la loro proprietà, e non quella di controllare il governo.
Egli affermava che ogni uomo possedeva la libertà di scegliersi i propri
consiglieri e che il parlamento, cercando di rendere i ministri responsabili a
lui, lo derubava di una libertà che era goduta da tutti i suoi sudditi. Come
tutti i veri medievalisti, gli Stuart basavano al loro richiesta su un diritto
divino e immutabile; ma vi aggiungevano una dottrina della Riforma secondo la
quale questo diritto era immune dall'arbitrato del papa. e sostenevano inoltre
che questo diritto era basato sulla primogenitura. Fu una specie di
predestinazione che ne investì Giacomo I...
« Il concetto di libertà del parlamento era
difficilmente meno egoistico. Per esso la libertà era la sua libertà. Da dove
esso l'avesse derivata era di poca importanza per i suoi membri; e la loro
cultura storica era più scarsa di quella degli Stuart. Ma le convinzioni che
non hanno una base storica sono spesso patrimonio politico. Il parlamento era
convinto che le sue libertà erano antichissime, che esse erano diritti
irrevocabili, indipendenti dalla grazia o dal favore della corona. Il
parlamento era, come disse a Giacomo I nel 1604, al di sopra della legge; esso
non si considerava responsabile nè verso la corona, nè verso il popolo, e
considerava i suoi privilegi come l'espressione della propria autocrazia...
« La lotta costituzionale
del XVII secolo fu un tentativo di privare i re delle loro libertà, e questo
tentativo fu consumato nella rivoluzione del 1688 che derubò la corona della
libertà di coscienza e le impose un decalogo di proibizioni. La libertà fu
trasferita dal re al parlamento, e il parlamento potè autorizzare il re a fare
tutti quegli atti che aveva dichiarato illegali senza il suo consenso. Mentre
era stata posta una serie di vincoli alla libertà della corona, il parlamento
non ne aveva alcuno; e per tre quarti di secolo dopo la rivoluzione la Camera dei Comuni affermò
la sua indipendenza e la sua non responsabilità verso alcuno, nella stessa
maniera in cui gli Stuart l'avevano reclamate per se stessi » (60).
Alla corona rimase solo il controllo
dell'esecutivo che era di sua nomina. Quando anche quest'ultimo potere sarà
acquisito dal parlamento il sistema di governo parlamentare farà un altro passo
avanti e il re si avvierà a diventare una figura rappresentativa con nessun
potere politico.
La prassi dell'impeachment, che continuerà
ancora per qualche tempo, era nata e veniva usata per stabilire un qualche
controllo politico sul governo. Quando il governo sarà di espressione
parlamentare e sarà responsabile verso le Camere, questa prassi non avrà più
motivo di esistere e quindi scomparirà. Questo strumento aveva dimostrato una
certa validità quando nel bilancio della corona era impossibile fare una
distinzione tra bisogni privati della corona e bisogni pubblici e quando «il
parlamento votava o rifiutava le somme richieste dai ministri della corona
senza avere la possibilità di pretendere di stabilire come questo denaro doveva
essere speso » (61). Ma « dopo la rivoluzione tutto ciò fu cambiato. Al re non
furono versate tutte le somme necessarie per far fronte a tutte le necessità
del governo; gli fu attribuito un certo appannaggio, chiamato lista civile, in
modo da coprire tutte le necessità della casa reale e dei dipartimenti civili. La Camera dei Comuni si
assunse la responsabilità della spesa per la difesa e annualmente votava e
pagava le somme necessarie. Con questo essa acquistò il potere di controllare
costantemente l'operato dei ministri del re » (62).
La Gloriosa Rivoluzione
del 1688-89 non fu democratica, ma oligarchica. Al popolo, infatti, anche se vi
aveva partecipato materialmente, non venne riconosciuto alcun ruolo nella vita
politica dello stato. Le elezioni erano appannaggio delle corporazioni
cittadine, che erano controllate dai proprietari terrieri, e delle assemblee di
contea che, con il loro sistema elettorale basato sul censo, escludevano
qualsiasi partecipazione popolare. Comunque, la Rivoluzione costituì
un passo importante verso la realizzazione del sistema parlamentare democratico
dei nostri giorni. Con la
Rivoluzione, infatti, il parlamento si affermò come organo
sovrano nello stato. E questo costituiva la prima tappa obbligata nella costruzione
del sistema. Il sistema parlamentare democratico si affermerà quando
l'esecutivo sarà responsabile verso il parlamento e quest'ultimo verso il
popolo che lo elegge, ma per arrivarvi bisogna aspettare le grandi lotte del
XIX secolo che vedranno di fronte parlamento e popolo: uno deciso a difendere
il proprio potere ed i privilegi della classe che rappresentava, l'altro per
conquistare l'ultimo traguardo della grande lotta per il potere iniziata nel
1215: la democrazia, in cui il potere appartiene al popolo.
Se la Legge sui Diritti pose fine alla prima tappa
della grande lotta per il potere, l'Atto di Tolleranza, dello stesso anno, dava
al problema religioso una soluzione accettabile, anche se ancora non del tutto
soddisfacente. Esso abrogò alcune leggi penali approvate nel regno di
Elisabetta e di Carlo II, ma lasciava in vigore l'Atto di Prova del 1679 e
l'Atto delle Corporazioni del 1661, che sancivano l'incapacità politica e
civile dei dissidenti. Comunque, a quest'ultimi si garantiva una certa libertà
d culto se si osservavano alcuni obblighi(63). «Anche in questo senso ristretto
la tolleranza non fu estesa ai cattolici »(64).
Il problema religioso, che era stato in primo
piano per 150 anni (1534-1689), passando attraverso rivolgimenti sociali e
politici (Enrico VIII), attraverso persecuzioni e bagni di sangue (Maria),
attraverso guerre civili (Carlo I) e attraverso rivoluzioni, anche se incruenti
(1688), trovava, con l'Atto di Tolleranza, il suo primo assetto, ma nella sfera
politica esso faceva delle minoranze religiose « soltanto cittadini di seconda
classe » (65).
L'Atto di Ammutinamento
del 1689 risolse, infine, il problema dell'esercito permanente. « Fino a molto
tempo dopo la Rivoluzione
del 1689, era convinzione radicata degli uomini di stato che un esercito
permanente fosse fatale alle libertà inglesi, tuttavia -dopo la Rivoluzione - divenne
chiaro che l'esistenza di una forza armata era necessaria per garantire la
sicurezza nazionale. Gli inglesi, perciò, alla fine del XVII e all'inizio del
XVIII secolo si trovarono di fronte ad un dilemma. Essi temevano che con un
esercito stanziale non avrebbero potuto tenere lontano il dispotismo; senza un
esercito permanente non avrebbero potuto evitare - ne erano sicuri -
l'invasione del paese; sembrava che il mantenimento delle libertà nazionali
richiedesse il sacrificio dell'indipendenza nazionale. Eppure gli uomini di
stato inglesi trovarono quasi per accidente una soluzione pratica a questo
dilemma teorico, e il Mutiny Act (l'Atto di Ammutinamento), sebbene fosse un provvedimento approvato in
fretta per far fronte ad un pericolo imminente, contiene la soluzione di un
problema apparentemente insolubile.
«In questo esempio, come in altri, di un
successo ottenuto attraverso l'esercizio di ciò che è chiamato il buon senso
pratico, sanciva l'istinto politico, il senso dello stato degli inglesi,
dovremmo stare attenti a non incorrere in
due errori, « Da una parte dovremmo stare attenti a non pensare che gli
statisti inglesi agirono con una profonda sagacia e lungimiranza, di cui solo
essi erano capaci e che non era possibile trovare negli altri uomini politici
delle altre nazioni. Ancora meno dovremmo pensare, d'altra parte, che la
fortuna e le buone occasioni aiutino gli inglesi a superare difficoltà che sono
insormontabili per gli abitanti di altri paesi. Il senso pratico politico, o
l'istinto politico,
significano poco più del
costante tirocinio nella conduzione degli
affari di stato; questa conoscenza pratica degli affari pubblici era un
patrimonio dell'inglese istruito con uno o due secoli di anticipo sui
corrispettivi francesi o tedeschi; da quì la precoce affermazione in
Inghilterra di sani principi di governo che solo di recente sono prevalsi in
altri paesi. Gli uomini della Rivoluzione riuscirono a superare problemi
difficili non perchè furono capaci di fornire idee nuove o brillanti, nè per
mera fortuna, ma perchè le nozioni del diritto e dello stato, che erano
cresciute in Inghilterra, erano in molti punti sani, e perchè gli statisti del
1689 applicarono alle difficoltà del loro tempo le nozioni che erano comuni
agli inglesi più pensosi di quel periodo. Infatti, la soluzione del problema
dell'esercito fu dovuta alla stretta osservanza, da parte degli autori del
primo Mutiny Act, del principio fondamentale del diritto inglese, che un
soldato può, come ogni credente, incorrere - nella sua funzione - in obblighi
speciali, ma questo non lo libera dalle responsabilità ordinarie di cittadino »
(66).
In altre parole, l'Atto di Ammutinamento
stabilì che se il soldato commetteva un reato comune era soggetto e punibile in
base al diritto comune, ma se egli si rendeva colpevole di atti di
ammutinamento, di insubordinazione, ecc., egli era responsabile verso la
giustizia militare. L'originalità di quest'Atto consiste proprio nel fatto che
esso stabiliva la doppia responsabilità - civile e militare - del soldato, per
atti che ricadevano in sfere diverse, ma che nel passato venivano puniti dalla
legge marziale che coinvolgeva anche i civili.
Con la vittoria assoluta del parlamento,
l'Inghilterra s'incamminava verso una forma di governo in cui la sovranità era
esercitata dall'organo vittorioso. Questo avrebbe potuto condurre ad un governo
fanatico, intollerante ed arbitrario, se quest'organo fosse stato dotato di una
volontà univoca, senza opposizione di rilievo. Gli esempi in questo senso nella
storia del parlamento non mancavano. Il Rump, il parlamento purgato dei primi
tempi della Repubblica, che era formato esclusivamente da puritani intolleranti
uniti e compatti, esercitò il potere sovrano in modo arbitrario, finchè
Cromwell non decise di porre fine a questo stato di cose con la forza.
Il Parlamento dei Santi, il primo parlamento
del Protettorato, si era dimostrato altrettanto fanatico ed intollerante:
pericoloso a se stesso e alla nazione.
L'equilibrio nell'esercizio del potere si
poteva raggiungere solo all'interno di quest'organo sovrano in cui si formava
un contrasto di forze che si controllavano reciprocamente, dialetticamente. E,
nel parlamento del 1689, queste forze erano già presenti: i partiti politici.
La nascita dei partiti politici trasformava la
lotta per il potere, che prima di allora era stata combattuta tra due organi
-corona e parlamento - in una lotta combattuta nello stesso organo per affermare la propria visione
dell'organizzazione sociale. Senza questo gioco di forze, per cui l'opposizione
- intesa nel senso moderno del termine - diventava tanto importante quanto la maggioranza, non si sarebbe potuto
sviluppare il governo par
lamentare democratico dei
nostri giorni, ma solo una forma di
oligarchia.
I partiti del 1689 erano sì portatori di
interessi oligarchici: quelli della piccola nobiltà di campagna e della grassa
borghesia terriera, ma la dialettica delle forze che esse rappresentavano nel
paese garantiva contro la possibile trasformazione del parlamento in strumento di oppressione, un pericolo
sempre presente quando esiste una sola, grande forza, senza o con scarsa
opposizione, che crede di possedere la verità.
Tuttavia, a quell'epoca, i partiti non
erano visti in quest'ottica. Essi erano considerati possibili fonti di
contrasto e quindi di pericolo. La responsabilità della guerra civile veniva attribuita al sorgere delle lotte di
fazioni. L'ideale politico era rappresentato, nella visione tory, da una grande
unione, nella diversità di pensiero, attorno alla corona. E Guglielmo
sperava che i partiti scomparissero. Ma
essi erano venuti per restare e questo fu un bene, perchè solo essi potevano
garantire l'organizzazione del consenso e del dissenso nelle moderne democrazie
di massa.
A partire del 1689, perciò, si incominciò ad
affermare « come prassi abituale il contrasto tra due partiti che accettavano
entrambi il principio della monarchia costituzionale, limitata nei suoi poteri
dal parlamento; e benchè l'organizzazione e la disciplina all'interno dei
partiti fossero molto rudimentali, ben presto il re si [troverà] nella
necessità di governare tramite quello dei due che fosse riuscito a controllare
la maggioranza dei deputati nella Camera dei Comuni, e di formare un ministero
monopartitico, con tutti gli aspetti del clientelismo e di corruttela necessari
in questo periodo per la stabilità di un tale ministero. Nel 1689, Guglielmo
prese i suoi ministri da entrambe le parti » (67) e continuò questa politica
per tutto il tempo del suo regno: « egli voleva essere il re di tutta la
nazione, non il capo di un partito » (68).
La pratica di servirsi di un numero
ristretto di ministri, il Gabinetto, iniziata sotto Carlo II, fu continuata.
Nel 1679 c'era stato, da parte del parlamento whig, un tentativo per eliminare
questa prassi per ritornare al vecchio, collaudato e rassicurante, ma
anacronistico, Consiglio Privato. Ma questo ritorno fu impossibile, malgrado
Carlo II si fosse impegnato in questo senso. Il Gabinetto era un organo
congeniale alla forma di governo parlamentare verso il quale si stava
incamminando l'Inghilterra. Anch'esso era venuto per restare.
Nel 1697, al consiglio ristretto di Guglielmo,
in cui predominavano glì elementi whig, fu dato il nome di Giunta. Sotto Anna
la pratica del Gabinetto continuò e soltanto una volta il Consiglio Privato
svolgerà un ruolo politico importante: quando salverà l'Inghilterra da una
successione discussa.
La
Legge sui Diritti fissò che il parlamento si sarebbe dovuto
riunire di frequente, ma non stabilì quando e come. Fino al 1694 non si riuscì
a far approvare una nuova legge che desse maggiore garanzie di quelle fissate
nell'Atto triennale del 1664. Le clausole di quell'Atto, infatti, non avevano
impedito a Carlo II di fare a meno del parlamento. E la stessa cosa si avviava
a fare Giacomo 11. Finalmente, nel 1694, fu trovato un accordo su una nuova
legge triennale, la quale « stabilì che ogni parlamento decadeva entro tre anni
dalla sua convocazione. La clausola, contenuta nell'Atto di Carlo II, che il
parlamento non poteva essere vacante per più di un triennio fu riapprovata; ma
non si pensò necessario far rivive le disposizioni violenti e forse
impraticabili dell'Atto del 1641; poichè era evidente che ormai si poteva
ritenere che le sessioni annuali erano diventate un indispensabile congegno di
governo.
« Queste riunioni annuali del parlamento erano
rese necessarie, 1689, Guglielmo in primo luogo, dalla determinazione delle
entrate attraverso 1'appropriazione della spesa. Inoltre, esse erano
assicurate dall'approvazione dell'Atto di Ammutinamento, attraverso il quale
si assicurava la coesione dell'esercito e il mantenimento della disciplina
militare per un breve termine, raramente o mai oltre i dodici mesi. Queste sono
le due efficaci misure che garantirono la nazione contro il potere militare:
le truppe non potevano essere pagate senza il previo consenso dei Comuni... E
nessun militare poteva essere punito, nè poteva essere istituita una corte
marziale senza l'approvazione annuale dell'Atto di Ammutinamento. Così è perfettamente
vero che se il re non convocava il parlamento ogni anno, il suo esercito
avrebbe cessato di avere un'esistenza legale; e il
rifiuto di entrambe le
Camere di approvare l'Atto di Ammutinamento avrebbe immediatamente tolto al re
la spada dalle mani » (68).
Sotto Anna la Legge sui Diritti aveva
anche regolamentato l'assetto della monarchia. La corona venne attribuita a
Maria e Guglielmo congiuntamente. Questa soluzione permise di fare salvo il
principio di legittimità ereditaria, tanto caro agli anglicani. Maria, infatti,
era l'erede presuntiva al trono prima
della nascita dell'erede maschio e continuò ad esserlo anche dopo, dato che -
per convenienza politica più che per
sincero convincimento, questo venne considerato non legittimamente nato.
Alla morte di uno dei due, la corona veniva
attribuita al superstite. Alla morte di questo, essa passava ai figli di Maria
e in mancanza di quest'ultimi ad Anna, sorella di Maria, ed ai suoi eredi. Solo
in mancanza di quest'ultimi la corona andava ai possi bili figli di secondo letto di Guglielmo.
Quest'assetto, tuttavia, si dimostrò ben
presto irrealizzabile nei fatti. Maria morì nel 1694 senza figli. Guglielmo non
si risposò e nel 1700 morì l'unico figlio di Anna. Questo significava che, alla
morte di Anna, l'erede al trono più prossimo sarebbe stato quel figlio di
Giacomo che la Legge
dei Diritti non aveva nominato tra gli aventi diritto alla successione.
Per evitare una successione indesiderata,
che senz'altro avrebbe riaperto vecchie ferite e avrebbe nullificato, o quanto
meno messo in pericolo, tutte le conquiste della Gloriosa Rivoluzione, come
era avvenuto per la rivoluzione cromwelliana, nel 1701 il parlamento approvò la Legge sulla Successione al
Trono (Act of Settlement), la quale stabilì che, alla morte di Anna, la linea
di successione più prossima era quella di Sophia, grande elettrice di Sassonia,
della casa di Hannover e discendente diretta di Carlo I.
L'Act of Settlement, tuttavia, non si
limitò a regolare la linea di successione immediata, ma conteneva anche una
serie di clausole costituzionali che limitavano ulteriormente i poteri della
corona a favore del parlamento e che sarebbero dovute entrare in vigore con
l'ascesa al trono della nuova dinastia. Queste clausole stabilivano che:
1) i sovrani inglesi
dovevano essere di fede anglicana, come stabilita nella chiesa d'Inghilterra;
2) la difesa dei domini
personali del re non poteva coinvolgere l'Inghilterra in una guerra senza il
consenso del parlamento;
3) i sovrani inglesi non
potevano assentarsi dall'Inghilterra senza il consenso del parlamento;
4) tutti gli affari di
stato e di governo dovevano essere trattati, discussi ed approvati dai
consiglieri che li avevano proposti ed approvati;
5) gli stranieri, a meno
che nati da genitori inglesi, non potevano occupare cariche pubbliche, nè
essere eletti al parlamento;
6) i funzionari pubblici,
a qualsiasi livello, non potevano essere eletti membri del parlamento;
7) la nomina dei giudici
doveva essere fatta durante buona condotta (quandiu se bene gesserint), il loro
salario doveva essere stabilito dal parlamento, il quale era anche la sola autorità
che poteva decidere la loro rimozione;
8) il re non poteva
concedere il perdono a chi era stato messo in stato d'accusa dalla Camera dei
Comuni.
Alcune di queste clausole erano di natura
contingente ed erano suggerite dall'esperienza fatta sotto Guglielmo III.
Altre, invece, davano una soluzione definitiva a problemi che avevano travagliato la vita istituzionale della
nazione in tutto il suo corso storico. Altre, infine, erano regressive e
medievali nello spirito. Tra le prime vanno messe la 2), la 3) e la 5). Esse
erano una risposta alla politica estera di Guglielmo, quasi sempre impegnato in
guerre sul continente per la difesa dell'Olanda e si voleva evitare che la
stessa cosa potesse succedere per il principato di Hannover, e alla politica di
circondarsi di suoi connazionali a cui affidava
incarichi importanti.
Tra le seconde troviamo la 1), la 7) e 1'8).
Con la prima si proponeva, fin dove era possibile, di eliminare qualsiasi fonte
di contrasto tra il sovrano e i sudditi
sul problema religioso. La 7) istituiva l'indipendenza del terzo potere dello
stato: la magistratura. E questo era molto importante. Nel periodo Stuart i
giudici erano stati il braccio violento dell'esecutivo. Tutti i sovrani di
questa dinastia si erano serviti dei giudici per dare legittimità giuridica,
con le loro sentenze, ai poteri arbitrari che essi esercitavano in virtù di
una prerogativa regia che il parlamento riconosceva fino ad un certo punto e
che i giudici, invece, ritenevano assoluta e non limitabile. Solo in rari casi,
i giudici seppero o
ebbero il coraggio di
opporsi alla corona, ma essi pagarono questo loro atto con la rimozione, come
accadde al presidente Coke nel 1616.
I giudici, infatti, erano di nomina reale e
conservavano il loro posto durante bene placito della corona. Era quindi molto
difficile che un giudice potesse opporsi al re e conservare il posto. La norma
di valore costituzionale della Legge di Successione rendeva la magistratura
completamente indipendente dall'esecutivo, tranne che nella nomina. La 8) era
stata suggerita dal caso Danby del 1679
tendeva ad affermare la responsabilità dei ministri anche per atti illegali commessi su
ordine della corona. In quell'anno Danby
era stato messo sotto accusa per degli atti che portavano la firma di Carlo II,
il quale, poi, tentò di salvare il suo ministro sciogliendo prima il parlamento
e poi concedendogli il suo perdono.
Tra le terze vanno messe la 4) e la 6). La
4) tentava di riportare in auge un organo di natura medievale, il Consiglio
privato, che ormai aveva esaurito il suo compito e mal si adattava alla natura
dello stato moderno che richiedeva rapidità dì decìsìone e d'azione. L'organo
ristretto di governo, il Gabinetto, di cui si erano serviti Carlo II, Giacomo
II e Guglielmo III, suscitava le apprensioni del parlamento, ma soprattutto dei
whigs, che vedevano in esso un possibile strumento autocratico nelle mani del
re. Già sotto Carlo II, come abbiamo viste, i whigs avevano tentato di
eliminare il Gabinetto per fare ritorno al Consiglo privato, ma senza successo.
Ora, questo ritorno era voluto e sancito dall'Atto dì Successione, ma, ancora
una volta, esso fu impossibile. sia Guglielmo che Anna si serviranno del
Gabinetto come organo di governo e il consiglio privato funzionerà come organo
di ratifica. Tuttavia, la nuova norma costituzionale conteneva un principio,
quello della controfirma dei ministri agli atti della corona, che sarà assunto
come essenziale in tutte le costituzioni moderne.
La. 6), sancendo l'incompatibilità tra la carica
di ministro e quella di parlamentare, rischiava di provocare una separazione e
quindi un'indipendenza troppo rigida tra esecutivo e legislativo, che mal si
sarebbe conciliata con il sistema di governo parlamentare che stava allora
nascendo.
Di quest'ultime due clausole, la prima fu
abrogata nel regno di Anna, mentre la seconda fu modificata in modo da
consentire ai ministri di sedere in parlamento. Sotto Giorgio I, sarà abrogata
anche la clausola che proibiva ai sovrani di recarsi all'estero senza il
consenso del parlamento.
Sotto il regno di Anna (1702-1714) si ebbero
le prime esperienze di Gabinetti monocolori, con i whigs predominanti nella
prima parte del regno ed i tories nella seconda .
Nel 1707 si realizzò,
finalmente, con l'Atto di Unione, l'unione tra Inghilterra e Scozia e si diede
vita ad un unico parlamento per i due paesi. Quello che Cromwell aveva
realizzato prematuramente con la spada, ora di realizzava pacificamente con un
atto di volontà e di saggezza politica. La successione degli Hannover al trono
d'Inghilterra avrebbe potuto creare una separazione totale i due paesi che
erano uniti solo nella corona, a causa del sentimento pro Stuart che ancora era
molto diffuso nella Scozia, dove il pretendente giacobita cercava di farsi riconoscere
re.
Le ultime speranze del giovane Stuart di
succedere alla corona d'Inghilterra caddero quando la regina Anna, sul punto di
morte, riuscì a sventare un complotto giacobita - originato nel Gabinetto -
convocando - per l'ultima volta- il Consiglio privato, del quale si servì per revocare il mandato di
governo agli amati tory per affidarlo ai
non amati whigs, ma fedeli e sicuri sostenitori a della successione hannoveriana.
Con la morte di Anna si chiudeva un'epoca di
profonda e duratura crescita costituzionale. Dal XIII secolo agli inizi del
XVIII, l'Inghilterra aveva costruito lentamente, ma progressivamente, un
sistema costituzionale e di governo che avrebbe costituito la base di tutti i
sistemi costituzionali degli stati moderni.
Agli inizi del XVIII secolo il rustico di
quest'edificio costituzionale era stato completato: il parlamento era l'organo
legislativo sovrano; la magistratura, indipendente ed inamovibile, si era
affermata come il terzo potere dello stato; solo l'esecutivo era
ancora in via di
consolidamento con una corona che si avviava a
lasciare il campo della lotta politica esclusivamente ai partiti
politici.
Il seguito della storia sarà una storia di
ritocchi e di rifiniture di questo immenso e superbo edificio che era stato
costruito in cinque secoli di lotte intestine, di lotte di fazioni, di guerre
civili e di guerre di religione, per
renderlo idoneo ad accogliere la democrazia. Se fino ad ora la lotta per il
potere si era risolta, al di fuori di qualsiasi disegno precostituito, nella
mirabile crescita della costituzione, d'ora in avanti, per un naturale processo
di sviluppo, che vedrà il parlamento al centro degli avvenimenti, la lotta sarà
combattuta, con altri metodi e altri strumenti, per portare le grandi masse alla
conquista dei diritti politici, da cui fino ad ora erano state
irrimediabilmente escluse.