C A P I TO L O
IV
IL RITORNO DELL'INDIVIDUO E LA FUCINA DELLA NUOVA
ERA DEL MONDO
Gli
orizzonti mentali dell'uomo si amplificano man mano che egli produce, assimila
ed elabora nuove informazioni. Questa attività di elaborazione e di
rielaborazione delle informazioni provoca una maggiore specializzazione della
sua massa-cervello che gli consente di creare, ad un livello più elevato, una
nuova sintesi o paradigma culturale, il quale ingloba e spiega il paradigma
precedente, ma ne è qualitativamente diverso.
L'uomo, nei suoi livelli di struttura mentale, è cresciuto per piccoli
passi, non tutti nella stessa direzione, ma tutti ugualmente importanti e
necessari per produrre, nel tempo, una nuova sintesi ad un livello di struttura
mentale più elevato. In questo senso, la quantità e la qualità delle
informazioni sono importanti, ma non sufficienti, per creare una nuova sintesi.
Per essere sufficiente ed efficace, il possesso delle informazioni deve
essere accompagnato dalla
capacità-abilità dell'uomo di saper dare ad esse un nuovo ordine e di saperli
mettere in una diversa relazione tra di loro. Ed è' stata questa capacità rielaborativa
che ha consentito e consente all'uomo di
creare nuove sintesi a livelli sempre superiori.
Nella loro storia millenaria, le civiltà dell'Antico Oriente seppero
produrre, traendole dalla loro esperienza quotidiana, una quantità enorme di conoscenze
di ottima qualità, ma non acquisirono mai la capacità-abilità di saperle
ordinare o rielaborare e le affastellarono una accanto all'altra
sincretisticamente. Nella quantità e nella quantità delle informazioni, le
civiltà dell'Antico Oriente non furono inferiori alle civiltà classiche, ma lo
furono nell'ordine mentale. Per essere in grado di dare un ordine alle cose, o
ai fatti, e metterli in relazione tra di loro, bisogna aver acquisito, innanzi
tutto, ordine e chiarezza nella propria mente
Il pensiero operatorio concreto, in effetti, si raggiunse quando, con i greci,
si incominciò a mettere ordine nella massa di conoscenze accumulate senz'ordine ( sincretismo ) dalle civiltà
precedenti ( Nagel-Cohen, 1972: 129 ).
La logica è il fondamento di quest'ordine. Anche se i greci hanno sempre
creduto, e questo era il limite del loro
livello di struttura mentale, che quest'ordine fosse realmente esistente nella
realtà e non un prodotto della loro mente. Per avere la coscienza che è l'uomo
che dà ordine alle cose, che è l'uomo che stabilisce nessi e relazioni tra le
cose, che è l'uomo che organizza le cose secondo il suo ordine mentale, bisogna
aspettare il XIV secolo, quando Occam affermerà che il mondo è caos e solo la
mente dell'uomo vi mette ordine.
I greci non aggiunsero nulla alle informazioni che ereditarono
dall'antichità. Ma, con quelle informazioni, riuscirono a creare " il
miracolo greco ". Essi svilupparono una capacità rielaborativa che
consentì loro, non solo di dare ordine dove ordine non c'era, ma anche di
scoprire nessi e relazioni tra le informazioni stesse. " I greci, al di là
del dato empirico, andarono alla ricerca delle relazioni razionali tra i fatti.
Essi furono i primi a stabilire la connessione tra il pensiero e il linguaggio,
e a notare la differenza tra il ragionamento ed i fatti su cui questo era
basato " ( Reymond, 1927: 217 ). In altri termini, le civiltà dell'Antico
Oriente produssero il dato (
informazioni ), ma non lo spiegarono perchè non avevano maturato gli strumenti
del pensiero che potessero consentire una tale spiegazione. I greci, invece,
che avevano maturato questi strumenti, spiegarono il dato e lo inserirono in
una sintesi globale che faceva assumere ad esso un valore e un significato
diverso. Ma essi stessi non seppero andare oltre. Cioè, non seppero superare il
mondo dei " fatti concreti " per raggiungere il mondo dei " fatti astratti ", dei fatti
che non sono direttamente desumibili dalla realtà,ma che sono, però,
presumibili e per questo necessitano di una verifica ( pensiero operatorio formale ). E, per
duemila anni, l'uomo non fece alcun progresso in questa direzione. Anzi, egli
conobbe un lungo periodo di regresso nella struttura dei livelli mentali. Per
riprendere il cammino, dal punto dove l'avevano lasciato i greci, bisognerà
aspettare il Rinascimento, quando "
lo studioso del mondo greco riaprirà il libro delle scienze esatte alla pagina
dove i greci di Siracusa e di Alessandria l'avevano lasciata incompleta
" ( Brunschvigg, 1927: VII
). Ma, per produrre un nuovo paradigma culturale si dovrà arrivare al XVII
secolo.
Il nuovo paradigma, tuttavia, non sarà il frutto di un improvviso ed
imprevedibile mutamento. Esso, invece, sarà preparato lentamente e
gradatamente, per via filogenetica, nel corso dei cosiddetti secoli bui del
medioevo e nei secoli pieni di luce dell'Umanesimo e del Rinascimento. In
queste epoche, infatti, si accumulerà tutta una serie di conoscenze di base che
consentiranno all'uomo moderno, quando le sue categorie mentali si saranno
affinate, dopo aver assimilato tutta la cultura classica, di metterle in
relazione e di connetterle in un nuovo e diverso reticolo. La nuova struttura
mentale si acquisirà quando l'uomo riuscirà a superare il fatto concreto per
inoltrarsi in quello astratto. Questo avverrà nel XVII secolo con Galileo, il
quale riuscirà a dare una nuova spiegazione della legge dell'inerzia,
trasferendo il problema dal piano concreto, dove l'aveva risolto Aristotele, a
quello astratto ( Butterfield, 1962: 11), anche se la formulazione esatta della
legge si avrà solo con Cartesio.
Il superamento del livello di struttura mentale del mondo classico fu
preparato progressivamente nel lungo periodo di cinque secoli ( XI-XV ). Ed è
in questi secoli che si imposta l'uomo moderno: rinasce l'individuo, che, dal
VI secolo, era scomparso nell'Europa cristiana; la capacità logiche e dialettiche dell'uomo si
affinano attraverso la aumentata velocità di circolazione delle informazioni e
attraverso il gusto per la disputa in un mondo che pregressivamente si apre
all'esterno e ha tanta voglia di comunicare, di confrontarsi e di misurarsi.
Gli elementi di novità, che porteranno a questo superamento, furono le
rinate capacità logiche e dialettiche, l'impetuoso progresso tecnico, il metodo
della ricerca basato sull'induzione, la migliorata notazione matematica e il
notevole progresso che si fece in questa scienza, il sistema politico e, non
ultime, le capacità ricettive dell'uomo europeo. Questi elementi si
svilupperanno separatamente e in tempi diversi. L'induzione assumerà una nuova
e diversa caratteristica e supererà
quella dei greci già a partire da Ruggero bacone ( XIII secolo ); la logica
prenderà anch'essa una nuova e diversa caratteristica, i cui iniziatori furono
Boezio e Apuleio, ma chi gli darà l'impulso che la farà affermare sarà Abelardo
e, nel XIV secolo, con Occam, supererà quella dei greci; il progresso tecnico
sarà una costante per tutto il medioevo, ma, già a partire dal XIII secolo,
esso sarà molto più avanti di quello dei greci; la nuova e rivoluzionaria
notazione matematica, anche se già nota a partire dal XII secolo ( Fibonacci ),
dovrà aspettare fino al XVI secolo per affermarsi e porterà questa scienza ad
un livello di sviluppo sconosciuto ai greci; la capacità ricettiva dell'uomo
europeo, a differenza di quella dei greci, che si inaridì e sparì non appena si
creò la nuova sintesi, non conoscerà più declino: quando si inaridirà quella
degli italiani ( prima metà del XVII
secolo ) balzerà alla ribalta quella degli inglesi ( seconda metà del secolo ); a questa
subentrerà quella dei francesi del XVIII secolo
e nel XIX secolo saranno i
tedeschi che occuperanno la scena ( Ben-David, 1975: 30-31).
L'Europa ebbe la fortuna di agire come una grande area geoculturale con
una realtà politica policentrica. Si può dire che le condizioni che si erano
verificate in Grecia nell'età classica, quando nella stessa area geoculturale
si facevano concorrenza diverse realtà politiche, si sia realizzata anche in
Europa nel medioevo in una dimensione più vasta. L'area geoculturale non era
più una singola nazione, ma un continente e le realtà politiche non erano
singole città-stato, ma una serie di nazioni ( Landes, 1969: 31 ). E in questa
differente realtà geoculturale e politica si verificherà un'alternanza di
leadership nel campo culturale, scientifico e tecnologico. Fintanto che ci sarà
da recuperare sul passato, le realtà politiche cittadine dell'Italia ( simili a
quelle della Grecia ) giocheranno un ruolo preminente perchè la conoscenza sarà
un fatto individuale ed amatoriale ( Cipolla, 1967: 35-36 ), ma quando il
divario tra passato e presente sarà colmato, cioè quando l'uomo europeo
raggiungerà lo stesso livello di struttura mentale dell'antichità classica,
avendone assimilato tutte le conquiste intellettuali, e le conoscenze in ogni
singolo campo della cultura si saranno allargate, la dimensione cittadina ed
amatoriale non sarà più sufficiente e, per questo motivo, la leadership passerà
alle realtà politiche nazionali che istituzionalizzeranno la ricerca nel campo
della cultura e della scienza.
L'Europa, soprattutto nei primi secoli dopo il mille, prenderà a piene
mani dall'Islam, come questo aveva preso a piene mani dalla Grecia e da tutti
gli altri popoli con cui era entrato in contatto. Tuttavia, " questo non
dimostra che gli europei si trovassero in uno stato di inferiorità. Anzi, è
vero il contrario, poiché in una società in cui si attua un progresso
tecnologico è ovviamente tale da essere allo stesso tempo vogliosa e capace di
accogliere e applicare le invenzioni da qualsiasi fonte provengano. E' questo è
vero sia che si tratti di comunità grandi, come le nazioni, sia che si tratti
di comunità piccole... Non vi è nulla di particolarmente degradante nell'essere
una comunità 'adottiva' ( ossia che assume invenzioni altrui ), se proprio il
prendere da altri è la sola, o la più
rapida e migliore maniera per raggiungere in campo tecnico un livello più alto.
La storia successiva ci ha fatto capire che è proprio questo quello che è
avvenuto nel medioevo.
" Se gli europei erano, nel primo medioevo, degli imitatori che
prendevano, per così dire, a prestito i ritrovati tecnici di altri popoli, nei
secoli decimosettimo e decimottavo erano gli inglesi ad essere di solito
reputati dai loro vicini europei alla stregua di imitatori pedissequi delle
invenzioni operate sul continente Tale
estimazione negativa era ancora vigente alla vigilia di quella straordinaria
fioritura della genialità britannica che accompagnò poi la Rivoluzione Industriale.
In tempi più recenti una estimazione consimile è stata applicata ai giapponesi
ritenuti dei semplici copiatori degli europei, inglesi o americani... Possiamo
dunque dire... che l'imitazione, l'adozione e l'adattamento di ritrovati altrui
costituiscono dei tramiti necessari per trasmettere l'arte inventiva da una
cultura all'altra. Certo, in primo luogo ci deve essere la disposizione ad
istruirsi " ( Cardwell, 1976: 21-22 ).
Questa disponibilità ad apprendere, ad essere ricettivo, costituisce la
vera genialità dell'uomo europeo di quell'epoca: egli era pronto ad accettare
tutto ciò che proveniva dall'esterno se esso contribuiva ( dopo averlo
modificato ed adattato alle proprie esigenze ) a migliorare le qualità della
vita. E tutti i contributi tecnici andavano in questa direzione. L'Europa di
quell'epoca fu la fucina della nuova era nel mondo. Certo, c'era ancora molta
strada da fare e la meta era molto lontana, ma senza l'ansia, la curiosità e
l'entusiasmo di quest'uomo non sarebbe mai stata raggiunta.
Il XII secolo è il secolo in cui incomincia chiaramente questo grande
periodo della storia europea che può essere giustamente considerato come la
grande fucina della nuova era del mondo ( Le Goff, 1989). E' in questo periodo
che si pongono le fondamenta del futuro sviluppo del livello di struttura
mentale dell'uomo e dello sviluppo della società stessa. La vecchia e
tradizionale teoria della conoscenza, che trovava le sue origini nei Padri
della Chiesa, incominciò ad essere messa in crisi man mano che l'uomo si
rimpossessava delle categorie logiche del pensiero. I fatti ed i fenomeni della
natura incominciarono a non essere più spiegati con l'intervento di Dio, ma si
incominciò ad andare alla ricerca di una causa che potesse soddisfare le
rinascenti esigenze intellettive dell'uomo, che non voleva più essere lo
strumento cieco e sordo della volontà di Dio, ma voleva essere un essere
pensante che sa vedere e capire a maggior gloria di Dio.
Il ritorno prepotente della ragione nel XII secolo era come una pianta
che rinasce dopo il lungo sonno invernale: per fiorire vigorosa ha bisogno di
luce ( le categorie del pensiero logico ) e di nutrimento ( informazioni ), e
la luce e il nutrimento erano rappresentate dalla massa della cultura araba.
L'uomo si era risvegliato dal lungo sonno altomedievale. Si era
riappropriato delle capacità logiche del pensiero e in lui si era creata una
grande curiosità intellettuale verso un mondo
( quello greco ), che prima aveva conosciuto solo in forma epidermica, e
verso una civiltà ( quella islamica ), che aveva fatto del sapere la base
stessa della sua esistenza e che , nel giro di tre secoli, aveva conquistato
tutto il mondo mediorientale e si era spinta fino alle estreme propaggini della
stessa Europa ( Sicilia e Spagna ).
I latini in Occidente riconoscevano
la superiorità culturale di questa civiltà, la quale, a sua volta, era
mediatrice di un sapere, quello greco, a cui essi avevano paura di accostarsi
direttamente perchè sentivano di non possedere ancora gli strumenti
intellettuali per farlo. Per questo motivo si diedero ad una febbrile opera di
traduzioni non solo degli autori arabi, ma anche delle opere della Grecia
classica, che erano state tradotte nella loro lingua. La traduzione di queste
opere fu perciò di secondo mano, con tutto ciò che questo comportava.
L'uomo di quest'epoca aveva preso coscienza che "la trasmissione [
della cultura ] rappresenta per la civiltà ciò che la riproduzione rappresenta
per la vita " (Durant, 1950, IV: 989). Sapeva che la conoscenza risiedeva
negli antichi ed essi divennero per lui il nuovo vangelo. Accettò tutto quello
che si era prodotto, acriticamente, senza mettere in discussione niente : "
egli studiò le opere minori con la stessa riverenza che egli mostrava
verso le opere maggiori " ( Strayer, 1955: 127). Ma gran parte della cultura
classica non si trovava nei monasteri, che fino a quell'epoca era stati i
tradizionali centri di cultura: essa costituiva, invece, agli occhi degli
occidentali, la ricchezza più grande del mondo islamico, di cui agognava il
possesso. Per renderla disponibile,
perciò, essa dovette essere tradotta dall'arabo, e, a questo scopo, in Spagna, dopo la cacciata dei mori, si
organizzarono vere e proprie scuole di traduttori. " Proprio come la
letteratura araba alcuni secoli prima era stata arricchita dalle traduzioni,
così avvenne per la letteratura latina del XII secolo, e anche più avanti, seppure
con una portata meno ampia. Furono tradotti
libri che riguardavano ogni ramo della conoscenza: matematica,
filosofia, astronomia, geografia, alchimia, fisica e ogni ramo della medicina.
Nessuno ha mai contato quanti trattati eruditi furono in questo modo tradotti
in latino durante il Medio evo: forse tra i duemila e cinquemila. Il risultato
fu come l'intera Europa fosse stata mandata ad istruirsi nell'Islam. Infatti
non è che vennero semplicemente tradotti i capolavori greci: i libri mussulmani
scritti sin dalla nascita della loro cultura nell'ottavo secolo furono tradotti
in numero ancora più grande. La scienza che l'Europa rapidamente assorbì nei
secoli XII e XIII non era la scienza dell'antichità: era la scienza araba, con
i pregi e i difetti che quattro secoli di pensiero e di osservazione
nell'impero islamico aveva innestato nel tronco greco " ( Hall-Hall, 1979:
82-83 ).
" L' Islam ripagava l'Europa di quel sapere che esso aveva preso in
prestito dalla Grecia attraverso la Siria. E come quel sapere
aveva promosso la fioritura della grande epoca della scienza e della filosofia
araba, così ora avrebbe spinto la mente dell'uomo europeo verso la ricerca e la
speculazione, lo avrebbe forzato a costruire la cattedrale intellettuale della
filosofia scolastica e avrebbe demolito, pietra dopo pietra, quel magnifico
edificio per provocare il crollo del sistema medievale..."(Durant,
1950,IV:913).
Nei secoli precedenti, il mondo cristiano Occidentale era stato a
contatto con il mondo arabo e con la cultura di cui era portatore, ma ne aveva
sempre rifiutato l'influsso fintanto che questo rimaneva una grande potenza
politica. La concorrenza di un'altra civiltà attiva e fiorente, che era
portatrice di un'altra visione del mondo; la concorrenza di un'altra mentalità,
di un altro sistema concettuale; la concorrenza di una nuova fede ( l'islamismo ), che abbracciava confini
altrettanto vasti quanto quelli cristiani, che prometteva una vita nell'al di
là altrettanto se non più gratificante
di quella cristiana e che consentiva all'individuo la ricerca della propria
felicità su questa terra senza nulla rinnegare di se stesso, aveva fatto sempre tenere al mondo cristiano
occidentale un atteggiamento di chiusura, di rifiuto.
Gli europei andranno alla scuola dell'Islam solo quando ne diverranno i
dominatori politici; solo quando la
Spagna e la
Sicilia, che saranno i due centri da cui si irradierà la
cultura araba, saranno riconquistati alla causa cristiana e si sarà ristabilita
l'integrità territoriale europea. Dopo averne distrutto il potere politico in
Europa, gli europei ne accetteranno la cultura e si organizzeranno dei veri e
propri centri di traduzioni, di cui Toledo ne sarà il più importante e Gerardo
da Cremona, e la sua scuola, il più importante traduttore. " In duecento
anni, all'incirca dalle prime traduzioni di Costantino l'Africano,nel 1060,alla
morte di Guglielmo di Moerbeke, nel 1286, sarà tradotta ed assimilata gran
parte della scienza greca e di quella araba " ( White Lynn, 1978: 84 ).
" Senza il coraggioso lavoro di questa piccola schiera di
traduttori del XII e XIII secolo, non solo la scienza medievale non avrebbe
potuto realizzarsi, ma la rivoluzione scientifica del XVII secolo difficilmente
sarebbe avvenuta. La massa della 'nuova' scienza, così schiacciante nella sua
portata e grandezza, doveva innanzi tutto essere assorbita - un processo che in
effetti occupò tutto il XIII secolo. Poi seguì un periodo di minuziosa
elaborazione e di importanti cambiamenti. Dai primi del XV secolo, la scienza
scolastica medievale raggiunse il suo pieno sviluppo fondato sulla visione
aristotelica del mondo, ma integrato da una ricchezza di pensiero critico
soprattutto anti aristotelico, formulato tuttavia senza una vera cognizione dell'intelaiatura
della scienza aristotelica. Dopo un periodo di relativa stagnazione nel XV e
all'inizio del XVI secolo, la scienza scolastica doveva essere sottoposta ad
una severa critica, appena una nuova e significativa svolta si fosse
verificata, culminando in una rivoluzione scientifica. Senza le prime
traduzioni tuttavia, che fornirono un fiorito e ben articolato corpus di
scienza teorica all'Europa Occidentale, i grandi scienziati rivoluzionari come
Copernico, Galileo, Keplero, Cartesio e Newton avrebbero avuto poco su cui
riflettere e da elaborare, poco su cui concentrare la loro attenzione riguardo
ad importanti problemi fisici. Molte questioni importanti e spinosi problemi
scientifici, che furono sollevati nel XVII secolo, penetrarono nell'Europa
Occidentale con le traduzioni o furono sollevati dagli autori medievali, che
sistematicamente rielaborarono quel corpus di dati" ( Grant, 1983: 29-30
).
Nel XVI-XVII secolo si verificherà quello che si era verificato nella
Grecia classica. Il 'miracolo greco', infatti, incominciò con la rielaborazione
e la riflessione sui dati che le civiltà dell'Antico Oriente avevano accumulato
nei millenni. Gli uomini del XVI-XVII secolo saranno in grado di elaborare un
pensiero originale ( nuovo paradigma ) perchè avevano ereditato non solo il
pensiero classico, che era stato
completamente assorbito e assimilato, ma avevano anche ereditato tutte le
integrazioni che i loro immediati predecessori vi avevano apportato. La sola
assimilazione del pensiero classico non sarebbe stata sufficiente per produrre
un nuovo livello di struttura mentale. Ci doveva essere tutta una serie di
nuove informazioni che gli uomini del medioevo si incaricarono di produrre.
" La rivoluzione scientifica del XVII secolo fu in ogni senso la figlia
della scienza medievale, anche se una figlia ribelle " ( White Lynn, 1978:
86 ).
Il nuovo paradigma culturale sorgerà quando l'uomo del XVII secolo
riuscirà a mettere in relazione ed a connettere il rinnovato metodo induttivo,
le nuove conoscenze sulla fisica, sull'ottica e sulla chimica in una nuova sintesi e in un reticolo che
terrà conto, utilizzando la nuova notazione matematica, non solo delle
implicazioni che proverranno da queste singole discipline, ma anche delle
implicazioni che le affinate categorie mentali riuscirann ad intravvedere ed a
supporre al di là e al di fuori del piano concreto in cui si verificherà il
fenomeno, o il fatto, per investire il piano dell'astrazione formale A questo nuovo livello, sconosciuto ai
greci, si produrrà una conoscenza che ingloberà e spiegherà la conoscenza
acquisita sul piano concreto. E questo costituirà un cammino nuovo e
rivoluzionario per l'uomo. L'assioma greco, la verità di partenza indimostrata
ed accettata come vera e da cui per deduzione si ricavavano tutte le altre
conoscenze, verrà spostato su un piano ancora più alto e più vasto, quello
astratto formale, da cui si potranno dedurre e spiegare tutte le conoscenze
acquisite sul piano concreto. Sarà il quadro di riferimento che muterà e nelle
scienze esatte si stabilirà una gerarchia delle conoscenze.
" In una scienza avanzata quale quella fisica, le varie leggi hanno
differenti livelli di generalizzazione ed esse sono organizzate in un sistema
gerarchico in cui le leggi del livello più basso sono la logica conseguenza di
un set di leggi ad un livello più alto. Così Newton [spiegherà] la legge sul
moto dei pianeti di Keplero deducendola dalla sua legge sul moto e sulla
gravitazione universale e Einstein [spiegherà] la legge della gravitazione [di
Newton] dimostrando che essa è una
vicina approssimazione della conseguenza
di una legge ad un livello più alto che riguarda lo spazio e il tempo.
" Una caratteristica importante in quasi tutti questi sistemi
gerarchici è che i concetti ( concetti teorici ) che sottostanno alle leggi del
livello più alto del sistema non sono direttamente correlate all'osservazione;
esse non sono oggetti o proprietà o relazioni di fatti osservabili come lo sono
le leggi del livello più basso del sistema. Le leggi del livello più basso sono
proposizioni generali i cui campi sono fatti direttamente osservabili; molto
spesso queste leggi sono state enunciate sulla base di una semplice
generalizzazione induttiva di questi fatti. Le leggi del livello più alto, che
implicano concetti teorici, non sono semplici generalizzazioni di fatti
osservabili poiché i concetti teorici che ad esse sottostanno non sono
direttamente osservabili. La ragione per cui si accettano queste leggi di
livello superiore è che le leggi del livello inferiore, che sono
generalizzazione di fatti osservabili, possono essere dedotte da esse " (
Britannica, 1962, VIII: 981) .
Nel XII secolo si era al nastro di partenza di questo lungo cammino nei
livelli di struttura mentale dell'uomo. L'uomo di questo periodo ha una
struttura mentale pre operatoria
( Radding, 1979: 968 ), da cui stava incominciando ad uscire
rimpossessandosi degli strumenti del pensiero razionale. Per raggiungere il
livello operatorio concreto, quello posseduto dei greci, impiegherà tre secoli.
Questo non significa che nel frattempo non abbia superato i greci in campi
particolari del sapere, perchè, come abbiamo visto, essi furono superati nella
tecnica ( XIII secolo ), nel metodo induttivo ( XIII secolo ), nella logica (
XIV secolo ),ma come struttura mentale d'insieme non lo furono prima del XVI
secolo, che rappresenta la zona di confine, lo spartiacque tra due grandi
epoche nella storia dell'uomo: quello dell'intelligenza operatoria concreta del
mondo classico e medievale e quella, a partire dal XVII secolo,
dell'intelligenza operatoria formale del mondo moderno.
L'uomo medievale europeo, in quanto a capacità assimilative, non era
diverso dall'uomo pre classico o arabo. La ricettività non è, come alcuni hanno
voluto vedere, una caratteristica esclusiva dell'uomo medievale. L'uomo
medievale non era un'eccezione nella storia. Tutti i popoli che hanno
sviluppato una nuova civiltà, sia che abbiano sviluppato un nuovo paradigma
culturale oppure no, hanno iniziato la loro storia con questa forte capacità
assimilativa. Si può dire che tutti hanno attraversato un primo periodo di
apprendistato. Cioè, hanno sentito il bisogno di apprendere, di conoscere, di
imitare tutto quello che le altre culture o le altre civiltà avevano prodotto.
Questo primo periodo di apprendistato, o di preparazione, corrisponde a quello
che Toynbee ha chiamato ritiro o periodo di raccoglimento, di anonimato, di
assenza dalla storia, per poi presentarsi alla ribalta del mondo e della storia
con una forte capacità dirompente e con un proprio messaggio che, di volta in
volta, si vuole imporre al mondo come migliore o superiore. Ma tutti i popoli
creatori di civiltà perdettero questa capacità ricettiva quando divennero
civiltà mature e svilupparono un concetto di arroganza per cui definivano
barbari tutti i popoli esterni e si chiudevano a qualsiasi novità o stimolo che
non proveniva da loro stessi. E da loro stessi non proveniva più nulla perchè
il fiume dell'inventiva, della creazione originale, si era completamente
prosciugato. La tensione ideale della fase eroica, della fase di crescita, si
era totalmente esaurita. Lo stesso fenomeno succederà all'uomo del Rinascimento
italiano che definirà barbaro chi vive al di fuori dei suoi confini ( Toynbee,
1957, I: 232 ), chi non partecipa della sua civiltà ed è quindi, per
definizione, incapace di creare qualcosa di nuovo. Si può dire che la crescita
dell'umanità è strettamente legata a questa capacità ricettiva che, nella
storia, si è spostata da popolo a popolo. E' l'interscambio di idee, delle
informazioni, e l'umiltà di essere contemporaneamente alunno e maestro che
fanno crescere l'uomo e le nazioni.
Certo, il medioevo era necessario affinché si potesse fare un balzo in
avanti nei livelli di struttura mentale. Ma il medioevo non fu importante solo
per le sue conquiste tecniche, come qualcuno ha voluto sostenere ( Farrington,
1950: 170 ). Queste, da sole, non avrebbero prodotto nulla. Esso fu importante
perchè il mutato atteggiamento mentale, la riacquisita capacità di pensare per
proprio conto, il sentito bisogno di analizzare ed apprendere tutta la
conoscenza che era stata prodotta fino a quell'epoca, la riappropriazione delle
tecniche e degli strumenti di analisi e di ricerca scoperte dagli antichi, il
ritorno, dopo otto secoli di massificante ortodossia cristiana, dello studioso
e del ricercatore laico individuale, produssero il bisogno di guardare il mondo
con altri occhi per vedervi altre cose ed acquisire diverse conoscenze,
partendo, sempre, da quelle conosciute. In questo la mentalità araba aveva
qualcosa da insegnare. E per questo motivo tutto l'Occidente cristiano andò
alla scuola dell' Islam, che era depositario della cultura classica.
" L'Europa trovò in quello specchio il suo passato, e si mise al
lavoro per comprenderlo, assimilarlo e sistematizzarlo... Uscendo dalla
semibarbarità, la cristianità d'Occidente fu capace di offrire, nel giro di tre
secoli ( 1050-1350 ), i tre centri, nel mondo, più intellettualmente
stimolanti: Bologna, Oxford e Parigi. Fu un fantastico risultato culturale, più
grande ancora di quello dell'Islam. Tuttavia, nonostante tutto questo, l'Europa
medievale era ancora assai lontana dalla Grecia " ( Hall-Hall, 1979: 85 ).
Fino alla prima metà del XIV secolo, il risveglio intellettuale, e la
corsa all'apprendimento di tutto il sapere, fu un affare europeo, nel senso che
vi parteciparono tutte le nazioni del continente, con la Francia e l'Inghilterra
(Parigi ed Oxford ) in una posizione di avanguardia. Ma questo avvenne perchè,
fino a quell'epoca, la cultura e la scienza inclusa ( o quella che si può
chiamare scienza in questo periodo ), erano di dominio esclusivo della chiesa e
degli ordini religiosi che erano supranazionali. Quando si affacciava un
outsider, un laico, egli ruotava intorno allo stesso mondo. La lingua usata era
anch'essa internazionale: il latino, per cui c'era una relativa mobilità degli
studiosi, che erano, fino a quest'epoca, quasi tutti religiosi. La disintegrazione
in tanti centri si verificò quando negli scritti si incominciò ad usare il
volgare e fece la comparsa lo studioso laico indipendente, il quale, anche se
partecipava al movimento culturale internazionale, era, e si sentiva,
soprattutto figlio della città o della nazione che gli aveva dato i natali. Lo
studioso precedente, invece, si sentiva, ed era, figlio della chiesa, per cui
un S. Tommaso, tanto per fare un esempio, poteva essere mandato prima in
Germania a fare il suo apprendistato e poi in Francia a combattere la sua
battaglia contro i razionalisti averroisti.
La caratteristica fondamentale del risveglio del XII secolo è che esso
fa intravvedere quello che poi diventerà un fiume impetuoso e, cioè, la nascita
dello studioso laico sul tipo di Fibonacci ( 1170-1245 ). La cultura uscirà dai
monasteri, o dalle scuole confessionali, per investire il mondo laico, il
quale, con la prosperità derivata dai rinati traffici e il sorgere delle città
come entità politiche autogestite democraticamente, acquisterà il gusto della
cultura. Mentre la scolastica sarà impegnata nella difesa della fede dagli
assalti dei razionalisti averroisti, l'uomo svilupperà una curiosità
conoscitiva che lo porterà ad indagare su tutto ciò che avevano prodotto le
culture che lo avevano preceduto. La sua curiosità non sarà diretta verso un
obiettivo particolare. Egli sarà interessato a tutto: scienza, tecnica,
filosofia, lettere, arte ( due generi in cui eccellerà ). La sua sete di sapere
sarà fine a se stessa ( almeno nel primo momento ). Ma sarà un uomo che
assimilerà tutto. E questo tipo di uomo sarà più numeroso nell'Italia del
XIV-XV secolo, quando l'Italia diventerà il laboratorio d'Europa, in cui vi si
sperimenteranno nuove tecniche ( anche bancarie e commerciali ); vi si sperimenterà
un nuovo assetto politico ( il Comune ) e soprattutto vi si sperimenterà un
nuovo modo di pensare.
All'inizio, il risveglio culturale avvenne soprattutto all'interno della
chiesa, l'unica realtà culturale esistente in Europa. Il mondo laico era più
interessato alle armi. La chiesa e le sue scuole erano gli unici centri dove
circolava il pensiero. Ed era un pensiero che era tutto assorbito nella
problematica religiosa. Quello che interessava a quest'uomo non era il mondo
fisico, ma la teologia: la vecchia e tradizionale teologia che veniva ora
sottoposta al setaccio critico della ragione. Le violenti dispute che
scoppiarono tra l'XI e il XII secolo, quella sulla Eucarestia, quella sugli
universali, ecc., ebbero il merito storico di affinare l'intelletto dell'uomo
per altre e più importanti battaglie.
In questo periodo, e attraverso queste dispute, ci si rimpossessava
della logica e della dialettica: due strumenti base del pensiero razionale. La
scolastica, come venne chiamato questo fermento culturale ed intellettuale, a
cui erano interessate tutte le grandi scuole delle cattedrali e le università
che stavano sorgendo un po' dappertutto, è importante perchè nel suo risveglio
culturale, pur avendo un pensiero centrato su un'unica grande realtà ( la
teologia ), seppe mettere in moto quei meccanismi del pensiero razionale che si
erano persi nell'alto medioevo, quando, con S. Agostino e gli altri Padri della
chiesa, si privilegiò il pensiero intuitivo.
Il contatto con la civiltà araba aveva fatto prendere coscienza al mondo
cristiano che la ragione era la principale fonte di conoscenza, che essa non
conduceva solo all'errore e quindi all'eresia e al peccato. Abelardo di Bath (
1090.1150 ), in un dialogo, composto alla maniera di Platone, aveva sostenuto
che egli, viaggiando tra gli arabi, aveva conosciuto il bene prezioso dell'uso
della ragione, mentre in Occidente si era ancora sotto il ferreo giogo
dell'autorità. Egli sosteneva che anche nel mondo arabo esistevano delle
autorità, ma esse lo erano per riconoscimento unanime della loro cultura
acquisita attraverso la ragione. E questa era una coscienza pericolosa perchè
minava dalle fondamenta l'edificio teologico che Agostino e gli altri Padri
della chiesa avevano costruito sulla volontà e sul sentimento, negando
qualsiasi valore alla ragione. La chiesa ne era intimorita ed era cosciente
che, se lasciata a se stessa, questa corsa impetuosa verso il razionalismo
avrebbe potuto portare ad uno stravolgimento della fede stessa. Per la chiesa,
alla conoscenza, sia fisica che spirituale, non si arrivava attraverso la
ragione, ma attraverso la fede e la verità rivelata nelle sacre scritture, che
erano la sola fonte della verità. Il Corano, al contrario della Bibbia del
cristiano, non era ritenuto la sola fonte della verità: la verità del mondo
sensibile apparteneva alla ragione e poteva essere raggiunta solo tramite essa.
Abelardo non solo aveva fatto della logica e della dialettica due
formidabili strumenti del pensiero razionale, ma aveva anche elaborato un
metodo di indagine, il Sic et Non, " il primo discorso sul metodo in
Occidente " ( Le Goff, 1957: 51 ), che affrontava le vecchie e dibattute
quistioni teologiche ( l' esistenza di Dio, l'immortalità dell'anima, ecc.) in
un modo nuovo e con risultati spesso dirompenti. Il Sic et Non, pro e
contro, " che divenne il metodo
standard della scolastica " ( Thorndike, 1923, II: 4 ), era un metodo
dialettico aperto, che accumulava gli argomenti pro e contro una tesi, ma non forniva
la sintesi. Questa veniva lasciata al singolo. Lo scopo di Abelardo " non
era quello di invitare allo scetticismo, ma era quello di affinare gli
strumenti della ricerca, 'perchè dubitando siamo portati a porci della domande,
e le domande ci portano alla verità'" ( Gympel, 1977: 172-72 ).
" Al seguito di Abelardo è sorta nel XII e XIII secolo una schiera
sempre più numerosa di dialettici, intenti ad elencare accuratamente tutte le
questioni teologiche e filosofiche, a raccogliere le autorità pro e contro
ciascuna tesi e a prospettare in artificiose triade i risultati dell'altrui e
del proprio pensiero: E' stato così effettuato un dissodamento prodigiosamente
esteso a tutto il territorio quistionabile; e il pensiero sistematico e
sintetico è stato messo a dura prova dall'esigenza che si è derivata di
disciplinare un materiale così sovrabbondante " ( De Ruggero, 1972, II:
451 ).
Anche se nel lungo periodo questo metodo rivelerà tutti i suoi limiti e
si atrofizzerà diventando uno strumento fine a se stesso, nel breve periodo non
solo ha consentito di recuperare tutte
le categorie del pensiero razionale ( definizione, ordine, generalizzazione,
reversibilità, riduzione del ragionamento alla forma sillogistica, uso della
dialettica, applicazione dei metodi deduttivi e induttivi, ecc.) che nell'alto
medioevo erano state trascurate e che lo stesso Abelardo non possedeva
completamente, ma ha soprattutto consentito all'uomo di affinare le proprie
tecniche mentali e dare, così, un impulso fenomenale alla crescita del pensiero
razionale attraverso la riappropriazione, in forma cosciente e problematica, di
tutta la conoscenza prodotta fino ad
allora.
E' stato questo intenso lavoro intellettuale del XII e del XIII secolo
che ha creato le condizioni, attraverso l'assimilazione di tutto quello che
c'era da assimilare del pensiero arabo e di quello greco, per il sorgere, nel
XIV secolo, e per reazione alla stessa scolastica, di un uomo nuovo: l'
umanista. Quest'uomo sarò strutturalmente equipaggiato, a livello
intellettuale, per affrontare direttamente e senza intermediari la conoscenza
degli autori dell'antichità classica. Ma le sue attenzioni non andranno verso
gli stessi autori che avevano interessato gli uomini del XII e XIII secolo:
filosofi e scienziati. Egli si rivolgerà ai letterati; cioè, egli avrà un
interesse quasi esclusivo per tutta quella produzione che era stata trascurata
nel mondo medievale e nella rinascenza del XII secolo. In questo senso,
l'umanista farà la stessa rivoluzione che fecero Socrate ed i sofisti nel V
secolo a.C., quando spostarono il probema della conoscenza dal mondo fisico
(scienza), per loro inconoscibile, alla natura dell'uomo, la sola conoscibile.
L'umanista lo sposterà dalla scienza alle humanae litterae (
Crombie, 1979: 313-325 ). E la scienza sarà messa in un angolo. Ma sarà un
fiume che non potrà essere fermato a lungo. E, in effetti, riprenderà il suo
corso nel XVI secolo, quando la
matematica fornirà nuovi strumenti, sconosciuti ai greci, che consentiranno,
nel XVII secolo, una nuova e diversa interpretazione del mondo . Sarà quest'uomo che darà una nuova lettura
del mondo, dopo quella classica e quella cristiana. E sarà una lettura
meccanicistica, come quella greca era stata razionalistica e quella cristiana
spirituale.
Accanto al metodo del Sic et Non, si erano sviluppate,
all'interno delle appena nate università, anche le tecniche didattiche
della lectio ( commento ), della disputatio ( procedimento di discussione ) e
della quaestio ( quesiti ).
Il metodo delle quaestiones disputate, adottate nelle università, era
uno strumento efficacissimo per affinare le capacità logiche e dialettiche. Con
le prime ( capacità logiche ) si doveva capire il problema e saperlo impostare
secondo un ordine rigoroso; con le seconde
( capacità dialettiche ) si doveva convincere gli astanti della bontà
delle proprie tesi. In sostanza nelle università medievali si era riprodotta,
mutatis mutandis, il metodo dialogico greco. Il metodo consisteva nel leggere
un passo dell'opera di un autore che si
voleva commentare, ( che di solito era Aristotele ), e sulla sua
interpretazione potevano intervenire tutti. Altre volte, invece di un passo di
un'opera, si affrontava un problema. Era il metodo della discussione, tanto
caro ai greci, che ritornava in un'arena culturale chiamata 'università', come
nell'antica Grecia la discussione avveniva in un'arena culturale chiamata
accademia o liceo.
Le università, che furono il prodotto più nobile della scolastica e
nacquero sul modello del chiostro ( Leff, 1959: 84 ) sotto l'egida della
religione cattolica avevano fatto risorgere
uno strumento democratico: la 'disputatio', indispensabile per affinare e
migliorare le proprie capacità intellettuali ( Chenu, 1957: 25 ). " Qual è
l'opera più originale, più nuova del XIII e del XIV secolo, quella di cui non
si riconoscono precursori e che non è stata mai più continuata ? Ritengo
fondatamente che sia la tecnica intellettuale della quaestio scolastica. Porre
una domanda ben formulata, riportare la risposta negativa, esporre la propria
risposta. Dimostrarla e, alla fine, confutare quella opposta: nulla di più
estraneo all'eloquentia tradizionale, nulla che meglio soddisfi uno spirito
alla ricerca di una certezza dimostrata... se voglio misurare in tutta la sua
estensione il campo delle possibili applicazioni di questo metodo penso alla
Summa Teologica di S. Tommaso: dividere e suddividere l'oggetto della ricerca
in una serie di interrogativi secondo le necessità, disporli in ordine e dare
successivamente risposta a ciascuno di essi. Un'ogiva, un'ogiva, un'altra
ancora e voi avete una cattedrale; una questione, una questione, un'altra
ancora, e voi avrete una Summa teologica. Si può disprezzare questo genere di
edificio solo a patto di non entrarvi. Nulla fu più nuovo, nel suo tempo, del
metodo scolastico, nulla di più moderno, ed è questo che hanno detestato gli
umanisti dell'età successiva " (Gilson, 1979: 91 ).
Senza questa palestra intellettuale, non solo non si sarebbe potuto
assimilare tutto il sapere dell'antichità classica nel XIII secolo, ma non si
sarebbero nemmeno formate le categorie mentali che saranno utilizzate dagli
umanisti. Gli strumenti del pensiero che useranno gli umanisti furono forgiati
da questi uomini della scolastica che essi bocceranno senza possibilità di
appello.
L'introduzione, all'interno delle università, " di studi che
derivavano dai greci, attraverso gli arabi, portò ad una maggiore libertà di
pensiero, dapprincipio entro i limiti autorizzati, ma pronti a travalicarli
quando occorreva l' occasione " ( Britannica, 1962, VII,
967 ). Questa libertà di pensiero, conquistata a duro prezzo, sarà la premessa
da cui partiranno gli umanisti, che potranno spaziare, senza limiti, nel campo
della conoscenza e che, per reazione, si daranno ad investigare su un campo che
era stato trascurato dai loro immediati predecessori: quello artistico
letterario. Se essi trascureranno la teologia e la scienza sarà perchè queste
erano state il pensiero dominante degli scolastici, da cui essi volevano
rifuggire.
" Nella scolastica ci furono due grandi fasi. Nella prima le
controversie furono essenzialmente di natura metafisica e vertevano sulla
questione della natura degli universali; il partito teologico ortodosso
generalmente difendeva il realismo, o la dottrina che gli universali sono la
vera realtà, di cui il particolare e il singolo sono solo apparenze; mentre la
dottrina opposta del nominalismo - gli universali sono soltanto dei nomi e i
particolari sono la vera realtà esistente - mostrò una continua tendenza a
cadere nell'eresia sulle dottrine più fondamentali della chiesa. La seconda
fase fu essenzialmente costruttiva: l'opposizione tra filosofia e teologia fu
negata e la filosofia diede una forma sistematica alla stessa teologia. La
personalità più caratteristica della prima fase fu Abelardo ( 1079-1142 ),
della seconda S. Tommaso ( 1225-1274 ). Il primo, nella conoscenza di
Aristotele, non andava al di là delle traduzioni e degli adattamenti di Boezio,
ma egli fu essenzialmente un dialettico che impiegava la sua logica per
esaminare le dottrine fondamentali della chiesa e per sottoporre tutto al
tribunale della ragione. Questo innato razionalismo sembrò assoggettare la
teologia alla filosofia e portò alle frequenti condanne delle sue dottrine come
eretiche. Con S. Tommaso, d'altra parte, i dogma fondamentali dovevano essere
fuori discussione. Nella sua Summa teologica egli presenta tutte le dottrine
della chiesa sistematizzate secondo la filosofia aristotelica " (
Britannica, 1962, VII. 967 ).
Il primo movimento, tutto impregnato del rinascente razionalismo,
sviluppò una forza centrifuga per tutto il XIII secolo e stava mettendo in
discussione tutti i dogmi della dottrina cristiana. Il principale focolaio di
questa tendenza era rappresentato dalla università di Parigi, dove Aristotele,
tramite Averroè, era più letto e studiato ( Gilson, 1939: 60-63 ). Il secondo
movimento, invece, sorto per reazione al primo, diede alla chiesa e ai suoi
dogma, ad opera di S. Tommaso, basi così forti che la reggono ancora oggi.
La paura che le opere di Aristotele potessero influenzare la dottrina
cristiana fu reale. " Il timore... nasceva dai suoi libri sulla filosofia
naturale, che contenevano giudizi ed opinioni sovversive della fede e dei dogma
cristiani. Tra le sue conclusioni definitive le più temibili erano le seguenti:
1) il mondo è eterno, ciò che in effetti nega l'atto creativo di Dio; 2) un
accidente o una proprietà non può esistere indipendentemente dalla sostanza
materiale, una visione che contrasta con l'Eucarestia. Secondo questa dottrina,
dopo che l'intera sostanza del pane e del vino si è trasformata nell'intera
sostanza del corpo e del sangue di Cristo, gli accidenti visibili del pane e
del vino continuano ad esistere sebbene non ineriscano al alcuna sostanza; 3) I
processi della natura sono regolari ed inalterabili, ciò che elimina i
miracoli; 4) infine, l'anima non sopravvive al corpo, ciò che nega la
fondamentale credenza cristiana nell'immortalità dell'anima " ( Grant,
1983: 35-36 ).
Per contrastare questa tendenza, le opere scientifiche di Aristotele,
tranne la logica, furono proibite a più riprese. A Parigi nel 1210 e nel 1215 a Tolon nel 1245, ma il
successo fu scarso. Aristotele veniva letto e commentato sotterraneamente per
cui la chiesa si vide costretta a capovolgere la sua politica. " Dal 1295 queste opere non solo
ebbero una sanzione ufficiale, ma divennero anche il fulcro centrale del
curricolo " ( Grant, 1986: 53 ) dell'università. S. Tommaso " si rese
conto che l'Europa si avviava verso l'età della ragione e pensò che il compito
di un filosofo cristiano fosse quello di affrontare Aristotele sul suo stesso
terreno " ( Durant, 1950, IV: 964 ).
Naturalmente, per portare Aristotele nell'alveo della dottrina cristiana
si dovevano usare gli stessi strumenti intellettuali che egli aveva usato. Ma
bisogna chiarire che " se S. Tommaso adottava l'aristotelismo, egli lo
adottava perchè fondamentalmente lo credeva giusto e non perchè Aristotele
fosse un grande nome o perchè, non battezzato, Aristotele potesse costituire un
grave pericolo per l'ortodossia " ( Copleston, 1976, II: 423 ). Se lo adottava era perchè era
convinto che, " se correttamente intesa, la filosofia, che includeva le
scienze secolari, non poteva contraddire la fede o la teologia " ( Grant,
1986: 53 ) , che S. tommaso considerava la più alta delle scienze perchè basata
sulla rivelazione ( Grant, 1986: 53 ).
Portando Aristotele nell'alveo della dottrina cristiana S. Tommaso rimosse " le ultime discrepanze tra la
concezione cristiana del mondo e quella della scienza aristotelica... cosicché
lo sviluppo di entrambe avrebbe potuto... procedere armoniosamente libero dai
sospetti che erano stati provocati dalle tradizioni " ( Hall-Hall, 1979:
99 ).
Lo sforzo di S. Tommaso, anche se non trovava d'accordo i francescani
che rimanevano attaccati all'intuizionismo di S. Agostino, dimostrava solo una
cosa: che la ragione era venuta per restare e anche la religione doveva fare i
conti con essa. Ma era una ragione aristotelica, che spingeva e metteva in un
angolo l'intuizionismo agostiniano e con esso Platone da cui era derivato. Era
una nuova versione del realismo, quella aristotelica degli universalia in re (
l'idea, il concetto, era nella cosa ), più accettabile per la mentalità
dell'epoca, e che rappresentava un superamento della versione platonica degli
universalia ante rem ( l'idea, il concetto, è preesistente alla cosa ), contro la
quale avevano combattuto il nominalista Abelardo ed i suoi seguaci.
La scolastica, che aveva conosciuto il suo periodo di maggior fulgore
nel XIII e nella prima metà del XIV secolo, aveva fatto ridestare, con Abelardo
ed i suoi immediati predecessori e seguaci, il pensiero razionale, lo aveva
applicato alla teologia, lo aveva combattuto quando questo costituì un pericolo
per la dottrina della chiesa e sarà la prima che lo applicherà al mondo
sensibile ponendo le basi " dei concetti scientifici del mondo moderno
" ( Vescovini, 1989: 281-82 ).
" Lo scopo che dominò il pensiero scientifico medievale fu l'esame
e la critica di questi concetti greci: l'idea del movimento circolare nei
cieli; il concetto filosofico di umori; il concetto aristotelico di materia...
il modo come il Medio evo adottò la scienza greca, come l'eredità di uomini di
rango superiore, era favorevole a non far nascere dubbi sui fatti da essi
riportati...
" Quanto a creare un inizio interamente originale, rifiutando
completamente l'apporto di giganti come Aristotele e Galeno, data la situazione
storica, sarebbe sembrata e sarebbe stata veramente una follia... Non è
esagerare dire che il Medio Evo studiò la scienza come se fosse teologia e la
fisica di Aristotele come se fosse la
Bibbia " ( Hall-Hall, 1979: 96-97 ). E tuttavia, questo
costituiva un passaggio obbligato nella crescita intellettuale di quest'uomo
che usciva dal lungo sonno altomedievale della ragione. Mentre si affacciava di
nuovo al pensiero logico, si trovava di fronte un sistema di pensiero che aveva
teorizzato su tutto lo scibile umano e aveva costruito sistemi che sembravano
perfetti. Per lui che muoveva i primi passi nel campo intellettuale, il sistema
dei greci gli doveva sembrare irraggiungibile. E, a quell'epoca, lo era
effettivamente. Per poterlo raggiungere ci vorranno tre secoli ( XII-XV ) di
paziente lavoro di ricerca e di riflessione filosofica.
Dapprincipio questa ricerca, più che il frutto dell'osservazione diretta
o dell'esperimento, fu il risultato della riflessione logica su altri libri.
" Lo scienziato della scolastica pensava che se dimostrava un punto
logicamente egli lo aveva dimostrato scientificamente " ( White Lynn,
1978: 86 ). L' esperimento, anche se se ne parlava tanto, non esisteva se non
nella forma di " esperienza " ( McEvoy, 1982: 208 ). In questo
periodo, la logica e la dialettica costituirono il metodo di indagine che ebbe
il predominio su tutto.
L'osservazione diretta della natura si affacciò timidamente con Alberto
magno ( 1193-1280 ), sebbene egli stesso
" confessasse che molte osservazioni fossero prese da altri
libri" ( Coulton, 1961: 61 ), ma era un'osservazione superficiale, da cui
non si sapevano trarre conclusioni che andassero al di là della descrizione del
" come " una cosa avveniva. Al " perchè " essa avveniva non
ci poteva arrivare ed Alberto Magno non ci arrivò. Nessun uomo di quest'epoca
sarebbe stato in grado di pensare più di tanto. Gli uomini di quest'epoca
avevano fatto della logica e della dialettica le loro armi di attacco e le porteranno al loro massimo
sviluppo, dopo di che si attarderanno, per mancanza di un decentramento di
pensiero più completo, solo sul momento tecnico, per cui, invece di servirsi di
esse come strumenti del pensiero razionale, le fecero diventare fini a se
stesse: l'argomento passava in second'ordine. Quello che importava era la
capacità di costruire un pensiero sottile
" per essere vincenti nella disputa e non per ricercare la verità
" ( Smith, 1990: 734 ).
Nell'uso della logica e della
dialettica, gli scolastici superarono i greci e rimasero insuperati nel mondo
moderno, ma il loro pensiero si era atrofizzato. " In un'epoca in cui
l'ideale del pensiero non era la scoperta, ma l'ordine, e in cui la conoscenza
era ritenuta essere un set di proposizioni consolidate, il compito della
ragione doveva essere quello di organizzare queste proposizioni subordinandoli
alla autoritaria dottrina della chiesa " ( Britannica, 1962, VII: 967 ).
L'Umanesimo sorgerà anche come reazione a questa atrofizzazione del pensiero (
Baker, 1961: 206 ).
Ciononostante, la scolastica diede un notevole contributo allo sviluppo
delle capacità intellettuali dell'uomo. Uomini come Grossatesta ( 1170-1253 ),
che si occupò di ottica e determinò l'indirizzo della ricerca nel XIII e XIV
secolo ( Crombie, 1969,II: 27-28 ); come Ruggero Bacone ( 1214-1294 ), che
proseguì gli studi di ottica del maestro Grossatesta e fu il primo, in
Occidente, a parlare di metodo sperimentale nelle scienze fisiche ( Molland,
1978: 567-571 ); come Duns Scoto ( 1285-1308 ), che "fece una netta
distinzione tra leggi causali e generalizzazioni empiriche " ( Crombie,
1969, II: 43 ); come Guglielmo d'Occam (1300-1349 ), che introdusse il concetto
di economia nella scienza ( il cosiddetto rasoio di Occam ) e che diede una
svolta decisiva alla teoria della conoscenza, diedero un notevole impulso al
metodo induttivo che sarà poi espresso più chiaramente da Francesco Bacone nel
XVII secolo. Questi uomini, attraverso l' accento che mettevano sull'importanza
dell'osservazione nella conoscenza delle natura, davano una sterzata a quello
che era stato il metodo scientifico prevalente fino a quell'epoca: il metodo
deduttivo, inventato dai greci. E' da questo periodo che l'esperienza asssume
un valore conoscitivo. Per Ruggero bacone, essa, e non la logica, doveva essere
la fonte della conoscenza ed essa doveva essere fondata sulla matematica,
" l'alfabeto di ogni filosofia ", come la chiamerà nella sua Opus Majus.
I greci conoscevano solo
attraverso la logica. Anch'essi avevano utilizzato l'esperienza-induzione, ma
per scopi e fini diversi. La loro induzione, infatti, era di due tipi:
sommativa ed intuitiva. La prima può essere considerata " una specie di
sillogismo in cui si raggiunge una generalizzazione dall'esame di una serie di
casi che ricadono nelle sue premesse ( l'uomo, il cavallo e il mulo vivono a
lungo; ma l'uomo, il cavallo e il mulo sono tutti animali che non hanno la
bile, perciò tutti gli animali che non hanno la bile vivono a lungo " (
Britannica, 1962, XX: 126). Con la seconda, invece, il caso o i casi
dell'esperienza sensibile servivano alla mente per intuire una
generalizzazione, che diventava, per la sua chiarezza e la sua incontrovertibilità,
un assioma. L'induzione in cui si incammineranno gli uomini della scolastica (
Grossatesta, Ruggero Bacone, Duns Scoto e Occam ) è di tipo ampliativo, che
parte dall'osservazione di fatti particolari per raggiungere principi generali
che non sono nella premessa.
" Dal riconoscimento che soltanto l'esperienza consente di
raggiungere la verità all'affermazione della superiorità del procedimento
induttivo nei confronti di quello deduttivo il passo è breve. E... [ sarà
compiuto nel XVII secolo ] da Francesco Bacone. Nel Novum Organon... [ egli ],
infatti, sostiene che la logica che si informa del procedimento deduttivo è
senza dubbio in grado di insegnare agli uomini a trarsi d'impaccio nelle
dispute, ma non può aiutarli nè a stabilire assiomi veri nè, di conseguenza ad
effettuare operazioni feconde. Si tratta di una logica sovrapposta alle cose,
che sostituisce alla materia, al vuoto, al denso, al raro, delle semplici
astrazioni concettuali " (
Pieretti, XXVIII: 207 ).
" I greci introdussero ... qualcosa che attribuì un valore più
definitivo al pensiero astratto: scoprirono, cioè, la matematica e l'arte del
ragionamento deduttivo... Ma è in rapporto alla matematica che si manifesta
l'unilateralità del genio greco: esso ragionava deduttivamente, basandosi su
ciò che appariva evidente, non induttivamente su ciò che era stato osservato...
Si è compiuta molto lentamente la sostituzione del metodo scientifico, che
tenta di giungere induttivamente a principi generali, partendo dall'osservazione
dei fatti particolari, alla concezione ellenica della deduzione che parte da
luminosi assiomi sorti nella mente del filosofo... Il metodo scientifico,
benché alcuni di loro siano stati in primi ad averne intuizione, è, in
complesso, lontano dal loro temperamento " ( Russel, 1966, I: 70).
Il Metodo scientifico, che
sanzionerà il superamento del paradigma culturale dei greci, avrà da percorrere
una lunga strada. Ma gli uomini della scolastica vi avevano posto le premesse.
L'induzione di questi uomini non è più produttrice di intuizioni, per quanto
geniali esse potessero essere, ma è produttrice di conoscenze che hanno una
validità scientifica ( Crombie,
1969, II: 39 ). Ecco perchè solo a partire da quest'epoca si può parlare di
metodo induttivo, anche se ancora approssimativamente. I greci non l'hanno mai
posseduto. I greci non possedevano questa capacità di condurre in modo rigoroso
un ragionamento induttivo ( variazione di un fattore a parità di condizioni ),
nè di cogliere in modo riflesso le forme del rapporto che può esistere tra due
fatti. Essi conoscevano ed utilizzavano l'induzione, ma non il metodo
induttivo; non la logica induttiva, anche se essi vi avevano posto le basi
senza averne coscienza ( Aristotele, Democrito, Epicuro, Carneade, ecc. ). Essi
rimasero fermi alla logica del metodo
deduttivo, che, da verità indimostrabili, ricavava nuove conoscenze (
corollari ). Il metodo induttivo segnerà il superamento di quello deduttivo
perchè le sue verità saranno dimostrabili o falsificabili perchè basate sugli
aspetti quantitativi e non su quelli qualitativi." Questi nuovi metodi
quantitativi segnano l'inizio, anche se confuso, delle future procedure
scientifiche " ( Leff, 1976: 96 ).
Tuttavia, il metodo deduttivo non perdeva per questo il suo rango o la
sua validità scientifica. Esso rimaneva e rimane uno strumento insostituibile
nella ricerca della verità. Soltanto che esso, d'ora in avanti, partirà da
premesse diverse: non più da assiomi indimostrabili, ma da una teoria che
intanto sarà vera in quanto sarà dimostrabile deduttivamente. Il metodo
ipotetico-deduttivo dei tempi moderni non rappresenta un ritorno al pensiero
greco, ma rappresenta il superamento di entrambi: quello intuitivo-deduttivo
dei greci e quello induttivo, perchè esso deriva da un'ipotesi che lo
scienziato non ha intuito dalla realtà, nè dall'accumulo dei casi particolari,
ma che ha tratto dalla sua capacità di astrazione formale, correlando, in un
quadro di riferimento più ampio, tutte le conoscenze che provengono dalle
scienze che interessano quella teoria. I greci arrivarono al metodo
intuitivo-deduttivo come superamento del pensiero simbolico transduttivo delle
civiltà dell'Antico Oriente e di quello intuitivo dei presocratici. Il medioevo
e il primo Rinascimento arriveranno al metodo induttivo come superamento di
quello intuitivo-deduttivo dei greci.. Ma tutte e due rimanevano attaccati alla
realtà concreta, anche se il secondo presupponeva e presuppone una maggiore
capacità di astrazione. E questa era una tappa obbligata per arrivare al metodo
ipotetico-deduttivo dei tempi moderni, in cui la realtà, il concreto, è
completamente trascesa nell'elaborazione delle teorie.
Un passo molto importante in questa direzione fu compiuto da Guglielmo
di Occam. Egli fu un nominalista ancora preso dalla metodologia scolastica.
Egli può essere definito come l'ultimo dei grandi scolastici e, forse, il primo
degli uomini nuovi. Egli ha avuto senz'altro il merito di aver portato ordine
nell'organizzazione mentale della conoscenza. Egli fu il primo soggetto
epistemologico della storia. Il primo a dare una spiegazione universalmente
valida del rapporto soggetto-oggetto, uomo-natura. Mentre i greci sostenevano
che la verità, la conoscenza, era contenuta nell'oggetto e l'uomo si limitava
solamente a tirarla fuori ( la causa efficiente di Aristotele ), egli invertì
il concetto e fece dell'uomo il solo vero ordinatore del mondo fisico. Al di
fuori dell'uomo non c'è conoscenza. Il mondo reale non ha in sè un ordine che l'uomo
deve apprendere: esso è disordine ed è l'uomo che lo ordina in base alla
conoscenza che ha di esso. E, in quest'opera ordinatrice, l'uomo deve dare
prima di tutto un ordine a se stesso, alle sue capacità intellettive. Cioè,
l'uomo deve acquisire per se stesso un ordine mentale, una chiarezza di idee e
un'organizzazione del pensiero che lo mettano in grado di operare sulla realtà
fisica. Per Occam " la struttura del mondo fisico,le relazioni di classe,
lo spazio e il tempo sono costruzioni della nostra mente. L'ordine del nostro
mondo della conoscenza è costituito dalla logica della nostra costruzione.
Analizzando la nostra lingua vi scopriamo tutto ciò che è stato attribuito al
mondo extramentale " ( Britannica,
1962, XVII: 750 ).
Occam separò la metafisica dalla scienza e dalla logica. Egli vide la
logica come fonte di conoscenza della mente e la scienza come fonte di
conoscenza delle cose. Prima di lui questi concetti erano confusamente
utilizzati ed avevano sempre un riferimento nella metafisica e nella teologia (
Russel, 1966, II: 615 ). Per Occam, la
conoscenza assoluto di un mondo preordinato, come affermavano i difensori degli
universali, non esiste. La conoscenza è creata dall'uomo che stabilisce nessi e
relazioni nella conoscenza delle cose e della natura. "...Senza questo
intervento ordinatore dell'uomo il mondo reale delle cose è, per sè, caos. Gli
universali si erano presentati come le essenze reali comuni organizzatrici,
ordinatrici, costitutive di ordine nella realtà. Ma, appunto, la negazione da
parte di Occam di un siffatto ordine in sè della realtà di universali ed
essenze, è perentoria. E' solo la mente umana che interviene ad istituire tali
nessi fra le cose e il luogo in cui giacciono le relazioni non è il mondo reale,
la natura, ma la mente, le parole del nostro linguaggio " ( Conze, 1979: 163 ).
Occam, dopo S. Tommaso, fu il più grande degli scolastici. Ne campo
epistemologico egli aveva superato i greci ed aveva dato all'uomo la potenza
che si era sempre negata nella storia. Egli " fa solo un breve riferimento
al sillogismo modale e di quello misto in una maniera che supera di molto
Aristotele " (Britannica, 1962, XIV: 315 ). Purtuttavia, l'uomo di
quest'epoca rimaneva ancora lontano dal livello di struttura mentale dei greci.
Fino all'inizio del XVI secolo, egli supererà i greci in molti campi della
conoscenza o dell'organizzazione del pensiero, ma non avrà ancora superato il
loro livello globale di struttura mentale; cioè, non avrà ancora elaborato un
proprio paradigma culturale o nuova sintesi. Per farlo dovrà aspettare il XVII
secolo, quando inizierà a produrre in
proprio ( creazione originale ),ma prima dovrà passare attraverso tutto il XVI
secolo.
Con Occam " si assiste ad una secolarizzazione della conoscenza,
alla netta separazione tra la verità di fede ed effettiva conoscenza dell'uomo
" ( Conze, 1979: 161 ) e dopo di lui la scolastica non ha più storia come
fermento di pensiero. Essa entrerà, tranne rarissime eccezioni, in un lungo periodo
di decadenza, in cui le abilità tecniche nell'uso della logica e della
dialettica e la correttezza formale nell'espressione giocheranno un ruolo molto
più importante di quello del contenuto, che era molto ristretto e consono alla
cultura dell'epoca, dominata, com'era, dal problema religioso, l'unico che
veramente importasse a questi uomini che agivano all'interno della chiesa,
anche se facevano parte delle università.
Il metodo divenne il fine e non lo strumento. Ed esso divenne lento e
macchinoso. Il contatto con il mondo fenomenico si perse quasi completamente e
il pensiero si atrofizzò per mancanza di nuova linfa ( argomenti di studio ).
Il metodo aveva ucciso la scolastica e stava uccidendo anche la crescita
intellettuale dell'uomo se non fosse intervenuto in suo soccorso quell'uomo
nuovo che era rappresentato dallo studioso laico ( Britannica, 1962, VII: 968
), che aveva fatto la sua timida comparsa già nel XII secolo. Nel XIV secolo,
quelli che erano dei rivoli sparsi nell'ambito della comunità cristiana
dell'Occidente divennero un fiume impetuoso carico di promesse. Quest'uomo
nuovo agiva al di fuori della chiesa ed aveva interessi molti diversi. Il suo
sarà un discorso molto ampio, a tutto campo, si direbbe nel linguaggio
contemporaneo, di natura paganeggiante, anche se il fatto religioso non verrà
mai negato, ma esso sarà lontano dalle sue preoccupazioni. I suoi orizzonti
mentali saranno molto ampi e sarà intellettualmente equipaggiato, grazie
proprio alla scolastica, per affrontare direttamente lo studio dell'antichità
classica, ma un'antichità classica diversa da quella che aveva occupato la
mente degli scolastici e dei pensatori medievali.
La capacità ricettiva di quest'uomo nuovo, la sua sete di sapere, di
apprendere tutto quello che c'era di valido nel mondo, era grande quanto lo era
stata quella dei " mercanti ionici di quasi duemila anni prima " (
Struik, 1981: 111 ) e quella degli arabi nei primi due secoli della loro
storia. Era un uomo nuovo, ma non sconosciuto nella storia, se non nella
dimensione. Egli era un erede legittimo di tutte le civiltà precedenti, le
quali avevano tutte possedute questa capacità ricettiva agli esordi. Nell'uomo
italiano del XIV e del XV secolo essa non era un portato dell'elemento
germanico che si era mescolato all'elemento latino negli antichi territori
dell'impero romano. L'elemento germanico non fu l'elemento fondamentale.
L'elemento fondamentale fu il sistema ( da non confondere con il potere )
politico, dovuto alla cronica debolezza del sacro Romano Impero, come potere
centrale, che dava molto spazio alle comunità locali ( Thompson, 1931: 224 ) e
questo consentì, cosa unica nella storia, la ricreazione di quel sistema
politico ( la polis ) che fiorì nella Grecia nell'età classica: il Comune, che
dava molto spazio all'individuo in questa rinata democrazia, proprio come
nell'antica Grecia e proprio come avverrà in Inghilterra, ma in una dimensione
più vasta.
" Col risorgere della libertà, la mente degli italiani, acquistò
una forza creatrice come quella degli ateniesi, nella freschezza del nuovo
sviluppò. Gli uomini erano baldi e confidenti nella propria forza, si elevavano
ai sublimi ideali del grande e del bello, aprivano nuovi sentieri al genio e
venivano incoraggiati dall'entusiasmo dei concittadini alle più nobili e alte
aspirazioni. Si slanciavano nei campi immensi del pensiero e dell'attività
senza le pastoie ed i freni di una società artificiale che pretendesse di
forgiare le menti degli uomini " (May, 1884: 227 ).
L'elemento rigeneratore in Italia non venne dall'esterno, ma fu creato
all'interno dalla congiuntura politica ed economica. La rinascita della polis sprigionò la potenza
creatrice dell' individuo, la quale era stata mortificata dalla massificante
supremazia della chiesa nei secoli precedenti. Nell'alto medioevo erano
esistite delle individualità, ma non l'individuo autonomo ed autosufficiente.
L'uomo di quei secoli faceva parte di un tutto che lo incorporava e gli dava
contemporaneamente protezione ed ispirazione: l'autonomia era sinonimo di
eresia.
Anche nel caso degli arabi l'elemento rigeneratore non fu un apporto
esterno, ma fu una nuova idea, una nuova fede religiosa, l'Islam. Questa nuova
fede, nata all'interno, dava una
nuova, più accattivante e rivoluzionaria
spiegazione del mondo terreno ed ultraterreno e dell'esistenza dell'uomo e
della sua finalità.
La rinascita di una civiltà, che ha conosciuto antichi splendori, può
avvenire per un nuovo fattore endogene ( Kroeber, 1963: 23-25 ), ma solo se
all'interno di queste civiltà si produce un nuovo elemento coagulante,
fortemente aggregativo che rivoluzioni l'organizzazione sociale e politica e
crei una forte tensione ideale, come i Comuni italiani e la nuova fede
dell'Islam.
Nella rinata democrazia dei
Comuni italiani, ad un livello non dissimile da quello greco, era l'ordine che
ritornava, tenendo conto del disordine medievale, ed era un ordine democratico
in cui l'individuo poteva promuovere, liberamente, il proprio avanzamento
materiale e culturale. E Dall'"ordine scaturì la sicurezza, dalla
sicurezza sorse la curiosità e dalla curiosità la conoscenza " (Hume,
1963: 87 ). Questo fu il processo che si innestò nel XIV secolo in Italia.
" i laici [ che ]... andavano prendendo le redini... anche nel
campo della cultura, erano quei piccoli onesti nobili onnivori per i quali...
erano state apprestate tante scorciatoie verso una cultura universale. Per tale
pubblico, l'università esistente non aveva alcun valore come centro di cultura attiva,
e di conseguenza in questi secoli le università europee entrano in una fase
relativamente sterile della loro storia " ( Hay, 1971: 176 ). Le
università, come esse erano sorte nel XII-XIII secolo, erano centri in cui
predominava una cultura basata ancora e
principalmente sul fatto religioso. Ma esse furono una fucina di inestimabile
valore per la formazione di quei laici delle età successive.
IL laico del XIV secolo è assetato di riconoscimenti personali (
Burckhardt, 1944: 160-170 ), come l'uomo del medioevo li rifuggiva. Questa
significava che ritornava l'individualismo che nel passato era stato negato.
Non c'è più una struttura che tutto ingloba e tutto decide al di sopra
dell'individuo, al quale rimane un solo diritto ( si fa per dire ): quello di
conformarsi ed obbedire all'autorità. Era come nelle civiltà dell'Antico
Oriente, dove l'unica realtà pensante era il tempio con suo re-sacerdote e come
sarà nelle dittature ideologiche del XX secolo, dove un solo partito ( il nuovo
Tempio e la nuova Chiesa ) controlla tutte le manifestazioni dell'uomo e decide
per lui quello che può fare e quello che è eresia. E' il concetto di libertà
che manca in tutte queste sovrastrutture: nel medioevo manca la libertà di
pensiero, cioè manca la libertà di esprimere il proprio pensiero quando esso
non è conforme con il pensiero ufficiale della sovrastruttura universale ed
accettata (la Chiesa);
nell'Antico Oriente e nelle dittature ideologiche del XX secolo manca la
libertà nella sua totalità: ogni piccola sfaccettatura ( economica, di
pensiero, di cultura, ecc. ) è controllata e gestita dalla sovrastruttura.
L'Umanesimo avrà il merito storico di aver abbattuto gli
steccati che la chiesa aveva innalzato attorno alla mente dell'uomo e di
avergli restituito la capacità di far correre il proprio pensiero sui campi
aperti, proprio come avevano fatto i greci. Era naturale che questa rinata
libertà di pensiero si estrinsecasse prima con un rigetto di tutto ciò che
sapeva di costrizione, di chiuso, di limitato. Per questo motivo il rigetto
delle epoche precedenti sarà totale e senza appello. L'alto medioevo era
l'epoca dei secoli bui e la scolastica rappresentava l'epoca delle sottigliezze
dialettiche e del latino barbaro da cui bisognava liberarsi ( Gilbert, 1960: 60
): esse non avevano nulla da dare all'uomo nuovo. Ecco perchè si dovevano
percorrere sentieri nuovi e mai percorsi prima. Senza rendersi conto che in
effetti quest'uomo rifuggiva da un'epoca che era stata la propria nutrice. Egli
era suo figlio, ma non lo sapeva. " La rinascita in realtà, non è mai un
affare improvvisato; essa è sempre il risultato di un lungo processo, e il
Rinascimento fu portato per secoli nel grembo del medioevo " ( Mackie,
1978: 1 ). In sostanza, senza il XII-XIII secolo non ci sarebbe potuto essere
l'umanesimo e, senza quest'ultimo, non ci sarebbe potuto esser il Rinascimento
in generale. La continuità storica non va ricercata nelle conoscenze e nella
metodologia o nelle tecniche, ma va ricercata nei processi mentali e, per questa
via, si può vedere che i tre periodi ( medioevo, umanesimo, rinascimento ) sono
strettamente interconnessi ( Sarton, 1961: 167 ). Quindi si ebbe continuità
senza averne coscienza, anzi negandola. Ed era giusto che fosse così. Per
poterla ammettere, cioè, per poter ammettere che essi erano il prodotto
intellettuale e gli eredi diretti del fermento culturale, filosofico e scientifico del XII-XIII secolo,
gli uomini dell'umanesimo e del primo rinascimento, avrebbero dovuto avere una
struttura mentale ( intelligenza ) che
conoscesse il funzionamento dei processi mentali, cosa che si è acquisita solo
di recente. Tra due epoche contigue non ci può essere una netta cesura. Ci può
essere contrasto, differenza, reazione, ma la seconda è sempre intrisa e figlia
( anche se figliastra, a volte ) della prima.
E tra scolastica ed Umanesimo c'è contrasto e reazione. Mentre la prima
era tutta intrisa di razionalità ed era servita per dare all'uomo un ordine e
un rigore mentale, anche se l'aspetto formale, a volte, ne inficiava i
risultati; il secondo, invece, era intriso di sentimento e di fantasia. Erano
due indirizzi diversi e contrapposti dello spirito umano: quello scientifico,
legato alla razionalità dell'uomo, e quello umanistico, legato al sentimento.
Se vogliamo erano le due culture dell'uomo, quella scientifica e quella
umanistica di cui si parlerà tanto nel XX secolo. Ma erano due dimensioni
presenti nello spirito umano che la storia portava a maturazione. Ed erano due
dimensione di cui l'uomo non può fare a meno. Non può fare a meno della sua razionalità, ma non può fare
a meno neanche del suo bisogno di sentimento.
Il risveglio della ragione nel XII secolo fu un risveglio legato alle
conoscenze scientifiche, come esse provenivano dal mondo arabo. Quest'ultima
civiltà, in effetti, nella sua produzione culturale, aveva privilegiato
l'aspetto filosofico-scientifico e non quello letterario. " L'Islam, erede
dell'antichità classica, entrò in possesso di quel patrimonio con grande
entusiasmo, ma con una sensibilità già formata. Le antiche opere d'arte e
letterarie furono ignorate dagli studiosi mussulmani: Omero, Esiodo, Sofocle ed
Euripide, l'arte e l'architettura greche rimasero un libro chiuso e dimenticato
per l'Islam come per la primitiva Europa cristiana. Ci si rivolse alle opere di
carattere filosofico, scientifico, matematico e medico..." (Singer, 1961:
181-82 ). Gli uomini dell'umanesimo, che rinnegavano tutto il sapere che
proveniva da quello che essi chiamavamo il periodo buio, i secoli
dell'oscurantismo, saltarono a piè pari il periodo precedente per ricollegarsi
direttamente al mondo classico e , per una sorta di reazione inconscia,
privilegiarono non la filosofia e la scienza, ma le humanae litterae.
L'Umanesimo sorge negli ultimi decenni del Trecento come reazione allo
scientismo e alla filosofia della scolastica, che aveva riscoperto l'antichità
classica solo nella filosofia e nella scienza; cioè, aveva preso dall'antichità
classica solo quelle conoscenze che erano legate alla razionalità, che
rinasceva, appunto, allora, dopo un lungo sonno di otto secoli. Ed era naturale
che fosse così. Nel XII e XIII secolo
c'era bisogno di riappropriarsi della ragione, della propria razionalità e questo
si fece. Una volta saziata questa sete. e quando essa incominciava a divenire ( o era già divenuta ) un'arida
pratica di abilità, un arido esercizio mentale, in cui l'argomento, il
contenuto contava poco e tutto era incentrato nella tecnica espositiva, ci fu
una reazione e ci si riappropriò dell'altra metà dello spirito umano: del
sentimento. In questo senso di può parlare di rinascita, come di deve parlare
di rinascita anche per il riappropriarsi della razionalità. Quella del XII
secolo fu la rinascita della razionalità dell'uomo, quella del XIV-XV secolo fu
la Rinascita
dell'umanità dell'uomo.
Con L'Umanesimo si ricostituiva l'integrità dello spirito umano; si
ricostituivano i due fondamentali aspetti della umana personalità: la
razionalità e il sentimento. Ed era naturale che la rinascita della razionalità portasse alla luce, nel XII e
XIII secolo, le opere di carattere filosofico e scientifico del mondo classico,
trascurando completamente le opere letterarie ed artistiche, proprio come la
rinascita del sentimento portò gli umanisti ad interessarsi solo di queste
ultime e questo fu l'indirizzo generale dell'umanesimo. Ma le due parti non
erano in equilibrio: c'era stato uno sbilanciamento, prima, a favore della
razionalità, che escluse il sentimento, e c'è stato uno sbilanciamento, poi, a
favore del sentimento che cercò di escludere la razionalità.
L'Umanesimo ha dato all'uomo una nuova dimensione, anzi antica ( Ullman, 1980: 12-13 ), non conosciuta
nel passato medievale cristiano; l'uomo fatto di carne ed ossa, con il suo
sentimento e con tutte le passioni che questo può suscitare ( Collingwood, 1944: 57 ). "
L'uomo, cioè, determina la propria posizione nella gerarchia dell'essere,
salendo in essa o scendendo secondo la nobiltà o la bassezza di ciò che egli
scelga di conoscere e amare. L'uomo è potenzialmente capace di essere tutto:
può essere orso o leone umano, dominato da crudeltà, lussuria e avidità; o può
tenere il capo fra le stelle, gli occhi fissi a cose celesti e diventare un
angelo umano e persino in certi stati di estasi, con lo spirito in
contemplazione e separato dal corpo, una sorta di dio mortale " (
Garraty-Gay, 1973. II: 499 ). Un Boccaccio, un Petrarca e anche un Dante
sarebbero stati impensabili nelle epoche precedenti.
In questa età c'è la tendenza a raggiungere le più alte vette dello
spirito, ma c'è anche il bisogno di saziare i più bassi istinti. " Questo
stava a significare l'annientamento del dualismo orientale in base al quale la
carne rappresentava una tentazione per lo spirito e al suo posto nacque la
convinzione che quando lo spirito e la
carne sono fusi in un'unica persona, come lo sono nell'uomo, non è un male, ma
un bene " ( Randall, 1940: 115).
La fioritura della cultura che si ebbe in Italia in questo periodo ha
avuto un'origine autoctona, legata alla sue condizioni economiche ed
istituzionali. Il sorgere delle città e la forma di governo democratico che
queste assunsero ( per difendere la quale avevano combattuto contro
l'imperatore prima e contro il papato poi ), avevano fatto sorgere un uomo che
era conscio della propria individualità e del fatto che egli era l'artefice del
proprio destino. Un uomo che ha la capacità di energie immense, che sente il
bisogno di apprendere, che ha il desiderio-aspirazione di scoprire nuove cose,
che sente la necessità di aprire a se stesso nuove frontiere, che ha lo spirito
di avventura ed è disponibile ad intraprendere qualsiasi impresa. E' un uomo,
in sostanza, dotato di " una curiosità infinita " ( Koyrè, 1966: 40 ).
Quest'uomo si era liberato dai pesi che l'avevano oppresso e represso
per secoli, aveva recuperato tutte le passioni umane, con tutte le
contraddizioni di cui si parlava prima, ed era intellettualmente attrezzato per
fare una diversa lettura delle opere classiche, grazie al lavoro degli
scolastici, che avevano iniziato un lavoro di critica del testo che essi stessi
non avevano saputo usare al di fuori del loro campo specifico, che rimaneva
sempre quello teologico. Mentre gli scolastici
ricercavano nel testo le allegorie o le affermazioni che confermavano la
fede, gli umanisti vi ricercavano il sangue e la carne dell'uomo nella sua
interezza e nella completezza delle sue passioni. Ecco perchè gli umanisti si
allontanarono dalla scienza: essi non ricercavano la conoscenza scientifica, ma
quella umana. E questa poteva essere ricercata meglio nella letteratura. Così
essi riportarono alla luce tutta quella letteratura che era stata trascurata
dal VI secolo in poi. A loro Platone, Aristotele, Democrito, Leucippo, ecc.,
avevano poco da dire, ma avevano molto da apprendere da Sofocle, Euripide,
Plauto, Terenzio, ecc.
" Gli umanisti
scoprirono i capolavori letterari dell'antichità e vi si immersero trascurando
ogni altro interesse. Il loro culto degli antichi divenne una moda letteraria e
introdussero nel mondo la funesta consuetudine di una educazione puramente
letteraria. La sterile ricerca della forma distinta dal contenuto, la
pedissequa imitazione puramente esteriore, difetti tipici della letteratura del
tardo impero, furono ripetuti dagli umanisti... Merito reale dell'umanesimo è
di aver reso possibile una completa ricostruzione dello spirito greco;
ricostruzione che esso non era tuttavia in grado di fare e che sarebbe stata
realizzata dalle generazioni successive [ del Rinascimento ] " (Singer,
1961: 181-82 ).
Questo era un uomo il cui scritto doveva essere, per necessità di cose,
non metodico, ma episodico e frammentario, come episodici e frammentari sono
gli impulsi dell'animo umano e della fantasia. " Se approfondiamo il
raffronto tra lo scritto scolastico e quello umanistico... non tardiamo ad
accorgerci che il primo, per quanto invecchiato e farraginoso, ha uno
svolgimento metodico e una struttura sistematica, quali di addicono a
trattazione scientifica, e forma parte di un complesso mentale ben organizzato
e armonioso, a cui ognuno può attingere la risposta ad ogni quesito... Invece,
lo scritto umanistico non esprime più che un atteggiamenti o una tendenza, per
difetto di metodo e di coordinamento, lo spunto nuovo che talvolta vi è
racchiuso si esaurisce presto o è sopraffatto dalle antiche consuetudini
mentali " ( De Ruggero, 1973: 8 ).
Il loro difetto metodico era dovuto al fatto che la loro ricerca era
frammentaria. Essi non avevano un obiettivo da raggiungere. Nei loro intenti
non c'era la scienza, che richiede
precisione, sistematicità e progressione organizzativa delle conoscenze. Essi
non avevano una mentalità scientifica. Anzi la rifuggivano. Quello che a loro
interessava era l'uomo con la sua natura fisica, con i suoi sentimenti. Avevano
una sola consapevolezza: la cultura risiedeva nell'antichità classica ed essi
ne programmarono l'imitazione ( Burdach, 1935: 77 ). E in questo essi erano
nuovi nella storia. Per la prima volta nella storia, un popolo, che si avvia a
diventare grande civiltà, deliberatamente e scientemente programma l'imitazione
della cultura che ritiene superiore e ne fa la propria maestra. Per dire il
vero, all'inizio del movimento, più che di imitazione si può parlare di
ispirazione. Questo fu il grande periodo dei Dante, dei Petrarca, dei Boccaccio
e dei Villani. Ma quando il movimento si fa più maturo, quello che più
propriamente d'ora in poi chiameremo Rinascimento, alla libera ispirazione subentra
una pedissequa imitazione ed i classici diventano una nuova autorità. Così la
storia dell'uomo si ripeteva in forma diversa. Ci si era liberati di una
autorità, quella delle sacre scritture e dei padri della chiesa, che per lunghi
secoli avevano tenuto l'uomo in uno stato di soggezione, per assumerne
liberamente un'altra ( Sarton, 1929: 94 ), quella dei classici, ai quali si
riconosceva una tale autorità che non osavano pensare di poterli superare un
giorno (Toynbee, 1957, I: 232 ). Quello che si poteva fare era soltanto
imitarli nella forma e nello stile. Ma all'inizio del XVI secolo si affaccerà
una coscienza diversa, quando ci si renderà conto che essi erano in grado di
produrre una conoscenza, in tutti i campi, che era sconosciuta ai greci.
Ma, " per tutto il XV
secolo abbiamo davanti ai nostri occhi lo spettacolo... del tralignamento dalla
linea di sviluppo che era iniziata in poesia con Dante e Petrarca e in prosa
con Boccaccio e Villani, per appiattirsi sull'erudizione e nella ricerca antiquaria.
La lingua del Canzoniere e del Decamerone fu abbandonata e al suo fu messo il
rinato latino e il greco appena scoperto. La capacità inventiva fu sopraffatta
dalla ricerca del dato; e l'imitazione degli autori classici spazzò via
qualsiasi originalità di stile.
" Ciò che era ancora peggio, da un punto di vista artistico, è che
questi uomini avevano acquisito e fatto proprio uno stile puerile, una retorica
vacua e uno stupido gusto della citazione. Purtuttavia, all'inizio del XVI
secolo divenne evidente quali nobili frutti la Rinascita delle lettere
stava per portare alla letteratura moderna. Due grandi studiosi, Lorenzo dei
Medici e Poliziano, avevano già fatto ritorno alla pratica della poesia
italiana. Le loro opere sono assolutamente le prime opere moderne, moderne nel
senso di avere assorbito tutta la cultura classica e riprodussero quel tesoro
in una bellezza semplice, naturale ed originale " ( Britannica, 1962, XIX:
126 ).
Se il XVI sarà il secolo in cui l'uomo del Rinascimento incomincerà a
produrre in proprio in tutti i campi, cioè a produrre una conoscenza che
superava il paradigma culturale dei greci, anche se non sarà ancora in grado di
produrne uno proprio, il XV secolo fu il secolo dell'assimilazione attraverso
l'imitazione dei classici. Era un rivivere, in via filogenetica, della
esperienza intellettuale dell'uomo. Se non ci fosse stato questo rivivere, in
forma diversa e più abbreviata, di tutte le acquisizioni intellettuali
dell'antichità classica non si sarebbe potuto riprendere il cammino . Solo dopo
quest'epoca il mondo non ha conosciuto ripercorrimenti e non ha avuto più bisogno di rinascite, ma ha
conosciuto una lunga continuità nello sviluppo intellettuale dell'uomo. Quello
che si vuole dire è che dopo secoli o millenni di inattività intellettuale ,
come è il caso del Rinascimento, non è possibile riprendere il cammino da dove
l'hanno lasciato le civiltà precedenti, ma bisogna ripercorrerlo o riviverlo
come nuova esperienza, con i diversi strumenti di pensiero che nel frattempo si
sono maturati. La scolastica aveva affinato gli strumenti di pensiero e il
Rinascimento li utilizzava per studiare ed assimilare tutta la cultura
artistico-letteraria del mondo greco-romano.
" L'ingenuo e fantastico animismo del Rinascimento ha non poche
affinità con quello della filosofia presocratica. E ritornano infatti in onore
Eraclito, Empedocle i Pitagorici; anzi il pensiero si fa di questo suo
risvegliato interesse, una nuova arma contro Aristotele a cui attribuisce l'insidioso
proposito di avere voluto, nei suoi cenni storici, gettare un'ombra di
discredito e di disprezzo su di essi. Pure, non bisogna lasciarsi ingannare da
certi ravvicinamenti troppo crudi che si riscontrano nelle fonti. Venti secoli
di storia non sono passati invano, contrariamente a quello che amerebbe credere
un'età che neutralizza la storia in una natura sempre identica o sempre
ricorrente come le stagioni. E le rinascenti tendenze animistiche sono in
effetti temperate da un razionalismo più o meno latente, carico di tutti i
pensieri della storia " ( De Ruggero, 1973:140).
Nel Rinascimento non c'è scienza, ma lettere, cultura e arte. Ma non c'è
scienza come mentalità scientifica, cioè come organizzazione rigorosa e
sistematica del pensiero. Eppure il Rinascimento lavorava per affinare le
categorie mentali che avrebbero reso possibile quel pemsiero ad un livello più
alto attraverso l'acquisizione di nuove
conoscenze di base che ne avrebbero costituito le premesse. E non lo
faceva più a tavolino, come era uso nella scolastica, i cui filosofi-scienziati
elaborarono un metodo di ragionamento logico rigoroso che poste certe premesse
raggiungeva sempre certi risultati. Tranne poi constatare che quei risultati
non trovavano una verifica nella realtà, ma erano delle astrazioni della mente.
"... I filosofi medievali prestavano molta attenzione agli astratti
movimenti delle sfere, senza considerare molto la reale traiettoria dei corpi
celesti, e proprio come i logici medievali parlavano di empirismo e di
deduzione in astratto, così i filosofi matematici medievali, sebbene fossero
intellettualmente dotati, svilupparono un calcolo di astrazioni. Essi non
affermavano che i loro teoremi cinematici si applicavano ai movimenti dei corpi
celesti, rendendosi magari conto che in molti casi questo non era possibile.
Dedussero, correttamente, le sequenze che dovrebbero seguire da certe
supposizioni, ma non scoprirono se queste supposizioni fossero fisicamente
valide o no" (Hall-Hall, 1979: 113 ).
Nel Rinascimento, il campo della scienza non era più il tavolino del
filosofo, ma era la bottega d'arte. In effetti, il Rinascimento " non
avrebbe dato i suoi frutti migliori se non avesse avuto alle sue basi, il
lavoro spesso oscuro e ignorato di generazioni di uomini di officina e di
bottega, di maestri attenti all'opera della mano non meno che all'esatta
osservazione dei fatti, avvezzi a costruirsi i propri strumenti, non privi,
però, di una loro cultura matematica, legata alla pratica del disegno e della
perspectiva, ma anche alla misura icastica di brevi assiomi e di essenziali
dimostrazioni " ( Vasoli, XXVIII: 203 ).
L'uomo del Rinascimento ha saputo fare quello che i greci si rifiutarono
di fare: unire teoria e prassi, conoscenza teorica ed applicazione pratica. In
generale, a partire dal XV secolo, l'atteggiamento intellettuale dello studioso
era cambiato; egli rivolgeva maggiore attenzione alle attività pratiche per
farne motivo di riflessione e quindi di conoscenza. Per questo motivo, e sin
dall'inizio, il Rinascimento era destinato a superare l'esperienza greca e dare
allo sviluppo della conoscenza anche un indirizzo scientifico e non soltanto
letterario. Ecco perchè la filosofia, come era conosciuta nel passato, fu
assente in questo periodo.
Questo nuovo atteggiamento
provoca anche il superamento della vecchia concezione della natura, che era
intoccabile e più forte dell'uomo nel mondo greco, diventa oggetto di
contemplazione nell'Occidente cristiano e all'uomo è dato di godere dei suoi
frutti, nel XV secolo essa diventa oggetto di conoscenza a maggior gloria di
Dio per diventare oggetto di dominio durante la Rivoluzione Scientifica
del XVII secolo.
Lo " scienziato " era un artista-artigiano e
l'artista-artigiano spesso diventava " scienziato " che studia,
indaga, analizza, descrive, progetta, inventa, costruisce, ecc. Questo
intergioco tra artista e " scienziato " fu molto importante. Entrambi
producevano una conoscenza che era complementare. L'artista-artigiano era spesso
depositario di dati e di conoscenze che non sapeva spiegare teoricamente. Lo
scienziato aveva bisogno di dati e di conoscenze per formulare le sue teorie.
Ma, comunque, nel XVI secolo chi predomina è l'artista-scienziato tipo Leonardo
da Vinci, Michelangelo, ecc.
Nel XVI secolo si fece tutto questo e si produsse scienza
nel XVII secolo. Ma scienza moderna che non ha nulla a che vedere con la
scienza antica, sia classica che medievale. In sostanza, il Rinascimento fu di preparazione ad una "nuova"
scienza, che superava il livello di struttura mentale dell'età classica ed
iniziava quello dell'era moderna. Il Rinascimento poneva le premesse per
superare il vecchio paradigma dell'intelligenza concreta, tipico dell'età
classica ed islamica, ed entrare nel nuovo paradigma moderno del pensiero
astratto formale. Ecco perchè nel Rinascimento non ci fu scienza. Non ci fu
scienza nel senso moderno. Ma ci fu, eccome !, in un senso diverso e non
consuetudinario del termine. L'esatta osservazione e la descrizione accurata
della natura che avveniva nella bottega d'arte ; la nuova notazione e
l'impetuoso sviluppo della matematica; lo sviluppo della chimica, della fisica,
dell'ottica; lo sviluppo della tecnica; la scoperta della polvere da sparo;
l'invenzione della stampa e la costruzione del metodo induttivo furono le
premesse indispensabili per un nuovo tipo di scienza e queste premesse furono
poste nel Rinascimento.
Non è vero, tuttavia, che la scienza moderna si ha solo perchè si è
conservata la struttura mentale rigorosamente logica della scolastica e che
" senza tale permanenza non sarebbe venuta fuori dall'agitata e caotica
età che consideriamo, [Rinascimento], una scienza moderna, ma una rapsodia di
rappresentazioni slegate e frammentarie " ( De Ruggero, 1973: 9 ). Senza
l'apporto insostituibile del Rinascimento che, con il suo decentramento del
pensiero, anche se caotico, non sistematizzato, non definito, ha consentito di
acquisire quel nuovo abito mentale che, sintetizzato con quello della
scolastica, ha dato origine a una nuova struttura mentale. Non dimentichiamo
che il pensiero della scolastica era fortemente centrato: quello che importava
era il fatto religioso, anche se c'erano delle eccezioni. La scienza moderna e
la nuova sintesi potevano nascere solo con l'apporto di entrambe: la mentalità
sistematica e ordinata della scolastica (pensiero, però, centrato ) e la
fantasia caotica, frammentaria, eterodossa del Rinascimento ( pensiero, però,
decentrato ). Senza questo decentramento del pensiero, di pensiero libero,
operato dal Rinascimento, non ci sarebbe potuta essere una scienza moderna,
almeno in quell'epoca. La scolastica si sarebbe esaurita, come in effetti
avvenne, nelle sottigliezze logiche e dialettiche, che, per gli scolastici, non
lo si dimentichi, erano più importanti dell'argomento stesso del contendere.
La bottega artigiana fu il crogiolo di questa nuova e febbrile attività
( Struik, 1981: 126 ) e le tecniche ne furono il mezzo. Per tutto il medioevo,
l'uomo europeo aveva preso le tecniche
da tutte le parti del mondo. Aveva preso a piene mani da tutte le
regioni del globo ed era perciò diventato depositario di tutto ciò che gli
altri avevano prodotto. Questa fu la sua genialità, perchè attraverso questa
importazione potè associare la tecnica al pensiero speculativo e così fu in
grado di produrre una nuova sintesi. In un primo momento queste tecniche ebbero
modo di svilupparsi in un lavoro artigianale di mera sussistenza. Tuttavia
questa era la premessa affinché, più tardi, queste attività pratiche si
coniugassero con le attività scientifiche. I pratici, come venivano chiamati, e
gli "scienziati" fecero causa comune nel comune interesse (
Ben-David, 1975: 95-118 ), realizzando quello che i greci non seppero fare:
unire le due attività complementari. " Nel XV secolo l'Europa era
tecnologicamente superiore a tutte le altre regioni del globo... questo
sviluppo tecnologico fu l'inizio di una trasformazione della società quale non
era mai avvenuta nella storia " (Cardwell, 1976: 29 ).
L' Europa seppe apprendere ed assimilare, come nessuno aveva fatto
prima, tutta la tecnologia prodotta nel mondo per utilizzarla immediatamente
nel mondo della produzione. Non era un interesse culturale che muoveva l'uomo
europeo, ma un interesse economico. Questa fu la vera rivoluzione della
mentalità. All'interesse culturale di pochi ( Grecia Classica ) verso una
conoscenza che non aveva alcuna attinenza col mondo pratico delle attività
economiche si sostituì l'interesse dei
più verso una conoscenza che riguardava direttamente il mondo della produzione
per ottenerne un vantaggio nella qualità della vita.
Lo sviluppo delle tecniche portava a due conseguenze: una, quella
immediata, portava al miglioramento della qualità della vita attraverso la progressiva eliminazione della
forza motrice animata per sostituirla con quella inanimata; l'altra, meno
immediata, ma molto più importante, portava ad una nuova concezione della
natura che veniva vista come macchina e quindi tutto diventava meccanica (
Cipolla, 1974: 219-225 ). Da questa nuova concettualizzazione della natura
nacquero nuove idee e nuove tecniche, che si dimostreranno indispensabili per
il superamento del vecchio paradigma. Le soluzioni tecniche, per quanto
ottimali e geniali, fino a quest'epoca non troveranno una spiegazione teorica,
la quale poteva venire solo dalla matematica. E l'indagine matematica della
natura fu il vero contributo originale del primo Rinascimento. L'idea della
spiegazione matematica della natura era un'idea che veniva da lontano, ma che
non aveva trovato un' applicazione per duemila anni perchè Aristotele l'aveva
bollata come impossibile. La riscoperta di Platone l'aveva fatta ritornare a
nuova vita e l'artista-artigiano fu il primo che la utilizzò per le sue
ricerche.
" La grande fioritura
della scienza non sarebbe stata possibile se l'èlite della civiltà Occidentale
non avesse raggiunto un certo livello di astrazione. Certamente la rivoluzione
che spazzò via gli errori principali di cui era oberata la fisica non si è poi
prodotta che nel Seicento, tuttavia, tale rivoluzione venne preparata da un
progresso sensibile della matematica avvenuto durante il Rinascimento. Dal 1440
Nicola Cusano sostenne ... che soltanto la matematica consente all'uomo di
raggiungere la certezza e che è la matematica a costituire il fondamento della
fisica " ( Delumeau, 1971: 79 ).
Con gli uomini dell'Umanesimo e del Rinascimento si torna ad una
concezione utilitaristica della matematica propria delle civiltà orientali.
" Come i mercanti ionici di quasi duemila anni prima, essi cercarono di
studiare la scienza e le arti delle più antiche civiltà non solo per
riprodurle, ma anche per assimilarle nella loro società mercantile, che già nel
XII e XIII secolo vide la crescita delle banche e gli inizi di una forma di
capitalista di industria " ( Struik, 1981: 11-112 ). L'esperienza della
Grecia classica, di una matematica puramente teorica e fine a se stessa, viene
messa da parte definitivamente. La rinascita della matematica era iniziata nel
XIII secolo con Leonardo Pisano, detto Fibonacci, il quale si può considerare
il Talete dell'incipiente Umanesimo. Egli imparò attraverso i suoi viaggi nel
mondo arabo, la summa allora conosciuta del sapere matematico ed introdusse per
primo in Occidente il sistema metrico decimale, " la meraviglia degli
adulti di allora e croce e delizia dei ragazzi d'oggi " (Durant, 1950, IV:
990 ).
" Fino agli inizi del '500, gli studiosi avevano ritenuto
inconcepibile sviluppare una nuova teoria, che non fosse già stata appannaggio
degli antichi e degli arabi: ma gli algebristi italiani della scuola di Bologna
riuscirono a sfatare questa convinzione, determinando la formula risolutiva
delle equazioni di terzo grado. Tale scoperta costituisce infatti un risultato
veramente nuovo rispetto alle conoscenze dei greci e segna l'inizio di un
periodo di ricerca che praticamente non ha avuto più soste " (Durant,
1950, IV: 978 ).
In effetti, é in questo periodo che si superano le conoscenze dei greci
in tutti i campi dello scibile umano, ma ancora non si era prodotto il nuovo
paradigma o livello di struttura mentale. Esso si produrrà solo nel XVII
secolo.