C A P I T O L O V
LA
NUOVA DIMENSIONE DELL'UOMO
Agli inizi del XVI secolo
l'uomo europeo Occidentale aveva
raggiunto il suo primo traguardo intellettuale: aveva assimilato e fatto
proprio tutto il pensiero greco ed incominciava a produrre in proprio. Cioè,
era terminato il periodo dell'imitazione creatrice, che aveva occupato tutto il
XV secolo, ed incominciava, anche se timidamente, quello della creatività
originale: " cinque secoli di assimilazione stavano per dare il loro
frutto " ( White Lynn, 1978: 90 ).
A livello di pensiero, il XVI secolo supererà tutte le età precedenti.
Ma questo pensiero, tuttavia, rimarrà nello stesso solco di quello precedente:
esso sarà solo più avanzato, ma non differente. " Le idee apparvero forse
in nuove combinazioni, ma non possiamo dire che durante il Rinascimento furono
introdotti nuovi elementi nella nostra civiltà. Non possiamo dire che vi furono
nutrimenti intellettuali tali da trasformare il carattere e la struttura della
nostra società o della nostra cultura " (Butterfield, 1962: 208 ).
La rottura con il passato avverrà nel XVII secolo e sarà una rottura
totale. L'uomo di questo secolo avrà una " nuova forma mentis " (
Russel, 1966, III: 690 ); avrà altri interessi e altri strumenti intellettuali
che gli consentiranno di fare una nuova e diversa lettura del mondo. E
quest'uomo sarà l'erede diretto della scolastica, da cui ha appreso la
sistematicità del pensiero, e dell'Umanesimo, da cui ha ereditato la libertà di
pensiero che può spaziare su tutti i campi, senza restrizioni e, soprattutto,
senza sottostare al terrorismo ideologico delle autorità antiche ed accettate
Il XVI secolo sarà un secolo di " crisi " e di fermento
intellettuale ( Whitehead, 1958: 1 ). Il vecchio paradigma culturale si
dimostrerà palesemente inadeguato alle esigenze dell'epoca. Esso aveva fornito
una spiegazione accettabile finchè il sistema era e rimaneva relativamente
semplice: il mondo sublunare, con la terra immobile al suo centro, e il mondo
sopralunare immobile e perfetto nelle sue sfere. Ma se qualcosa veniva a
turbare questa costruzione idilliaca e si dovevano trovare delle spiegazioni
che fossero coerenti con il paradigma, esso mostrava tutta la sua
inadeguatezza. Esso non riusciva più a dare una spiegazione convincente dei
nuovi dati che erano stati raccolti nei periodi precedenti. Questi dati, non
solo mettevano in evidenza le discordanze tra la concezione cristallina
dell'universo di Aristotele e quella matematica di Tolomeo, ma facevano anche
diventare le sue risposte sempre più complesse ed elaborate. " Ai tempi di
Copernico erano necessari 77 cerchi matematici per spiegare il moto del sole,
della luna e di cinque pianeti, in base alle teorie degli epicicli " (
Kline, 1954: 111 ) di Tolomeo. Per questo motivo era fortemente sentita
l'esigenza di un sistema più semplice che potesse essere usato più agevolmente
nel calcolo astronomico.
Per un certo periodo, accanto al vecchio paradigma, che rimarrà ancora il punto di riferimento
fondamentale per tutto il XVI secolo ed i primi decenni del XVII, si intravvederà
il nuovo che stava sorgendo, in forma analitica, con conoscenze sparse nei vari
campi del sapere, ma tutti diretti fondamentalmente in un'unica direzione:
quella del moto celeste e terrestre. La svolta avverrà nella prima metà del
XVII secolo, quando Galileo toglierà il moto dall'ambito delle forze occulte (
mani invisibili, spostamento d'aria, forza impressa, ecc. ) per trasferirlo su
un piano completamente astratto.
Per cinque secoli, l'uomo che usciva dalla svolta dell'anno mille aveva
studiato, analizzato, commentato ed imitato tutto ciò che i greci aveva
prodotto nel campo della conoscenza, sia essa stata filosofica, scientifica o
umanistica. Ma lo aveva fatto partendo da una condizione di inferiorità
rispetto ai greci perchè, a partire dal V-VI secolo d. C., il livello di
struttura mentale era regredito in tutto l'Occidente cristiano. Si era
irrediabilmente perduto quello maturato dai greci e si era fatto un salto
indietro per ritornare, mutatis mutandis, al livello pre operatorio
In questo periodo buio della storia europea, la cultura e la scienza
sparirono completamente nel mondo laico e sopravvissero, racchiuse nei
manoscritti dell'antichità, all'interno dei chiostri ( Rashdall, 1929, VI: 559
). Ma non sopravvissero in forma attiva;
cioè, non costituivano il cibo quotidiano di cui si nutrivano gli uomini della
chiesa per promuovere la propria formazione intellettuale. Esse
sopravvissero in forma passiva; cioè,
erano conservate come testimonianza di un passato remoto, e meno remoto, considerato
come l'età dell'oro: l'età dei grandi uomini, l'età dei giganti, come aveva
detto Alcuino. E l'uomo di questo periodo storico è un omuncolo, come, ancora
una volta, aveva detto Alcuino, il grande
" dotto " della rinascita carolingia del IX secolo.
Il contenuto di questi manoscritti, per mancanza di esercizio mentale,
era inattingibile sia per il laico della classe dominante, il cui livello di
istruzione era quasi inesistente ( si ricordi che Carlo Magno stesso non sapeva
leggere e scrivere ), sia per la stragrande maggioranza del basso clero, che
non era più istruito dell'uomo laico. Ma nemmeno quella ridottissima parte del
clero che era in grado di leggerli sapeva e poteva arrivare ( per difetto di
formazione intellettuale ) al di là del significato superficiale ( Fichtenau,
1986: 1171 ). La reale sostanza del loro contenuto era al di fuori della loro
portata L'uomo di quest'epoca ( il più colto,
naturalmente ) poteva avvicinarsi, con qualche possibilità di successo, solo
alle opere antologiche che erano state redatte dagli uomini del crepuscolo
dell'impero romano, quali Boezio, ecc. Naturalmente c'erano delle eccezioni, ma
di queste abbiamo parlato altrove.
Le poche opere sopravvissute del mondo classico erano inavvicinabili direttamente.
Esse appartenevano ad un livello di struttura mentale che si era perso. E ,
nell'immediato, non si faceva nulla per riacquistarlo. Tutti gli sforzi
dell'uomo non erano diretti verso la conoscenza terrena, che avrebbe richiesto
un lavoro di raccolta dei dati, di analisi e di rielaborazione degli stessi ( e
quindi avrebbe portato ad una crescita intellettuale ), ma erano diretti verso
la conoscenza celeste, il cui regno era prossimo a venire.
Il lento, graduale recupero sul passato, nei livelli di struttura
mentale, è iniziato con la rinascita del XII secolo e fu completato nel primo
Rinascimento ( XV secolo ). Agli inizi del XVI secolo il paradigma culturale
dei greci era stato completamente recuperato; cioè, l'uomo del secondo Rinascimento
si era completamente impossessato di tutte le conoscenze che i greci avevano
elaborato, maturando lo stesso livello di struttura mentale, " ma nel
complesso il progresso fu graduale e precario; e, tranne che nella matematica,
l'uomo rinascimentale incominciava dal punto che aveva raggiunto Archimede
" ( Whitehead, 1958: 7 ). Nella matematica quest'uomo aveva preso
coscienza del fatto che egli era in grado di produrre una conoscenza che
superava quella dei greci e questo gli sembrava inverosimile. Tanta era la
soggezione che aveva verso gli antichi. E questa soggezione l'accompagnerà per
tutto il XVI secolo. " Fino alla fine del XVI secolo le innovazioni
scientifiche furono presentate con molta deferenza e quasi con un senso di
umiltà " ( Hall, 1962: 73 ).
Ma, rispetto ai greci, quest'uomo rinascimentale, così avido di
conoscenze, così solerte nello studio della natura, così aperto verso la
problematica tecnica e scientifica, così dotato di curiosità intellettuale, era
svantaggiato ancora una volta. I greci avevano elaborato il loro paradigma
culturale su dati ( informazioni )
prodotti da altri: dalle civiltà dell'Antico Oriente. Essi dimostrarono la loro
originalità nel rielaborare questi dati mettendoli in relazione, secondo un
ordine mentale rigoroso, fino a creare una nuova conoscenza, che trascendeva il
dato stesso e che apparteneva ad un livello di struttura mentale ( quello operatorio concreto ) diverso e
superiore a quello precedente ( pre operatorio ).
L'uomo del Rinascimento non avrebbe mai prodotto un nuovo livello di
struttura mentale con i soli dati che aveva ereditato dai greci. La capacità
rielaborativa, per quanto grande potesse essere, da sola non sarebbe mai
bastata a creare una nuova sintesi, ad un livello superiore, se non fosse stata
accompagnata da tutta una serie di nuove informazioni e conoscenze. E queste
nuove informazioni doveva andare in una duplice direzione: mettere in crisi il paradigma esistente e
creare le premesse per il suo superamento, formando una nuova mentalità che,
nel tempo, avrebbe rivoluzionato le relazioni tra quegli stessi dati e li
avrebbe posti su un piano diverso e più fecondo ( quello astratto formale ).
Certo, il cambiamento non sarà repentino. Esso sarà preparato in via
filogenetica nell'arco di cent'anni circa. Ma esso sarà preparato nel XVI
secolo. Questo secolo, in effetti, produrrà le conoscenze di base che saranno
indispensabili per il grande balzo in avanti: la nuova concezione della natura,
la riscoperta di Archimede, il grosso balzo in avanti della matematica e della
sua notazione, la rivoluzione copernicana, le accurate osservazioni di Tycho
Brahe, il magnetismo di Gilbert, ecc.. Mai, in così poco tempo, si erano
accumulate tante conoscenze senza le quali non si sarebbe mai prodotto il nuovo
paradigma culturale. Ma esse avevano, come retroterra, tutto il lavoro di
dissodamento dell'uomo del medioevo, che aveva prodotto delle conoscenze (
Boas, 1962: 7) che, pur non superando il paradigma dei greci, avevano preso
un'altra direzione e avevano introdotto nuovi elementi e nuove teorie ( Maier,
1982: 144 ). Si pensi al nuovo concetto di induzione, al concetto di analisi,
sconosciuto ai greci, alla teoria dell' impetus o al forte accento che veniva
messo sul concetto e sulla pratica della sperimentazione, che era estranea alla
mentalità greca, o all'idea che l'osservazione della natura doveva essere
fondata sulla matematica: un'idea che doveva avere un rivoluzionario sviluppo
nel secondo Rinascimento.
Queste nuove conoscenze, che si moltiplicheranno per tutto il XVI
secolo, svolgeranno una duplice funzione: mentre emancipavano progressivamente
l'uomo dalla soverchiante ed oppressiva autorità degli antichi, in quanto ormai
si trovavano soluzioni a problemi da
loro irrisolti , ampliavano i suoi orizzonti mentali e gli facevano acquisire
una grande fiducia nella propria capacità di creare qualcosa di originale che
andasse al di là del pensiero classico.
Fino alla fine del XV secolo c'era stata una soggezione totale verso il
mondo greco. Esso veniva ammirato per il miracolo che aveva prodotto aprendo
alla mente umana i campi della conoscenza attraverso un'indagine generale
sull'uomo, sul mondo fisico e sulla loro interrelazione. Esso veniva ritenuto,
a buon diritto, come l'inventore di tutte le scienze e veniva considerato come
il Maestro insuperato e insuperabile. La
massima aspirazione dell'uomo del primo Rinascimento era quella di acquisire e
fare proprio, attraverso lo studio e l'imitazione, il sapere che questo mondo
aveva prodotto. Ma se l'abito mentale che quest'uomo aveva costruito su se
stesso andava bene finchè c'era da eliminare " il rigido sistema
scolastico, che era diventato una specie di camicia di forza intellettuale
" ( Russel, 1966, III: 658 ), una volta che questo era sparito ed egli
aveva acquistato le capacità critiche e metodologiche per proseguire nella
ricerca con i propri mezzi, era naturale che mettesse in discussione l'autorità
di questo mondo, di cui si era nutrito, e sentisse quell' abito sempre più
stretto ed insoddisfacente.
" Nel corso del XVI secolo l'uomo incominciò, alquanto timidamente,
a ribellarsi contro l'autorità degli antichi, o forse sarebbe il caso di dire
che stava preparando il terreno per la ribellione aperta che sarebbe avvenuta
nel XVII secolo " ( Bury, 1952: 33 ). Era uno sviluppo naturale nell'uomo
ed era foriero di progresso. Ed è un fenomeno che si riscontra nello sviluppo
intellettuale di un popolo come in quello di un singolo individuo. Anche il
bambino incomincia la sua partecipazione al mondo con una totale sottomissione,
fatta di ammirazione, ai propri genitori, ritenuti la fonte di ogni sapere: per
lui sanno tutto e li prende a modelli. Ma, successivamente, quando la sua mente
incomincia ad esaminare criticamente la realtà, egli si accorge che in fin dei
conti ci sono molte cose che non sono esattamente come le avevano esposte loro
( proprio come farà l'uomo del XVI secolo nei confronti dei greci ) per
terminare, quando si afferma, nella adolescenza, la sua volontà di potenza e di
onnipotenza, con l'affermazione che ci sono molte cose che essi non sanno (
proprio come farà l'uomo del XVII secolo nei confronti dei greci ). Tolomeo ed
Aristotele erano stati due padri il cui sapere era stato totale, preciso ed
inconfutabile, finchè l'uomo era stato intellettualmente " bambino ",
ma non appena quest'uomo raggiunse la sua maturità intellettuale e divenne
capace di camminare sulle proprie gambe, proprio perchè aveva assimilato e
fatto proprio il pensiero dei padri, il primo ( Tolomeo ) " fu confutato
sul suo stesso terreno, il secondo [ Aristotele ] fu messo da parte con tutte
le sue opere perchè ritenuto del tutto irrilevante e senza importanza " (
Randall, 1940: 227 ). Per Francesco Bacone si invertivano addirittura le parti
: " i famosi greci presentano tutte le caratteristiche dei bambini; essi
sono pronti a parlare a vanvera, ma non possono generare nulla perchè la loro
saggezza abbonda di parole, ma è priva di fatti provati " ( Bacone, 1940:
222 ).
L'uomo del XVI secolo farà un
grande salto di qualità: raggiungerà la
consapevolezza che il mondo antico poteva essere superato con la propria
potenza creatrice e lo dimostrerà la scuola matematica di Bologna quando
scoprirà, con suo grande sbigottimento, che essa poteva " sviluppare una
teoria matematica che gli antichi e gli arabi non conoscevano " (Struik,
1981: 117). Ma altre brecce saranno aperte " nell'orgogliosa cittadella
del sapere antico. Copernico darà uno scossone all'autorità di Tolomeo e dei
suoi predecessori; le ricerche anatomiche di Vesalio incrineranno il prestigio
di Galeno; e Aristotele sarà attaccato da tutte le parti da uomini come
Telesio, Cardano, Ramo e Bruno. In alcuni settori particolari della scienza
stava per iniziare un'innovazione che preannunciava una rivoluzione radicale
nello studio dei fenomeni naturali; sebbene il significato delle prospettive
che queste nuove ricerche stavano aprendo fosse capito solo vagamente il quel
periodo. I filosofi e gli scienziati vivevano in un albore intellettuale. Era
l'albore che annunciava l'alba " ( Bury, 1952: 33 ), quando si raggiungerà
la maturità di pensiero per cui la verità non si intuisce, ma si costruisce
attraverso un proprio metodo: il metodo scientifico, che annuncerà il nuovo
paradigma e il nuovo livello di struttura mentale. Ma questa è una storia tutta da scrivere.
Con la riscoperta di Platone, avvenuta nel XV secolo, la matematica ebbe
un forte impulso e si fecero dei progressi che si dovevano dimostrare di
fondamentale importanza per lo sviluppo di tutte le altre scienze esatte: dalla
fisica all'astronomia; dall'ottica alla logica ( Molland, 1987: 45 ). Nella
matematica, molti progressi si ottennero perchè
era migliorata la notazione (
Struik, 1981: 123 ), che semplificava di molto il procedimento e forniva una
maggiore chiarezza di espressione.
Questa migliorata notazione, inoltre, creava una maggiore capacità di sintesi,
la quale consentiva di afferrare
immediatamente il contenuto di un messaggio
e le sue possibili relazioni astratte
( Wiener-Noland, 1957: 299 ) con altre conoscenze o informazioni. La
differenza tra una notazione oscura, difficile da seguire, che non consente di
afferrare immediatamente il concetto che si vuole convogliare, e una notazione
chiara, immediatamente leggibile, sta proprio in questa difficoltà del pensiero
di afferrare il concetto. In altri termini, per afferrare il concetto in una
notazione oscura bisogna seguirne il procedimento tecnico che lo chiarisce e il
pensiero spende tutte le sue energie nei suoi meandri, come avveniva nel
passato con la notazione romana. Nella notazione chiara e sintetica il concetto
è immediatamente percepibile e il pensiero conserva tutte le sue energie. E
questo dimostra una superiorità intellettuale. " Infatti, una buona
notazione alleviando la mente da ogni fatica non necessaria, permette ad essa
di concentrarsi su problemi ulteriori ed in effetti accresce la potenza mentale
del genere umano " ( Whitehead, 1962: 48 ).
La chiarezza di idee, e quindi la chiarezza di esposizione, si ha solo
quando il concetto è perfettamente assimilato e sintetizzato nella mente di chi
lo matura, che lo esprime nel modo più economico possibile
In sostanza, la superiorità intellettuale si dimostra proprio in questa
maggiore capacità di semplificazione e di sintesi. Ed è chiaro che man mano che
si andava avanti nello studio degli antichi questa chiarezza di pensiero e
questa maggiore capacità di sintesi maturavano e si affermavano.
La prima e più rivoluzionaria notazione introdotta fu la numerazione
indo-arabica, che, anche se conosciuta sin dal XIII secolo, solo in questo
secolo trovò una diffusa applicazione. Essa liberò la matematica dalla giungla
dei simboli letterali che rendevano molto appesantito il calcolo. Ma i simboli
letterali non erano scomparsi per sempre. Essi erano destinati a ritornare per
farne altro uso e per altro scopo. " Forse fu necessaria l'introduzione
dei numeri arabici con la conseguente completa eliminazione dalla matematica
dell'uso delle lettere per indicare numeri determinati, perchè i matematici
scorgessero la convenienza tecnica dell'uso delle lettere per rappresentare [
nell'algebra ] le nozioni di qualsiasi numero e di qualche numero " (
Whitehead, 1962: 12 ). Ad introdurre
nell'algebra le lettere al posto dei numeri fu il francese Viète . Egli usò le
consonanti al posto dei termini noti e le vocali per quelli non noti Viète fu uno dei primi ad applicare
l'algebra alla geometria, ponendo, così, le basi ( Boyer, 1956: 60 ) della
geometria analitica, che sarà poi sviluppata e sistematizzata da Cartesio.
L'applicazione dell' algebra alla geometria doveva dimostrarsi un formidabile
strumento della scienza moderna
L'inglese Robert Recorde ( m.
1558 ) introdusse il segno di uguaglianza ( = ); i tedeschi introdussero
il segno di radice quadrata ( V ) e, nel campo commerciale, avevano
precedentemente introdotto, per comodità pratica, i segni di più ( + ) e di
meno ( - ). Quest'ultimi due simboli
" sembra siano stati impiegati per la prima volta ... [ dallo ] Stifel, in
un libro pubblicato a Norimberga nel 1544... C'è un vecchio epigramma che
assegna agli inglesi l'impero del mare, ai francesi quello della terra ed ai
tedeschi quello delle nuvole. Certamente fu dalle nubi che i tedeschi trassero
il + e il -; le nozioni generate da questi simboli sono così importanti per il
benessere dell'umanità che non possono esserci venute dal mare o dalla terra
" ( Whitehead, 1962: 70-71 ). Cartesio introdusse il concetto e il simbolo
di esponente. Il fiammimgo Simone Stevin ( 1549-1620 ) introdusse il sistema
decimale per rappresentare le frazioni, facilitando di molto il calcolo
applicato. John Napier ( 1550-1614 ) inventò i logaritmi, i quali non solo
facevano risparmiare tempo, " ma semplificavano anche il pensiero e
facilitavano la percezione delle relazioni astratte " ( Wiener-Nolanda,
1957: 299 ) tra i fattori. Secondo
Keplero i logaritmi triplicavano la vita dell'individuo.
La matematica del XVI secolo non era più la matematica dei greci, che
andavano alla ricerca dell'esattezza teorica e che dividevano l'universo in due
sfere: quello sopralunare, fatto di sfere di cristallo, dove l'ordine era
semplice e più bello, e quello sublunare, fatto di contraddizioni e quindi
disordinato. Le due sfere erano nettamente separate. Alla prima applicavano la
matematica, alla seconda, quella che riguardava il mondo fisico, questa
applicazione la presero in considerazione solo in campi limitatissimi. "
E' stata spesso sollevata la domanda sul perchè i Greci abbiano applicato la
matematica all'astronomia, all'ottica, e a settori limitatissimi della
meccanica, senza però erigere una fisica che si fondasse su presupposti
matematici. Una delle risposte date a questo interrogativo è che i greci consideravano
il mondo sublunare troppo disordinato per poter individuare con precisione
matematica le leggi in esso vigenti. Un'altra risposta è che la matematica
antica era troppo esatta per poterla piegare alle esigenze della fisica "
( Von Fritz, 1968: 15 ).
La matematica del XVI secolo, invece, era una matematica applicata; era,
cioè, " astronomia teorica, scienza della navigazione, cartografia,
meccanica balistica, scienze delle fortificazioni, topografia e persino
astrologia, alla quale ultima la matematica doveva la sua reputazione " (
M.B. Hall, 1968, III: 583 ), Ma anche chi si occupava di matematica teorica
" era anche interessato alla matematica applicata. Cosicché teoria e
pratica andavano serenamente a braccetto " ( Boas, 1962: 225 ). Solo sul
finire del secolo, la matematica teorica ebbe un impulso ed uno sviluppo
autonomo, che darà i suoi frutti più
notevoli nel XVII secolo. E saranno questi frutti che garantiranno il successo
della rivoluzione scientifica.
" La scoperta di Keplero delle leggi sul moto dei pianeti fu resa
possibile solo dal fatto che egli ereditò ed approfondi per suo conto lo studio
delle sezioni coniche, studio nel quale egli divenne, ai suoi giorni, famoso.
Anche le osservazioni astronomiche di Tycho Brahe divennero un fattore
rivoluzionario nella storia solo quando la mente matematica di Keplero si mise
a coordinare il materiale. Lo stesso fenomeno si ripetè più tardi, e noi
vediamo che il problema della gravità non sarebbe mai stato risolto e l'intera
sintesi newtoniana non sarebbe mai venuta alla luce senza, in primo luogo, la
geometria analitica di Cartesio e, in secondo luogo, senza il calcolo
infinitesimale di Newton e di Leibnitz. Non solo , dunque, la scienza della
matematica fece notevoli progressi nel XVII secolo, ma nella dinamica e nella
fisica, le scienze diedero l'impressione di spingere continuamente alle porte
della matematica. Senza le conquiste dei matematici la rivoluzione scientifica,
per quanto ne sappiamo, sarebbe stata impossibile " ( Butterfield, 1962:
107 ).
A cavaliere tra il XV e il XVI secolo, le nazioni europee conobbero un
periodo di frenetica attività economica ed istituzionale. La scoperta del
continente americano e la formazione degli stati nazionali avevano dilatato le
funzioni che tradizionalmente si svolgevano all'interno della società. Accanto
ad un sistema bancario, sorto nel secolo precedente ed ormai maturo, che basava
tutta la sua attività sulla matematica, c'era il nuovo problema della
cartografia per la navigazione. La navigazione lungo la costa, pratica molto
diffusa nel passato, non poteva essere praticata per le terre del nuovo
continente scoperto da Colombo. Per la navigazione a mare aperto i punti di
riferimento non potevano essere quelli tradizionali. " I marinai avevano,
perciò, bisogno di metodi accurati per determinare la latitudine e la
longitudine. La determinazione della latitudine si può ottenere osservando
direttamente il sole e le stelle, ma la determinazione della longitudine
presentava maggiore difficoltà " ( Kline, 1972: 336 ). La cartografia
nautica, indubbiamente, interessava ad un mondo che si apriva all'esterno fino
a raggiungere gli estremi limiti di quello che una volta si credeva
circoscritto e limitato. In questo senso, i calcoli della matematica
diventavano una necessità per preparare tavole astronomiche più accurate, come
erano diventate una necessità per la cartografia in generale e per il lavoro
dell'artigiano-scienziato. Quest'ultimo doveva ricorrere all'osservazione e
allo studio della natura per trarne quegli elementi di conoscenza che erano
indispensabili per il suo lavoro. Questa sua applicazione della matematica allo studio della natura era iniziata proprio perchè, per esigenze
operative, questi elementi dovevano essere certi ed inconfutabili e,
soprattutto, dovevano essere misurabili e quantitativamente determinati. E solo
la matematica dava certezze.
In questo rinnovato atteggiamento verso le possibilità applicative della
matematica si vedeva l'influenza di Platone, il quale aveva sostenuto che
l'unica vera forma di conoscenza era quella matematica e che essa " era
particolarmente appropriata per gli studi del mondo fisico " ( Mazzoni,
1957: 667 ). Secondo Platone, tutte le altre scienze avrebbero dovuto assumere
la forma di conoscenza matematica
Tuttavia, il ritorno prepotente della matematica applicata fu reso
possibile non solo dai progressi ottenuti nella notazione di questa scienza, ma
fu dovuto anche, e soprattutto, alla nuova concezione della natura che si era
sviluppata nel corso del XV secolo, dopo la riscoperta di Platone. Fino a
quell'epoca, nel mondo cristiano, essa era stata ritenuta oggetto di
contemplazione ad edificazione del credente, il quale poteva godere dei suoi
frutti, ma non poteva intervenire su di essa. Solo il suo Creatore poteva farlo
o un suo intermediario.
La concezione cristiana del rapporto tra creato e creatore non era
diversa da quella esistente presso i greci nel rapporto tra l'uomo e ciò che
egli aveva creato: era per entrambi un rapporto di dominio assoluto. Ma mentre
nei greci questo rapporto era limitato all'uomo e alla cose che egli aveva
creato, nel mondo cristiano Occidentale, questo rapporto riguardava la natura,
di cui l'uomo faceva parte, e Dio, suo Creatore. E Il domino di Dio sulla
natura, in quanto suo Creatore, era assoluto, proprio come tra i greci era
assoluto il dominio dell'uomo sulle cose da lui create.
Con il ritorno di Platone, invece, si incominciò a sviluppare una nuova
idea che non era in contrasto con quella precedente, anzi la correggeva e la
rendeva accettabile anche alla chiesa. Per i greci la natura era il regno del
disordine e del caos,a cui non potevano essere applicate , secondo la visione
aristotelica, le precisissime leggi matematiche Per l'uomo del Rinascimento, invece, la
natura è l'opera più bella e più grande
di Dio. Essa è un libro semplice, ordinato e preciso ed è scritto in linguaggio
matematico. La natura " è superiore alla Sacre Scritture perchè mentre
queste sono soggette a controversie nella loro interpretazione, le verità della matematica sono accettate
univocamente " ( Kline, 1972: 329 ). E Dio non aveva creato il mondo e
l'universo come un meccanismo perfetto per custodire gelosamente i segreti del
suo funzionamento e delle leggi che lo regolavano. Egli lo aveva creato, con un
atto della propria volontà, come un orologio perfetto, come aveva detto Nicola
Oresme nel XIV secolo, per farlo camminare per proprio conto, ma lasciando
all'uomo la possibilità di scoprirne le leggi, a sua gloria imperitura.
L'uomo non poteva arrivare all'essenza delle cose, alla verità ultima,
ma era nel disegno di Dio che egli arrivasse alle seconde cause ( Webster,
1975: 22 ), quelle che descrivevano il
funzionamento del mondo e delle cose. Dio non voleva che l'uomo sapesse
tutto, non voleva che egli mangiasse dall'albero della conoscenza, perchè
altrimenti sarebbe diventato Dio egli stesso, assumendo il suo attributo più
importante: quello dell' onniscienza. Voleva, però, che egli conoscesse il
mondo per godere dei suoi frutti.
In sostanza, le conoscenze erano due: quella delle essenze delle cose,
della loro natura ultima, della loro finalità, e quella del funzionamento delle
cose e del mondo. Quest'ultima conoscenza rientrava nelle possibilità
dell'uomo. La prima no. Ed egli fu obbediente. Leonardo da Vinci affermava
che " la definizione dell'essenza,
il quid, degli elementi non è nel potere dell'uomo, ma molti dei suoi effetti
sono conoscibili " ( 1940: 236 ). Ecco cosa poteva conoscere l'uomo: i
suoi effetti e come essi si verificavano. Perchè essi si verificavano, la loro
finalità ultima, non era una conoscenza a cui egli poteva arrivare. Essa era
riservata al suo Fattore. Era il cerchio dei greci che si chiudeva.
Tuttavia, rispetto ai greci
c'era un solo elemento di novità, ma un elemento di tale importanza da
rivoluzionare il concetto del mondo fisico e la mentalità dell'uomo. Per i
greci il mondo fisico non era conoscibile, se non nelle sue qualità secondarie,
perchè solo il suo creatore poteva conoscerne il funzionamento o poteva
intervenire su di esso. Per questo motivo essi spostarono il problema della
conoscenza dal mondo fisico, che era stato il campo di indagine dei
presocratici, all'uomo, la sola realtà conoscibile. Il pensiero cristiano,
invece, come esso era venuto maturando a partire da Ruggero bacone, sosteneva
che Dio, nel creare il mondo e l'universo, si era attenuto a delle rigorose
regole matematiche che potevano essere scoperte. Ecco l'elemento rivoluzionario:
l'uomo acquisiva il potere di indagare sul mondo fisico. E questo era un notevole passo avanti rispetto ai greci.
Un passo che rivoluzionerà la forma mentis dell'uomo del XVI-XVII secolo e che
condurrà, come finalità ultima, al superamento del paradigma culturale
classico, E l'uomo entrerà in una nuova dimensione, quella astratta formale.
La mutata filosofia della natura fu la premessa allo sviluppo della
scienza moderna e costituì il punto di arrivo di un problema che aveva coinvolto
l'uomo sin dal suo apparire sulla terra. Ed era stato un percorso lungo,
difficile e coinvolgente. Nella prima tappa (preistoria e prime civiltà
dell'Antico Oriente), l'uomo si identificò col mondo della natura, di cui era
partecipe; nella seconda tappa ( mondo classico ), egli prese coscienza di
essere una realtà a sè stante, ma la natura era più forte di lui e,
soprattutto, era inconoscibile; nella terza tappa ( l'Occidente cristiano ), la
natura era stato creata per l'uomo che poteva godere dei suoi frutti, poteva
contemplarla come l'opera più edificante del suo Creatore, ma non aveva alcun
potere su di essa: solo il suo Creatore o il Santo, quale suo intermediario,
poteva mutare il suo corso ; nella
quarta tappa ( primo Rinascimento ) Dio
aveva creato la natura in base a leggi matematiche e all'uomo era dato il
potere, sempre a maggior gloria di Dio ( Webster, 1982: 15 ), di scoprirle per
apprenderne il funzionamento; nella quinta ed ultima tappa ( XVII secolo: il
secolo dei geni ), Dio sarà messo da parte e l'uomo si arrogherà tutto il
potere sulla natura e ne
farà il suo dominio, dopo averne appreso le leggi che la regolavano. Era il
sovvertimento totale del punto di partenza: l'uomo, da essere indistinto e
preda di tutte le forze che lo circondavano nei primordi della storia, diverrà
il padrone, il signore assoluto di quel mondo al cui " dominio aveva rinunciato al
momento del peccato originale "
( Bacone, 1975: 23). E questa evoluzione di pensiero, nel rapporto tra
l'uomo e la natura, troverà la sua sistematizzazione nell'Inghilterra del XVII
secolo.
Il mondo dei miracoli era finito. La potenza del santo se l'attribuirà
l'uomo, quando scoprirà che egli poteva dominare la natura obbedendole; cioè,
imparando prima a conoscere le leggi che ne regolavano il funzionamento. E, con
questo, l'uomo del XVI-XVII secolo eliminava il principale ostacolo che lo
aveva tenuto lontano da un suo possibile intervento sulla natura. Tuttavia,
quest'uomo non intendeva andare oltre un intervento meccanico. Egli non era
interessato a conoscere la finalità ultima della natura. Egli non voleva sapere perchè Dio l'aveva creata, ma
voleva soltanto conoscere come
funzionava il suo meccanismo. Perchè era stata creata rimaneva un atto
imperscrutabile della volontà di Dio. L'uomo non voleva mangiare dall'albero
della conoscenza. Non voleva " pervenire ai misteri di Dio " (
Bacone, 1949: 8 ). Egli voleva solo vivere nel suo mondo, ma ne voleva
conoscere il meccanismo di funzionamento a fini di potere: per dominarlo e non
per esserne dominato. Egli voleva rimpossessarsi del potere a cui aveva dovuto
rinunciare al momento del peccato originale: voleva il potere che aveva Adamo
prima della Caduta. Nient'altro. " Newton, come Galileo,voleva conoscere
come l'onnipotente avesse costruito il mondo, ma egli non era così presuntuoso
da indagare anche per quale scopo Egli l'avesse costruito " ( Kline, 1972:
198 ). Non erano le finalità o le qualità che lo interessavano, ma le quantità,
le misure, ecc. Le finalità e le qualità delle cose e del mondo avevano
ossessionato l'uomo per duemila anni ed egli non raggiunse mai una conclusione
finale e definitiva se non ricorrente alla metafisica ( Willey, 1975: 19 ).
L'uomo che si occupava di scienza nel XVI secolo aveva iniziato la sua
formazione facendo proprio la problematica e la metodologia di chi l'aveva
preceduto e precisamente il mondo classico e medievale. In effetti, un
Copernico, un Tycho Brahe e, parzialmente, un Keplero si muoveranno ancora
all'interno degli insegnamenti del mondo classico e medievale. E
l'insegnamento fondamentale che
proveniva da questo mondo era che lo scopo della conoscenza fisica era quello
di andare alla ricerca della cause e dell'essenza del reale. La conoscenza,
pertanto, non era una conoscenza oggettiva che una volta raggiunta trova
d'accordo tutti e viene, quindi, acquisita al patrimonio culturale
dell'umanità. Nulla di tutto ciò. Questa conoscenza era una conoscenza
soggettiva, raggiunta attraverso un procedimento logico su dati acquisiti da
altri autori, mai attraverso l'osservazione della natura. In questo mondo non
c'era una conoscenza certa, indiscutibile, immutabile e verificabile. Anche se
avevano un grande rigore logico, le conoscenze prodotte erano opinabili e,
infatti, molto spesso diventavano oggetto di polemiche e confutazioni
altrettanto logiche e rigorose. E " dove c'è polemica non ci può essere
vera conoscenza ", sosteneva Leonardo da Vinci, " perchè la verità è
unica e quando essa è resa nota la contestazione è finita per sempre " (
1940: 221 ).
Fintanto che si andava alla ricerca di cause e di essenze, la conoscenza
doveva, per necessità di cose, essere soggettiva, perchè la realtà ultima,
l'essenza delle cose, era impenetrabile. I greci avevano descritto il mondo
nelle sue qualità fondamentali, l'uomo del Rinascimento, invece, si indirizzerà
verso le quantità. che erano le sole che davano una certezza conoscitiva
universale, in quanto erano misurabili e potevano essere espresse in termini
matematici. Le prime, le qualità delle cose, non davano certezze ed esse
rimanevano nel regno dell'opinabile. Queste erano idee che erano state espresse
anche da Democrito quando, nel V secolo a,C., aveva affermato che " il
dolce e l'amaro, il caldo e il freddo, come anche i colori, sono tutte cose che
esistono solo nelle nostre opinioni e non nella realtà; ciò che esiste
veramente sono delle particelle immutabili, gli atomi, e il loro movimento
nello spazio vuoto " ( Democrito,
1972: 326 ). E di questo si renderà conto Galileo. Egli percepirà che se ci si
ostinava a proseguire nello stesso solco del mondo classico e medievale non si
sarebbe arrivati da nessuna parte perchè il paradigma aveva dato tutto quello
che poteva dare. Se si voleva arrivare da qualche parte bisognava rompere la
continuità ed indirizzare la ricerca su altri binari, proprio come avevano
fatto gli artisti-scienziati del XVI secolo: bisognava lasciare il mondo delle
qualità, che era soggettivo, per inoltrarsi nel mondo delle quantità, l'unico
che poteva fornire quelle certezze.
L'artista-scienziato fu il primo che fece ricorso alla natura per
sciogliere i suoi dubbi e per acquisire le sue conoscenze. Se i sensi non
potevano essere presi come fonte di conoscenza perchè essi molto spesso
ingannavano e facevano vedere le cose come realmente non erano, non per questo
la conoscenza doveva essere esclusivamente razionale. Per l'artista-scienziato
c'era una via intermedia ed era quella dell'esperienza, di cui uno dei primi
assertori fu Leonardo da Vinci. Leonardo criticava chi sosteneva che la
conoscenza era meccanica se essa veniva raggiunta attraverso l'esperienza ed era, invece, scientifica se
veniva raggiunta per via razionale. Egli sosteneva che per avere una corretta conoscenza
bisognava fare ricorso a tutt'e due questi momenti. L'esperienza era necessaria
per accertare il fenomeno; la ragione sopraggiungeva per studiare i dati
raccolti e per dimostrare perchè il fenomeno si era verificato in quel modo.
" E' questa la regola aurea che
bisogna seguire per indagare sui fenomeni naturali; mentre la natura incomincia
dalle cause e finisce nell'esperienza, noi dobbiamo seguire il processo
inverso, cioè incominciare dall'esperienza e da quella risalire alle cause
" (Leonardo, 1940: 220).
L'artista-scienziato non arrivò ad inventare il metodo scientifico
" però egli arrivò a sviluppare empiricamente tutti i suoi elementi "
( Mason, 1953: 84 ). Per esempio, tutti gli elementi del metodo scientifico,
che sarà elaborato da Galileo, li troviamo in Leonardo da Vinci. Quello che non
troviamo nell'artista-scienziato è l'esperimento scientificamente condotto.
Egli si rifaceva solo all'esperienza. A quello che vedeva. E non arrivò mai ad
ipotizzare quello che non vedeva. Ma già egli aveva scoperto la matematica di
Archimede e l'utilizzava nello studio della natura ( Whitehead, 1962: 33 ). Che
poi questo studio per lui non fosse
teorico, come lo sarà per lo scienziato del XVII secolo, ma sarà pratico, sarà
un'ovvietà banale. Egli si muoveva all'interno di un paradigma culturale che
era fondato sul pensiero operatorio concreto, anche se all'interno di questo
livello di struttura mentale egli rappresentava la punta più avanzata, il
limite oltre il quale non si poteva andare se non si faceva un salto di qualità
superando il paradigma. La realtà concreta, il fatto concreto era, per lui ,
l'unico modo di concepire la conoscenza. Egli non era interessato alla
conoscenza perchè voleva costruire una nuova scienza, che nascerà nel XVII
secolo da esigenze diverse. Egli indagava sulla natura perchè aveva dei
problemi pratici immediati da risolvere nel suo
lavoro di artista-ingegnere-architetto. Il suo mondo era il mondo concreto. La conoscenza
astratta era al di fuori dei suoi pensieri.
" Il XVI secolo fu testimone di notevoli progressi tecnologici...
ma esso non riuscì a fornire nessun nuovo principio per distinguere i fatti
dalle invenzioni, nè per favorire, tranne pochi esempi di osservazione
sistematica, quell'acquisizione cumulativa di fatti organizzati che più tardi
Bacone doveva considerare il principale ed
immediato compito della scienza. Non
offrì neppure nuove teorie per mettere in relazione e spiegare i fatti
già familiari ( in rapporto, per esempio, alla caduta dei gravi, attrazione
magnetica, ai cambiamenti di luce e di colore e alle trasformazioni della
chimica ) " ( Hall,A.R., 1968, II: 534-35 ).
Tuttavia, il XVI secolo costituì il passaggio obbligato ed
indispensabile per raggiungere le conquiste
del XVII secolo. Senza una nuova idea della natura e senza la matematica
applicata allo studio della natura, tutte conoscenze elaborate nel corso del
XVI secolo, non ci sarebbe stata la svolta scientifica del Seicento o, forse,
ci sarebbe stata, ma molto lontano nel tempo. Per questo motivo, il Cinquecento
fu molto importante ed essenziale.
Il movimento scientifico del XVI secolo fu la logica conseguenza del
movimento intellettuale che era iniziato nel XII secolo, quando la ragione si
risvegliò dal lungo sonno altomedievale e riprese il suo cammino. La scienza
moderna, come verrà fuori dal XVII secolo, nacque dalla voglia di conoscere,
dall'esigenza di dare una risposta più soddisfacente alle domande di sempre,
quando ci si rese conto che le risposte che avevano dato i greci non erano
aderenti alla realtà, ma erano una costruzione intellettualistica basata sul
senso comune che, a sua volta, era stato ricavato da un'osservazione
superficiale della natura. Non sarà il progresso economico che favorirà la
rivoluzione scientifica, come da qualche parte si sostiene, anche se il
contesto socio-economico giocherà un grande ruolo. E' vero, però, il contrario:
la rivoluzione scientifica favorirà, senza, ovviamente, rendersene conto, "La Rivoluzione Industriale" w:st="on">la Rivoluzione Industriale
del XVIII secolo. Nella Rivoluzione Scientifica un ruolo più grande lo giocherà
il sistema istituzionale che garantirà al singolo individuo di perseguire la
propria realizzazione in piena libertà ( Hall, 1963: 115 ). In effetti, " la forza che sta dietro la
rivoluzione scientifica non è la necessità, ma la libertà " ( Nef, 1974:
64 ). Quando questa verrà meno, come nel caso dell'Italia della seconda metà
del Seicento, verrà meno anche la libera ricerca intellettuale e il movimento
scientifico si inaridirà.
Il superamento del paradigma culturale classico sarà raggiunto
attraverso piccoli passi. Dapprincipio si iniziò timidamente a contestare le
antiche autorità, quando ancora non si aveva coscienza del proprio valore e
della propria maturità e si rimaneva esterrefatti di fronte alle non coincidenze
tra il proprio pensiero ( Copernico ),
ottenuto attraverso l'osservazione ed i limitati esperimenti, con quello
delle antiche ed accettate autorità.
Nella seconda generazione ( Tycho Brahe, Keplero, Giordano Bruno, ecc. ) si
farà un altro piccolo passo migliorando l'osservazione ( Tycho Brahe ),
rigettando quasi completamente ( Keplero ) l'autorità degli antichi ed
accettando compiutamente la nuova realtà ( Giordano Bruno ) che emergeva dai
dati che essi stessi avevano accumulato. Infine, la terza generazione, quella
dei Galileo, avrà il coraggio e l'ardire di dare una nuova spiegazione del
mondo fisico che sovvertirà quella antica e la trasferirà su un altro piano:
quello astratto formale.
L'uomo che iniziò questo capovolgimento di fondo era un polacco che
aveva studiato all'università di Padova e vi aveva assorbito tutto il sapere
scientifico dell'epoca. Egli, tuttavia, non aveva l'intenzione di rivoluzionare
nulla e per questo motivo tenne la sua teoria nel cassetto per parecchi anni. Ma
egli, come gli altri che si occupavano di cose scientifiche, si rendeva conto
che la teoria tolemaica del cosmo non
riusciva più a spiegare la complessità della volta celeste. Con i suoi
epicicli, essa era riuscita a spiegare un universo relativamente semplice, ma
quando la volta celeste, grazie alle nuove scoperte, incominciò a diventare più
affollata, per fare rientrare tutti i nuovi corpi nella teoria si dovette
aumentare gli epicicli, che al tempo di Copernico erano diventati 77. Questo
rendeva tutto il sistema macchinoso ed ingovernabile. Da qui la necessità di un
sistema più semplice e più economico.
Con la sua nuova teoria, Copernico, tuttavia, non eliminava gli
epicicli. Essa aveva, però, il pregio di ridurli a 33. Ma fu l'idea che fu rivoluzionaria
e gravida di conseguenze: era una vecchia idea, prodotta nello stesso mondo
greco, che ritornava in un ambiente molto più ricettivo ed intellettualmente
più maturo ( Blumenberg, 1987: 143 ) di quello in cui fu prodotta. Allora passò
inosservata, come una delle tante intuizione ( e non era più di questo ) che
venivano prodotte in quel periodo per darsi una spiegazione del mondo. Nel XVI
secolo essa trovò terreno fertile perchè i fatti, nel frattempo, l'avevano resa
plausibile. Nella sostanza, però, Copernico si muoveva ancora all'interno del
vecchio paradigma e la sua teoria aveva un solo grande elemento di novità
rivoluzionaria e, cioè, il capovolgimento di fronte nell'impostazione del
sistema: non era il sole che gira intorno alla terra, ma viceversa.
L'ipotesi eliocentrica di Copernico spodestava la terra dalla sua
posizione privilegiata e la inserìva tra gli altri corpi celesti in una
posizione più periferica, ma governata dalle stesse leggi che governavano tutti
gli altri corpi celesti. In sostanza, si rigettava un mondo fatto di
perfezione ( quello della volta celeste
aristotelico-tolemaico ), ma che non aveva riscontro nella realtà, per
assumerne uno nuovo che era governato da altre leggi ed aveva un'altra
struttura. E questa costituiva una seconda rivoluzione: non c'erano più due
mondi, come nella vecchia concezione dell'universo, ma uno solo. Il cielo e la
terra avevano, finalmente, trovato la loro unità. Questo significava che la
terra perdeva, e per sempre, le sue qualità negative ( centro di perdizione,
luogo di espiazione in cui imperavano le forze del male contro cui l'uomo, per
salvarsi, doveva combattere ) e diventava un corpo celeste, non meno puro degli
altri, che roteava insieme agli altri intorno al sole, senza bisogno che ci
fosse un motore immobile che le imprimesse il moto. Era la struttura mentale e
culturale dell'uomo che cambiava perchè cambiava il paradigma di riferimento,
anche se con Copernico siamo ancora all'inizio di questo entusiasmante viaggio.
Copernico iniziò, Tycho Brahe fornirà i dati empirici esatti, Keplero
proseguirà formulando, per la prima volta nella storia, delle leggi fisiche
universalmente valide, e Galileo, assieme a Cartesio e Newton, porterà l'uomo
al traguardo finale ( Cohen, 1985: 123-24 ). Dopo questi uomini il mondo non
sarà più lo stesso. Sarà totalmente cambiato, come sarà totalmente cambiata la
struttura del livello mentale dell'uomo.
" Introducendo il sistema eliocentrico, Copernico pose i fondamenti
dell'astronomia e aprì decisamente una nuova via al pensiero scientifico,
emancipandolo dall'antropomorfismo delle età passate " ( Reichenbach,
1974: 106 ), ma egli " non aveva elaborato la sua teoria su nuove
informazioni ottenute attraverso l'osservazione " ( Cohen, 1980: 3 ) della
natura. Egli sosteneva che non ci si poteva fidare dei sensi, nè delle
osservazioni. Esse potevano avere una validità solo se erano passate al
setaccio della ragione che applicava il rigoroso metodo matematico (Randall,
1940: 230 ).
L'osservazione della natura, nel XVI secolo, era più diffusa tra gli
artisti-scienziati sul tipo di Leonardo. Tra gli uomini di scienza, o quelli
che si chiamavano uomini di scienza, era una merce rara. In generale, nel XVI secolo, si farà ricorso
all'osservazione della natura solo quando ci sarà un conflitto di opinioni o di
teorie. Anche Copernico era stato mosso da un conflitto di opinioni esistente
tra i matematici dell'epoca sui movimenti dei corpi celesti. Ma egli non si
appellò all'osservazione della natura: il suo fu un atto intellettuale, anche
se di grande portata. Egli elaborò la sua teoria non su dati tratti
dall'osservazione dei corpi celesti, ma da un'intuizione che aveva avuto
leggendo Cicerone, il quale riferiva che nel mondo classico qualcuno aveva pensato
che la terra avesse una rotazione diurna. Questo lo spinse ad approfondire il
problema e si accorse che anche Aristarco aveva maturato la stessa idea,
aggiungendo che essa girava anche intorno al sole. Di suo Copernico vi mise dei
calcoli matematici che davano una plausibile giustificazione della sua teoria
ed introdusse alcuni elementi di novità che correggevano la fisica di
Aristotele e la teoria tolemaica in più punti.
Aristotele aveva parlato, nella fisica, di un motore immobile che muoveva,
dall'esterno, tutto l'universo. Copernico, invece, riteneva che il movimento
fosse legato alla struttura fisica dei corpi celesti e non fece menzione del
motore immobile di Aristotele. Per Copernico, le cause del moto erano da
ricercarsi, non all'esterno del sistema come aveva fatto Aristotele, ma
andavano cercate all'interno del sistema stesso e precisamente nella forma dei
corpi celesti che, essendo sferici, doveva roteare per necessità. Ancora: per
Aristotele, il moto non era lo stato naturale delle cose. Lo stato naturale
delle cose era la quiete. Se c'era il moto ci doveva essere un motore o una
forza che lo provocasse. E questo moto poteva essere naturale o violento. La
terra non poteva avere il moto perchè, essendo così pesante, per avere il moto
ci doveva essere una forza enorme. Era più plausibile che essa restasse
immobile al centro dell'universo e fosse dotata di gravità. I corpi celesti,
invece, essendo costituiti dall'etere, erano senza peso e senza gravità: ecco
perchè essi giravano e la terra stava ferma. Solo la terra, quindi, aveva una
forza di gravità per mezzo della quale attirava i corpi. Secondo Aristotele,
tutte le cose tendono a raggiungere il loro luogo naturale ed, essendo la terra
al centro dell'universo, tutte le cose tendevano a raggiungere il suo centro.
La gravità costituì un grosso problema per Copernico. Ma egli lo risolse
supponendo che se la terra, che girava intorno al sole, era dotata di gravità
all'interno del sistema solare, anche gli altri corpi celesti dovevano essere
dotati di gravità perchè, secondo Copernico, le singole parti tendono a
ricongiungersi con il tutto, proprio come faceva la terra.
L'universo disegnato da Aristotele, con la sua gerarchia delle sfere,
era un universo finito ed immobile nella sostanza. L' universo che usciva,
invece, dalla teoria di Copernico era, anche se solo implicitamente, un universo infinito. Sarà Giordano Bruno (
1547-1600 ) che espliciterà questo concetto e per questo ed altri motivi sarà
mandato al rogo. L'opera di Giordano Bruno era più sconvolgente di quella dello
stesso Copernico perchè essa raggiungeva conclusioni che andavano ben al di là
del significato matematico della teoria copernicana per " cogliere i suoi
più profondi significati magici religiosi " ( Yates, 1971: 155 ). Bruno,
infatti, sosteneva che il moto era la caratteristica principale dell'universo,
il quale non era finito e quindi creato, come sosteneva la dottrina della
chiesa, ma era infinito. Per Bruno, il sole e le altre stelle erano anch'esse in
movimento, " come grandi animali
" ( Yates, 1971: 155 ), e quest'ultime erano al centro di altri mondi
abitati ( Dick, 1980: 3-27 ). Queste erano verità troppo sconvolgenti per la
chiesa cattolica e Bruno non poteva provarle perchè non le aveva raggiunte per
via sperimentale. Anche se noi oggi sappiamo che esse andavano nella direzione
giusta, egli le aveva raggiunte per ragionamento magico-religioso. La scienza
non c'entrava. Bruno, in effetti, era un filosofo e non uno scienziato.
Questa fu la vera rivoluzione copernicana: la distruzione del cosmo
greco e l'accettazione della geometrizzazione dello spazio, sciogliendo,
finalmente, la dicotomia tra il mondo sopralunare e quello sublunare. Di due
mondi, governati da leggi diverse, ne fece uno governato dalla stessa ed unica
legge. E questo fu l'inizio del processo che doveva rivoluzionare la struttura
mentale dell'uomo e la stessa organizzazione della società. La meccanizzazione
della natura porterà ben presto anche alla meccanizzazione della produzione e
il mondo, dopo ottomila anni, cambierà fisionomia.
Ciononostante, Copernico, si muoveva ancora all'interno della fisica
aristotelica. " Non c'era nulla nella sua mente che non potesse essere in
quella di un greco " ( Russel, 1966, III: 621 ). Egli non dimostrava, ma
postulava alla maniera di Aristotele e dei greci in generale. " Egli
chiude un'epoca in modo molto più esplicito di quanto non ne apra una nuova.
Egli stesso è uno di quei creatori di sistemi universali, come Aristotele e Tolomeo,
i quali ci stupiscono per il potere che mostrarono nel creare una sintesi così
mitica - e oggi così irrilevante - tanto che dovremmo prendere in
considerazione la loro opera quasi soltanto come materia di giudizio estetico.
Una volta scoperto l'autentico carattere del pensiero copernicano, possiamo a
stento fare a meno di riconoscere la vera rivoluzione scientifica che doveva
ancora venire " ( Butterfield, 1962: 42 ).
Ma se l'ipotesi di fondo mutava; se tutto il sistema, che fino ad allora
aveva regolato il campo della conoscenza, veniva messo in crisi da un'ipotesi
che capovolgeva tutto e al posto della terra metteva il sole; se le verità in
cui si era creduto fino ad allora non erano vere, ma erano delle costruzioni
intellettuali senza alcun riscontro nella realtà fisica; se gli antichi, con
Aristotele in testa, non erano credibili perchè l'osservazione e l'analisi
della natura andavano ampiamente dimostrando la fallacia della loro teoria, era
necessario guardare alla realtà con altri occhi e con altri intenti per
verificare fino in fondo il pensiero ereditato ed incominciare a costruire il
nuovo su altre basi, che erano tutte da inventare, ma che, per certo, dovevano
andare in un'unica direzione: l'osservazione della natura per ricavare dati certi
e verificabili, senza nulla concedere alle costruzioni intellettuali che erano
sempre opinabili e fonti di conflitto.
Il primo a muoversi in questa direzione fu Tycho Brahe ( 1546-1601 ). Quello che mosse Tycho Brahe
all'attenta osservazione dei corpi celesti fu il conflitto di opinioni che si
era creato intorno alle teorie copernicana e tolemaica tra i matematici del
tempo. Egli non accettava le conclusioni di Copernico, ma nello stesso tempo
non accettava quelle tolemaiche ( Cohen,
1987: 136 ) perchè contraddette dalla esperienza concreta. Nel 1572, in effetti, era
comparsa una nuova stella ( una
supernova ) che, secondo la teoria tolemaica dell'immutabilità dei cieli, non
ci sarebbe dovuta essere. Le sue attente osservazioni lo portarono alla
conclusione che non c'era differenza tra il mondo sopralunare e quello
sublunare. Il suo fu un lavoro di paziente e precisa osservazione della volta
celeste. I dati che egli raccolse furono i più precisi ed accurati mai
prodotti. " La sua prima preoccupazione fu quella di preparare un nuovo
catalogo dei luoghi stellari. A tal fine escogitò un nuovo metodo per
determinare le longitudini celesti. Sia nella preparazione del catalogo sia
nell'osservazione dei pianeti egli raggiunse
un'accuratezza almeno due volte superiore a quelle dei predecessori. Il
suo margine di errore si aggirava intorno ai quattro minuti di arco, un limite
che si doveva dimostrare di decisiva importanza per il futuro dell'astronomia
teorica e, in realtà, per quello dell'intera fisica, giacchè permise a Keplero
di stabilire le leggi del movimento dei pianeti lungo un'orbita ellittica. Così
Tycho... sforzandosi di raggiungere l'esattezza nella descrizione, pose le basi
di modificazioni teoriche che egli stesso non fu in grado di prevedere " (
Hall, A.R., 1968, II: 518-19 ).
La storia aveva ampiamente dimostrato che non era il dato che contava,
anche se esso rimaneva il punto di partenza essenziale. Quello che contava era
soprattutto l'elaborazione che l'uomo sapeva fare di questo dato. E le civiltà
dell'Antico Oriente e della Grecia classica lo dimostravano ampiamente. Il dato
di Tycho Brahe era preciso, accurato e certo, ma da solo non conduceva da
nessuna parte. E, in effetti, Tycho non aggiunse nulla di nuovo al pensiero
precedente. Egli fu meno originale di Copernico, che pur non disponeva di dati
precisi.
Tycho Brahe osservò e raccolse il dato empirico scientificamente esatto,
e per questo motivo egli ha un'importanza fondamentale, ma di questo dato egli
non ne seppe fare un uso adeguato. Fu Keplero che lo seppe utilizzare e da esso
seppe trarre le leggi fisiche sul movimento dei pianeti. Era il pensiero che si
evolveva verso l'astrazione formale. La raccolta del dato certo costituiva il
primo passo. Le leggi fisiche di Keplero, che relegavano nel passato, e per
sempre, le opinioni, ne costituivano il secondo. Il terzo, quello ultimo e
definitivo, sarà compiuto da Galileo.
Copernico, postulando la teoria eliocentrica, aveva dato il via ad una
vera e propria rivoluzione del pensiero. Ma, oltre ad impostare il problema del
moto celeste e terrestre in termini matematici, non aveva fornito
alcun'altra nuova informazione. Tycho Brahe si incaricò di colmare
questa lacuna fornendo il dato nuovo, ma la teoria che egli elaborò non era
fondata su questo dato: essa era una teoria intellettualistica, come quelle
precedenti, che presentava un sistema in cui " i pianeti giravano
nell'orbita intorno al sole, e l'intero sistema solare intorno al complesso
terra-luna. Matematicamente questa ipotesi equivaleva a quella di Copernico, ma
era più facile da accettare, purché si rinunciasse alla teoria delle sfere
cristalline. Infatti, l'inconveniente del sistema di Tycho era che l'orbita
tracciata dal sistema solare intorno alla terra attraversava le orbite di Marte
e dei pianeti interni, cosa possibile solo se non esistevano sfere cristalline,
come d'altronde avevano rivelato anche le sue ricerche sulle comete. La
cosmologia di Tycho è notevole per la sua razionalità e semplicità, e con la
variante della rotazione diurna della terra sostituita a quella delle stelle
fisse ( idea respinta a suo tempo da Tycho ) incontrò molto favore presso
coloro che ritenevano superata la visione tolemaica e troppo rivoluzionaria
l'ipotesi copernicana " ( Hall, M.B., 1968. III: 598 ).
Keplero ( 1571-1630 ), allievo di Tycho Brahe, fu il primo ad enunciare
delle leggi che non fossero degli assiomi prodotti intuitivamente, ma che
scaturivano dalla osservazione e da calcoli matematici precisi. Era il pensiero
dell'uomo che prendeva un'altra strada. Abbandonava, per sempre, quella
dell'intuizione e degli assiomi come verità indimostrabili e s'incamminava
verso quella della verità certa, fondata sull'osservazione e sulla sua
ricostruzione matematica. Era un'evoluzione naturale nei livelli di struttura
mentale. Erano leggi, che, per la prima volta nella storia, non dovevano essere
accettate come verità intuite come certe, ma potevano essere dimostrate, non
deduttivamente, perchè deduttivamente si poteva dimostrare tutto e il contrario
di tutto purché si accettavano le premesse di partenza ( anche per questo
motivo il metodo deduttivo era stato messo in crisi ), ma potevano essere
dimostrate induttivamente, attraverso l'esperienza reale. Esse non erano il
punto di partenza da cui scaturiva, per deduzione, tutta una serie di verità
consequenziali, ma costituivano il punto di arrivo di un'indagine induttiva
sulla natura e la cui validità era dimostrabile.
La legge fisica era una verità certa e valida come strumento di
previsione, nel senso che, ogni qual volta si verificavano le stesse
condizioni, si aveva il medesimo fenomeno. Con la scoperta della legge fisica
terminava il mondo della generalizzazione intuitiva come strumento di conoscenza
generale, che era legata al mondo delle opinioni. In altri termini, si
incominciava ad abbandonare il mondo del " pressappoco " per
incamminarsi verso quello della " precisione ". La forma
matematica stava a significare che la
legge era valida ora e sempre, in quanto essa descriveva la condotta della
natura. In effetti, " Le leggi di Keplero, sebbene basate su dati raccolti
da Tycho, andarono al di là di essi, mettendo in grado gli astronomi non solo
di organizzare tutte le posizioni dei pianeti osservati da Tycho in un modello
coerente, ma di prevedere tutte le loro posizioni future e anche quelle dei
pianeti sconosciuti al tempo di Keplero " ( Danto, 1971: 12 ).
Keplero aveva scoperto, con i dati raccolti da Tycho, che i pianeti non
si muovevano in un'orbita circolare. come sosteneva la teoria
tolemaica-aristotelica, ma si muovevano in un'orbita ellittica, di cui il sole
occupava uno dei due fuochi ( I^ legge). Con questa scoperta, non solo si
eliminavano gli epicicli, ultima e persistente vestigia della teoria tolemaica,
ma si operava una rivoluzione nella gerarchia delle figure geometriche. Il
cerchio, che i greci avevano definito come la figura geometrica perfetta,
veniva spodestato dal suo piedistallo e il suo posto veniva preso, nell'orbita dei
pianeti, da una figura meno nobile, ma che spiegava perfettamente il reale
movimento dei pianeti: l'ellisse.
Scoprendo le leggi del movimento dei pianeti, Keplero aveva dato la
spallata finale al sistema aristotelico-tolemaico, ma non seppe andare oltre.
Sebbene avesse affermato che " quasi tutti i moti sono prodotti da una
sola e semplice forza corporea magnetica ", non seppe dare una spiegazione
del movimento stesso e, su questo punto, egli rimase attaccato alla fisica
aristotelica. La verità era che Keplero si muoveva ancora all'interno del
pensiero operatorio concreto. Le sue leggi sui movimenti dei pianeti erano
realtà concrete e reali. Dare una spiegazione del moto, come la darà Galileo
con la sua legge d' inerzia, significava superare il reale ( il concreto ) per
andare nell'astratto: significava trascendere il vecchio paradigma ed
inoltrarsi in uno nuovo, quello operatorio formale. Keplero non era
equipaggiato intellettualmente per fare questo salto, ma lo sarà Galileo di lì
a poco, quando si renderà conto che, rimanendo all'interno del paradigma del
pensiero operatorio concreto, non si sarebbe arrivati da nessuna parte, ma si
sarebbe solo potuto migliorare l'esistente. Insomma, il vecchio paradigma, di
cui Keplero fu l'ultimo esponente , aveva dato tutto quello che poteva dare ed
aveva svolto una funzione insostituibile nello sviluppo delle capacità
intellettive dell'uomo, ma non poteva dare di più. Se si voleva andare oltre
bisognava acquisire una nuova "
forma mentis ", che doveva non tanto rielaborare i dati in una maniera
diversa, come si era fatto fino a quell'epoca, quanto li doveva trasferire dal
piano operatorio concreto a quello operatorio formale; cioè, doveva trascendere
completamente la realtà per attestarsi su un piano completamente astratto. Era
una rivoluzione intellettuale che si richiedeva, identica a quella che avevano
operato i greci quando superarono il pensiero transduttivo delle civiltà
dell'Antico Oriente e quello intuitivo dei presocratici introducendo il pensiero
razionale. E, in effetti, nel XVII secolo si verificherà una mutazione
intellettuale che darà una svolta alla vita dell'uomo, come l'aveva data quella
operata dai greci nel V secolo a.C.
Non c'era " un mondo da distruggere [ quello della fisica
aristotelica ] per sostituirlo con un altro [ quello della fisica classica o
moderna ] " ( Koyrè, 1957: 152 ). C'era soltanto da prendere coscienza,
come si stava facendo, che il sistema e le teorie dei greci non erano basate su
dati certi ricavati dall'osservazione, ma erano delle costruzioni
intellettualistiche fondati sulla logica. La fisica di Aristotele, in quanto a
logica, era rigorosa e plausibile. Soltanto che essa non era basata
sull'elaborazione di dati certi, ma era basata sul buon senso e sull'osservazione
superficiale della natura.
I greci, nell'elaborare le loro teorie e il loro sistema, non avevano
sbagliato. Essi avevano preso l'unica strada che c'era da prendere per fare
avanzare l'intelletto umano dallo stato in cui l'avevano preso dalle civiltà
dell'Antico Oriente. Essi presero a dare un ordine alla massa di conoscenze che
avevano ereditato dalle civiltà precedenti e l'instaurazione di quest'ordine
portò alla creazione di una logica che divenne per essi, ma anche per tutto il
medioevo, lo strumento attraverso il quale indagarono sulle cose umane e su
quelle del mondo. E inventarono ( non scoprirono: essi non erano
intellettualmente equipaggiati per scoprire ) un sistema che rimaneva attaccato
al concreto, a quello di cui i loro sensi facevano esperienza. Superare
l'esperienza concreta per loro fu impossibile, ma non si posero neanche il
problema, perchè, per loro, una conoscenza che andasse al di là di quella
concreta non esisteva, anzi la negavano. L'universo per loro era ben ordinato,
con i suoi due livelli: quello sopralunare, perfetto, semplice ed
incorruttibile, e quello sublunare, caotico, complicato e corruttibile.
Gli uomini del XVII secolo non dovevano distruggere questo mondo.
Dovevano solo prendere atto, come fecero, che esso aveva dato tutto quello che
poteva dare ( ed aveva dato molto ) e seguendolo ulteriormente non si sarebbe
arrivati da nessuna parte. Alla prova dei fatti osservati, Galileo aveva
ragione quando disse che i greci e gli scolastici prima decisero come doveva
funzionare il mondo e poi adattarono tutti i fenomeni a questa decisione. Le
loro teorie, in effetti, erano teorie ideologiche fondate sulla intuizione
logica e non su fatti osservati. I fatti venivano adattati e spiegati
attraverso queste teorie. Se gli uomini del XVII secolo volevano progredire
nelle conoscenze e nello sviluppo dell'intelletto umano, dovevano prendere
un'altra strada, che, pur valorizzando le conoscenze dei greci, conducesse ad
altri lidi più aderenti al reale. Cioè, dovevano dare una nuova interpretazione
del reale con gli strumenti intellettuali che nel frattempo avevano maturato.
" Il grande merito degli scienziati non deriva dal fatto che essi videro
più cose dei loro predecessori, ma deriva dal fatto che essi guardarono al
mondo con altri occhi " ( Lenoble,
1964: 181 ).
Nell'intraprendere questa nuova strada essi utilizzarono e fecero
proprio tutte le conoscenze di base dei greci. Essi utilizzarono il metodo
deduttivo, anche se esso non costituiva più lo strumento principe per il
raggiungimento della conoscenza; utilizzarono il metodo matematico applicato
allo studio dei fenomeni fisici di Archimede; utilizzarono il principio della
conoscenza assiomatica, cioè il principio secondo cui ci deve essere una conoscenza
di base da cui derivare, per deduzione, tutta un'altra serie di conoscenze, con
la sola differenza, anche se importantissima e rivoluzionaria, che il principio
base del XVII secolo non sarà raggiunto intuitivamente ( assioma ), ma sarà
raggiunto induttivamente ( legge ). Gli uomini del XVII secolo utilizzarono
tutti questi strumenti sviluppati dai greci, anche se a volte solo
concettualmente e per altri fini e con
altri scopi. Senza questa massa di conoscenze di base e senza gli strumenti
intellettuali sviluppati nel medioevo, l'uomo del XVII secolo non avrebbe mai
raggiunto quella maturità intellettuale che non solo gli fece percepire che il
vecchio paradigma non rispondeva più alle nuove esigenze, ma che gli fece anche
intraprendere l'unica strada che c'era da prendere, anche se non doveva
dimostrarsi quella definitiva, come dimostreranno la teoria della relatività e
della fisica quantistica. La crescita intellettuale è un'esigenza vitale alla
esistenza dell'uomo. La sua storia è la storia della sua crescita
intellettuale. Un'atrofizzazione dell'intelletto umano porterebbe al suo
decadimento e, alla fine, al suo totale annientamento.
Quello che faranno gli uomini del XVII secolo sarà di far fare un salto
di qualità all'intelligenza dell'uomo, sviluppando un nuovo livello di
struttura mentale, quello astratto formale, e maturando un nuovo paradigma
culturale. In questo senso lo stacco col passato ci fu e fu rivoluzionario:
nasceva un uomo qualitativamente diverso, con più frecce nel suo arco. E fu lo
stesso stacco che ci fu tra il mondo dell'Antico Oriente e quello greco. Anche
allora lo stacco fu rivoluzionario perchè veniva al mondo un uomo nuovo ed
intellettualmente strutturato diversamente. Allora l'elemento cerniera tra i due mondi, tra i due tipi di uomini,
furono i presocratici, che partecipavano del vecchio mondo ed introducevano il
nuovo. L'elemento cerniera della Rivoluzione Scientifica ed intellettuale del
XVII secolo fu il secolo XVI. Anch'esso partecipava, con i suoi Copernico,
Tycho Brahe e Keplero, del vecchio mondo, ma, nel contempo, introduceva il
nuovo che sarebbe servito come base agli uomini del XVII secolo per fare la
loro rivoluzione.
Galileo fu il prodotto di questo progressivo maturarsi del pensiero
dell' uomo. Egli iniziò la sua carriera scientifica facendo proprio le idee che
erano oggetto di dibattito all'epoca, ma quando si rese conto che con esse non
sarebbe andato lontano, cercò una propria strada secondo un nuovo percorso.
Egli ebbe, in effetti, le capacità e l'ardire
che mancarono ad un Tartaglia, ad un Ferri e, parzialmente, ad un
Debenedetti , tanto per fare dei nomi di uomini che vissero in quell'epoca e
che diedero tanto alla scienza.
Dal XVI secolo Galileo aveva ereditato due idee: l'idea di una natura
organizzata matematicamente e l'idea che la ricerca si doveva basare sulle quantità e non sulle
qualità e doveva essere espressa im forma matematica . Quest'ultima era un'idea
mutuata da Archimede. Con queste due idee Galileo porrà le basi della fisica
moderna.
Il mondo delle quantità e delle relazioni che fra di esse intercorrevano
non fu mai preso in considerazione dagli antichi, tranne da Archimede che fu un
ricercatore ante litteram. Archimede non fu uno speculativo. Egli era un " pratico ". Egli aveva da
risolvere problemi pratici che richiedevano una conoscenza del funzionamento
della natura per poter ricercare le sue riposte a quei problemi. Quando egli
scoprì il peso specifico dei materiali non si proponeva consciamente di raggiungere
queste risultato. Egli aveva da risolvere un problema pratico importante:
doveva vedere se una corona fosse tutta d'oro oppure se l'oro fosse stato
tagliato con l'argento. I suoi connazionali e predecessori non si posero mai di
questi problemi che essi ritenevano vili. Essi erano solo interessati alla
costruzione intellettuale fondata sulla logica. E, in effetti, dal punto di vista logico la fisica di Aristotele
era più che valida, checchè ne pensasse Bacone. Non era accettabile come
conoscenza scientifica, nel senso moderno, perchè essa non aveva presupposti
reali e riscontri verificabili in natura. Era una fisica fondata
sull'esperienza sensibile e non sulla matematica e aveva un carattere
speculativo e filosofico, ma era rigorosamente logica e quindi scientifica,
come si intendeva la scienza a quell'epoca.
" Le critiche che le si muovevano denunciavano il suo carattere
essenzialmente qualitativo e le sue generalizzazioni sbrigativamente formulate
in base all'osservazione immediata; tale fisica consisteva in una mera
classificazione del comportamento immediatamente osservabile di diversi
oggetti, presentato come manifestazione delle loro ' nature ', o principi di
comportamento, qualitativamente e quindi irriducibilmente distinti; in quanto
tale essa non poteva essere più di una pura classificazione "
(Crombie-Horskin, 1968, IV:158).
Il perchè dei greci, quando esso si impose sul come narrativo delle civiltà dell'Antico
Oriente, costituì una rivoluzione intellettuale nei livelli di struttura
mentale, ma aveva dato delle spiegazioni che non erano ritenute più
soddisfacenti nel XVI secolo perchè non conducevano da nessuna parte oltre la
soglia del pensiero operatorio concreto. Il perchè un fenomeno accadeva non
spiegava il fenomeno stesso e non dava la possibilità di predirlo. La
rivoluzione di Galileo sarà costituita proprio dal fatto che egli non sarà
interessato al perchè, ma al come il fenomeno si verificava, in modo che esso
potesse essere predetto quando si verificavano le stesse circostanze. Però
quello di Galileo non sarà un come narrativo simile a quello delle civiltà
dell'Antico Oriente, ma sarà un come analitico-descrittivo basato sulle
quantità. Era un modo di procedere totalmente nuovo. Non erano i vecchi
concetti che venivano letti in modo diverso o riorganizzati in modo diverso per
ottenere una nuova conoscenza. Essi venivano messi da parte perchè non
influenti nel nuovo tipo di indagine. E si creavano nuovi concetti: peso,
misura, forza, accelerazione, tempo, massa, distanza, ecc. Certo la ricerca
della cause ( il perchè ) non veniva
eliminata o negata; anzi, essa era una
preoccupazione costante, ma Galileo pensava che se ci si attardava a
spiegare perchè un grave cade non si sarebbe mai raggiunta una conoscenza
scientificamente esatta, in quanto si rimaneva sempre nell'opinabile. Se,
invece, si analizzava e si descriveva il fenomeno nel suo accadimento,
utilizzando le categorie di tempo, misura, peso, quantità ecc., non solo si
poteva predire quando il fenomeno si sarebbe verificato, ma anche perchè si
sarebbe verificato. Cioè, avremmo saputo o, meglio, avremmo scoperto, nel
tempo, la causa come necessità esplicativa. Ma essa doveva venir fuori alla
fine del processo scientifico, non all'inizio come avevano fatto i greci. Così,
la caduta dei gravi, che Galileo aveva analizzato come fenomeno, verrà spiegata
con la teoria della gravitazione universale di Newton. In sostanza, quello che
si vuole dire è che. insieme alla legge fisica, avremo anche la teoria ( il
perchè che ritorna, ma ad un altro livello ) che la spiega. Anche se, a volte,
per avere la teoria bisogna aspettare un certo lasso di tempo, come è stato il
caso della teoria della gravitazione universale di Newton che venne quasi
quarant'anni dopo la scoperta di Galileo.
Questa fu la vera Rivoluzione
Scientifica: sia il vecchio paradigma ( quello del mondo classico ) che il
nuovo miravano alla conoscenza del mondo fisico. Il primo voleva arrivarci
attraverso il metodo della logica sillogistica e produsse, come conseguenza,
solo una conoscenza qualitativa in cui non c'era certezza. Il secondo scelse di
arrivarci attraverso la geometrizzazione dello spazio ( proposizioni
geometriche di Euclide ) e attraverso l'attività sperimentale e produsse una
conoscenza quantitativa che spiegava il come dei fenomeni e non il perchè, come faceva il primo. Ma entrambi
ritenevamo che l'essenza delle cose era inconoscibile ed entrambi miravano ad
una conoscenza certa, che fosse logica e che fosse universale. Il primo
paradigma fece ricorso ad una gerarchia delle leggi che andava dall'alto verso
il basso. Al vertice stava l'assioma, intuito induttivamente e quindi vero
perchè evidente per se stesso. La posizione intermedia era occupata dal teorema
e quella più in basso dal corollario. Senza l'assioma non ci potevano essere
teoremi e corollari. L'assioma era la " legge generale " che
giustificava e rendeva vere e certe (perchè raggiunte deduttivamente ) le
" leggi " di derivazione. Il secondo paradigma farà il cammino
inverso. La legge fisica, il corrispondente dell'assioma, sarà l'ultima ad
essere prodotta ed essa scaturirà dall'osservazione analitica di un fenomeno,
dalla sua ricostruzione razionale in linguaggio matematico e dalla sua verifica
sperimentale. Solo così l'ipotesi iniziale assurgeva alla dignità di legge.
" Alle civiltà primitive e a quelle orientali il concetto di legge
fisica era del tutto sconosciuto... esso era virtualmente sconosciuto anche
all'antichità classica e al mondo medievale ed esso non sorse prima della metà
del XVII secolo " ( Zilsel, 1942: 245 ). L'assioma qualitativo veniva
spodestato dall'assioma (legge) quantitativo. Era un capovolgimento di fronte:
quello che non era stato preso in considerazione nel passato classico e
medievale assumeva un valore fondamentale, e quello che aveva costituito la
base della conoscenza ( il principio qualitativo ) veniva rigettato
completamente in quanto soggettivo e non oggettivo. Insomma, Galileo
rivoluzionerà la base della conoscenza e la indirizzerà verso altri binari, più
verificabili nella realtà ed incontrovertibili per tutti. La conoscenza
soggettiva, invece, era sempre stata fonte di dispute, in quanto non forniva
certezze, come le fornirà il metodo matematico sperimentale quantitativo. E
l'assioma quantitativo ( legge ) sarà incontrovertibile in quanto esso fornirà
sempre lo stesso risultato ad ogni verifica. Ecco perchè si poteva parlare di
legge e non più di generalizzazione. La generalizzazione, come l'intendeva il
mondo classico e medievale, era soggettiva. La legge, invece, sarà oggettiva.
La prima legge sul moto dei pianeti di Keplero ( i pianeti nella loro
rivoluzione intorno al sole descrivono un'ellisse ) era anch'essa una
generalizzazione quando egli la enunciò, ma poi fu verificata sperimentalmente
e quindi divenne legge. Anche la legge sulla caduta dei gravi di Galileo, per
avere una conferma sperimentale dovrà aspettare fino al 1654, quando sarà
inventata la pompa ad aria. Da questi " assiomi " sperimentali si
ricaveranno altre conoscenze quando essi verranno messi in relazione tra di
loro attraverso il metodo matematico. Quindi, non solo con pochi esperimenti si
otterrà una massa di conoscenze che
supererà di gran lunga gli esperimenti stessi, ma ci si inoltrerà sempre
più nella direzione dell'astrazione formale, in quanto non si opererà più sulla
realtà, ma sulle sue operazioni.
Galileo fu l'inventore del metodo sperimentale. " Questo metodo unico di interpretare la
natura, che affondava le sue radici nel sapere classico, nacque durante il
fermento intellettuale del medioevo e avanzò lentamente e con difficoltà, con
il contributo degli arabi e dell'India, finchè Galileo, con il tocco del genio,
non lo portò alla maturità " ( Cardwell, 1957: 1957 ). Nel medioevo si era
parlato molto di sperimentazione, ma essa era rimasta sempre sulla carta, anche
se si affermava che lo studio della natura andava effettuato utilizzando il
linguaggio matematico. Ma erano dichiarazioni di principio che non troveranno
un riscontro nella realtà fino al XVI-XVII secolo. " Con Galileo una
generazione di scienziati si volse all'uso di esperimenti per scopi
scientifici. Ma questa diffusa propensione per il metodo sperimentale, non
potendo venir considerata effetto dell'opera di un solo uomo, si spiega meglio
come il risultato di un mutamento nelle condizioni sociali, mutamento che
liberò le menti degli scienziati dalla soggezione della scienza antica e
scolastica e condusse naturalmente a una scienza empirica " ( Reichenbach,
1974: 106 ).
Fin quanto riguarda il metodo matematico-deduttivo non c'è differenza
tra lo " scienziato " della classicità e lo scienziato moderno.
Entrambi partivano da premesse certe da cui deducevano tutta una serie di nuove
conoscenze. Ma la differenza emerge, ed è notevole, non appena si prendono in
considerazione le premesse da cui ciascuno di essi partiva. Lo "
scienziato " del mondo classico partiva da un assioma intuito
induttivamente, quello moderno parte da un " principio primo "
ricavato attraverso la " sensata esperienza " ( analisi ), elaborato
razionalmente ( sintesi ) e verificato
sperimentalmente. Ma entrambi sostenevano che la vera conoscenza era una
conoscenza deduttiva. Per questo motivo essa doveva essere modellata sulla
matematica. Erano i punti di partenza che erano differenti. Il paradigma
classico produsse un metodo intuitivo-deduttivo, quello moderno ne produrrà uno
ipotetico-deduttivo, che sarà una combinazione di quello matematico e quello
sperimentale.
Nella ricerca del " principio primo ". la sperimentazione
rappresentava il momento finale, in quanto le leggi che si ricercavano non
erano una conseguenza della sperimentazione stessa, ma erano la sua premessa;
cioè, lo scienziato doveva prima ipotizzare la legge, attraverso un lavoro di
analisi del fenomeno fisico, per poi ricostruirlo razionalmente attraverso un
processo matematico rigoroso ( sintesi ). La sperimentazione seguiva come
verifica all'ipotesi, che , se veniva confermata, diventava una legge fisica. E
questo avviene anche oggi. La sperimentazione si fa per qualcosa che esiste o
si suppone che esista e lo si vuole dimostrare. Si deve sapere ciò che si
sperimenta. Non si sperimenta alla cieca. Non si può impostare una
sperimentazione se non si procede prima ad un lavoro di analisi e di sintesi (
il metodo "risolutivo e comparativo" di Galileo ). La sperimentazione
è una domanda rivolta alla natura e si va alla ricerca di una risposta che
verifichi ciò che lo sperimentatore aveva ipotizzato.
Per Galileo, il " principio primo " non poteva essere basato
tutto ed interamente sulla ragione, come avevano fatto i greci e come voleva
anche Cartesio, perchè i sensi possono indurci a false conclusioni; nè poteva
esser basata esclusivamente sull'osservazione e la sperimentazione. Esso doveva
scaturire dal connubbio di questi due elementi: ragione ed esperimento. "
il principio primo " di Galileo scaturiva da un'ipotesi ricavata
dall'osservazione della natura, e dalla sua verifica sperimentale. Questa fu
l'origine del metodo ipotetico-deduttivo. Questo fu il vero superamento del
vecchio paradigma legato al metodo intuitivo-deduttivo. La struttura della
ricerca veniva modificata, ma in un solo punto: il " principio primo
", l'assioma dei greci, non veniva prodotto intuitivamente, ma veniva prodotto
ipoteticamente su dati raccolti attraverso la ricerca e verificato
sperimentalmente.
Galileo aveva elaborato un metodo, un metodo di lavoro che era valido
sempre e portava sempre a risultati certi e verificabili in qualsiasi momento
ed egli non aveva bisogno di fare molti esperimenti per trovare nuove
conoscenze. Infatti, le "... leggi non ancora esemplificate
nell'esperienza potevano essere scoperte deducendole da principi ricavati da
precedenti analisi dei fenomeni. Di conseguenza, sebbene non pensasse certo che
la ragione senza l'aiuto dell'esperienza potesse stabilire la verità fattuale
di un'ipotesi relativa a una legge di natura, per Galileo l'esperimento aveva
la funzione di controllare tali ipotesi o di convincere altri della loro validità
" (Garraty-Gay, 1973,II:663). In sostanza, una volta trovato il metodo, le
scoperte piovevano a cascata. Si parla ancora di scoperte e non di invenzioni.
Quelle di Galileo, in effetti, sono delle scoperte. Egli non inventa nulla, ma
tutto deduce dall'analisi matematica quantitativa.
Con la
Rivoluzione Scientifica è la strutturare del pensiero
dell'uomo che si rivoluziona. Lascia il pensiero operatorio concreto per
assumere quello operatorio formale, dove le relazioni non sono più colte nel
mondo dei fenomeni concreti, ma in quello dei fenomeni possibili senza una
necessaria relazione con il concreto.
La maturazione di un nuovo livello di struttura mentale non faceva
perdere il livello precedente. Esso lo
inglobava e rimaneva un patrimonio dell'umanità che continuava a servirsene.
All'interno del metodo scientifico, in effetti, vengono utilizzate tutte e due
queste forme di pensiero ( Cartwright, 1984: 134-52 ). " Dal pensiero
operatorio concreto la sperimentazione trae le attività mentali più
direttamente e concettualmente collegate all'osservazione e alla definizione
quali-quantitativa delle variabili...del fenomeno od esperimento in
osservazione, attività nelle quali il contenuto di rigore formale (formalismo
matematico) è assai modesto... Dal pensiero operatorio formale la
sperimentazione trae soprattutto la sua strategia, cioè la metodologia corretta
per la sua impostazione-conduzione, verifica e descrizione-comunicazione al
fine di ricercare quali variabili siano le cause del fenomeno sotto controllo
ed in che modo esse lo condizionino " ( Grasso, 1987: 198 ).
All'inizio del XVII secolo, la
fisica aristotelica era ancora predominante. Ma era in crisi: era stata messa
in crisi da Copernico, che aveva eliminato il motore immobile e aveva
fatto derivare il moto dei pianeti dalla
configurazione dei corpi celesti ( il corpo sferico, per necessità, rotea );
era stata messa in crisi da Tycho Brahe, che attraverso l'osservazione raggiunse il risultato del dato
scientificamente esatto; era stata messa in crisi da Keplero, che spodestò il
cerchio per sostituirlo con l'ellisse nel movimento dei corpi celesti.
Sul concetto di moto, la contestazione ad Aristotele era già iniziata
nel XIV secolo con la teoria dell'impetus. Già allora si era percepito che la
risposta di Aristotele su questo
argomento non era soddisfacente e non poteva essere definitiva. Con gli
strumenti intellettuali, essenzialmente logici, maturati a quell'epoca un
Giovanni Buridano ( m. 1360 ) e un Nicola Oresme (1323-1382 ) avevano osato proporre una
teoria del moto terrestre che correggeva quella di Aristotele, ma era ancora
lontana, anche se andava in quella direzione ( Maier, 1982 : 77 ), da quella
che fornirà successivamente Galileo.
Aristotele, per il quale lo stato naturale delle cose era la quiete e
non il moto, aveva risolto il problema del moto fornendo una risposta che era
basata sul buon senso e sull'osservazione superficiale della natura. Nel mondo
sensibile, per Aristotele, non c'è nulla
che si muova con i propri mezzi. Tutto
è mosso da qualcuno o da qualcosa. Per
questo motivo, egli parlò di due tipi di moto terrestre: quello naturale e
quello violento. Quello naturale si verificava quando un corpo pesante tendeva
a raggiungere il suo luogo naturale, cadendo in senso verticale verso il centro
della terra ( per la forza di gravità ), oppure quando un gas tendeva a salire
verso l'alto in senso inverso. Il moto violento si aveva quando una forza lo
provocava e la sua durata era soggetta all' azione della forza stessa. Quando
questa cessava, il moto continuava finchè l'aria che si spostava dietro il
corpo continuava a spostarlo. Entrambi i moti erano rettilinei.
Per analogia, Aristotele pensò che anche il moto celeste doveva avere una
forza che lo provocasse e lo mantenesse costante attraverso la continuità della
sua azione. Questa forza, per Aristotele, agiva dal di fuori del sistema ed era
essa stessa immobile. E, poiché il sistema era costituito da sfere che giravano
attorno alla terra, questa forza fu individuata come il primo immobile; un
concetto che avrà molto fortuna nella filosofia cristiana. Questo moto, a
differenza da quello terrestre che era rettilineo, mutabile ed imperfetto, era
circolare, immutabile, eterno e costituiva l'ordine perfetto.
La teoria dell'impetus, invece, postulava che, se le sfere di cui
parlava Aristotele " erano state poste in rotazione al momento della
creazione e non incontravano nessuna resistenza, il loro impeto le avrebbe
spinte a ruotare per sempre " (Hall-Hall, 1979: 109 ). Secondo la teoria
dell'impeto il moto lineare uniforme si aveva finchè perdurava l'impeto della
forza impressa e che una forza costante produceva, non un moto uniforme, ma un
aumento uniforme di velocità. Ci si muoveva nella direzione giusta, ma "la
chiarificazione dei nuovi concetti oscuramente proposti dagli autori medievali
e dal XVI secolo, insieme alla scoperta di un'analisi matematica che permise di
mettere in relazione tempo, velocità e distanza in un'unica formula descrittiva
del moto di un corpo uniformemente accelerato, fu opera del genio di Galileo
" (Hall, A.R., 1968, II: 519 ).
Galileo rivoluzionò la meccanica di Aristotele. Mentre questo parlava
della quiete come lo stato naturale della cose e che il moto non era che la
ricerca di questo stato di quiete (
dato che ogni oggetto tende a raggiungere il proprio posto di quiete ), Galileo
parlò anche del moto come condizione generale delle cose, per cui, mentre per
Aristotele ogni moto termina non appena termina la causa che l'ha prodotto, per
Galileo il moto dura finchè non c'è una causa che lo fa cessare (legge
d'inerzia). Era un capovolgimento di fronte e questo "... fu possibile in
quanto Galileo possedeva idee esatte a riguardo dell'inerzia e della massa. La
prima legge del moto, così come noi la enunciamo seguendo Newton afferma: ogni
corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto uniforme rettilineo finchè
non sia costretto da una forza impressa a mutare tale stato. Questa legge è
qualcosa di più di una arida formula, è un inno di trionfo sopra gli eretici
sconfitti. E' possibile comprendere il punto controverso se si toglie
dall'enunciato della legge l'espressione 'o di un moto uniforme rettilineo '.
Si ottiene allora l'opposta formula aristotelica: ogni corpo persevera nel suo
stato di quiete finchè non sia costretto da una forza impressa a mutare tale
stato " (Whitehead, 1962: 34 ).
Concettualizzare lo stato di quiete, in termini aristotelici, era stata
un'operazione concreta desunta dalla stessa realtà. La concettualizzazione del
moto, come desunto sempre dalla realtà, e sempre in termini aristotelici, aveva
richiesto la presenza di un motore che modificasse lo stato naturale delle cose
che era la quiete. La concettualizzazine del moto galileiano, di un moto
uniforme e costante senza il bisogno di un motore, richiedeva una rivoluzione
intellettuale.
La legge di inerzia, elaborata da Galileo, ma scientificamente espressa
da Cartesio, a noi sembra ovvia e naturale perchè abbiamo fatto nostro un
concetto che gli antichi hanno sempre rifiutato di accettare: lo spazio vuoto.
Il vuoto per i greci non poteva esistere ed essi ne negarono sempre
l'esistenza, anche se alcuni di loro, Democrito e Leucippo, l'avevano previsto
e teorizzato. Galileo faceva suo l'atomismo di Democrito, accettava il suo concetto di vuoto ( rifiutato da
Cartesio ) ed era convinto della sua definizione dell'atomo impenetrabile ed
indistruttibile. Anche se lo spazio vuoto di Galileo ha ancora " le
proprietà geometriche di Euclide " (Grant, 1983: 78 ).
I greci potevano prendere in considerazione solo lo stato quiete perchè
questo era lo stato a cui tendevano tutte le cose. Il moto, se c'era,
richiedeva sempre una forza che lo provocasse o lo mantenesse. Se la volta
celeste girava attorno alla terra era perchè c'era una forza, esterna ad essa,
che provocava questo movimento: il primo immobile. Solo con Copernico questa
forza esterna sparisce nel movimento dei cieli ed i corpi celesti sono in
movimento perchè di forma sferica e la sfera ha come caratteristica il ruotare.
Con Galileo si ha una mutazione mentale perchè egli prefigurò il moto come lo
stato naturale delle cose, insieme allo stato di quiete. Ma, per farlo, aveva
dovuto pensare non in termini concreti di un moto che si verifica nella realtà
concreta di tutti i giorni, come avevano fatto i greci, ma aveva dovuto
pensare, in termini astratti, di un moto che si verifica in assenza di
qualsiasi resistenza. L'inerzia non è una proprietà della materia che può
essere osservata nella realtà concreta. Essa deve essere inferita per
astrazione. Allora, la sua legge d'inerzia aveva un senso ed era
rivoluzionaria, anche se molti suoi elementi erano stati anticipati nel
medioevo e nel XVI secolo. L'originalità di Galileo consistette nel fatto che
gli seppe correlare tutti questi elementi, organizzando diversamente i dati e
decentrando il proprio pensiero per tener conto di ogni singolo aspetto della
complessità del problema. " Dalle componenti medievali egli costruì una
nuova scienza della meccanica, che divenne una parte vitale della scienza
newtoniana. Un tale risultato sarebbe da solo sufficiente a classificare
Galileo in quel gruppo scelto di scienziati geniali che hanno di tanto in
tanto, cambiato profondamente il carattere e la direzione della scienza "
( Hall-Hall, 1979: 190 ).
Questo mutamento mentale fu la conclusione di una lunga maturazione
durata cinque secoli: dal XII secolo, quando l'uomo si aprì alla riflessione
critica e alla cultura esterna, al XVII secolo, dopo esser passato attraverso
tutta una fase di preparazione e crescita graduale. L'esperimento, prima che
nella fase empirica, nacque nella mente dell'uomo e fu condotto attraverso il
ragionamento e sui libri.
Tra un Aristotele e un galileo c'è una diversa qualità di pensiero.
Mentre il primo parla in termini concreti, legati alla realtà tangibile, il
secondo parla in termini astratti, non osservabili nella realtà tangibile. Ecco
perchè Galileo rappresenta il punto di svolta del paradigma. Galileo avrebbe
potuto capire e capiva Aristotele ( perchè operava all'interno di un paradigma
che inglobava quello di Aristotele ), Aristotele non avrebbe potuto capire
Galileo. " Nessun italiano del Rinascimento sarebbe stato incomprensibile
a Platone e ad Aristotele: Lutero avrebbe atterrito Tommaso d'Aquino, ma questi
non avrebbe trovato difficoltà a capirlo. Il XVII secolo è differente: Platone
ed Aristotele, l'Aquinate e Occam avrebbero trovato che Newton non aveva nè
capo nè coda " ( Russel, 1966, III: 690 ).
Questo era il salto di qualità tra il vecchio paradigma e il nuovo. Il
primo poteva solo riferirsi al concreto e al mondo reale, al mondo finito; il
secondo ormai parlava di inerzia e di forza di gravità tra i corpi celesti. Con
Galileo si è al di fuori della vecchia struttura mentale. I fatti fisici non
vengono più spiegati attraverso una costruzione esclusivamente razionale, ma
vengono spiegati attraverso un'osservazione induttiva, ricostruita
razionalmente ( cioè in forma matematica
) e verificata sperimentalmente. I
ragionamenti di Galileo sono ragionamenti scientifici che si avvalgono
della logica come strumento per condurre la ricerca e per organizzazione il
lavoro. Ma i fatti sono fatti prodotti e spiegati sperimentalmente. La sua
legge sull'accelerazione, oltre a cambiare rotta, sostenendo che ogni moto, sia
nella regione sopralunare che in quella sublunare, è rettilineo ( mentre i
greci sostenevano che nella regione sopralunare fosse circolare ), è il
risultato di misurazioni e di quantità. Il suo ormai è un linguaggio che non
potrebbe essere capito dagli antichi. Egli è il fondatore di una nuova fisica,
la terza in ordine di tempo, dopo quella aristotelica e quella dell' impetus,
da quando l'uomo è comparso sulla terra.
Dopo Galileo la fisica di Aristotele fu definitivamente abbandonata.
Francesco Bacone ( 1551-1626 ) riteneva che i greci avevano saputo produrre
solo parole e che Aristotele aveva prodotto dei metodi scientificamente
sterili. Per Bacone, il metodo della logica sillogistica non produceva vera
conoscenza. Dal suo punto di vista ( che era certamente più avanzato di quello
dei suoi predecessori, ma non risolutivo, in quanto egli ragionava da filosofo
e non da scienziato ) il progresso si poteva ottenere cambiando soltanto metodo
d'indagine. Egli ammetteva che ogni conoscenza ha il suo punto di partenza
nell'osservazione e nei sensi. Ma ci possono essere due modi di utilizzazione
di questo punto di partenza. Il primo, che è, poi, quello utilizzato dai greci,
parte dall'osservazione per trarne, intuitivamente, un assioma da cui, per
deduzione, si ricava una serie di nuove conoscenze, le quali sono vere e certe
fintanto che è vero e certo l'assioma da cui sono derivate ( questa è il metodo
della generalizzazione intuitiva ). Il secondo, invece, utilizza l'osservazione
costante e ripetuta per trarne delle proposizioni da cui si può inferire una
legge fisica ( questo era il metodo della generalizzazione induttiva ). Bacone
negava alla logica sillogistica la sua validità come metodo di conoscenza, in
quanto l'inferenza era contenuta nella premessa ( per es.: tutti gli uomini
sono mortali( premessa ); Socrate è un uomo quindi Socrate è mortale ) e
sviluppava una logica induttiva in cui l'inferenza non era contenuta nella
premessa ( per es.: tutti i corvi finora osservati sono neri, quindi tutti i
corvi sono neri ).
Anche i greci avevano utilizzato l'induzione, ma era stato l'unico punto
di contatto con la realtà fisica,perchè essa era servita solo per fare quel
volo, come lo chiama Bacone ( Kline 1972: 225 ), per arrivare all'intuizione
dell'assioma. L'induzione di Bacone, invece, tentava " di trovare qualcosa
di meglio di quella particolare forma d'induzione chiamata induzione per
enumerazione " ( Russel, 1966, III: 712 ). Bacone proponeva di
raccogliere, attraverso l'osservazione costante e ripetuta, tutti i dati che
riguardavano un dato fenomeno e da questa raccolta di dati si doveva inferire,
alla fine, l'assioma o legge; cioè, quella caratteristica che era sempre
presente nel fenomeno osservato. Il metodo induttivo di Bacone rappresentava
certamente un avanzamento rispetto al metodo dei greci, ma esso non avrebbe
dato, come non diede, grossi risultati scientifici. " Sappiamo che il
sistema di Bacone è intrinsecamente impossibile; che la scienza, se avesse dato
retta a bacone, si sarebbe insabbiata in un punto morto e che Bacone, di
conseguenza, non fu l'ispiratore della rivoluzione scientifica che auspicava,
poiché quella rivoluzione si basò sull'uso di un metodo ipotetico-deduttivo,
che lo stesso Bacone avrebbe avversato " ( Danto, 1972: 141-42 ).
Nella storia dell'evoluzione del pensiero umano, Bacone è importante per
due aspetti: per aver elaborato una logica induttiva ( inferenza induttiva ) e
per aver messo in luce i limiti della logica deduttiva come metodo della
ricerca della verità, ma il suo metodo induttivo non poteva funzionare come
metodo scientifico. In effetti, " le inferenze induttive formulate
nell'ambito del metodo ipotetico-deduttivo della scienza sono di gran lunga
superiori alla semplice induzione baconiana " ( Reichenbach, 1974: 233 ).
Con la raccolta dei dati empirici, come suggeriva Bacone, su tre tavole
( una in cui il fenomeno era presente, una in cui il fenomeno era assente ed
un'altra in cui era presente solo in gradi) non si andava molto lontano. Esso
conduceva , tutt'al più, ad una generalizzazione di tipo induttivo, e non ad
una legge fisica, in quanto i suoi dati non potevano essere espressi in linguaggio
matematico, il solo che poteva dare una conoscenza chiara, distinta e precisa,
da cui si poteva dedurre e mettere in
relazione. La generalizzazione induttiva di Bacone rappresentava certamente un
progresso rispetto alla generalizzazione intuitiva dei greci, ma non era ancora
scienza, anche se essa sarà seguita letteralmente. e con successo, nelle
scienze naturali e biologiche ( Randall, 1940: 222 ).
Il vero superatore del paradigma culturale classico fu Galileo. Egli
escogitò il metodo scientifico raccogliendo prove e dati, utilizzando anche
l'inferenza induttiva, ma egli non fu un sistematizzatore. Egli non era ancora
capace di una visione d'insieme. Egli era interessato al problema per il
problema. Non era interessato ad inserirlo in un quadro più vasto, anche se
sentiva la necessità di una visione unitaria che desse una spiegazione al
tutto. Il primo sistematizzatore della scienza moderna fu Cartesio ( 1596-1650
), contemporaneo di Galileo, e la
scienza ci guadagnò im chiarezza, anche se su molti punti Cartesio e Galileo
erano distantissimi.Per Cartesio, come per Aristotele,il vuoto non poteva
esistere. La conoscenza, per Cartesio, era assiomatica, mentre per Galileo era
sperimentale; cioè, il primo riteneva che la conoscenza fosse esclusivamente
deduttiva, come la matematica, e quindi bisognava andare alla ricerca di un
principio primo che scaturisse da un atto dell'intelletto e fosse chiaro,
preciso, inequivocabile ed incontrovertibile razionalmente, proprio come
l'assioma matematico, perchè la conoscenza basata sui sensi era inattendibile,
come pensavano i greci. La verità, per Cartesio, era a priore.
Cartesio promulgò una filosofia generale e sistematica del pensiero e
delle nuove scoperte nel campo della scienza. Possiamo dire che egli fu il
sistematizzatore di tutte le conoscenze che riguardavano l'estensione o
materia, il moto ( che erano per Cartesio le due sole entità del reale ), lo
spazio e il tempo. E con questo egli chiudeva definitivamente le porte al
passato. Egli espresse, in forma scientifica, il principio della
meccanizzazione dell'universo, ma non fu in grado di dimostrarla.
Comunque, al tempo di Cartesio, era fortemente sentita l'esigenza, come l'aveva sentita lo stesso Galileo (
Cohen, 1985: 145 ), di una verità generale, o teoria, che spiegasse tutti i
fenomeni della dinamica. La verità assiomatica
a priore di Cartesio andava in questa direzione, ma ne era ancora molto
lontana. La sua " cosmologia... rendeva conto delle stelle, del sole, dei
pianeti e della terra, enunciava la causa della gravità, spiegava perchè i
pianeti fossero dotati di un moto di rivoluzione e come le loro orbite si
mantenessero costanti. Ma, come Galileo, neppure Cartesio si preoccupò
dell'esattezza della geometria astronomica. Nè l'una nè l'altra teoria fisica
erano in grado di soddisfare un astronomo matematico. La soluzione era
racchiusa nelle leggi di Keplero sul moto dei pianeti, ma nessuno se ne era
reso conto " ( Hall, A.R., 1968, V: 65 ).
Keplero aveva scoperto e spiegato i fenomeni che si verificavano nel
moto dei corpi celesti; Galileo aveva scoperto e spiegato i fenomeni che si
verificavano nella caduta dei gravi. Sia Keplero che Galileo avevano fatto le
loro scoperte induttivamente, osservando e studiando i fatti naturali.
Newton ( 1642-1727 ), invece, portò i
due fenomeni appena accennati sotto un'unica legge, quella della gravitazione
universale. Egli affermò la sua scoperta come " assioma " o teoria
generale, che non poteva essere riscontrata o verificata direttamente nella
realtà, ma da cui potevano essere descritti, deduttivamente, i fenomeni della
volta celeste e quelli terrestri della caduta dei gravi. La teoria, insomma,
scaturiva dall'inserimento delle singole leggi in un quadro di riferimento generale
( e questo sarà vero per tutte le scienze moderne ), che tutto spiegava
deduttivamente, come, induttivamente, le singole conoscenze avevano prodotto la
teoria. Si giustificavano a vicenda: la teoria dimostrava deduttivamente le
leggi e le leggi dimostravano induttivamente la teoria. Newton dichiarava che
la sua era un'ipotesi. " In questa filosofia ", egli diceva, "
le proposizioni particolari sono ricavate dall'osservazione dei fenomeni e poi
vengono generalizzate attraverso l'induzione " ( Shapiro, 1983: 58 ).
Newton, in sostanza, aveva operato una sintesi semplificando il campo delle
conoscenze. " Quello che si chiedeva era una spiegazione generale e Newton
fu in grado di fornirla " ( Cardwell, 1957: 8 ).
Newton fu in grado di formulare la sua teoria sulla gravitazione
universale non attraverso nuovi esperimenti o nuove ricerche, ma lo fece solo
correlando delle informazioni che erano già in possesso del genere umano: la
legge d'inerzia ( ogni corpo tende a muoversi in linea retta finchè non trova
una resistenza ); la prima legge di Keplero ( i pianeti, nelle loro orbite
intorno al sole, descrivono un'ellisse, di cui il sole occupa uno dei due poli
); la legge della caduta dei gravi; l'attrazione magnetica di William Gilbert (
1540-1603 ) ( ogni corpo dotato di massa attrae altri corpi ); il concetto di
spazio vuoto; la teoria corpuscolare della materia. Di suo ci mise " il
tocco di genio " ( Koyrè, 1947: 13 ): il concetto fondamentale che anche
lo spazio vuoto era attraversato dalla forza di attrazione teorizzata da
Gilbert.
Con queste informazioni, Newton, cogliendo la totalità delle loro
relazioni, desunse una nuova legge che le unificava e realizzava il sogno di
un'epoca: una legge generale da cui, per deduzione, potevano essere ricavate le
leggi particolari che, induttivamente, l'avevano resa scientificamente valida.
In sostanza, Newton è l'esempio eclatante del completo decentramento del
pensiero che riesce a rielaborare, correlare, più informazioni per ricavarne
una che tutte le ingloba, facendo raggiungere la piena maturità del livello di
struttura mentale, che era stato anticipato nel corso dei decenni precedenti da
Galileo e da Cartesio. Questi tre uomini costituiscono la triade del nuovo
paradigma. Galileo fece il lavoro di base, scoprendo le procedure del metodo
scientifico e indirizzando la scienza verso un piano astratto. Cartesio
generalizzò e sistematizzò queste conoscenze inquadrandole in un sistema
filosofico compiuto. Newton le unificò sintetizzandole scientificamente in una
teoria universale espressa in forma matematica.
Con Newton si ebbe il passaggio definitivo ed incontrovertibile verso
un'altra epoca. Il postulato, l'assioma greco, aveva assunto la forma di legge
fisica, che non era più intuita, ma era inferita induttivamente attraverso la
raccolta di dati sperimentali, che erano riproducibili in qualsiasi momento e
in qualsiasi luogo. Il metodo deduttivo con ciò non scompariva, anzi assumeva
un altro valore e un maggiore vigore perchè tutti i corollari che ne seguivano
non erano veri o falsi fintanto che fosse vera o falso l'assioma, ma erano veri
perchè il principio primo da cui partivano era certo e vero ( la legge provata
sperimentalmente ). L'epoca di Aristotele e della scienza greca era finita per
sempre ed incominciava l'epoca moderna con la sua nuova visione del mondo, che
era peso, misura, spazio, tempo, massa, accelerazione, e tutto poteva essere
spiegato con queste categorie. Ma la scienza greca e le sottigliezze logiche e
dialettiche della scolastica avevano contribuito a formare il rigore logico e
sistematico di quest'uomo del XVII secolo.
L'intelligenza dell'uomo iniziava un nuovo cammino dopo quelle delle
civiltà dell'Antico Oriente e quello del mondo classico.Era una terza tappa
nell'evoluzione dei livelli di struttura mentale che fu resa possibile dal
notevole incremento delle informazioni che l'uomo era stato in grado di
accumulare. L'informazione sul sistema eliocentrico, anche se nota sin dal
tempo di Aristarco, solo con Copernico ebbe una validità plausibile; i calcoli
matematici e le accurate osservazioni di Tycho Brahe; le leggi di Keplero che
detronizzarono il moto circolare e davano il colpo finale agli epicicli; la
nuova e rivoluzionaria legge sul moto ( legge d'inerzia ) di Galileo che fece
chiudere un'epoca e ne aprì un'altra; la logica induttiva di Bacone; la
conoscenza a priori di Cartesio. Messe tutte assieme queste informazioni
produssero la prima teoria scientifica del mondo moderno: la teoria della
gravitazione universale.
" Newton ebbe il vantaggio di nascere dopo una serie di grandi
uomini e specialmente l'italiano Galileo, i quali nei due secoli precedenti
avevano ricostruito quella scienza [ la
dinamica ] ed avevano trovato il giusto metodo da impiegare in essa. Egli
completò la loro opera. Poi, da ultimo, con le idee di forza, massa e distanza
ben chiare e distinte nella sua mente e con una netta visione della loro
importanza e della loro applicabilità a fenomeni quali la caduta di una mela o
il moto dei pianeti, egli scoprì la legge della gravitazione universale e
dimostrò che in essa abbiamo la formula che sempre si trova soddisfatta in
queste differenti specie di moto " ( Whitehead, 1962: 23-24 ).
Con la rivoluzione scientifica del XVII secolo, l'uomo riuscì a darsi
una risposta definitiva alla domanda che si era posta sin dal suo sorgere: come
è fatto il mondo e come funziona. Ed era una risposta che non poteva più essere
messa in discussione perchè essa non si basava più sulla illuminata intuizione
di qualche spirito eletto o di qualche rivoluzione di successo, ma si basava su
dati di fatto osservati, inferiti induttivamente, ricostruiti razionalmente e
ripetibili in qualsiasi momento. E lo strumento per giungere a tanto era quello
stesso strumento elaborato in forma
sistematica dai greci, ma che essi stessi non seppero usare
adeguatamente perchè fecero di esso solo un esercizio mentale e nulla più: la
matematica, il linguaggio in cui era stato scritto il grande libro della
natura. Questo stesso strumento, arricchito e sviluppato negli ultimi due
secoli, veniva ora applicato
concretamente alla realtà fisica per darne una spiegazione che non fosse più
basata sulla logica, ma su quantità misurabili.
" Il metodo matematico ha dato alla fisica moderna il suo potere di
previsione. Chiunque parla di scienza empirica non dovrebbe dimenticare che
l'osservazione e l'esperimento hanno potuto edificare la scienza moderna solo
perchè combinata con la deduzione matematica. La fisica di Newton è ben differente
dalla scienza induttiva vagheggiata due generazioni prima da Francesco bacone.
Una mera raccolta di fatti come quella contenuta nelle tavole baconiane non
avrebbe mai condotto lo scienziato alla scoperta della legge di gravità. La
deduzione matematica unità all'osservazione è lo strumento che spiega il
successo della scienza moderna " ( Reichenbach, 1974: 110 ).
Galileo , Cartesio e Newton non furono dei solitari. Essi furono dei
giganti che formularono le idee generali di una nuova era: quella
dell'astrazione formale. Essi furono seguiti da una schiera di seguaci e
successori che, in campi più specifici, fecero tutta una serie di nuove
scoperte che dovevano dare un forte contributo al mondo della produzione. I
Torricelli, i Pascal, i Boyle, fecero delle scoperte che non riguardavano
esclusivamente il campo intellettuale, ma avevano una finalità pratica ed essa
sarà sfruttata. Uomini come Copernico, Brahe, Keplero, Bacone, Galileo,
Cartesio e Newton ( e una miriadi di predecessori e contemporanei che non è
possibile citare ) avevano elaborato un nuovo paradigma intellettuale, un nuovo
livello di struttura mentale, ed avevano dato al mondo una sterzata di 360
gradi, facendolo entrare in una nuova epoca senza precedenti ed inimmaginabile.
Uomini come Torricelli, Pascal, Boyle ( ed una miriade di predecessori e
contemporanei che non è possibile citare) crearono le condizioni per dare
questa sterzata anche al mondo della produzione, provocando un rivolgimento
totale. La storia dell'uomo economico verrà rivoluzionata dalle fondamenta. Il
mondo della produzione agricola, come principale fonte di produzione, che era
rimasto immutato sin dal neolitico, cesserà di esistere per fare posto a quello
della produzione industriale, che avrebbe sconvolto tutta l'organizzazione
sociale della società.
Ma già la
Rivoluzione Scientifica aveva portato con sè una nuova
ristrutturazione sociale nel campo del sapere ( Westfall, 1977: 105 ). Scompariva
il tuttologo medievale, il sapiente-filosofo che abbraccia tutti i saperi,
e" la figura dello scienziato... si delineava sempre con contorni più
netti, senza confondersi con quella del mago o dell'erudita tradizionale, del
cortigiano o dell'uomo di chiesa ( per quanto la combinazione di questi ruoli sia
pur sempre abbastanza frequenti, fino al pieno Settecento ) " ( Giuntini,
1979: 27). Con il sorgere della figura della scienziato il campo del sapere
andava differenziandosi, anche se informalmente e senza una coscienza di
classe, in comunità specialistiche chiuse, trasversali, sovranazionali ed
organizzate. " La scienza organizzata... si allontanò dallo scenario
tradizionale delle università medievali e si raccolse attorno a gruppi di varia
natura che operavano al di fuori dell'università. Si pensi al circolo che
operava attorno a Marin Marsenne attraverso una fitta corrispondenza che
testimoniava la nuova aggregazione sociale e l'essenzialità della comunicazione
nelle scienze " ( Mcllellan, 1985: XIX ).
Questi gruppi informali ben presto si trasformeranno in vere e proprie
associazioni o società, come si preferiva chiamarle. Le prime sorgeranno in
Italia. " Con l'apparizione della Accademia dei Lincei ( Roma 1603-1630 )
o l'Accademia del Cimento ( 1657-1667 ) si incontra un nuovo tipo di associazione
che si dedica, in un modo o nell'altro, alla ricerca scientifica "
(Mcllellan, 1985: XIX ).
Anche se la vita di queste Accademie fu breve e di scarso rilievo per il
progresso scientifico, essi forniranno il modello su cui si baseranno le due
maggiori organizzazioni scientifiche della seconda metà del XVII secolo: la Royal Society,
fondata nel 1662, e l'Academie des Sciences, fondata nel 1666. Queste due
istituzioni scientifiche si indirizzeranno verso due obiettivi diversi
nell'ambito del movimento scientifico. "la Royal Society" w:st="on">La Royal Society
privilegerà l'aspetto della scienza applicata baconiana e nel suo seno
accoglierà lo scienziato, ma anche il dilettante, l'imprenditore interessato
alla scienza e l'artigiano-inventore (Hunter, 1982: 25-30 ). L'Academie des sciences,
invece, si occuperà prevalentemente di scienza pura ed i suoi membri, che
riceveranno un regolare stipendio della corona, saranno tutti titolati (
Mcllellan, 1985: 19 ), cioè, saranno scienziati riconosciuti come tali che
proverranno da tutte le parti d'Europa: " dall'Olanda verrà Christian
Huygens, della Danimarca Roemer e dall'Italia Cassini " ( Westfall, 1977:
111 ).
Nell'ambito di queste due organizzazioni non ci sarà ancora una
divisione specialistica per settori della scienza. I settori specialistici
verranno " nelle prime decadi del XIX secolo quando la scienza, ormai
organizzata ed istituzionalizzata, subirà un'altra rivoluzione nella forma.
Questa volta si vedranno sorgere le società specialistiche e professionali come
la Società
di Geologia di Londra ( 1807 ) e "la British Association" w:st="on">la British Association
for the Advancement of Science ( 1831 ), l'avvento dei giornali scientifici
specialistici ( per es. lo Annalen der chimic di liebig, 1832 ) e il ritorno
della scienza nel contesto delle università, specialmente in Germania " (
Mcllellan, 1985: XX ).
Quando ancora non esistevano queste comunità chiuse e specialistiche nei
vari rami del sapere il paradigma
culturale era generalizzato e abbracciava l'intera società allargata ed era un
affare privato della singola nazione che l'aveva prodotto ( e che veniva
adottato dalle altre nazioni ). Con il sorgere delle società specialistiche
nelle varie branche del sapere e l'enorme diffusione della comunicazione
scientifica tra il paradigma culturale e il livello di struttura mentale non ci
sarà più una più o meno identità perfetta come nel passato, ma si assisterà ad
una loro divaricazione. Il livello di struttura mentale rimarrà sempre il
patrimonio della società allargata, ma il paradigma culturale diventerà la
sintesi dei diversi paradigma specifici trasversali, in quanto le comunità
specialistiche che si andranno a costituire ( quella degli scienziati fu la
prima ) saranno sopranazionali.