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C A P I TO L O    IV

IL RITORNO DELL'INDIVIDUO E LA FUCINA DELLA NUOVA ERA DEL MONDO

         Gli orizzonti mentali dell'uomo si amplificano man mano che egli produce, assimila ed elabora nuove informazioni. Questa attività di elaborazione e di rielaborazione delle informazioni provoca una maggiore specializzazione della sua massa-cervello che gli consente di creare, ad un livello più elevato, una nuova sintesi o paradigma culturale, il quale ingloba e spiega il paradigma precedente, ma ne è qualitativamente diverso.

         L'uomo, nei suoi livelli di struttura mentale, è cresciuto per piccoli passi, non tutti nella stessa direzione, ma tutti ugualmente importanti e necessari per produrre, nel tempo, una nuova sintesi ad un livello di struttura mentale più elevato. In questo senso, la quantità e la qualità delle informazioni sono importanti, ma non sufficienti, per creare una nuova sintesi. Per essere sufficiente ed efficace, il possesso delle informazioni deve essere  accompagnato dalla capacità-abilità dell'uomo di saper dare ad esse un nuovo ordine e di saperli mettere in una diversa relazione tra di loro. Ed è' stata questa capacità rielaborativa che ha consentito  e consente all'uomo di creare nuove sintesi a livelli sempre superiori.

         Nella loro storia millenaria, le civiltà dell'Antico Oriente seppero produrre, traendole dalla loro esperienza quotidiana, una quantità enorme di conoscenze di ottima qualità, ma non acquisirono mai la capacità-abilità di saperle ordinare o rielaborare e le affastellarono una accanto all'altra sincretisticamente. Nella quantità e nella quantità delle informazioni, le civiltà dell'Antico Oriente non furono inferiori alle civiltà classiche, ma lo furono nell'ordine mentale. Per essere in grado di dare un ordine alle cose, o ai fatti, e metterli in relazione tra di loro, bisogna aver acquisito, innanzi tutto, ordine e chiarezza nella propria mente*. Il pensiero operatorio concreto, in effetti, si raggiunse quando, con i greci, si incominciò a mettere ordine nella massa di conoscenze accumulate  senz'ordine ( sincretismo ) dalle civiltà precedenti  ( Nagel-Cohen, 1972: 129 ). La logica è il fondamento di quest'ordine. Anche se i greci hanno sempre creduto, e questo era il  limite del loro livello di struttura mentale, che quest'ordine fosse realmente esistente nella realtà e non un prodotto della loro mente. Per avere la coscienza che è l'uomo che dà ordine alle cose, che è l'uomo che stabilisce nessi e relazioni tra le cose, che è l'uomo che organizza le cose secondo il suo ordine mentale, bisogna aspettare il XIV secolo, quando Occam affermerà che il mondo è caos e solo la mente dell'uomo vi mette ordine.

         I greci non aggiunsero nulla alle informazioni che ereditarono dall'antichità. Ma, con quelle informazioni, riuscirono a creare " il miracolo greco ". Essi svilupparono una capacità rielaborativa che consentì loro, non solo di dare ordine dove ordine non c'era, ma anche di scoprire nessi e relazioni tra le informazioni stesse. " I greci, al di là del dato empirico, andarono alla ricerca delle relazioni razionali tra i fatti. Essi furono i primi a stabilire la connessione tra il pensiero e il linguaggio, e a notare la differenza tra il ragionamento ed i fatti su cui questo era basato " ( Reymond, 1927: 217 ). In altri termini, le civiltà dell'Antico Oriente produssero il dato        ( informazioni ), ma non lo spiegarono perchè non avevano maturato gli strumenti del pensiero che potessero consentire una tale spiegazione. I greci, invece, che avevano maturato questi strumenti, spiegarono il dato e lo inserirono in una sintesi globale che faceva assumere ad esso un valore e un significato diverso. Ma essi stessi non seppero andare oltre. Cioè, non seppero superare il mondo dei " fatti concreti " per raggiungere il mondo dei      " fatti astratti ", dei fatti che non sono direttamente desumibili dalla realtà,ma che sono, però, presumibili e per questo necessitano di una verifica  ( pensiero operatorio formale ). E, per duemila anni, l'uomo non fece alcun progresso in questa direzione. Anzi, egli conobbe un lungo periodo di regresso nella struttura dei livelli mentali. Per riprendere il cammino, dal punto dove l'avevano lasciato i greci, bisognerà aspettare  il Rinascimento, quando " lo studioso del mondo greco riaprirà il libro delle scienze esatte alla pagina dove i greci di Siracusa e di Alessandria l'avevano lasciata incompleta "         ( Brunschvigg, 1927: VII ). Ma, per produrre un nuovo paradigma culturale si dovrà arrivare al XVII secolo.

         Il nuovo paradigma, tuttavia, non sarà il frutto di un improvviso ed imprevedibile mutamento. Esso, invece, sarà preparato lentamente e gradatamente, per via filogenetica, nel corso dei cosiddetti secoli bui del medioevo e nei secoli pieni di luce dell'Umanesimo e del Rinascimento. In queste epoche, infatti, si accumulerà tutta una serie di conoscenze di base che consentiranno all'uomo moderno, quando le sue categorie mentali si saranno affinate, dopo aver assimilato tutta la cultura classica, di metterle in relazione e di connetterle in un nuovo e diverso reticolo. La nuova struttura mentale si acquisirà quando l'uomo riuscirà a superare il fatto concreto per inoltrarsi in quello astratto. Questo avverrà nel XVII secolo con Galileo, il quale riuscirà a dare una nuova spiegazione della legge dell'inerzia, trasferendo il problema dal piano concreto, dove l'aveva risolto Aristotele, a quello astratto ( Butterfield, 1962: 11), anche se la formulazione esatta della legge si avrà solo con Cartesio.

         Il superamento del livello di struttura mentale del mondo classico fu preparato progressivamente nel lungo periodo di cinque secoli ( XI-XV ). Ed è in questi secoli che si imposta l'uomo moderno: rinasce l'individuo, che, dal VI secolo, era scomparso nell'Europa cristiana; la  capacità logiche e dialettiche dell'uomo si affinano attraverso la aumentata velocità di circolazione delle informazioni e attraverso il gusto per la disputa in un mondo che pregressivamente si apre all'esterno e ha tanta voglia di comunicare, di confrontarsi e di misurarsi.

         Gli elementi di novità, che porteranno a questo superamento, furono le rinate capacità logiche e dialettiche, l'impetuoso progresso tecnico, il metodo della ricerca basato sull'induzione, la migliorata notazione matematica e il notevole progresso che si fece in questa scienza, il sistema politico e, non ultime, le capacità ricettive dell'uomo europeo. Questi elementi si svilupperanno separatamente e in tempi diversi. L'induzione assumerà una nuova e diversa caratteristica e  supererà quella dei greci già a partire da Ruggero bacone ( XIII secolo ); la logica prenderà anch'essa una nuova e diversa caratteristica, i cui iniziatori furono Boezio e Apuleio, ma chi gli darà l'impulso che la farà affermare sarà Abelardo e, nel XIV secolo, con Occam, supererà quella dei greci; il progresso tecnico sarà una costante per tutto il medioevo, ma, già a partire dal XIII secolo, esso sarà molto più avanti di quello dei greci; la nuova e rivoluzionaria notazione matematica, anche se già nota a partire dal XII secolo ( Fibonacci ), dovrà aspettare fino al XVI secolo per affermarsi e porterà questa scienza ad un livello di sviluppo sconosciuto ai greci; la capacità ricettiva dell'uomo europeo, a differenza di quella dei greci, che si inaridì e sparì non appena si creò la nuova sintesi, non conoscerà più declino: quando si inaridirà quella degli italiani ( prima metà  del XVII secolo ) balzerà alla ribalta quella degli inglesi  ( seconda metà del secolo ); a questa subentrerà quella dei francesi del XVIII secolo  e  nel XIX secolo saranno i tedeschi che occuperanno la scena ( Ben-David, 1975: 30-31).      

         L'Europa ebbe la fortuna di agire come una grande area geoculturale con una realtà politica policentrica. Si può dire che le condizioni che si erano verificate in Grecia nell'età classica, quando nella stessa area geoculturale si facevano concorrenza diverse realtà politiche, si sia realizzata anche in Europa nel medioevo in una dimensione più vasta. L'area geoculturale non era più una singola nazione, ma un continente e le realtà politiche non erano singole città-stato, ma una serie di nazioni ( Landes, 1969: 31 ). E in questa differente realtà geoculturale e politica si verificherà un'alternanza di leadership nel campo culturale, scientifico e tecnologico. Fintanto che ci sarà da recuperare sul passato, le realtà politiche cittadine dell'Italia ( simili a quelle della Grecia ) giocheranno un ruolo preminente perchè la conoscenza sarà un fatto individuale ed amatoriale ( Cipolla, 1967: 35-36 ), ma quando il divario tra passato e presente sarà colmato, cioè quando l'uomo europeo raggiungerà lo stesso livello di struttura mentale dell'antichità classica, avendone assimilato tutte le conquiste intellettuali, e le conoscenze in ogni singolo campo della cultura si saranno allargate, la dimensione cittadina ed amatoriale non sarà più sufficiente e, per questo motivo, la leadership passerà alle realtà politiche nazionali che istituzionalizzeranno la ricerca nel campo della cultura e della scienza.

         L'Europa, soprattutto nei primi secoli dopo il mille, prenderà a piene mani dall'Islam, come questo aveva preso a piene mani dalla Grecia e da tutti gli altri popoli con cui era entrato in contatto. Tuttavia, " questo non dimostra che gli europei si trovassero in uno stato di inferiorità. Anzi, è vero il contrario, poiché in una società in cui si attua un progresso tecnologico è ovviamente tale da essere allo stesso tempo vogliosa e capace di accogliere e applicare le invenzioni da qualsiasi fonte provengano. E' questo è vero sia che si tratti di comunità grandi, come le nazioni, sia che si tratti di comunità piccole... Non vi è nulla di particolarmente degradante nell'essere una comunità 'adottiva' ( ossia che assume invenzioni altrui ), se proprio il prendere da altri è la sola, o  la più rapida e migliore maniera per raggiungere in campo tecnico un livello più alto. La storia successiva ci ha fatto capire che è proprio questo quello che è avvenuto nel medioevo.

         " Se gli europei erano, nel primo medioevo, degli imitatori che prendevano, per così dire, a prestito i ritrovati tecnici di altri popoli, nei secoli decimosettimo e decimottavo erano gli inglesi ad essere di solito reputati dai loro vicini europei alla stregua di imitatori pedissequi delle invenzioni operate sul continente*. Tale estimazione negativa era ancora vigente alla vigilia di quella straordinaria fioritura della genialità britannica che accompagnò poi la Rivoluzione Industriale. In tempi più recenti una estimazione consimile è stata applicata ai giapponesi ritenuti dei semplici copiatori degli europei, inglesi o americani... Possiamo dunque dire... che l'imitazione, l'adozione e l'adattamento di ritrovati altrui costituiscono dei tramiti necessari per trasmettere l'arte inventiva da una cultura all'altra. Certo, in primo luogo ci deve essere la disposizione ad istruirsi " ( Cardwell, 1976: 21-22 ).

         Questa disponibilità ad apprendere, ad essere ricettivo, costituisce la vera genialità dell'uomo europeo di quell'epoca: egli era pronto ad accettare tutto ciò che proveniva dall'esterno se esso contribuiva ( dopo averlo modificato ed adattato alle proprie esigenze ) a migliorare le qualità della vita. E tutti i contributi tecnici andavano in questa direzione. L'Europa di quell'epoca fu la fucina della nuova era nel mondo. Certo, c'era ancora molta strada da fare e la meta era molto lontana, ma senza l'ansia, la curiosità e l'entusiasmo di quest'uomo non sarebbe mai stata raggiunta.

         Il XII secolo è il secolo in cui incomincia chiaramente questo grande periodo della storia europea che può essere giustamente considerato come la grande fucina della nuova era del mondo ( Le Goff, 1989). E' in questo periodo che si pongono le fondamenta del futuro sviluppo del livello di struttura mentale dell'uomo e dello sviluppo della società stessa. La vecchia e tradizionale teoria della conoscenza, che trovava le sue origini nei Padri della Chiesa, incominciò ad essere messa in crisi man mano che l'uomo si rimpossessava delle categorie logiche del pensiero. I fatti ed i fenomeni della natura incominciarono a non essere più spiegati con l'intervento di Dio, ma si incominciò ad andare alla ricerca di una causa che potesse soddisfare le rinascenti esigenze intellettive dell'uomo, che non voleva più essere lo strumento cieco e sordo della volontà di Dio, ma voleva essere un essere pensante che sa vedere e capire a maggior gloria di Dio.

         Il ritorno prepotente della ragione nel XII secolo era come una pianta che rinasce dopo il lungo sonno invernale: per fiorire vigorosa ha bisogno di luce ( le categorie del pensiero logico ) e di nutrimento ( informazioni ), e la luce e il nutrimento erano rappresentate dalla massa della cultura araba.

         L'uomo si era risvegliato dal lungo sonno altomedievale. Si era riappropriato delle capacità logiche del pensiero e in lui si era creata una grande curiosità intellettuale verso un mondo    ( quello greco ), che prima aveva conosciuto solo in forma epidermica, e verso una civiltà ( quella islamica ), che aveva fatto del sapere la base stessa della sua esistenza e che , nel giro di tre secoli, aveva conquistato tutto il mondo mediorientale e si era spinta fino alle estreme propaggini della stessa Europa    ( Sicilia e Spagna ).

            I latini in Occidente riconoscevano la superiorità culturale di questa civiltà, la quale, a sua volta, era mediatrice di un sapere, quello greco, a cui essi avevano paura di accostarsi direttamente perchè sentivano di non possedere ancora gli strumenti intellettuali per farlo. Per questo motivo si diedero ad una febbrile opera di traduzioni non solo degli autori arabi, ma anche delle opere della Grecia classica, che erano state tradotte nella loro lingua. La traduzione di queste opere fu perciò di secondo mano, con tutto ciò che questo comportava.

         L'uomo di quest'epoca aveva preso coscienza che "la trasmissione [ della cultura ] rappresenta per la civiltà ciò che la riproduzione rappresenta per la vita " (Durant, 1950, IV: 989). Sapeva che la conoscenza risiedeva negli antichi ed essi divennero per lui il nuovo vangelo. Accettò tutto quello che si era prodotto, acriticamente, senza mettere in discussione niente :    "  egli studiò le opere minori con la stessa riverenza che egli mostrava verso le opere maggiori " ( Strayer, 1955: 127). Ma gran parte della cultura classica non si trovava nei monasteri, che fino a quell'epoca era stati i tradizionali centri di cultura: essa costituiva, invece, agli occhi degli occidentali, la ricchezza più grande del mondo islamico, di cui agognava il possesso.  Per renderla disponibile, perciò, essa dovette essere tradotta dall'arabo, e, a questo scopo,  in Spagna, dopo la cacciata dei mori, si organizzarono vere e proprie scuole di traduttori. " Proprio come la letteratura araba alcuni secoli prima era stata arricchita dalle traduzioni, così avvenne per la letteratura latina del XII secolo, e anche più avanti, seppure con una portata meno ampia. Furono tradotti  libri che riguardavano ogni ramo della conoscenza: matematica, filosofia, astronomia, geografia, alchimia, fisica e ogni ramo della medicina. Nessuno ha mai contato quanti trattati eruditi furono in questo modo tradotti in latino durante il Medio evo: forse tra i duemila e cinquemila. Il risultato fu come l'intera Europa fosse stata mandata ad istruirsi nell'Islam. Infatti non è che vennero semplicemente tradotti i capolavori greci: i libri mussulmani scritti sin dalla nascita della loro cultura nell'ottavo secolo furono tradotti in numero ancora più grande. La scienza che l'Europa rapidamente assorbì nei secoli XII e XIII non era la scienza dell'antichità: era la scienza araba, con i pregi e i difetti che quattro secoli di pensiero e di osservazione nell'impero islamico aveva innestato nel tronco greco " ( Hall-Hall, 1979: 82-83 ).

         " L' Islam ripagava l'Europa di quel sapere che esso aveva preso in prestito dalla  Grecia attraverso la Siria. E come quel sapere aveva promosso la fioritura della grande epoca della scienza e della filosofia araba, così ora avrebbe spinto la mente dell'uomo europeo verso la ricerca e la speculazione, lo avrebbe forzato a costruire la cattedrale intellettuale della filosofia scolastica e avrebbe demolito, pietra dopo pietra, quel magnifico edificio per provocare il crollo del sistema medievale..."(Durant, 1950,IV:913).

         Nei secoli precedenti, il mondo cristiano Occidentale era stato a contatto con il mondo arabo e con la cultura di cui era portatore, ma ne aveva sempre rifiutato l'influsso fintanto che questo rimaneva una grande potenza politica. La concorrenza di un'altra civiltà attiva e fiorente, che era portatrice di un'altra visione del mondo; la concorrenza di un'altra mentalità, di un altro sistema concettuale; la concorrenza di una nuova fede       ( l'islamismo ), che abbracciava confini altrettanto vasti quanto quelli cristiani, che prometteva una vita nell'al di là  altrettanto se non più gratificante di quella cristiana e che consentiva all'individuo la ricerca della propria felicità su questa terra senza nulla rinnegare di se stesso,  aveva fatto sempre tenere al mondo cristiano occidentale un atteggiamento di chiusura, di rifiuto.

         Gli europei andranno alla scuola dell'Islam solo quando ne diverranno i dominatori politici; solo quando la Spagna e la Sicilia, che saranno i due centri da cui si irradierà la cultura araba, saranno riconquistati alla causa cristiana e si sarà ristabilita l'integrità territoriale europea. Dopo averne distrutto il potere politico in Europa, gli europei ne accetteranno la cultura e si organizzeranno dei veri e propri centri di traduzioni, di cui Toledo ne sarà il più importante e Gerardo da Cremona, e la sua scuola, il più importante traduttore. " In duecento anni, all'incirca dalle prime traduzioni di Costantino l'Africano,nel 1060,alla morte di Guglielmo di Moerbeke, nel 1286, sarà tradotta ed assimilata gran parte della scienza greca e di quella araba " ( White Lynn, 1978: 84 ).

         " Senza il coraggioso lavoro di questa piccola schiera di traduttori del XII e XIII secolo, non solo la scienza medievale non avrebbe potuto realizzarsi, ma la rivoluzione scientifica del XVII secolo difficilmente sarebbe avvenuta. La massa della 'nuova' scienza, così schiacciante nella sua portata e grandezza, doveva innanzi tutto essere assorbita - un processo che in effetti occupò tutto il XIII secolo. Poi seguì un periodo di minuziosa elaborazione e di importanti cambiamenti. Dai primi del XV secolo, la scienza scolastica medievale raggiunse il suo pieno sviluppo fondato sulla visione aristotelica del mondo, ma integrato da una ricchezza di pensiero critico soprattutto anti aristotelico, formulato tuttavia senza una vera cognizione dell'intelaiatura della scienza aristotelica. Dopo un periodo di relativa stagnazione nel XV e all'inizio del XVI secolo, la scienza scolastica doveva essere sottoposta ad una severa critica, appena una nuova e significativa svolta si fosse verificata, culminando in una rivoluzione scientifica. Senza le prime traduzioni tuttavia, che fornirono un fiorito e ben articolato corpus di scienza teorica all'Europa Occidentale, i grandi scienziati rivoluzionari come Copernico, Galileo, Keplero, Cartesio e Newton avrebbero avuto poco su cui riflettere e da elaborare, poco su cui concentrare la loro attenzione riguardo ad importanti problemi fisici. Molte questioni importanti e spinosi problemi scientifici, che furono sollevati nel XVII secolo, penetrarono nell'Europa Occidentale con le traduzioni o furono sollevati dagli autori medievali, che sistematicamente rielaborarono quel corpus di dati" ( Grant, 1983: 29-30 ).

         Nel XVI-XVII secolo si verificherà quello che si era verificato nella Grecia classica. Il 'miracolo greco', infatti, incominciò con la rielaborazione e la riflessione sui dati che le civiltà dell'Antico Oriente avevano accumulato nei millenni. Gli uomini del XVI-XVII secolo saranno in grado di elaborare un pensiero originale ( nuovo paradigma ) perchè avevano ereditato non solo il pensiero classico,  che era stato completamente assorbito e assimilato, ma avevano anche ereditato tutte le integrazioni che i loro immediati predecessori vi avevano apportato. La sola assimilazione del pensiero classico non sarebbe stata sufficiente per produrre un nuovo livello di struttura mentale. Ci doveva essere tutta una serie di nuove informazioni che gli uomini del medioevo si incaricarono di produrre. " La rivoluzione scientifica del XVII secolo fu in ogni senso la figlia della scienza medievale, anche se una figlia ribelle " ( White Lynn, 1978: 86 ).

         Il nuovo paradigma culturale sorgerà quando l'uomo del XVII secolo riuscirà a mettere in relazione ed a connettere il rinnovato metodo induttivo, le nuove conoscenze sulla fisica, sull'ottica e sulla chimica  in una nuova sintesi e in un reticolo che terrà conto, utilizzando la nuova notazione matematica, non solo delle implicazioni che proverranno da queste singole discipline, ma anche delle implicazioni che le affinate categorie mentali riuscirann ad intravvedere ed a supporre al di là e al di fuori del piano concreto in cui si verificherà il fenomeno, o il fatto, per investire il piano dell'astrazione formale*. A questo nuovo livello, sconosciuto ai greci, si produrrà una conoscenza che ingloberà e spiegherà la conoscenza acquisita sul piano concreto. E questo costituirà un cammino nuovo e rivoluzionario per l'uomo. L'assioma greco, la verità di partenza indimostrata ed accettata come vera e da cui per deduzione si ricavavano tutte le altre conoscenze, verrà spostato su un piano ancora più alto e più vasto, quello astratto formale, da cui si potranno dedurre e spiegare tutte le conoscenze acquisite sul piano concreto. Sarà il quadro di riferimento che muterà e nelle scienze esatte si stabilirà una gerarchia delle conoscenze.

         " In una scienza avanzata quale quella fisica, le varie leggi hanno differenti livelli di generalizzazione ed esse sono organizzate in un sistema gerarchico in cui le leggi del livello più basso sono la logica conseguenza di un set di leggi ad un livello più alto. Così Newton [spiegherà] la legge sul moto dei pianeti di Keplero deducendola dalla sua legge sul moto e sulla gravitazione universale e Einstein [spiegherà] la legge della gravitazione [di Newton]  dimostrando che essa è una vicina approssimazione della  conseguenza di una legge ad un livello più alto che riguarda lo spazio e il tempo.

         " Una caratteristica importante in quasi tutti questi sistemi gerarchici è che i concetti ( concetti teorici ) che sottostanno alle leggi del livello più alto del sistema non sono direttamente correlate all'osservazione; esse non sono oggetti o proprietà o relazioni di fatti osservabili come lo sono le leggi del livello più basso del sistema. Le leggi del livello più basso sono proposizioni generali i cui campi sono fatti direttamente osservabili; molto spesso queste leggi sono state enunciate sulla base di una semplice generalizzazione induttiva di questi fatti. Le leggi del livello più alto, che implicano concetti teorici, non sono semplici generalizzazioni di fatti osservabili poiché i concetti teorici che ad esse sottostanno non sono direttamente osservabili. La ragione per cui si accettano queste leggi di livello superiore è che le leggi del livello inferiore, che sono generalizzazione di fatti osservabili, possono essere dedotte da esse " ( Britannica, 1962, VIII: 981) .

         Nel XII secolo si era al nastro di partenza di questo lungo cammino nei livelli di struttura mentale dell'uomo. L'uomo di questo periodo ha una struttura mentale pre operatoria          ( Radding, 1979: 968 ), da cui stava incominciando ad uscire rimpossessandosi degli strumenti del pensiero razionale. Per raggiungere il livello operatorio concreto, quello posseduto dei greci, impiegherà tre secoli. Questo non significa che nel frattempo non abbia superato i greci in campi particolari del sapere, perchè, come abbiamo visto, essi furono superati nella tecnica ( XIII secolo ), nel metodo induttivo ( XIII secolo ), nella logica ( XIV secolo ),ma come struttura mentale d'insieme non lo furono prima del XVI secolo, che rappresenta la zona di confine, lo spartiacque tra due grandi epoche nella storia dell'uomo: quello dell'intelligenza operatoria concreta del mondo classico e medievale e quella, a partire dal XVII secolo, dell'intelligenza operatoria formale del mondo moderno.

         L'uomo medievale europeo, in quanto a capacità assimilative, non era diverso dall'uomo pre classico o arabo. La ricettività non è, come alcuni hanno voluto vedere, una caratteristica esclusiva dell'uomo medievale. L'uomo medievale non era un'eccezione nella storia. Tutti i popoli che hanno sviluppato una nuova civiltà, sia che abbiano sviluppato un nuovo paradigma culturale oppure no, hanno iniziato la loro storia con questa forte capacità assimilativa. Si può dire che tutti hanno attraversato un primo periodo di apprendistato. Cioè, hanno sentito il bisogno di apprendere, di conoscere, di imitare tutto quello che le altre culture o le altre civiltà avevano prodotto. Questo primo periodo di apprendistato, o di preparazione, corrisponde a quello che Toynbee ha chiamato ritiro o periodo di raccoglimento, di anonimato, di assenza dalla storia, per poi presentarsi alla ribalta del mondo e della storia con una forte capacità dirompente e con un proprio messaggio che, di volta in volta, si vuole imporre al mondo come migliore o superiore. Ma tutti i popoli creatori di civiltà perdettero questa capacità ricettiva quando divennero civiltà mature e svilupparono un concetto di arroganza per cui definivano barbari tutti i popoli esterni e si chiudevano a qualsiasi novità o stimolo che non proveniva da loro stessi. E da loro stessi non proveniva più nulla perchè il fiume dell'inventiva, della creazione originale, si era completamente prosciugato. La tensione ideale della fase eroica, della fase di crescita, si era totalmente esaurita. Lo stesso fenomeno succederà all'uomo del Rinascimento italiano che definirà barbaro chi vive al di fuori dei suoi confini ( Toynbee, 1957, I: 232 ), chi non partecipa della sua civiltà ed è quindi, per definizione, incapace di creare qualcosa di nuovo. Si può dire che la crescita dell'umanità è strettamente legata a questa capacità ricettiva che, nella storia, si è spostata da popolo a popolo. E' l'interscambio di idee, delle informazioni, e l'umiltà di essere contemporaneamente alunno e maestro che fanno crescere l'uomo e le nazioni.

         Certo, il medioevo era necessario affinché si potesse fare un balzo in avanti nei livelli di struttura mentale. Ma il medioevo non fu importante solo per le sue conquiste tecniche, come qualcuno ha voluto sostenere ( Farrington, 1950: 170 ). Queste, da sole, non avrebbero prodotto nulla. Esso fu importante perchè il mutato atteggiamento mentale, la riacquisita capacità di pensare per proprio conto, il sentito bisogno di analizzare ed apprendere tutta la conoscenza che era stata prodotta fino a quell'epoca, la riappropriazione delle tecniche e degli strumenti di analisi e di ricerca scoperte dagli antichi, il ritorno, dopo otto secoli di massificante ortodossia cristiana, dello studioso e del ricercatore laico individuale, produssero il bisogno di guardare il mondo con altri occhi per vedervi altre cose ed acquisire diverse conoscenze, partendo, sempre, da quelle conosciute. In questo la mentalità araba aveva qualcosa da insegnare. E per questo motivo tutto l'Occidente cristiano andò alla scuola dell' Islam, che era depositario della cultura classica.

         " L'Europa trovò in quello specchio il suo passato, e si mise al lavoro per comprenderlo, assimilarlo e sistematizzarlo... Uscendo dalla semibarbarità, la cristianità d'Occidente fu capace di offrire, nel giro di tre secoli ( 1050-1350 ), i tre centri, nel mondo, più intellettualmente stimolanti: Bologna, Oxford e Parigi. Fu un fantastico risultato culturale, più grande ancora di quello dell'Islam. Tuttavia, nonostante tutto questo, l'Europa medievale era ancora assai lontana dalla Grecia " ( Hall-Hall, 1979: 85 ).

         Fino alla prima metà del XIV secolo, il risveglio intellettuale, e la corsa all'apprendimento di tutto il sapere, fu un affare europeo, nel senso che vi parteciparono tutte le nazioni del continente, con la Francia e l'Inghilterra (Parigi ed Oxford ) in una posizione di avanguardia. Ma questo avvenne perchè, fino a quell'epoca, la cultura e la scienza inclusa ( o quella che si può chiamare scienza in questo periodo ), erano di dominio esclusivo della chiesa e degli ordini religiosi che erano supranazionali. Quando si affacciava un outsider, un laico, egli ruotava intorno allo stesso mondo. La lingua usata era anch'essa internazionale: il latino, per cui c'era una relativa mobilità degli studiosi, che erano, fino a quest'epoca, quasi tutti religiosi. La disintegrazione in tanti centri si verificò quando negli scritti si incominciò ad usare il volgare e fece la comparsa lo studioso laico indipendente, il quale, anche se partecipava al movimento culturale internazionale, era, e si sentiva, soprattutto figlio della città o della nazione che gli aveva dato i natali. Lo studioso precedente, invece, si sentiva, ed era, figlio della chiesa, per cui un S. Tommaso, tanto per fare un esempio, poteva essere mandato prima in Germania a fare il suo apprendistato e poi in Francia a combattere la sua battaglia contro i razionalisti averroisti.

         La caratteristica fondamentale del risveglio del XII secolo è che esso fa intravvedere quello che poi diventerà un fiume impetuoso e, cioè, la nascita dello studioso laico sul tipo di Fibonacci ( 1170-1245 ). La cultura uscirà dai monasteri, o dalle scuole confessionali, per investire il mondo laico, il quale, con la prosperità derivata dai rinati traffici e il sorgere delle città come entità politiche autogestite democraticamente, acquisterà il gusto della cultura. Mentre la scolastica sarà impegnata nella difesa della fede dagli assalti dei razionalisti averroisti, l'uomo svilupperà una curiosità conoscitiva che lo porterà ad indagare su tutto ciò che avevano prodotto le culture che lo avevano preceduto. La sua curiosità non sarà diretta verso un obiettivo particolare. Egli sarà interessato a tutto: scienza, tecnica, filosofia, lettere, arte ( due generi in cui eccellerà ). La sua sete di sapere sarà fine a se stessa ( almeno nel primo momento ). Ma sarà un uomo che assimilerà tutto. E questo tipo di uomo sarà più numeroso nell'Italia del XIV-XV secolo, quando l'Italia diventerà il laboratorio d'Europa, in cui vi si sperimenteranno nuove tecniche ( anche bancarie e commerciali ); vi si sperimenterà un nuovo assetto politico ( il Comune ) e soprattutto vi si sperimenterà un nuovo modo di pensare.        

         All'inizio, il risveglio culturale avvenne soprattutto all'interno della chiesa, l'unica realtà culturale esistente in Europa. Il mondo laico era più interessato alle armi. La chiesa e le sue scuole erano gli unici centri dove circolava il pensiero. Ed era un pensiero che era tutto assorbito nella problematica religiosa. Quello che interessava a quest'uomo non era il mondo fisico, ma la teologia: la vecchia e tradizionale teologia che veniva ora sottoposta al setaccio critico della ragione. Le violenti dispute che scoppiarono tra l'XI e il XII secolo, quella sulla Eucarestia, quella sugli universali, ecc., ebbero il merito storico di affinare l'intelletto dell'uomo per altre e più importanti battaglie.

         In questo periodo, e attraverso queste dispute, ci si rimpossessava della logica e della dialettica: due strumenti base del pensiero razionale. La scolastica, come venne chiamato questo fermento culturale ed intellettuale, a cui erano interessate tutte le grandi scuole delle cattedrali e le università che stavano sorgendo un po' dappertutto, è importante perchè nel suo risveglio culturale, pur avendo un pensiero centrato su un'unica grande realtà ( la teologia ), seppe mettere in moto quei meccanismi del pensiero razionale che si erano persi nell'alto medioevo, quando, con S. Agostino e gli altri Padri della chiesa, si privilegiò il pensiero intuitivo.

         Il contatto con la civiltà araba aveva fatto prendere coscienza al mondo cristiano che la ragione era la principale fonte di conoscenza, che essa non conduceva solo all'errore e quindi all'eresia e al peccato. Abelardo di Bath ( 1090.1150 ), in un dialogo, composto alla maniera di Platone, aveva sostenuto che egli, viaggiando tra gli arabi, aveva conosciuto il bene prezioso dell'uso della ragione, mentre in Occidente si era ancora sotto il ferreo giogo dell'autorità. Egli sosteneva che anche nel mondo arabo esistevano delle autorità, ma esse lo erano per riconoscimento unanime della loro cultura acquisita attraverso la ragione. E questa era una coscienza pericolosa perchè minava dalle fondamenta l'edificio teologico che Agostino e gli altri Padri della chiesa avevano costruito sulla volontà e sul sentimento, negando qualsiasi valore alla ragione. La chiesa ne era intimorita ed era cosciente che, se lasciata a se stessa, questa corsa impetuosa verso il razionalismo avrebbe potuto portare ad uno stravolgimento della fede stessa. Per la chiesa, alla conoscenza, sia fisica che spirituale, non si arrivava attraverso la ragione, ma attraverso la fede e la verità rivelata nelle sacre scritture, che erano la sola fonte della verità. Il Corano, al contrario della Bibbia del cristiano, non era ritenuto la sola fonte della verità: la verità del mondo sensibile apparteneva alla ragione e poteva essere raggiunta solo tramite essa.

         Abelardo non solo aveva fatto della logica e della dialettica due formidabili strumenti del pensiero razionale, ma aveva anche elaborato un metodo di indagine, il Sic et Non, " il primo discorso sul metodo in Occidente " ( Le Goff, 1957: 51 ), che affrontava le vecchie e dibattute quistioni teologiche ( l' esistenza di Dio, l'immortalità dell'anima, ecc.) in un modo nuovo e con risultati spesso dirompenti. Il Sic et Non, pro e contro,   " che divenne il metodo standard della scolastica " ( Thorndike, 1923, II: 4 ), era un metodo dialettico aperto, che accumulava gli argomenti pro e contro una tesi, ma non forniva la sintesi. Questa veniva lasciata al singolo. Lo scopo di Abelardo " non era quello di invitare allo scetticismo, ma era quello di affinare gli strumenti della ricerca, 'perchè dubitando siamo portati a porci della domande, e le domande ci portano alla verità'" ( Gympel, 1977: 172-72* ).

         " Al seguito di Abelardo è sorta nel XII e XIII secolo una schiera sempre più numerosa di dialettici, intenti ad elencare accuratamente tutte le questioni teologiche e filosofiche, a raccogliere le autorità pro e contro ciascuna tesi e a prospettare in artificiose triade i risultati dell'altrui e del proprio pensiero: E' stato così effettuato un dissodamento prodigiosamente esteso a tutto il territorio quistionabile; e il pensiero sistematico e sintetico è stato messo a dura prova dall'esigenza che si è derivata di disciplinare un materiale così sovrabbondante " ( De Ruggero, 1972, II: 451 ).

         Anche se nel lungo periodo questo metodo rivelerà tutti i suoi limiti e si atrofizzerà diventando uno strumento fine a se stesso, nel breve periodo non solo ha consentito  di recuperare tutte le categorie del pensiero razionale ( definizione, ordine, generalizzazione, reversibilità, riduzione del ragionamento alla forma sillogistica, uso della dialettica, applicazione dei metodi deduttivi e induttivi, ecc.) che nell'alto medioevo erano state trascurate e che lo stesso Abelardo non possedeva completamente, ma ha soprattutto consentito all'uomo di affinare le proprie tecniche mentali e dare, così, un impulso fenomenale alla crescita del pensiero razionale attraverso la riappropriazione, in forma cosciente e problematica, di tutta la conoscenza prodotta  fino ad allora.

         E' stato questo intenso lavoro intellettuale del XII e del XIII secolo che ha creato le condizioni, attraverso l'assimilazione di tutto quello che c'era da assimilare del pensiero arabo e di quello greco, per il sorgere, nel XIV secolo, e per reazione alla stessa scolastica, di un uomo nuovo: l' umanista. Quest'uomo sarò strutturalmente equipaggiato, a livello intellettuale, per affrontare direttamente e senza intermediari la conoscenza degli autori dell'antichità classica. Ma le sue attenzioni non andranno verso gli stessi autori che avevano interessato gli uomini del XII e XIII secolo: filosofi e scienziati. Egli si rivolgerà ai letterati; cioè, egli avrà un interesse quasi esclusivo per tutta quella produzione che era stata trascurata nel mondo medievale e nella rinascenza del XII secolo. In questo senso, l'umanista farà la stessa rivoluzione che fecero Socrate ed i sofisti nel V secolo a.C., quando spostarono il probema della conoscenza dal mondo fisico (scienza), per loro inconoscibile, alla natura dell'uomo, la sola conoscibile. L'umanista lo sposterà dalla scienza alle humanae litterae        ( Crombie, 1979: 313-325 ). E la scienza sarà messa in un angolo. Ma sarà un fiume che non potrà essere fermato a lungo. E, in effetti, riprenderà il suo corso nel XVI secolo, quando  la matematica fornirà nuovi strumenti, sconosciuti ai greci, che consentiranno, nel XVII secolo, una nuova e diversa interpretazione del mondo  . Sarà quest'uomo che darà una nuova lettura del mondo, dopo quella classica e quella cristiana. E sarà una lettura meccanicistica, come quella greca era stata razionalistica e quella cristiana spirituale.

         Accanto al metodo del Sic et Non, si erano  sviluppate,  all'interno delle appena nate università, anche le tecniche didattiche della lectio ( commento ), della disputatio            ( procedimento di discussione ) e della quaestio ( quesiti ).

         Il metodo delle quaestiones disputate, adottate nelle università, era uno strumento efficacissimo per affinare le capacità logiche e dialettiche. Con le prime ( capacità logiche ) si doveva capire il problema e saperlo impostare secondo un ordine rigoroso; con le seconde  ( capacità dialettiche ) si doveva convincere gli astanti della bontà delle proprie tesi. In sostanza nelle università medievali si era riprodotta, mutatis mutandis, il metodo dialogico greco. Il metodo consisteva nel leggere un passo dell'opera di un autore  che si voleva commentare, ( che di solito era Aristotele ), e sulla sua interpretazione potevano intervenire tutti. Altre volte, invece di un passo di un'opera, si affrontava un problema. Era il metodo della discussione, tanto caro ai greci, che ritornava in un'arena culturale chiamata 'università', come nell'antica Grecia la discussione avveniva in un'arena culturale chiamata accademia o liceo.

         Le università, che furono il prodotto più nobile della scolastica e nacquero sul modello del chiostro ( Leff, 1959: 84 ) sotto l'egida della religione cattolica*, avevano fatto risorgere uno strumento democratico: la 'disputatio', indispensabile per affinare e migliorare le proprie capacità intellettuali ( Chenu, 1957: 25 ). " Qual è l'opera più originale, più nuova del XIII e del XIV secolo, quella di cui non si riconoscono precursori e che non è stata mai più continuata ? Ritengo fondatamente che sia la tecnica intellettuale della quaestio scolastica. Porre una domanda ben formulata, riportare la risposta negativa, esporre la propria risposta. Dimostrarla e, alla fine, confutare quella opposta: nulla di più estraneo all'eloquentia tradizionale, nulla che meglio soddisfi uno spirito alla ricerca di una certezza dimostrata... se voglio misurare in tutta la sua estensione il campo delle possibili applicazioni di questo metodo penso alla Summa Teologica di S. Tommaso: dividere e suddividere l'oggetto della ricerca in una serie di interrogativi secondo le necessità, disporli in ordine e dare successivamente risposta a ciascuno di essi. Un'ogiva, un'ogiva, un'altra ancora e voi avete una cattedrale; una questione, una questione, un'altra ancora, e voi avrete una Summa teologica. Si può disprezzare questo genere di edificio solo a patto di non entrarvi. Nulla fu più nuovo, nel suo tempo, del metodo scolastico, nulla di più moderno, ed è questo che hanno detestato gli umanisti dell'età successiva " (Gilson, 1979: 91 ).

         Senza questa palestra intellettuale, non solo non si sarebbe potuto assimilare tutto il sapere dell'antichità classica nel XIII secolo, ma non si sarebbero nemmeno formate le categorie mentali che saranno utilizzate dagli umanisti. Gli strumenti del pensiero che useranno gli umanisti furono forgiati da questi uomini della scolastica che essi bocceranno senza possibilità di appello.

        L'introduzione, all'interno delle università, " di studi che derivavano dai greci, attraverso gli arabi, portò ad una maggiore libertà di pensiero, dapprincipio entro i limiti autorizzati, ma pronti a travalicarli quando  occorreva  l' occasione " ( Britannica, 1962, VII, 967 ). Questa libertà di pensiero, conquistata a duro prezzo, sarà la premessa da cui partiranno gli umanisti, che potranno spaziare, senza limiti, nel campo della conoscenza e che, per reazione, si daranno ad investigare su un campo che era stato trascurato dai loro immediati predecessori: quello artistico letterario. Se essi trascureranno la teologia e la scienza sarà perchè queste erano state il pensiero dominante degli scolastici, da cui essi volevano rifuggire.

         " Nella scolastica ci furono due grandi fasi. Nella prima le controversie furono essenzialmente di natura metafisica e vertevano sulla questione della natura degli universali; il partito teologico ortodosso generalmente difendeva il realismo, o la dottrina che gli universali sono la vera realtà, di cui il particolare e il singolo sono solo apparenze; mentre la dottrina opposta del nominalismo - gli universali sono soltanto dei nomi e i particolari sono la vera realtà esistente - mostrò una continua tendenza a cadere nell'eresia sulle dottrine più fondamentali della chiesa. La seconda fase fu essenzialmente costruttiva: l'opposizione tra filosofia e teologia fu negata e la filosofia diede una forma sistematica alla stessa teologia. La personalità più caratteristica della prima fase fu Abelardo ( 1079-1142 ), della seconda S. Tommaso ( 1225-1274 ). Il primo, nella conoscenza di Aristotele, non andava al di là delle traduzioni e degli adattamenti di Boezio, ma egli fu essenzialmente un dialettico che impiegava la sua logica per esaminare le dottrine fondamentali della chiesa e per sottoporre tutto al tribunale della ragione. Questo innato razionalismo sembrò assoggettare la teologia alla filosofia e portò alle frequenti condanne delle sue dottrine come eretiche. Con S. Tommaso, d'altra parte, i dogma fondamentali dovevano essere fuori discussione. Nella sua Summa teologica egli presenta tutte le dottrine della chiesa sistematizzate secondo la filosofia aristotelica " ( Britannica, 1962, VII. 967 ).

         Il primo movimento, tutto impregnato del rinascente razionalismo, sviluppò una forza centrifuga per tutto il XIII secolo e stava mettendo in discussione tutti i dogmi della dottrina cristiana. Il principale focolaio di questa tendenza era rappresentato dalla università di Parigi, dove Aristotele, tramite Averroè, era più letto e studiato ( Gilson, 1939: 60-63 ). Il secondo movimento, invece, sorto per reazione al primo, diede alla chiesa e ai suoi dogma, ad opera di S. Tommaso, basi così forti che la reggono ancora oggi.

         La paura che le opere di Aristotele potessero influenzare la dottrina cristiana fu reale. " Il timore... nasceva dai suoi libri sulla filosofia naturale, che contenevano giudizi ed opinioni sovversive della fede e dei dogma cristiani. Tra le sue conclusioni definitive le più temibili erano le seguenti: 1) il mondo è eterno, ciò che in effetti nega l'atto creativo di Dio; 2) un accidente o una proprietà non può esistere indipendentemente dalla sostanza materiale, una visione che contrasta con l'Eucarestia. Secondo questa dottrina, dopo che l'intera sostanza del pane e del vino si è trasformata nell'intera sostanza del corpo e del sangue di Cristo, gli accidenti visibili del pane e del vino continuano ad esistere sebbene non ineriscano al alcuna sostanza; 3) I processi della natura sono regolari ed inalterabili, ciò che elimina i miracoli; 4) infine, l'anima non sopravvive al corpo, ciò che nega la fondamentale credenza cristiana nell'immortalità dell'anima " ( Grant, 1983: 35-36 ).

         Per contrastare questa tendenza, le opere scientifiche di Aristotele, tranne la logica, furono proibite a più riprese. A Parigi nel 1210 e nel 1215 a Tolon nel 1245, ma il successo fu scarso. Aristotele veniva letto e commentato sotterraneamente per cui la chiesa si vide costretta a capovolgere la sua politica.    " Dal 1295 queste opere non solo ebbero una sanzione ufficiale, ma divennero anche il fulcro centrale del curricolo " ( Grant, 1986: 53 ) dell'università. S. Tommaso " si rese conto che l'Europa si avviava verso l'età della ragione e pensò che il compito di un filosofo cristiano fosse quello di affrontare Aristotele sul suo stesso terreno " ( Durant, 1950, IV: 964 ).

         Naturalmente, per portare Aristotele nell'alveo della dottrina cristiana si dovevano usare gli stessi strumenti intellettuali che egli aveva usato. Ma bisogna chiarire che " se S. Tommaso adottava l'aristotelismo, egli lo adottava perchè fondamentalmente lo credeva giusto e non perchè Aristotele fosse un grande nome o perchè, non battezzato, Aristotele potesse costituire un grave pericolo per l'ortodossia " ( Copleston, 1976,  II: 423 ). Se lo adottava era perchè era convinto che, " se correttamente intesa, la filosofia, che includeva le scienze secolari, non poteva contraddire la fede o la teologia " ( Grant, 1986: 53 ) , che S. tommaso considerava la più alta delle scienze perchè basata sulla rivelazione  ( Grant, 1986: 53 ). Portando Aristotele nell'alveo della dottrina cristiana S. Tommaso  rimosse " le ultime discrepanze tra la concezione cristiana del mondo e quella della scienza aristotelica... cosicché lo sviluppo di entrambe avrebbe potuto... procedere armoniosamente libero dai sospetti che erano stati provocati dalle tradizioni " ( Hall-Hall, 1979: 99 ).

         Lo sforzo di S. Tommaso, anche se non trovava d'accordo i francescani che rimanevano attaccati all'intuizionismo di S. Agostino, dimostrava solo una cosa: che la ragione era venuta per restare e anche la religione doveva fare i conti con essa. Ma era una ragione aristotelica, che spingeva e metteva in un angolo l'intuizionismo agostiniano e con esso Platone da cui era derivato. Era una nuova versione del realismo, quella aristotelica degli universalia in re ( l'idea, il concetto, era nella cosa ), più accettabile per la mentalità dell'epoca, e che rappresentava un superamento della versione platonica degli universalia ante rem ( l'idea, il concetto, è preesistente alla cosa ), contro la quale avevano combattuto il nominalista Abelardo ed i suoi seguaci.

         La scolastica, che aveva conosciuto il suo periodo di maggior fulgore nel XIII e nella prima metà del XIV secolo, aveva fatto ridestare, con Abelardo ed i suoi immediati predecessori e seguaci, il pensiero razionale, lo aveva applicato alla teologia, lo aveva combattuto quando questo costituì un pericolo per la dottrina della chiesa e sarà la prima che lo applicherà al mondo sensibile ponendo le basi " dei concetti scientifici del mondo moderno " ( Vescovini, 1989: 281-82 ).

         " Lo scopo che dominò il pensiero scientifico medievale fu l'esame e la critica di questi concetti greci: l'idea del movimento circolare nei cieli; il concetto filosofico di umori; il concetto aristotelico di materia... il modo come il Medio evo adottò la scienza greca, come l'eredità di uomini di rango superiore, era favorevole a non far nascere dubbi sui fatti da essi riportati...

         " Quanto a creare un inizio interamente originale, rifiutando completamente l'apporto di giganti come Aristotele e Galeno, data la situazione storica, sarebbe sembrata e sarebbe stata veramente una follia... Non è esagerare dire che il Medio Evo studiò la scienza come se fosse teologia e la fisica di Aristotele come se fosse la Bibbia " ( Hall-Hall, 1979: 96-97 ). E tuttavia, questo costituiva un passaggio obbligato nella crescita intellettuale di quest'uomo che usciva dal lungo sonno altomedievale della ragione. Mentre si affacciava di nuovo al pensiero logico, si trovava di fronte un sistema di pensiero che aveva teorizzato su tutto lo scibile umano e aveva costruito sistemi che sembravano perfetti. Per lui che muoveva i primi passi nel campo intellettuale, il sistema dei greci gli doveva sembrare irraggiungibile. E, a quell'epoca, lo era effettivamente. Per poterlo raggiungere ci vorranno tre secoli ( XII-XV ) di paziente lavoro di ricerca e di riflessione filosofica.

         Dapprincipio questa ricerca, più che il frutto dell'osservazione diretta o dell'esperimento, fu il risultato della riflessione logica su altri libri. " Lo scienziato della scolastica pensava che se dimostrava un punto logicamente egli lo aveva dimostrato scientificamente " ( White Lynn, 1978: 86 ). L' esperimento, anche se se ne parlava tanto, non esisteva se non nella forma di " esperienza " ( McEvoy, 1982: 208 ). In questo periodo, la logica e la dialettica costituirono il metodo di indagine che ebbe il predominio su tutto.

         L'osservazione diretta della natura si affacciò timidamente con Alberto magno ( 1193-1280 ), sebbene egli stesso  " confessasse che molte osservazioni fossero prese da altri libri" ( Coulton, 1961: 61 ), ma era un'osservazione superficiale, da cui non si sapevano trarre conclusioni che andassero al di là della descrizione del " come " una cosa avveniva. Al " perchè " essa avveniva non ci poteva arrivare ed Alberto Magno non ci arrivò. Nessun uomo di quest'epoca sarebbe stato in grado di pensare più di tanto. Gli uomini di quest'epoca avevano fatto della logica e della dialettica le loro armi  di attacco e le porteranno al loro massimo sviluppo, dopo di che si attarderanno, per mancanza di un decentramento di pensiero più completo, solo sul momento tecnico, per cui, invece di servirsi di esse come strumenti del pensiero razionale, le fecero diventare fini a se stesse: l'argomento passava in second'ordine. Quello che importava era la capacità di costruire un pensiero sottile  " per essere vincenti nella disputa e non per ricercare la verità " ( Smith, 1990: 734 ).

         Nell'uso della logica e della dialettica, gli scolastici superarono i greci e rimasero insuperati nel mondo moderno, ma il loro pensiero si era atrofizzato. " In un'epoca in cui l'ideale del pensiero non era la scoperta, ma l'ordine, e in cui la conoscenza era ritenuta essere un set di proposizioni consolidate, il compito della ragione doveva essere quello di organizzare queste proposizioni subordinandoli alla autoritaria dottrina della chiesa " ( Britannica, 1962, VII: 967 ). L'Umanesimo sorgerà anche come reazione a questa atrofizzazione del pensiero ( Baker, 1961: 206 ).  

         Ciononostante, la scolastica diede un notevole contributo allo sviluppo delle capacità intellettuali dell'uomo. Uomini come Grossatesta ( 1170-1253 ), che si occupò di ottica e determinò l'indirizzo della ricerca nel XIII e XIV secolo ( Crombie, 1969,II: 27-28 ); come Ruggero Bacone ( 1214-1294 ), che proseguì gli studi di ottica del maestro Grossatesta e fu il primo, in Occidente, a parlare di metodo sperimentale nelle scienze fisiche ( Molland, 1978: 567-571 ); come Duns Scoto ( 1285-1308 ), che "fece una netta distinzione tra leggi causali e generalizzazioni empiriche " ( Crombie, 1969, II: 43 ); come Guglielmo d'Occam (1300-1349 ), che introdusse il concetto di economia nella scienza ( il cosiddetto rasoio di Occam ) e che diede una svolta decisiva alla teoria della conoscenza, diedero un notevole impulso al metodo induttivo che sarà poi espresso più chiaramente da Francesco Bacone nel XVII secolo. Questi uomini, attraverso l' accento che mettevano sull'importanza dell'osservazione nella conoscenza delle natura, davano una sterzata a quello che era stato il metodo scientifico prevalente fino a quell'epoca: il metodo deduttivo, inventato dai greci. E' da questo periodo che l'esperienza asssume un valore conoscitivo. Per Ruggero bacone, essa, e non la logica, doveva essere la fonte della conoscenza ed essa doveva essere fondata sulla matematica, " l'alfabeto di ogni filosofia ", come la chiamerà nella sua Opus Majus.

         I greci conoscevano solo attraverso la logica. Anch'essi avevano utilizzato l'esperienza-induzione, ma per scopi e fini diversi. La loro induzione, infatti, era di due tipi: sommativa ed intuitiva. La prima può essere considerata " una specie di sillogismo in cui si raggiunge una generalizzazione dall'esame di una serie di casi che ricadono nelle sue premesse ( l'uomo, il cavallo e il mulo vivono a lungo; ma l'uomo, il cavallo e il mulo sono tutti animali che non hanno la bile, perciò tutti gli animali che non hanno la bile vivono a lungo " ( Britannica, 1962, XX: 126). Con la seconda, invece, il caso o i casi dell'esperienza sensibile servivano alla mente per intuire una generalizzazione, che diventava, per la sua chiarezza e la sua incontrovertibilità, un assioma. L'induzione in cui si incammineranno gli uomini della scolastica ( Grossatesta, Ruggero Bacone, Duns Scoto e Occam ) è di tipo ampliativo, che parte dall'osservazione di fatti particolari per raggiungere principi generali che non sono nella premessa.

         " Dal riconoscimento che soltanto l'esperienza consente di raggiungere la verità all'affermazione della superiorità del procedimento induttivo nei confronti di quello deduttivo il passo è breve. E... [ sarà compiuto nel XVII secolo ] da Francesco Bacone. Nel Novum Organon... [ egli ], infatti, sostiene che la logica che si informa del procedimento deduttivo è senza dubbio in grado di insegnare agli uomini a trarsi d'impaccio nelle dispute, ma non può aiutarli nè a stabilire assiomi veri nè, di conseguenza ad effettuare operazioni feconde. Si tratta di una logica sovrapposta alle cose, che sostituisce alla materia, al vuoto, al denso, al raro, delle semplici astrazioni concettuali "           ( Pieretti, XXVIII: 207 ).

         " I greci introdussero ... qualcosa che attribuì un valore più definitivo al pensiero astratto: scoprirono, cioè, la matematica e l'arte del ragionamento deduttivo... Ma è in rapporto alla matematica che si manifesta l'unilateralità del genio greco: esso ragionava deduttivamente, basandosi su ciò che appariva evidente, non induttivamente su ciò che era stato osservato... Si è compiuta molto lentamente la sostituzione del metodo scientifico, che tenta di giungere induttivamente a principi generali, partendo dall'osservazione dei fatti particolari, alla concezione ellenica della deduzione che parte da luminosi assiomi sorti nella mente del filosofo... Il metodo scientifico, benché alcuni di loro siano stati in primi ad averne intuizione, è, in complesso, lontano dal loro temperamento " ( Russel, 1966, I: 70).

                  Il Metodo scientifico, che sanzionerà il superamento del paradigma culturale dei greci, avrà da percorrere una lunga strada. Ma gli uomini della scolastica vi avevano posto le premesse. L'induzione di questi uomini non è più produttrice di intuizioni, per quanto geniali esse potessero essere, ma è produttrice di conoscenze che hanno una validità scientifica      ( Crombie, 1969, II: 39 ). Ecco perchè solo a partire da quest'epoca si può parlare di metodo induttivo, anche se ancora approssimativamente. I greci non l'hanno mai posseduto. I greci non possedevano questa capacità di condurre in modo rigoroso un ragionamento induttivo ( variazione di un fattore a parità di condizioni ), nè di cogliere in modo riflesso le forme del rapporto che può esistere tra due fatti. Essi conoscevano ed utilizzavano l'induzione, ma non il metodo induttivo; non la logica induttiva, anche se essi vi avevano posto le basi senza averne coscienza ( Aristotele, Democrito, Epicuro, Carneade, ecc. ). Essi rimasero fermi alla logica del metodo  deduttivo, che, da verità indimostrabili, ricavava nuove conoscenze ( corollari ). Il metodo induttivo segnerà il superamento di quello deduttivo perchè le sue verità saranno dimostrabili o falsificabili perchè basate sugli aspetti quantitativi e non su quelli qualitativi." Questi nuovi metodi quantitativi segnano l'inizio, anche se confuso, delle future procedure scientifiche " ( Leff, 1976: 96 ).

         Tuttavia, il metodo deduttivo non perdeva per questo il suo rango o la sua validità scientifica. Esso rimaneva e rimane uno strumento insostituibile nella ricerca della verità. Soltanto che esso, d'ora in avanti, partirà da premesse diverse: non più da assiomi indimostrabili, ma da una teoria che intanto sarà vera in quanto sarà dimostrabile deduttivamente. Il metodo ipotetico-deduttivo dei tempi moderni non rappresenta un ritorno al pensiero greco, ma rappresenta il superamento di entrambi: quello intuitivo-deduttivo dei greci e quello induttivo, perchè esso deriva da un'ipotesi che lo scienziato non ha intuito dalla realtà, nè dall'accumulo dei casi particolari, ma che ha tratto dalla sua capacità di astrazione formale, correlando, in un quadro di riferimento più ampio, tutte le conoscenze che provengono dalle scienze che interessano quella teoria. I greci arrivarono al metodo intuitivo-deduttivo come superamento del pensiero simbolico transduttivo delle civiltà dell'Antico Oriente e di quello intuitivo dei presocratici. Il medioevo e il primo Rinascimento arriveranno al metodo induttivo come superamento di quello intuitivo-deduttivo dei greci.. Ma tutte e due rimanevano attaccati alla realtà concreta, anche se il secondo presupponeva e presuppone una maggiore capacità di astrazione. E questa era una tappa obbligata per arrivare al metodo ipotetico-deduttivo dei tempi moderni, in cui la realtà, il concreto, è completamente trascesa nell'elaborazione delle teorie.

         Un passo molto importante in questa direzione fu compiuto da Guglielmo di Occam. Egli fu un nominalista ancora preso dalla metodologia scolastica. Egli può essere definito come l'ultimo dei grandi scolastici e, forse, il primo degli uomini nuovi. Egli ha avuto senz'altro il merito di aver portato ordine nell'organizzazione mentale della conoscenza. Egli fu il primo soggetto epistemologico della storia. Il primo a dare una spiegazione universalmente valida del rapporto soggetto-oggetto, uomo-natura. Mentre i greci sostenevano che la verità, la conoscenza, era contenuta nell'oggetto e l'uomo si limitava solamente a tirarla fuori ( la causa efficiente di Aristotele ), egli invertì il concetto e fece dell'uomo il solo vero ordinatore del mondo fisico. Al di fuori dell'uomo non c'è conoscenza. Il mondo reale non ha in sè un ordine che l'uomo deve apprendere: esso è disordine ed è l'uomo che lo ordina in base alla conoscenza che ha di esso. E, in quest'opera ordinatrice, l'uomo deve dare prima di tutto un ordine a se stesso, alle sue capacità intellettive. Cioè, l'uomo deve acquisire per se stesso un ordine mentale, una chiarezza di idee e un'organizzazione del pensiero che lo mettano in grado di operare sulla realtà fisica. Per Occam " la struttura del mondo fisico,le relazioni di classe, lo spazio e il tempo sono costruzioni della nostra mente. L'ordine del nostro mondo della conoscenza è costituito dalla logica della nostra costruzione. Analizzando la nostra lingua vi scopriamo tutto ciò che è stato attribuito al mondo extramentale "          ( Britannica, 1962, XVII: 750 ).

         Occam separò la metafisica dalla scienza e dalla logica. Egli vide la logica come fonte di conoscenza della mente e la scienza come fonte di conoscenza delle cose. Prima di lui questi concetti erano confusamente utilizzati ed avevano sempre un riferimento nella metafisica e nella teologia ( Russel, 1966, II: 615 ).  Per Occam, la conoscenza assoluto di un mondo preordinato, come affermavano i difensori degli universali, non esiste. La conoscenza è creata dall'uomo che stabilisce nessi e relazioni nella conoscenza delle cose e della natura. "...Senza questo intervento ordinatore dell'uomo il mondo reale delle cose è, per sè, caos. Gli universali si erano presentati come le essenze reali comuni organizzatrici, ordinatrici, costitutive di ordine nella realtà. Ma, appunto, la negazione da parte di Occam di un siffatto ordine in sè della realtà di universali ed essenze, è perentoria. E' solo la mente umana che interviene ad istituire tali nessi fra le cose e il luogo in cui giacciono le relazioni non è il mondo reale, la natura, ma la mente, le parole del nostro linguaggio "  ( Conze, 1979: 163 ).

         Occam, dopo S. Tommaso, fu il più grande degli scolastici. Ne campo epistemologico egli aveva superato i greci ed aveva dato all'uomo la potenza che si era sempre negata nella storia. Egli " fa solo un breve riferimento al sillogismo modale e di quello misto in una maniera che supera di molto Aristotele " (Britannica, 1962, XIV: 315 ). Purtuttavia, l'uomo di quest'epoca rimaneva ancora lontano dal livello di struttura mentale dei greci. Fino all'inizio del XVI secolo, egli supererà i greci in molti campi della conoscenza o dell'organizzazione del pensiero, ma non avrà ancora superato il loro livello globale di struttura mentale; cioè, non avrà ancora elaborato un proprio paradigma culturale o nuova sintesi. Per farlo dovrà aspettare il XVII secolo,  quando inizierà a produrre in proprio ( creazione originale ),ma prima dovrà passare attraverso tutto il XVI secolo.

         Con Occam " si assiste ad una secolarizzazione della conoscenza, alla netta separazione tra la verità di fede ed effettiva conoscenza dell'uomo " ( Conze, 1979: 161 ) e dopo di lui la scolastica non ha più storia come fermento di pensiero. Essa entrerà, tranne rarissime eccezioni, in un lungo periodo di decadenza, in cui le abilità tecniche nell'uso della logica e della dialettica e la correttezza formale nell'espressione giocheranno un ruolo molto più importante di quello del contenuto, che era molto ristretto e consono alla cultura dell'epoca, dominata, com'era, dal problema religioso, l'unico che veramente importasse a questi uomini che agivano all'interno della chiesa, anche se facevano parte delle università.

         Il metodo divenne il fine e non lo strumento. Ed esso divenne lento e macchinoso. Il contatto con il mondo fenomenico si perse quasi completamente e il pensiero si atrofizzò per mancanza di nuova linfa ( argomenti di studio ). Il metodo aveva ucciso la scolastica e stava uccidendo anche la crescita intellettuale dell'uomo se non fosse intervenuto in suo soccorso quell'uomo nuovo che era rappresentato dallo studioso laico ( Britannica, 1962, VII: 968 ), che aveva fatto la sua timida comparsa già nel XII secolo. Nel XIV secolo, quelli che erano dei rivoli sparsi nell'ambito della comunità cristiana dell'Occidente divennero un fiume impetuoso carico di promesse. Quest'uomo nuovo agiva al di fuori della chiesa ed aveva interessi molti diversi. Il suo sarà un discorso molto ampio, a tutto campo, si direbbe nel linguaggio contemporaneo, di natura paganeggiante, anche se il fatto religioso non verrà mai negato, ma esso sarà lontano dalle sue preoccupazioni. I suoi orizzonti mentali saranno molto ampi e sarà intellettualmente equipaggiato, grazie proprio alla scolastica, per affrontare direttamente lo studio dell'antichità classica, ma un'antichità classica diversa da quella che aveva occupato la mente degli scolastici e dei pensatori medievali.

         La capacità ricettiva di quest'uomo nuovo, la sua sete di sapere, di apprendere tutto quello che c'era di valido nel mondo, era grande quanto lo era stata quella dei " mercanti ionici di quasi duemila anni prima " ( Struik, 1981: 111 ) e quella degli arabi nei primi due secoli della loro storia. Era un uomo nuovo, ma non sconosciuto nella storia, se non nella dimensione. Egli era un erede legittimo di tutte le civiltà precedenti, le quali avevano tutte possedute questa capacità ricettiva agli esordi. Nell'uomo italiano del XIV e del XV secolo essa non era un portato dell'elemento germanico che si era mescolato all'elemento latino negli antichi territori dell'impero romano. L'elemento germanico non fu l'elemento fondamentale. L'elemento fondamentale fu il sistema ( da non confondere con il potere ) politico, dovuto alla cronica debolezza del sacro Romano Impero, come potere centrale, che dava molto spazio alle comunità locali ( Thompson, 1931: 224 ) e questo consentì, cosa unica nella storia, la ricreazione di quel sistema politico ( la polis ) che fiorì nella Grecia nell'età classica: il Comune, che dava molto spazio all'individuo in questa rinata democrazia, proprio come nell'antica Grecia e proprio come avverrà in Inghilterra, ma in una dimensione più vasta.

         " Col risorgere della libertà, la mente degli italiani, acquistò una forza creatrice come quella degli ateniesi, nella freschezza del nuovo sviluppò. Gli uomini erano baldi e confidenti nella propria forza, si elevavano ai sublimi ideali del grande e del bello, aprivano nuovi sentieri al genio e venivano incoraggiati dall'entusiasmo dei concittadini alle più nobili e alte aspirazioni. Si slanciavano nei campi immensi del pensiero e dell'attività senza le pastoie ed i freni di una società artificiale che pretendesse di forgiare le menti degli uomini " (May, 1884: 227 ).

         L'elemento rigeneratore in Italia non venne dall'esterno, ma fu creato all'interno dalla congiuntura politica ed economica.  La rinascita della polis sprigionò la potenza creatrice dell' individuo, la quale era stata mortificata dalla massificante supremazia della chiesa nei secoli precedenti. Nell'alto medioevo erano esistite delle individualità, ma non l'individuo autonomo ed autosufficiente. L'uomo di quei secoli faceva parte di un tutto che lo incorporava e gli dava contemporaneamente protezione ed ispirazione: l'autonomia era sinonimo di eresia.

         Anche nel caso degli arabi l'elemento rigeneratore non fu un apporto esterno, ma fu una nuova idea, una nuova fede religiosa, l'Islam. Questa nuova fede, nata all'interno,  dava una nuova,  più accattivante e rivoluzionaria spiegazione del mondo terreno ed ultraterreno e dell'esistenza dell'uomo e della sua finalità.

         La rinascita di una civiltà, che ha conosciuto antichi splendori, può avvenire per un nuovo fattore endogene ( Kroeber, 1963: 23-25 ), ma solo se all'interno di queste civiltà si produce un nuovo elemento coagulante, fortemente aggregativo che rivoluzioni l'organizzazione sociale e politica e crei una forte tensione ideale, come i Comuni italiani e la nuova fede dell'Islam.

         Nella  rinata democrazia dei Comuni italiani, ad un livello non dissimile da quello greco, era l'ordine che ritornava, tenendo conto del disordine medievale, ed era un ordine democratico in cui l'individuo poteva promuovere, liberamente, il proprio avanzamento materiale e culturale. E Dall'"ordine scaturì la sicurezza, dalla sicurezza sorse la curiosità e dalla curiosità la conoscenza " (Hume, 1963: 87 ). Questo fu il processo che si innestò nel XIV secolo in Italia.

         " i laici [ che ]... andavano prendendo le redini... anche nel campo della cultura, erano quei piccoli onesti nobili onnivori per i quali... erano state apprestate tante scorciatoie verso una cultura universale. Per tale pubblico, l'università esistente non aveva alcun valore come centro di cultura attiva, e di conseguenza in questi secoli le università europee entrano in una fase relativamente sterile della loro storia " ( Hay, 1971: 176 ). Le università, come esse erano sorte nel XII-XIII secolo, erano centri in cui predominava una cultura  basata ancora e principalmente sul fatto religioso. Ma esse furono una fucina di inestimabile valore per la formazione di quei laici delle età successive.

         IL laico del XIV secolo è assetato di riconoscimenti personali ( Burckhardt, 1944: 160-170 ), come l'uomo del medioevo li rifuggiva. Questa significava che ritornava l'individualismo che nel passato era stato negato. Non c'è più una struttura che tutto ingloba e tutto decide al di sopra dell'individuo, al quale rimane un solo diritto ( si fa per dire ): quello di conformarsi ed obbedire all'autorità. Era come nelle civiltà dell'Antico Oriente, dove l'unica realtà pensante era il tempio con suo re-sacerdote e come sarà nelle dittature ideologiche del XX secolo, dove un solo partito ( il nuovo Tempio e la nuova Chiesa ) controlla tutte le manifestazioni dell'uomo e decide per lui quello che può fare e quello che è eresia. E' il concetto di libertà che manca in tutte queste sovrastrutture: nel medioevo manca la libertà di pensiero, cioè manca la libertà di esprimere il proprio pensiero quando esso non è conforme con il pensiero ufficiale della sovrastruttura universale ed accettata (la Chiesa); nell'Antico Oriente e nelle dittature ideologiche del XX secolo manca la libertà nella sua totalità: ogni piccola sfaccettatura ( economica, di pensiero, di cultura, ecc. ) è controllata e gestita dalla sovrastruttura.

         L'Umanesimo*  avrà il merito storico di aver abbattuto gli steccati che la chiesa aveva innalzato attorno alla mente dell'uomo e di avergli restituito la capacità di far correre il proprio pensiero sui campi aperti, proprio come avevano fatto i greci. Era naturale che questa rinata libertà di pensiero si estrinsecasse prima con un rigetto di tutto ciò che sapeva di costrizione, di chiuso, di limitato. Per questo motivo il rigetto delle epoche precedenti sarà totale e senza appello. L'alto medioevo era l'epoca dei secoli bui e la scolastica rappresentava l'epoca delle sottigliezze dialettiche e del latino barbaro da cui bisognava liberarsi ( Gilbert, 1960: 60 ): esse non avevano nulla da dare all'uomo nuovo. Ecco perchè si dovevano percorrere sentieri nuovi e mai percorsi prima. Senza rendersi conto che in effetti quest'uomo rifuggiva da un'epoca che era stata la propria nutrice. Egli era suo figlio, ma non lo sapeva. " La rinascita in realtà, non è mai un affare improvvisato; essa è sempre il risultato di un lungo processo, e il Rinascimento fu portato per secoli nel grembo del medioevo " ( Mackie, 1978: 1 ). In sostanza, senza il XII-XIII secolo non ci sarebbe potuto essere l'umanesimo e, senza quest'ultimo, non ci sarebbe potuto esser il Rinascimento in generale. La continuità storica non va ricercata nelle conoscenze e nella metodologia o nelle tecniche, ma va ricercata nei processi mentali e, per questa via, si può vedere che i tre periodi ( medioevo, umanesimo, rinascimento ) sono strettamente interconnessi ( Sarton, 1961: 167 ). Quindi si ebbe continuità senza averne coscienza, anzi negandola. Ed era giusto che fosse così. Per poterla ammettere, cioè, per poter ammettere che essi erano il prodotto intellettuale e gli eredi diretti del fermento culturale,  filosofico e scientifico del XII-XIII secolo, gli uomini dell'umanesimo e del primo rinascimento, avrebbero dovuto avere una struttura mentale  ( intelligenza ) che conoscesse il funzionamento dei processi mentali, cosa che si è acquisita solo di recente. Tra due epoche contigue non ci può essere una netta cesura. Ci può essere contrasto, differenza, reazione, ma la seconda è sempre intrisa e figlia ( anche se figliastra, a volte ) della prima.

         E tra scolastica ed Umanesimo c'è contrasto e reazione. Mentre la prima era tutta intrisa di razionalità ed era servita per dare all'uomo un ordine e un rigore mentale, anche se l'aspetto formale, a volte, ne inficiava i risultati; il secondo, invece, era intriso di sentimento e di fantasia. Erano due indirizzi diversi e contrapposti dello spirito umano: quello scientifico, legato alla razionalità dell'uomo, e quello umanistico, legato al sentimento. Se vogliamo erano le due culture dell'uomo, quella scientifica e quella umanistica di cui si parlerà tanto nel XX secolo. Ma erano due dimensioni presenti nello spirito umano che la storia portava a maturazione. Ed erano due dimensione di cui l'uomo non può fare a meno. Non può fare  a meno della sua razionalità, ma non può fare a meno neanche del suo bisogno di sentimento.

         Il risveglio della ragione nel XII secolo fu un risveglio legato alle conoscenze scientifiche, come esse provenivano dal mondo arabo. Quest'ultima civiltà, in effetti, nella sua produzione culturale, aveva privilegiato l'aspetto filosofico-scientifico e non quello letterario. " L'Islam, erede dell'antichità classica, entrò in possesso di quel patrimonio con grande entusiasmo, ma con una sensibilità già formata. Le antiche opere d'arte e letterarie furono ignorate dagli studiosi mussulmani: Omero, Esiodo, Sofocle ed Euripide, l'arte e l'architettura greche rimasero un libro chiuso e dimenticato per l'Islam come per la primitiva Europa cristiana. Ci si rivolse alle opere di carattere filosofico, scientifico, matematico e medico..." (Singer, 1961: 181-82 ). Gli uomini dell'umanesimo, che rinnegavano tutto il sapere che proveniva da quello che essi chiamavamo il periodo buio, i secoli dell'oscurantismo, saltarono a piè pari il periodo precedente per ricollegarsi direttamente al mondo classico e , per una sorta di reazione inconscia, privilegiarono non la filosofia e la scienza, ma le  humanae litterae.

         L'Umanesimo sorge negli ultimi decenni del Trecento come reazione allo scientismo e alla filosofia della scolastica, che aveva riscoperto l'antichità classica solo nella filosofia e nella scienza; cioè, aveva preso dall'antichità classica solo quelle conoscenze che erano legate alla razionalità, che rinasceva, appunto, allora, dopo un lungo sonno di otto secoli. Ed era naturale che fosse così.  Nel XII e XIII secolo c'era bisogno di riappropriarsi della ragione, della propria razionalità e questo si fece. Una volta saziata questa sete. e quando essa incominciava  a divenire ( o era già divenuta ) un'arida pratica di abilità, un arido esercizio mentale, in cui l'argomento, il contenuto contava poco e tutto era incentrato nella tecnica espositiva, ci fu una reazione e ci si riappropriò dell'altra metà dello spirito umano: del sentimento. In questo senso di può parlare di rinascita, come di deve parlare di rinascita anche per il riappropriarsi della razionalità. Quella del XII secolo fu la rinascita della razionalità dell'uomo, quella del XIV-XV secolo fu la Rinascita dell'umanità dell'uomo.

         Con L'Umanesimo si ricostituiva l'integrità dello spirito umano; si ricostituivano i due fondamentali aspetti della umana personalità: la razionalità e il sentimento. Ed era naturale che la rinascita della  razionalità portasse alla luce, nel XII e XIII secolo, le opere di carattere filosofico e scientifico del mondo classico, trascurando completamente le opere letterarie ed artistiche, proprio come la rinascita del sentimento portò gli umanisti ad interessarsi solo di queste ultime e questo fu l'indirizzo generale dell'umanesimo. Ma le due parti non erano in equilibrio: c'era stato uno sbilanciamento, prima, a favore della razionalità, che escluse il sentimento, e c'è stato uno sbilanciamento, poi, a favore del sentimento che cercò di escludere la razionalità.

         L'Umanesimo ha dato all'uomo una nuova dimensione, anzi antica* ( Ullman, 1980: 12-13 ), non conosciuta nel passato medievale cristiano; l'uomo fatto di carne ed ossa, con il suo sentimento e con tutte le passioni che questo può suscitare       ( Collingwood, 1944: 57 ). " L'uomo, cioè, determina la propria posizione nella gerarchia dell'essere, salendo in essa o scendendo secondo la nobiltà o la bassezza di ciò che egli scelga di conoscere e amare. L'uomo è potenzialmente capace di essere tutto: può essere orso o leone umano, dominato da crudeltà, lussuria e avidità; o può tenere il capo fra le stelle, gli occhi fissi a cose celesti e diventare un angelo umano e persino in certi stati di estasi, con lo spirito in contemplazione e separato dal corpo, una sorta di dio mortale " ( Garraty-Gay, 1973. II: 499 ). Un Boccaccio, un Petrarca e anche un Dante sarebbero stati impensabili nelle epoche precedenti.

         In questa età c'è la tendenza a raggiungere le più alte vette dello spirito, ma c'è anche il bisogno di saziare i più bassi istinti. " Questo stava a significare l'annientamento del dualismo orientale in base al quale la carne rappresentava una tentazione per lo spirito e al suo posto nacque la convinzione che quando lo spirito  e la carne sono fusi in un'unica persona, come lo sono nell'uomo, non è un male, ma un bene " ( Randall, 1940: 115).

         La fioritura della cultura che si ebbe in Italia in questo periodo ha avuto un'origine autoctona, legata alla sue condizioni economiche ed istituzionali. Il sorgere delle città e la forma di governo democratico che queste assunsero ( per difendere la quale avevano combattuto contro l'imperatore prima e contro il papato poi ), avevano fatto sorgere un uomo che era conscio della propria individualità e del fatto che egli era l'artefice del proprio destino. Un uomo che ha la capacità di energie immense, che sente il bisogno di apprendere, che ha il desiderio-aspirazione di scoprire nuove cose, che sente la necessità di aprire a se stesso nuove frontiere, che ha lo spirito di avventura ed è disponibile ad intraprendere qualsiasi impresa. E' un uomo, in sostanza, dotato di " una curiosità infinita "     ( Koyrè, 1966: 40 ).

         Quest'uomo si era liberato dai pesi che l'avevano oppresso e represso per secoli, aveva recuperato tutte le passioni umane, con tutte le contraddizioni di cui si parlava prima, ed era intellettualmente attrezzato per fare una diversa lettura delle opere classiche, grazie al lavoro degli scolastici, che avevano iniziato un lavoro di critica del testo che essi stessi non avevano saputo usare al di fuori del loro campo specifico, che rimaneva sempre quello teologico. Mentre gli scolastici  ricercavano nel testo le allegorie o le affermazioni che confermavano la fede, gli umanisti vi ricercavano il sangue e la carne dell'uomo nella sua interezza e nella completezza delle sue passioni. Ecco perchè gli umanisti si allontanarono dalla scienza: essi non ricercavano la conoscenza scientifica, ma quella umana. E questa poteva essere ricercata meglio nella letteratura. Così essi riportarono alla luce tutta quella letteratura che era stata trascurata dal VI secolo in poi. A loro Platone, Aristotele, Democrito, Leucippo, ecc., avevano poco da dire, ma avevano molto da apprendere da Sofocle, Euripide, Plauto, Terenzio, ecc.

                           " Gli umanisti scoprirono i capolavori letterari dell'antichità e vi si immersero trascurando ogni altro interesse. Il loro culto degli antichi divenne una moda letteraria e introdussero nel mondo la funesta consuetudine di una educazione puramente letteraria. La sterile ricerca della forma distinta dal contenuto, la pedissequa imitazione puramente esteriore, difetti tipici della letteratura del tardo impero, furono ripetuti dagli umanisti... Merito reale dell'umanesimo è di aver reso possibile una completa ricostruzione dello spirito greco; ricostruzione che esso non era tuttavia in grado di fare e che sarebbe stata realizzata dalle generazioni successive [ del Rinascimento ] " (Singer, 1961: 181-82 ).

         Questo era un uomo il cui scritto doveva essere, per necessità di cose, non metodico, ma episodico e frammentario, come episodici e frammentari sono gli impulsi dell'animo umano e della fantasia. " Se approfondiamo il raffronto tra lo scritto scolastico e quello umanistico... non tardiamo ad accorgerci che il primo, per quanto invecchiato e farraginoso, ha uno svolgimento metodico e una struttura sistematica, quali di addicono a trattazione scientifica, e forma parte di un complesso mentale ben organizzato e armonioso, a cui ognuno può attingere la risposta ad ogni quesito... Invece, lo scritto umanistico non esprime più che un atteggiamenti o una tendenza, per difetto di metodo e di coordinamento, lo spunto nuovo che talvolta vi è racchiuso si esaurisce presto o è sopraffatto dalle antiche consuetudini mentali " ( De Ruggero, 1973: 8 ).

         Il loro difetto metodico era dovuto al fatto che la loro ricerca era frammentaria. Essi non avevano un obiettivo da raggiungere. Nei loro intenti non c'era  la scienza, che richiede precisione, sistematicità e progressione organizzativa delle conoscenze. Essi non avevano una mentalità scientifica. Anzi la rifuggivano. Quello che a loro interessava era l'uomo con la sua natura fisica, con i suoi sentimenti. Avevano una sola consapevolezza: la cultura risiedeva nell'antichità classica ed essi ne programmarono l'imitazione ( Burdach, 1935: 77 ). E in questo essi erano nuovi nella storia. Per la prima volta nella storia, un popolo, che si avvia a diventare grande civiltà, deliberatamente e scientemente programma l'imitazione della cultura che ritiene superiore e ne fa la propria maestra. Per dire il vero, all'inizio del movimento, più che di imitazione si può parlare di ispirazione. Questo fu il grande periodo dei Dante, dei Petrarca, dei Boccaccio e dei Villani. Ma quando il movimento si fa più maturo, quello che più propriamente d'ora in poi chiameremo Rinascimento, alla libera ispirazione subentra una pedissequa imitazione ed i classici diventano una nuova autorità. Così la storia dell'uomo si ripeteva in forma diversa. Ci si era liberati di una autorità, quella delle sacre scritture e dei padri della chiesa, che per lunghi secoli avevano tenuto l'uomo in uno stato di soggezione, per assumerne liberamente un'altra ( Sarton, 1929: 94 ), quella dei classici, ai quali si riconosceva una tale autorità che non osavano pensare di poterli superare un giorno (Toynbee, 1957, I: 232 ). Quello che si poteva fare era soltanto imitarli nella forma e nello stile. Ma all'inizio del XVI secolo si affaccerà una coscienza diversa, quando ci si renderà conto che essi erano in grado di produrre una conoscenza, in tutti i campi, che era sconosciuta ai greci.

       Ma, " per tutto il XV secolo abbiamo davanti ai nostri occhi lo spettacolo... del tralignamento dalla linea di sviluppo che era iniziata in poesia con Dante e Petrarca e in prosa con Boccaccio e Villani, per appiattirsi sull'erudizione e nella ricerca antiquaria. La lingua del Canzoniere e del Decamerone fu abbandonata e al suo fu messo il rinato latino e il greco appena scoperto. La capacità inventiva fu sopraffatta dalla ricerca del dato; e l'imitazione degli autori classici spazzò via qualsiasi originalità di stile.

         " Ciò che era ancora peggio, da un punto di vista artistico, è che questi uomini avevano acquisito e fatto proprio uno stile puerile, una retorica vacua e uno stupido gusto della citazione. Purtuttavia, all'inizio del XVI secolo divenne evidente quali nobili frutti la Rinascita delle lettere stava per portare alla letteratura moderna. Due grandi studiosi, Lorenzo dei Medici e Poliziano, avevano già fatto ritorno alla pratica della poesia italiana. Le loro opere sono assolutamente le prime opere moderne, moderne nel senso di avere assorbito tutta la cultura classica e riprodussero quel tesoro in una bellezza semplice, naturale ed originale " ( Britannica, 1962, XIX: 126 ).

         Se il XVI sarà il secolo in cui l'uomo del Rinascimento incomincerà a produrre in proprio in tutti i campi, cioè a produrre una conoscenza che superava il paradigma culturale dei greci, anche se non sarà ancora in grado di produrne uno proprio, il XV secolo fu il secolo dell'assimilazione attraverso l'imitazione dei classici. Era un rivivere, in via filogenetica, della esperienza intellettuale dell'uomo. Se non ci fosse stato questo rivivere, in forma diversa e più abbreviata, di tutte le acquisizioni intellettuali dell'antichità classica non si sarebbe potuto riprendere il cammino . Solo dopo quest'epoca il mondo non ha conosciuto ripercorrimenti e non ha  avuto più bisogno di rinascite, ma ha conosciuto una lunga continuità nello sviluppo intellettuale dell'uomo. Quello che si vuole dire è che dopo secoli o millenni di inattività intellettuale , come è il caso del Rinascimento, non è possibile riprendere il cammino da dove l'hanno lasciato le civiltà precedenti, ma bisogna ripercorrerlo o riviverlo come nuova esperienza, con i diversi strumenti di pensiero che nel frattempo si sono maturati. La scolastica aveva affinato gli strumenti di pensiero e il Rinascimento li utilizzava per studiare ed assimilare tutta la cultura artistico-letteraria del mondo greco-romano.

         " L'ingenuo e fantastico animismo del Rinascimento ha non poche affinità con quello della filosofia presocratica. E ritornano infatti in onore Eraclito, Empedocle i Pitagorici; anzi il pensiero si fa di questo suo risvegliato interesse, una nuova arma contro Aristotele a cui attribuisce l'insidioso proposito di avere voluto, nei suoi cenni storici, gettare un'ombra di discredito e di disprezzo su di essi. Pure, non bisogna lasciarsi ingannare da certi ravvicinamenti troppo crudi che si riscontrano nelle fonti. Venti secoli di storia non sono passati invano, contrariamente a quello che amerebbe credere un'età che neutralizza la storia in una natura sempre identica o sempre ricorrente come le stagioni. E le rinascenti tendenze animistiche sono in effetti temperate da un razionalismo più o meno latente, carico di tutti i pensieri della storia " ( De Ruggero, 1973:140).

         Nel Rinascimento non c'è scienza, ma lettere, cultura e arte. Ma non c'è scienza come mentalità scientifica, cioè come organizzazione rigorosa e sistematica del pensiero. Eppure il Rinascimento lavorava per affinare le categorie mentali che avrebbero reso possibile quel pemsiero ad un livello più alto  attraverso l'acquisizione di  nuove  conoscenze di base che ne avrebbero costituito le premesse. E non lo faceva più a tavolino, come era uso nella scolastica, i cui filosofi-scienziati elaborarono un metodo di ragionamento logico rigoroso che poste certe premesse raggiungeva sempre certi risultati. Tranne poi constatare che quei risultati non trovavano una verifica nella realtà, ma erano delle astrazioni della mente. "... I filosofi medievali prestavano molta attenzione agli astratti movimenti delle sfere, senza considerare molto la reale traiettoria dei corpi celesti, e proprio come i logici medievali parlavano di empirismo e di deduzione in astratto, così i filosofi matematici medievali, sebbene fossero intellettualmente dotati, svilupparono un calcolo di astrazioni. Essi non affermavano che i loro teoremi cinematici si applicavano ai movimenti dei corpi celesti, rendendosi magari conto che in molti casi questo non era possibile. Dedussero, correttamente, le sequenze che dovrebbero seguire da certe supposizioni, ma non scoprirono se queste supposizioni fossero fisicamente valide o no" (Hall-Hall, 1979: 113 ).

         Nel Rinascimento, il campo della scienza non era più il tavolino del filosofo, ma era la bottega d'arte. In effetti, il Rinascimento " non avrebbe dato i suoi frutti migliori se non avesse avuto alle sue basi, il lavoro spesso oscuro e ignorato di generazioni di uomini di officina e di bottega, di maestri attenti all'opera della mano non meno che all'esatta osservazione dei fatti, avvezzi a costruirsi i propri strumenti, non privi, però, di una loro cultura matematica, legata alla pratica del disegno e della perspectiva, ma anche alla misura icastica di brevi assiomi e di essenziali dimostrazioni " ( Vasoli, XXVIII: 203 ).

         L'uomo del Rinascimento ha saputo fare quello che i greci si rifiutarono di fare: unire teoria e prassi, conoscenza teorica ed applicazione pratica. In generale, a partire dal XV secolo, l'atteggiamento intellettuale dello studioso era cambiato; egli rivolgeva maggiore attenzione alle attività pratiche per farne motivo di riflessione e quindi di conoscenza. Per questo motivo, e sin dall'inizio, il Rinascimento era destinato a superare l'esperienza greca e dare allo sviluppo della conoscenza anche un indirizzo scientifico e non soltanto letterario. Ecco perchè la filosofia, come era conosciuta nel passato, fu assente in questo periodo.

         Questo nuovo atteggiamento provoca anche il superamento della vecchia concezione della natura, che era intoccabile e più forte dell'uomo nel mondo greco, diventa oggetto di contemplazione nell'Occidente cristiano e all'uomo è dato di godere dei suoi frutti, nel XV secolo essa diventa oggetto di conoscenza a maggior gloria di Dio per diventare oggetto di dominio durante la Rivoluzione Scientifica del XVII secolo.

         Lo " scienziato " era un artista-artigiano e l'artista-artigiano spesso diventava " scienziato " che studia, indaga, analizza, descrive, progetta, inventa, costruisce, ecc. Questo intergioco tra artista e " scienziato " fu molto importante. Entrambi producevano una conoscenza che era complementare. L'artista-artigiano era spesso depositario di dati e di conoscenze che non sapeva spiegare teoricamente. Lo scienziato aveva bisogno di dati e di conoscenze per formulare le sue teorie. Ma, comunque, nel XVI secolo chi predomina è l'artista-scienziato tipo Leonardo da Vinci, Michelangelo, ecc.

         Nel XVI secolo  si fece tutto questo e si produsse scienza nel XVII secolo. Ma scienza moderna che non ha nulla a che vedere con la scienza antica, sia classica che medievale. In sostanza, il Rinascimento  fu di preparazione ad una "nuova" scienza, che superava il livello di struttura mentale dell'età classica ed iniziava quello dell'era moderna. Il Rinascimento poneva le premesse per superare il vecchio paradigma dell'intelligenza concreta, tipico dell'età classica ed islamica, ed entrare nel nuovo paradigma moderno del pensiero astratto formale. Ecco perchè nel Rinascimento non ci fu scienza. Non ci fu scienza nel senso moderno. Ma ci fu, eccome !, in un senso diverso e non consuetudinario del termine. L'esatta osservazione e la descrizione accurata della natura che avveniva nella bottega d'arte ; la nuova notazione e l'impetuoso sviluppo della matematica; lo sviluppo della chimica, della fisica, dell'ottica; lo sviluppo della tecnica; la scoperta della polvere da sparo; l'invenzione della stampa e la costruzione del metodo induttivo furono le premesse indispensabili per un nuovo tipo di scienza e queste premesse furono poste nel Rinascimento.

         Non è vero, tuttavia, che la scienza moderna si ha solo perchè si è conservata la struttura mentale rigorosamente logica della scolastica e che " senza tale permanenza non sarebbe venuta fuori dall'agitata e caotica età che consideriamo, [Rinascimento], una scienza moderna, ma una rapsodia di rappresentazioni slegate e frammentarie " ( De Ruggero, 1973: 9 ). Senza l'apporto insostituibile del Rinascimento che, con il suo decentramento del pensiero, anche se caotico, non sistematizzato, non definito, ha consentito di acquisire quel nuovo abito mentale che, sintetizzato con quello della scolastica, ha dato origine a una nuova struttura mentale. Non dimentichiamo che il pensiero della scolastica era fortemente centrato: quello che importava era il fatto religioso, anche se c'erano delle eccezioni. La scienza moderna e la nuova sintesi potevano nascere solo con l'apporto di entrambe: la mentalità sistematica e ordinata della scolastica (pensiero, però, centrato ) e la fantasia caotica, frammentaria, eterodossa del Rinascimento ( pensiero, però, decentrato ). Senza questo decentramento del pensiero, di pensiero libero, operato dal Rinascimento, non ci sarebbe potuta essere una scienza moderna, almeno in quell'epoca. La scolastica si sarebbe esaurita, come in effetti avvenne, nelle sottigliezze logiche e dialettiche, che, per gli scolastici, non lo si dimentichi, erano più importanti dell'argomento stesso del contendere.

         La bottega artigiana fu il crogiolo di questa nuova e febbrile attività ( Struik, 1981: 126 ) e le tecniche ne furono il mezzo. Per tutto il medioevo, l'uomo europeo aveva preso le tecniche  da tutte le parti del mondo. Aveva preso a piene mani da tutte le regioni del globo ed era perciò diventato depositario di tutto ciò che gli altri avevano prodotto. Questa fu la sua genialità, perchè attraverso questa importazione potè associare la tecnica al pensiero speculativo e così fu in grado di produrre una nuova sintesi. In un primo momento queste tecniche ebbero modo di svilupparsi in un lavoro artigianale di mera sussistenza. Tuttavia questa era la premessa affinché, più tardi, queste attività pratiche si coniugassero con le attività scientifiche. I pratici, come venivano chiamati, e gli "scienziati" fecero causa comune nel comune interesse ( Ben-David, 1975: 95-118 ), realizzando quello che i greci non seppero fare: unire le due attività complementari. " Nel XV secolo l'Europa era tecnologicamente superiore a tutte le altre regioni del globo... questo sviluppo tecnologico fu l'inizio di una trasformazione della società quale non era mai avvenuta nella storia " (Cardwell, 1976: 29 ).

         L' Europa seppe apprendere ed assimilare, come nessuno aveva fatto prima, tutta la tecnologia prodotta nel mondo per utilizzarla immediatamente nel mondo della produzione. Non era un interesse culturale che muoveva l'uomo europeo, ma un interesse economico. Questa fu la vera rivoluzione della mentalità. All'interesse culturale di pochi ( Grecia Classica ) verso una conoscenza che non aveva alcuna attinenza col mondo pratico delle attività economiche si sostituì l'interesse  dei più verso una conoscenza che riguardava direttamente il mondo della produzione per ottenerne un vantaggio nella qualità della vita.

         Lo sviluppo delle tecniche portava a due conseguenze: una, quella immediata, portava al miglioramento della qualità della vita  attraverso la progressiva eliminazione della forza motrice animata per sostituirla con quella inanimata; l'altra, meno immediata, ma molto più importante, portava ad una nuova concezione della natura che veniva vista come macchina e quindi tutto diventava meccanica ( Cipolla, 1974: 219-225 ). Da questa nuova concettualizzazione della natura nacquero nuove idee e nuove tecniche, che si dimostreranno indispensabili per il superamento del vecchio paradigma. Le soluzioni tecniche, per quanto ottimali e geniali, fino a quest'epoca non troveranno una spiegazione teorica, la quale poteva venire solo dalla matematica. E l'indagine matematica della natura fu il vero contributo originale del primo Rinascimento. L'idea della spiegazione matematica della natura era un'idea che veniva da lontano, ma che non aveva trovato un' applicazione per duemila anni perchè Aristotele l'aveva bollata come impossibile. La riscoperta di Platone l'aveva fatta ritornare a nuova vita e l'artista-artigiano fu il primo che la utilizzò per le sue ricerche.

         " La grande fioritura della scienza non sarebbe stata possibile se l'èlite della civiltà Occidentale non avesse raggiunto un certo livello di astrazione. Certamente la rivoluzione che spazzò via gli errori principali di cui era oberata la fisica non si è poi prodotta che nel Seicento, tuttavia, tale rivoluzione venne preparata da un progresso sensibile della matematica avvenuto durante il Rinascimento. Dal 1440 Nicola Cusano sostenne ... che soltanto la matematica consente all'uomo di raggiungere la certezza e che è la matematica a costituire il fondamento della fisica " ( Delumeau, 1971: 79 ).

         Con gli uomini dell'Umanesimo e del Rinascimento si torna ad una concezione utilitaristica della matematica propria delle civiltà orientali. " Come i mercanti ionici di quasi duemila anni prima, essi cercarono di studiare la scienza e le arti delle più antiche civiltà non solo per riprodurle, ma anche per assimilarle nella loro società mercantile, che già nel XII e XIII secolo vide la crescita delle banche e gli inizi di una forma di capitalista di industria " ( Struik, 1981: 11-112 ). L'esperienza della Grecia classica, di una matematica puramente teorica e fine a se stessa, viene messa da parte definitivamente. La rinascita della matematica era iniziata nel XIII secolo con Leonardo Pisano, detto Fibonacci, il quale si può considerare il Talete dell'incipiente Umanesimo. Egli imparò attraverso i suoi viaggi nel mondo arabo, la summa allora conosciuta del sapere matematico ed introdusse per primo in Occidente il sistema metrico decimale, " la meraviglia degli adulti di allora e croce e delizia dei ragazzi d'oggi " (Durant, 1950, IV: 990 ).

         " Fino agli inizi del '500, gli studiosi avevano ritenuto inconcepibile sviluppare una nuova teoria, che non fosse già stata appannaggio degli antichi e degli arabi: ma gli algebristi italiani della scuola di Bologna riuscirono a sfatare questa convinzione, determinando la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado. Tale scoperta costituisce infatti un risultato veramente nuovo rispetto alle conoscenze dei greci e segna l'inizio di un periodo di ricerca che praticamente non ha avuto più soste " (Durant, 1950, IV: 978 ).

         In effetti, é in questo periodo che si superano le conoscenze dei greci in tutti i campi dello scibile umano, ma ancora non si era prodotto il nuovo paradigma o livello di struttura mentale. Esso si produrrà solo nel XVII secolo.

 

 

                   

 

 



* Croce sosteneva, a ragione, che quando non si riesce a spiegare o comunicare una cosa con chiarezza è perchè essa non è chiara nella nostra mente.

* La genialità degli inglesi, di cui parleremo nel VI capitolo, sta appunto in questo: essi istituzionalizzeranno l'imitazine ( l' apprendimento ) e questo rappresenterà un progresso rispetto ai greci che presero senza citare, dei mussulmani che presero e citarono a metà, e degli italiani dell'umanesimo che introdussero l'imitazione programmata. L'istituzionalizzazione rappresenterà una forma più alta di imitazione, o apprendimento, e darà ben altri frutti.

* Cioè, di quella astrazione che supera quella greca, che era strettamente legata ai fatti desumibili dalla realtà.

* Le parole di Abelardo, che l'A. riporta, sono citate in R.S. Lopez ( 1971: 180 ).

* " Al sud delle Alpi, specialmente in Italia, le università, sebbene includessero dei chierici, erano principalmente laiche e non ebbero uma matrtice ecclesiastica, ma direttamente dallo studio del diritto e della medicina ( Leff, 1959: 84 ).

* Per umanesimo in queste pagine si deve intendere solo quel      " movimento intellettuale che si sviluppò in Italia " ( Abbagnano, 1973, IV: 129) degli ultimi decenni del Trecento ai prime decenni del Quattrocento ( Kristeller, 1988: 127 ) e che " aveva come scopo una nuova valutazione dell'uomo e del suo posto nella storia e nel mondo " ( Abbagnano, 1973, IV: 129 ). Il suo successivo sviluppo, nell'ambito del Rinascimento, non interessa ia fini di questo lavoro.

* Ullman sostiene che l'umanesimo riporta alla luce l'uomo classcio, saltando l'uomo cristiano che, con il battesimo, era stato rigerato e quindi privato della sua umanità.

 
 
Indice
Prefazione
Introduzione
Capitoli
1) Il cammino dell'uomo
2) La scoperta dell’individuo
3) La scoperta dell’uomo
4) Il ritorno dell’individuo
5) La nuova dimensione dell’uomo
6) Il genio di un popolo
 

Nessuna parte di questi lavori può essere riprodotta in nessun modo o forma senza il permesso dell' Autore.
Contattando l'Autore, i manuali di storia potranno essere disponibili per farne testi per le scuole.

   
 

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