CAPITOLO I
I PROGENITORI DEL PARLAMENTO
(Le assemblee nazionali nel medioevo)
La storia del parlamento moderno
incomincia con la rivoluzione economica del XII-XIII secolo, ma le sue origini
vanno molto più indietro nel tempo. Esso affonda le sue radici nella storia dell'alto
Medio Evo europeo.
La storia d'Europa nel V secolo è la storia
delle invasioni dei popoli germanici. Essi si stabiliscono un po' dappertutto e
fondano dei regni. « Infatti, tutto l'Occidente è un mosaico di regni barbari:
Ostrogoti [e successivamente Longobardi] in Italia, Vandali in Africa, Svevi in
Galizia, Visigoti in Spagna e al nord della Loira, Burgundi nella valle del
Rodano... Infine in Britannia si stabiliscono gli anglo-sassoni » (1).
Tutti questi popoli si presentano sulla scena
del barcollante impero romano con tradizioni comuni che in parte conservano
anche quando sono assimilati dalla cultura prevalente del popolo conquistato.
Una di queste tradizioni voleva che « tutte le questioni importanti fossero
decise dall'assemblea generale (chiamata concilium dagli autori romani) dei
guerrieri, mentre gli affari ordinari erano di competenza di una assemblea più
ristretta composta dai capi. La tribù era, per la maggior parte del tempo,
sotto l'autorità di un re eletto a vita tra le famiglie nobili ed i cui poteri
erano fortemente limitati; egli era l'esecutore delle decisioni dell'assemblea
generale » (2).
Le radici del parlamento moderno vanno
ricercate proprio in questa antica e radicata tradizione teutonica (3).
L'assemblea generale dei guerrieri è comune a tutti i popoli (4) dell'Europa
continentale ed insulare. Essa, comunque, ebbe sviluppi diversi: sviluppi
legati alle vicende storiche di ciascun popolo.
Nella Spagna dei Visigoti
conobbe un periodo di declino (ad eccezione del « regno delle Asturie - fulcro
della resistenza Visigota contro l'invasione araba e primo tra gli stati
medievali spagnoli, ampliandosi diventa poi regno di Léon... che « conserva
lungamente... l'assemblea dei liberi » (5) a partire dalla conquista araba
della penisola, avvenuta nell'VIII secolo, ma essa ritornerà a nuova vita
nell'XI ed avrà sviluppi notevoli, di cui parleremo più avanti.
Nell'Italia dei Longobardi essa è assente nei
primi anni del loro insediamento e ciò si spiega facilmente se si tiene conto
che la storia di questo popolo in questo periodo è una storia di anarchia s. Ma
« a cominciare dalla elezione di Autori... l'assemblea elegge il re ed approva
alcuni suoi atti più rilevanti, come la legislazione, gli accordi
internazionali, la decisione sulle controversie fra duchi, fra corti regie,
fra duchi e vescovi, ecc. Resta esclusa la decisione sulla pace e sulla guerra,
a differenza di quanto avviene fra i Franchi, la cui assemblea ha più ampi
poteri » (7).
L'assemblea franca raggiunse la sua forma più matura
sotto il Sacro Romano Impero di
Carlomagno, quando veniva convocata due volte all'anno in varie località
dell'Impero. Essa era articolata, secondo la tradizione germanica, in due
rami. Il primo era composto da un'assemblea ristretta di nobili e di alti
prelati, a cui il re sottoponeva le
leggi e le misure che voleva far divulgare per ricerverne consigli e
suggerimenti intesi a migliorarle.
Il secondo (ad era composto da un'assemblea
generale di tutti i proprietari terrieri in armi e le sue riunioni, data la
moltitudine dei partecipanti, si svolgevano all'aperto. L'assemblea generale
non aveva la facoltà di discutere le
misure o le leggi che il re le sottoponeva, dopo averle concordate con i
rappresentanti dei nobili e del clero, ma poteva solo approvarile per
acclamazione o rigettarle mediante un rumoreggiamento
generale, il che
raramente avveniva.
del Ma se le leggi o i
capitolari venivano promulgati senza essere stati
presentati all'assemblea generale, essi perdevano la loro efficacia vincolante.
« Sotto il regno di Carlomagno i sudditi italiani si rifiutarono di obbedire a
certi capitolari legibus addenda, perché
non erano stati promulgati [in assemblea]. Carlomagno, allora, ordinò al figlio
Pipino di procedere a questa formalità e,dopo ciò, esigere la più assoluta
sottomissione a questi capitolari: questo
significava riconoscere la fondatezza della lagnanza dei suoi
sudditi » (8). Infatti i
« capitularia legibus addenda erano aggiunte o novae leges (novelle) e poichè
esse interessavano il diritto comune, il consenso del popolo era necessario »
(9).
Con i successori di Carlomagno incominciò il declino dell'assemblea
generale e nell'età successiva essa scomparve, avendo esaurito la sua funzione
che era quella di associare alla vita dello stato tutti gli uomini liberi in
armi.
Il feudalesimo, che nel
frattempo aveva consolidato le sue strutture, aveva rivoluzionato ì vecchi
rapporti esistenti all'interno dello Stato: tra l'uomo libero e lo stato, che
prima erano in diretto contatto, ora si interponeva il signore feudale, che,
«non più soggetto alla vigorosa amministrazione di Carlomagno, era completamente
libero di giocare al tiranno nel suo territorio di cui era diventato quasi il
sovrano » (10) e reclamava il vincolo di omaggio da tutti gli uomini liberi che
vivevano nel suo feudo, nello stesso modo in cui egli lo doveva al re che lo
aveva investito del beneficio. « I proprietari terrieri più poveri di
conseguenza furono costretti a sottostare al giogo; e - o per costrizione o con
la speranza di essere meglio protetti - sottomisero i loro patrimoni
indipendenti alla soggezione feudale » (11)
In questo nuovo tipo di
organizzazione politica, fortemente gerarchizzata ed a struttura piramidale,
non c'era posto, nella Europa continentale, per l'assemblea generale degli
uomini liberi in armi. C'era posto solo per l'assemblea ristretta dei nobili e
dell'alto clero, ed essa sopravvivrà per tutto il Medio Evo.
In Inghilterra l'assemblea generale ebbe la
possibilità di svilupparsi lungo una linea evolutiva ininterrotta fino al
1066, quando l'isola fu conquistata dai Normanni. Fino a quell'epoca l'isola
aveva conosciuto uno sviluppo storico alquanto diverso da quello dell'Europa
continentale. Mentre sul continente, nel IX secolo, lo stato nazionale
centralizzato carolingio, con l'affermarsi del feudalesimo, si andava
disgregando in tante comunità quasi autonome, in Inghilterra si formava e si
consolidava, sotto la dinastia di Wessex, lo stato unitario nazionale, che
raggiungerà la sua forma più matura durante il regno di Alfredo il Grande
(871-901). Il sistema feudale, nella sua forma matura, era sconosciuto nell'isola
e lo resterà fino alla venuta dei Normanni che lo importeranno « adulto » (12)
dal loro paese di origine: la
Normandia.
L'organizzazione dello stato poggiava su tre
istituti principali: 1) la
Hundred Moot o Centuria; 2) la Shire Moot o assemblea
di contea; 3) la
Witenagemote o consiglio dei maggiorenti.
La centuria rappresentava l'unità
amministrativa di base. Essa aveva ottenuto un certo grado di autogoverno e
lentamente aveva anche conquistato il diritto di eleggere i propri amministratori
e di stabilire autonomamente l'ammontare delle imposte. La sua assemblea
(Hundred Moot) aveva gli stessi poteri giurisdizionali della contea e si
riuniva dodici volte all'anno.
La contea, la cui istituzione viene
attribuita ad Alfredo il Grande, ma che in realtà risale a tempi più antichi,
può essere definita come l'unità territoriale intermedia fondata
sull'autogoverno e la cui assemblea era l'organo preposto a tutti gli atti
amministrativi: giudiziari, fiscali, ecc. Di solito si riuniva due volte
all'anno, ma era convocato anche più spesso se necessario.
« Queste due organizzazioni territoriali
avevano un doppio scopo. Da una parte esse costituivano il modo più certo per
assicurare l'ordine e la disciplina, dall'altra fornivano agli abitanti il
metodo più conveniente per risolvere insieme gli affari della comunità »(13).
Inoltre esse garantivano la partecipazione alla vita dello stato anche a
quelle classi sociali che erano escluse dall'assemblea nazionale a causa della
rigida divisione di classe tra grande nobiltà, piccola nobiltà e uomini liberi
(ma senza proprietà).
L'assemblea nazionale
aveva conservato l'antico nome di Witenagemote (Consiglio dei maggiorenti). Da
organo ristretto, qual era sotto il regno di Wessex, diventò molto più ampia
quando questo stato dell'Eptarchia anglo-sassone si espanse fino a diventare
il regno d'Inghilterra. Essa, tuttavia, era meno estesa di quella carolingia:
ne erano esclusi gli uomini liberi e della piccola nobiltà vi partecipavano
solo coloro i quali erano investiti di cariche pubbliche, anche se a volte
potevano essere « presenti alcuni piccoli nobili dei distretti viciniori che
non ricoprivano alcuna carica pubblica » (14) . A pieno titolo vi partecipavano
solo l'alta nobiltà e l'alto clero. Ma le sue funzioni erano più ampie
dell'assemblea franca. « Almeno sulla carta i suoi poteri sembrano vasti: essa
può eleggere e deporre
il re; il
re e il
Consiglio legiferano; il
re promulga le leggi col
consenso del Consiglio; il re e il Consiglio
nominano gli ufficiali regi ed i vescovi, amministrano il demanio, impongono
le tasse, decidono la pace e la guerra e formano il tribunale di ultima istanza
per le cause civili e penali. E' la suprema assemblea legislativa, esecutiva,
giurisdizionale » 15
Essa veniva convocata, in via ordinaria, tre
volte all'anno: Pasqua, Pentecoste e Natale, e in via straordinaria tutte le
volte che il re lo riteneva opportuno. Non vi era un luogo fisso di riunione,
perciò teneva le sue sedute ogni volta in sedi diverse, anche se le località di
Winchester, Westminister e Gloucester erano le preferite. Per dare al popolo la
possibilità di assistere ai suoi lavori, l'assemblea si svolgeva in luoghi
aperti e molto spesso “una folla anonima, disorganizzata ed irresponsabile,
come essa affluiva non dall'intero stato, ma dai distretti viciniori” (16) vi
partecipava attivamente, esprimendo il proprio consenso o dissenso attraverso
acclamazione o rumoreggiamento (17).
Il Witenagemote è l'ultima assemblea
pre-feudale in Europa. Con la sua scomparsa (1066) inizia una nuova pagina
nell'evoluzione delle assemblee nazionali. Esse continueranno ad essere
presenti in quasi tutti gli stati, ma cambieranno natura ed anche scopo. Non
saranno più assemblee generali di tutti gli uomini liberi in armi, come quelle
carolingie, nè assemblee aperte all'alta nobiltà, agli alti prelati e agli
ufficiali della casa reale, come il Witenagemote anglo-sassone, ma saranno
organi ristretti, formati da grandi baroni e dall'alto clero (18). La prima
assemblea di questo tipo fu tenuta da alfonso VI nel regno di Léon, nella
Spagna mministra nord-occidentale.
« Nel 1020, i nobili e l'alto clero si
riunirono in assemblea nella città di Léon e legiferarono come parlamento per
il regno di Léon. L'assemblea concesse alla città uno statuto e l'autogoverno,
facendone il primo comune autonomo dell'Europa meridionale; simili statuti
furono concessi ad altre città spagnole... e così nacque una limitata
democrazia urbana nel cuore del feudalesimo e sotto le monarchie di Spagna »
(19).
In base a questo statuto, il Comune e suo
Alfoz (distretto) erano governati da un Consiglio che aveva il potere di organizzare una propria milizia, di
amministrare la giustizia e di formare leghe
con altro comuni per difendere gli interessi comuni. La concessione di questa
autonomia era sollecitata da una duplice esigenza: 1) attrarre nuova gente nel
territorio appena riconquistato dagli arabi; 2) sollecitare il comune ad
approntare una propria difesa contro eventuali attacchi da parte araba. « Così
fecero la loro apparizione i potenti consigli castigliani fra il Duero e il
Tago; presieduti da un patriziato di piccoli nobili; gentiluomini (hidalgos) e
i cavalieri d'arme (caballeros villanos). Gente di Guerra che viveva dal ricavo
delle loro greggi e delle terre possedute nell'Alfoz consiliare » (20). All'inizio del XII secolo l'assemblea nazionale dei nobili e dei vescovi
assunse il nome di Cortes.
In Sicilia, il primo « parlamento », composto
da soli baroni ed ecclesiastici, fu convocato da Ruggiero nel 1129. In Inghilterra, l'assemblea dei maggiorenti
(Witenagemote) prefeudale si trasformò nel feudale Gran Consiglio del Regno,
che - a partire dalla metà del XIII secolo - incominciò ad essere conosciuto
anche col nome di parlamento.
II XIII secolo è il secolo in cui nasce il
parlamento moderno. La rivoluzione economica, che si era verificata con lo
sviluppo del commercio già a partire dal XII secolo, aveva portato alla ribalta
le classi mercantili ed artigiane che, con le loro arti ed i loro traffici,
incominciarono ad acquisire un peso economico di cui il sovrano non poteva non
tenere conto per far fronte alle sue dissestate finanze. Il « sussidio » (21)
che potevano dare le tradizionali classi dei nobili e dell'alto clero si
rilevava insufficiente di fronte alle accresciute esigenze di
un'amministrazione che diventava sempre più complessa man mano che si usciva
dal sistema feudale e si affermava lo stato unitario centralizzato.
I borghi e le città erano diventati centri di
affari e di industrie (22), grazie anche all'autonomia amministrativa e
giurisdizionale (23) che i sovrani avevano loro concesso (24). Per difendere
questa loro autonomia dalle pretese del signore feudale o per liberarsi dalla
sua soffocante e spesso predatoria tutela (25) e sviluppare i loro traffici in
piena libertà, essi erano pronti ad offrire al sovrano una somma di denaro
annuale in cambio di uno statuto di autonomia amministrativa e
giurisdizionale.
Nel XIII secolo il re aveva bisogno
dell'aiuto finanziario dei Comuni e per questo li convocò all'assemblea
nazionale. Dapprima essi sentirono questa convocazione più come un obbligo (e
tale effettivamente era) che come l'inizio di una nuova era che avrebbe fatto
di essi i protagonisti dello sviluppo del parlamento moderno. Ad eccezione
della Spagna, « essi furono introdotti circa alla stessa epoca nelle assemblee
nazionali della Francia, dell'Inghilterra e della Germania » (26).
Nella Spagna « i rappresentanti dei Comnui
furono convocati nel 1188 alle Cortes di Léon. Probabilmente questo fu il primo
esempio (27) di istituzioni politiche rupprcsentative nell'Europa cristiana.
In questa storica assemblea, il re promise di non iniziaree guerre o concludere
pace, o di emettere decreti senza il consenso delle Cortes... Le Cortes non
avevano un potere legislativo diretto, ma potevano indirizzare
"petizioni" al re [sulle quali egli doveva dichiararsi prima che
l'assemblea votasse gli aiuti finanziari richiesti] e il potere della borsa
persuadeva il re ad accoglierle » (28).
Nelle Cortes di Barcellona del 1283, « una
grande novità si verifica ». Il re fece « ...una duplice promessa e
dichiarazione, avente natura e valore di legge: 1) che da allora in poi i
sovrani non avrebbero potuto emanare in Catalogna alcuna costituzione generale
o statuto se non previa deliberazione e col consenso dei prelati, baroni,
cavalieri e cittadini o della maggioranza.., degli intervenuti alle opposite
assemblee; 2) che, una volta l'anno... salvo caso di legittimo impedimento, il
re avrebbe tenuto, nella data che sarebbe stata destinata di volta in volta e
in sede adatta, una Curia generale dei Catalani, per trattare col clera, con
l'aristocrazia e con gli uomini delle ville, del buono stato e delle
necessarie riforme » (29).
« Questi provvedimenti anticiparono
di oltre un quarto di secolo analoghe rivoluzioni (1311, 1322) del parlamento
inglese » (30)
In Sicilia, i Comuni apparvero per la prima
volta nel grande parlamento di Melfi di Federico II del 1231. In Inghilterra essi
faranno la loro prima fugace apparizione nell'assemblea generale - ormai
conosciuta come parlamento - del 1264, convocata dal barone ribelle Simone de
Montfort. Per apparirvi
definitivamente dovranno aspettare
fino al 1295, quando sarà
convocato il Model Parliament. In Francia saranno convocati da Filippo IV, il
Bello, all'assemblea del 1302, che - per effetto della loro partecipazione col
nome di Terzo Stato - diventerà l'assemblea degli Stati Generali.
Di tutti i parlamenti allora esistenti in
Europa, le Cortes erano all'avanguardia. Esse raggiunsero la loro massima
potenza « tra il XIII e il XIV secolo » (31). Esse avevano affermato il
principio che ogni forma di tassazione o di contribuzione non poteva essere
imposta ai Comuni senza il loro consenso.
« Il libero consenso del popolo alla
tassazione, espresso dai suoi rappresentanti, non era assolutamente una
questione di semplice forma. Esso fu strettamente connesso con altri diritti
essenziali, indispensabili per assicurare il suo effettivo esercizio: il diritto
ad esaminare la contabilità pubblica e quello del controllo della spesa »
(32). Esse, infatti, erano riusciti ad imporre alla corona la costituzione di
un Comitato parlamentare permanente, composto da quattro membri di ciascun
stato, che - negli intervalli tra una convocazione e l'altra delle Cortes - si
occupava del controllo della finanza pubblica, dell'osservanza ed applicazione
degli statuti e della pace.
Un Ufficio politico molto importante era
rappresentato dal Justicia de Aragòn - una specie di magistrato supremo che
doveva essere sempre presente alle riunioni delle Cortes, di cui era «
emanazione e personificazione » (33), anche se veniva nominato dal re, la cui
funzione era quella di arbitrare le dispute tra il re e i nobili o tra questi e
il popolo. Le sue decisioni avevano effetto vincolante.
« (...) Anche in Sicilia
l'antica costituzione medievale, restaurata dopo la vittoriosa insurrezione
dei Vespri, fino alla fine del secolo decimosesto, si sviluppò accostandosi un
poco alle costituzioni moderne (...) Notevole fu il fatto che il parlamento
siciliano composto da tre Bracci, della nobiltà del clero e dei Comuni, veniva
convocato regolarmente ogni tre anni, che esso votava le imposte, le quali
venivano chiamate donativi, e che una deputazione, che era nominata dalle tre
camere e che dicevasi Deputazione del Regno, esercitava il controllo sulla
spesa e quindi poteva constatare se i fondi concessi venivano devoluti agli
scopi per i quali erano stati concessi » (34).
Il
declino del parlamento nell'Europa continentale incomincia nella seconda metà del XV secolo. Nel Regno
di Castiglia, i nobili, contro i quali la monarchia - alleata con i Comuni -
aveva condotto una grossa battaglia per
diminuirne i privilegi, incominciarono a disertare le Cortes in quanto « essi
non avevano il diritto di voto sui
sussidi, del cui pagamento erano dispensati » (35) e la loro influenza - di
conseguenza - era scarsa o nulla, mentre quella della corona era diventata
predominante.
I rappresentanti dei Comuni (i procuradores)
diminuirono sempre più fino a toccare il , livello minimo di 36 nel 1430 (18
città contro le 50 dei tempi precedenti). A molti Comuni non venne più
notificato il decreto di convocazione, a cui avevano diritto, senza che protestassero.
Lo stato di povertà in cui erano caduti fece loro accettare questa esclusione come una liberazione dal peso di
dover pagare le spese dei loro rappresentanti. I Comuni più grandi e più
ricchi, invece, si batterono, e con successo, per riservare solo a se stessi il
privilegio di mandare rappresentanti al parlamento, escludendone i Comuni di
nuova formazione.
Questo fece sorgere un nuovo tipo di
procuradores: plenipotenziari che potevano decidere come più reputavano
conveniente, mentre prima erano fedeli esecutori delle istruzioni ricevute dai
loro consigli comunali. Il fatto di essere dei plenipotenziari li espose
all'influenza regia e alla corruzione, a cui certo non si sottraevano nella
prospettiva di assicurarsi un avanzamento personale.
Inoltre, le Cortes « avevano perso il potere
di far rispettare il principio che l'accoglimento delle petizioni doveva
precedere il voto sui sussidi » (36). Nel
1502 le Cortes di Toledo (Castiglia) approvarono una legge che riconosceva al
re il potere di «emettere statuti e leggi, di interpretarle e di emendarle
tutte le volte che lo ritenesse opportuno ».
La decadenza delle Cortes di Aragona,
invece, inizia nel XVI secolo, quando il « re cattolico » (Ferdinando II), con
l'aiuto della Chiesa e dell'Inquisizione, riesce ad avere ragione dei nobili
che avevano dominato le Cortes del regno, al contrario di quanto era avvenuto
nelle Cortes di Castiglia, dove il ramo più importante era stato quello dei
procuradores. In Aragona, infatti, la lotta tra la corona e la grande nobiltà
si era risolta a favore di quest'ultima che era riuscita a tenere i Comuni in
uno stato di soggezione.
In Francia gli Stati Generali conobbero
alterne fortune. Il loro stesso fondatore - Filippo IV il Bello -- li aveva in
sospetto e li considerava « perniciosi per la monarchia in tutti i tempi e in
tutti i paesi, senza eccezioni » (37). Essi non riuscirono mai ad affermare la
loro autorità sulla tassazione o a diventare l'unico potere legislativo.
Conobbero un momento di potenza durante il
regno di Giovanni il Buono (1350-1364), quando si dichiararono assemblea
sovrana legiferante, ma la loro supremazia durò appena un anno. Poi furono
convocati solo saltuariamente. L'ultima volta furono convocati nel 1615 da
Maria dei Medici - Reggente di Francia - per farsi votare un aiuto finanziario
per proseguire la sua lotta contro la nobiltà, aiuto che le fu rifiutato. «
Dopo tale data non furono più convocati se non nel 1789 » (38), quando si
costituirono in assemblea costituente.
Il parlamento inglese « nacque in un
ambiente politico infinitamente diverso » (39) ed ebbe un'evoluzione storica
particolare che ne ha fatto il modello a cui si ispireranno tutti gli altri
parlamenti del mondo moderno. La sua originalità non consiste nel fatto che
esso nacque per primo, perchè - come abbiamo visto - nel medioevo in quasi
tutti gli stati europei si tenevano dei «parlamenti » che collaboravano col
sovrano nell'amministrazione del regno e svolgevano una qualche funzione
legislativa.
« Che ci fosse questa
somiglianza non era strano. I Paesi in cui queste monarchie
erano sorte, erano stati
province di un'identica grande civiltà ed erano stati invasi e conquistati,
circa allo stesso tempo, da tribù della stessa rude e bellicosa nazione » (40)
Alcuni di questi parlamenti - quelli spagnoli, per esempio - avevano
acquisito dei poteri notevoli quando quello inglese incominciava appena a
muovere i primi passi. L'originalità del parlamento inglese risiede nel fatto
che, mentre negli altri stati questi
« parlamenti » morivano man mano che si formavano le grandi monarchie, in
Inghilterra esso diventò sempre più potente attraverso i secoli, limitando
sempre più i poteri delle corona e « gradatamente a soppiantarla come fonte
principale dell'autorità politica » (41).
« Perchè gli inglesi riuscirono dove nessun
altro popolo transalpino contemporaneo si dimostrò all'altezza del compito »
(42)?
Il Toynbee afferma « che l'Inghilterra ebbe
successo nel risolvere il problema di applicare il sistema [di governo] dei
Comuni italiani su scala nazionale perché, più di ogni altra nazione transalpina,
essa aveva già raggiunto - a causa della sua limitata estensione territoriale,
della sicurezza dei suoi confini, del forte potere centrale e della preminenza della
sua unica grande città [Londra] - qualcosa della compattezza e della
consapevolezza di sè di una città-stato scritta in grande » (43).
Indubbiamente questi elementi hanno giocato
un g. arde ruolo nella nascita e nello sviluppo del parlamento inglese, ma essi
sono insufficienti per spiegare interamente sia le ragioni di fondo che hanno
portato le nazioni dell'Europa continentale all'insuccesso,
sia le peculiarità
giuridico-istituzionali del mondo anglo-normanno che ne hanno, invece,
garantito il successo.
Per esigenza di chiarezza divideremo la
domanda del Toynbee in due. Alla prima parte: « Perchè sul continente i
parlamenti ebbero vita breve? », risponderemo qui di seguito. Alla seconda: «
perchè il parlamento inglese si afferma »?, dedicheremo il prossimo capitolo.
Gli elementi che
determinarono la sconfitta del parlamento nell'Europa continentale sono due:
1) una scienza giuridica che riporta in auge una concezione assolutistica del
potere e 2) una condizione di guerra continua a cui sono sottoposti gli stati
continentali, la quale rese necessaria la formazione di un esercito stanziale
che divenne lo strumento attraverso il quale sì potè affermare il principio del
potere assoluto postulato da quella scienza.
Per capire il punto 1) dobbiamo risalire
brevemete alla storia di Roma ed all'evoluzione delle sue istituzioni dal
periodo repubblicano al crollo dell'Impero d'Occidente. Sotto la repubblica,
il potere legislativo era esercitato dal Popolo « o direttamente attraverso la
proprie assemblee, quei famosi comizi che costituivano gli organi popolari più
rappresentativi dell'antica Roma, o indirettamente attraverso il Senato, la
cui composizione, dopo la parificazione dei due ordini, era diventata
maggiormente rappresentativa » (44).
Sotto ì primi imperatori le assemblee
popolari - pur ammesse e continunando a vivere nel diritto - non venivano più
convocate e le loro prerogative passarono al Senato. L'imperatore - oltre ad
essere investito del potere esecutivo - partecipava anche alla funzione
legislativa, in quanto controllava il Senato. Da Adriano in poi questa finzione
finì: «Adriano sembra sia stato il primo ad assumere senza camuffamenti la
pienezza del potere legislativo » (45). All'Imperatore questo potere derivava
dal popolo, che - dapprima lo aveva dichiarato al di sopra della legge (legibus
solutus), poi - per mezzo della Lex Regia -- gli aveva trasferito tutto il suo
potere e la sua sovranità (46).
Con la conversione degli ultimi imperatori al
cristianesimo, questa concezione del potere regio fu rivoluzionata: mentre
prima scaturiva dal basso, cioè dal fatto che l'impeartore era il
rappresentante del popolo che lo aveva eletto e gli aveva delegato il potere
sovrano (imperium), il cristianesimo fece derivare questo potere da Dio - quindi non più dal basso ma
dall'alto. « Il Cristianesimo lavorava da tre secoli per introdurre nell'impero
l'elemento religioso. Sotto Costantino, esso riuscì non a farlo prevalere, ma a
fargli svolgere una grande parte.
“Qui la monarchia si presenta sotto tutt'altro aspetto; non ha
la sua origine sulla terra: il principe non è il rappresentante della sovranità
pubblica; è l'imperatore di Dio, il suo rappresentante, il suo delegato. Il
potere scende a lui dall'alto in basso, laddove nella monarchia imperiale il
potere era salito dal basso in alto » (47).
Con l'introduzione di questo nuovo
elemento, si compiva 1'ultimo passo verso l'affermazione della monarchia
assoluta. Il sovrano, quale delegato di Dio, non poteva essere responsabile o soggetto
al controllo di alcuna autorità terrena. La sua volontà era legge e poteva
disporre a suo gradimento della vita e dei beni delle persone soggette al suo
imperium. Egli era responsabile solo verso Dio che lo aveva investito del
potere. E al di fuori di lui non poteva sussistere alcun potere nella sfera
secolare.
Questo « carattere divino dell'autorità
legislativa degli imperatori » (48), codificato nei codici di Giustiniano del
VI secolo, venne riportato alla luce nel XII secolo da una classe di
giureconsulti, il cui centro di maggiore formazione era lo studio di Bologna
(e, più tardi, di Montepellier). « La recente scoperta delle Pandette aveva
rinnovato una scienza che era tutta a favore dell'assolutismo ed i suoi venali
sostenitori proclamavano l'imperatore il signore assoluto della vita e dei beni
dei suoi soggetti » (49).
Un elemento di natura
contigente venne a rendere il terreno fertile per l'affermazione di questa
scienza. Lo «stato di guerra permanente che regnava sul continente, in cui
nessuna nazione e nessuno stato era garantito da una protezione delle frontiere
cosi efficace come il mare che circondava l'Inghilterra » (50), impose ai
sovrani la necessità di formare e « mantenere un esercito permanente [che
permise loro] dì riscuotere alcune imposte senza preoccuparsi del consenso dei
sudditi » (51). E' da questo momento che incomincia ad affermarsi la monarchia
centralizzata.
I re si ircondano di una schiera di
giureconsulti (il primo nucleo della burocrazia moderna) a cui affidano la
parte direttiva nel governo dello stato. L'autonomia finanziaria dà loro la
possibilità di evitare la convocazione del parlamento o di svuotare il potere
di quelli che hanno già raggiunto una certa autonomia (v. i parlamenti di
Spagna).
La monarchia centralizzata, figlia della
monarchia religiosa sorta dalla disgregazione dell’impero romano e dalla
conversione degli ultimi imperatori al cristianesimo, raggiunse la sua forma
più matura nel XVI secolo, quando si trasforma in monarchia assoluta. I parlamenti
sul continente, allora, cessano la loro esistenza e il loro ritorno, nel XVIII
secolo, segnerà la fine dell'assolutismo.