C A P I T O L O
II
LA
SCOPERTA DELL'INDIVIDUO
L'uomo, sin dal suo sorgere, ha sentito l'esigenza di dare
un'interpretazione globale dell'universo nel quale era inserito con una qualche
forma di coscienza ( Fritz, 1988: 13 ). Questa interpretazione non è stata mai
univoca nella storia. Essa fu sempre strettamente connessa con gli strumenti
intellettuali che l'uomo possedeva. Nelle civiltà dell'Antico Oriente, l'uomo
non era ancora intellettualmente equipaggiato per dare una spiegazione
razionale dell'universo. Egli poteva solo darne
una giustificazione attraverso l'immaginazione ( mito ). La natura era
giustificata con l'intervento degli dei che tutto avevano creato dal caos
primitivo. La spiegazione, invece, avrebbe richiesto un lavoro di analisi, che
presupponeva il possesso di strumenti di pensiero che erano impensabili nel suo
livello di struttura mentale. La giustificazione, invece, non richiedeva alcuna
analisi, ma richiedeva solo il racconto di come le cose erano avvenute E a questo provvedeva il mito, che è
proprio della mentalità analagica-immediata antropomorfica. La spiegazione si
poteva avere solo se si possedevano, almeno, le tre categorie principali del
pensiero razionale: ordine, definizione e generalizzazione
Ma queste civiltà non rifletterono mai
( Wiener-Noland, 1957: 5 ) sui processi che avevano seguito per
raggiungere una nuova conoscenza o una nuova tecnica. Esse erano soddisfatte
del risultato finale, che serviva loro per uno scopo pratico
Nella matematica, per esempio, da cui possono essere tratte le tre
categorie mentali di ordine, definizione e generalizzazione, esse avevano
raggiunto una conoscenza che non sarà superata dai greci
anzi quest'ultimi saranno al di sotto di esse
Eppure esse non rifletterono mai un momento per domandarsi " perchè il triangolo isoscele aveva due
angoli uguali? Perchè l'area di un triangolo era uguale alla metà di un
rettangolo di base ed altezza uguali? " ( Struik, 1981: 53 ). Perchè
l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa era uguale alla somma dei quadrati
costruiti sui cateti ( che più tardi, ma molto più tardi, sarà chiamato teorema
di Pitagora )?
Al perchè delle cose e dei fenomeni esse non erano interessate. Esse
erano interessate, per esigenze esclusivamente pratiche, al come una cosa o un
fenomeno avveniva. L'ordine, la definizione, la generalizzazione, la
teorizzazione erano al di fuori del loro pensiero, che era figurativo e, cioè,
percettivo, imitativo e fantastico: esso poteva comprendere la realtà nella sua
staticità: l'essere della cose. Il pensiero figurativo opera sui singoli casi. Esso è ancora
centrato, se vogliamo usare un termine piagetiano. Le relazioni d'insieme, le
trasformazione appartengono al pensiero operativo che esse non raggiungeranno
mai, anche se avevano preparato le condizioni per farlo. La massa di conoscenze
che esse avevano accumulato in tutti i campi contenevano tutte le informazioni
da cui, più tardi, i greci trarranno un sapere qualitativamente diverso. Queste
civiltà, se vogliamo dirlo in altri termini, rappresentano il contenuto della
forma che i greci daranno alla conoscenza: il pensiero operatorio, che parte
dalla realtà concreta per operare su di essa e ricavarne nuove conoscenze
Le civiltà dell'Antico Oriente erano rimaste vittime del livello di
struttura mentale che esse stesse avevano maturato in millenni di storia.
Elaborato il primo paradigma culturale che la storia conosca, nel primo
millennio della loro storia, esse ne rimasero prigioniere per tutto il resto
della loro esistenza come civiltà e divennero, di conseguenza, incapaci di
ulteriore sviluppo. Esse non varcarono mai la soglia dell'intelligenza
pre-concettuale. Nelle iscrizioni delle primissime (come delle ultime) dinastie
in Egitto, o nelle iscrizioni dei popoli che si avvicendarono, nei millenni, in
Mesopotamia, troviamo sempre un elenco delle opere fatte, o dei fatti accaduti,
esposti in modo narrativo e senza la benchè minima riflessione su di essi: sono
singoli fatti messi uno accanto all'altro senza un collegamento d'insieme tra
di loro. La loro attività intellettuale non andava oltre la semplice
riproduzione dei dati dell'esperienza percettiva. Le informazioni che esse
ricavavano dalla loro attività quotidiana, o dalla loro esperienza di vita, non
venivano organizzate e sistematizzate, ma venivano sistemate una accanto
all'altra ( sincretismo ) senza alcun ordine, il cui concetto era loro
estraneo.
L'attività di pensiero, intesa come riflessione sui dati acquisiti per
dare loro un ordine, una classificazione, per dare loro una definizione o
metterle in relazione, era completamente assente. Nella loro esperienza di
millenni, esse non riuscirono a maturare i concetti che le avrebbero messe in
grado di riflettere sulla loro esperienza e cosi maturare un secondo livello di
struttura mentale. Eppure, nelle conoscenze che esse avevano acquisito e
prodotto questi concetti erano insiti, ma esse non seppero cavarli fuori.
" Esse potevano risolvere correttamente equazioni complesse, ma sempre in
termini numerici, e sempre con esempi concreti, poiché non possedevano la
nozione di generalità. Secoli dopo, i loro risultati furono usati dai
matematici greci che avevano inventato i metodi generali " ( Hall-Hall,
1979: 12 ).
Il passaggio dalle antiche civiltà d'oriente al mondo greco è
caratterizzato dalla progressiva maturazione di un nuovo livello di struttura
mentale o intelligenza. Dal mondo del mito si passa, gradatamente e nei secoli,
alla realtà del pensiero razionale. Con i greci incomincia, per la prima volta
nella storia, la riflessione cosciente sui dati della conoscenza. Non che
l'uomo delle civiltà precedenti non riflettesse, ma egli non ne aveva
coscienza. I pensieri si presentavano semplicemente ed egli non si chiedeva
perchè e come si presentassero. Con Omero, invece, vediamo che i suoi
personaggi sono coscienti di pensare e di riflettere, anche se non hanno ancora
maturato il concetto della soggettività e, quindi, credono che il loro
pensiero, la loro riflessione sia dettata da un dio che vuole e consiglia che
essi seguano una data linea di azione a loro più confacente. Nella poesia epica
e in quella lirica ( vedi Esiodo ) l'individuo non ha ancora maturato il
concetto di soggettività. Se egli pensa e riflette è perchè un dio ( Omero ) o
le muse ( Esiodo ) pensano e riflettono per lui ( Snell, 1953: 177 ). Solo con
la poesia tragica ( nel V secolo ), l'uomo matura il concetto di soggettività
e, quindi, se pensa e riflette, lo fa in prima persona, senza la
intermediazione di alcuno. E' da questo momento che nasce la vera individualità
autonoma ed indipendente. Gli dei esistono, ma essi, pur influenzando il corso
degli avvenimenti umani, vivono in una sfera loro propria e sono anch'essi
soggetti alla stessa legge degli esseri umani: il fato, contro il quale essi
sono impotenti come gli uomini.
A differenza dei babilonesi e degli egiziani, che si incamminarono sul
sentiero della conoscenza per esigenze esclusivamente ( o preminentemente )
pratiche, i greci diedero vita al pensiero speculativo, non necessariamente
finalizzato ad una esigenza pratica. Essi tentarono di andare al perchè delle cose e del mondo per fini
squisitamente conoscitivi ( Michel, 1963, I: 181 ). Mentre i dotti babilonesi
ed egiziani appartenevano ad una corporazione, o casta, inserita nella mappa
del potere dello stato ( sacerdoti, ecc.
), e il sapere era gestito direttamente, ed esclusivamente, da questo potere, i
greci erano delle individualità o, in termini volgari, cani sciolti, che non
perseguivano fini di potere, ma rispondevano, nella ricerca della conoscenza,
soltanto a moti interiori che li spingevano sempre più avanti nella
speculazione. Essi non ponevano "
limiti al loro campo di indagine. Talete era contemporaneamente medico,
matematico, astronoma e geografo "
( Michel, 1963, I:181). A queste due considerazioni se ne aggiunge
necessariamente una terza: i due diversi tipi di organizzazione della ricerca
erano legati alle due differenti organizzazioni politiche. Autoritaria ed
autocratica la prima, dove l'individuo non esiste ( Barbu, 1960: 62 ),
democratica la seconda, dove l'individuo, non solo esiste, ma è al centro del
mondo e può liberamente promuovere la propria formazione spirituale, politica e
scientifica.
" La civiltà greca ha svolto un ruolo decisivo nel determinare
nell'uomo la presa di coscienza della propria dignità. Negli stati più antichi,
gli uomini sono, fondamentalmente, i servitori del capo dello stato, e la
dignità che si riconoscono è semplicemente la partecipazione al prestigio del
capo. Il cittadino degli stati greci, al contrario, è cosciente di possedere
una dignità in quanto membro di un gruppo organizzato, retto da determinate
leggi, valide per tutti gli uomini liberi, a esclusione degli schiavi. Egli non
è più servo di un uomo, ma viene ad essere sottomesso a una legge " (
Denis, 1973, I: 20 ).
I greci erano delle tribù indoeuropee che invasero la Grecia in due ondate
successive: gli Achei, nel XV secolo a.C., e i Dori, nel XII. Gli Achei si
stabilirono in Tessaglia, da dove, alcuni sostengono, fossero originari, e nel
Peloponneso, da dove cacciarono gli Achei, che si stabilizzarono in Attica.
Entrambe le tribù erano di stirpe ariana ed avevano gli stessi usi e
costumi dei germani dei tempi dell'impero romano. Una di queste tradizioni
voleva che la vita comune fosse regolata dall'assemblea generale dei guerrieri
in armi. Da qui si sviluppò, successivamente, la polis e la democrazia. Essi
avevano lo stesso spirito dei germani ( Guthrie, 1926, II: 859 ): prima
assimilavano la cultura e la lingua della civiltà conquistata e poi su questa
innestavano le loro tradizioni, che erano di natura politica: gli affari comuni
erano risolti in comune.
In mezzo a loro non c'era una casta sacerdotale o un re che fosse stato
investito del potere da un dio. Il potere, tutto il potere, era appannaggio
dell'assemblea generale e veniva distribuito secondo le necessità. Il re era
elettivo ( Andrewes, 1962: 17 ). Questo fu il carattere fondamentale della
civiltà greca: il potere era democratico, mentre nelle civiltà dell'Antico
Oriente era autocratico. La civiltà greca nasce, sin dalle origini (
Gschnitzer, 1988: 73-75 ), come una civiltà di individui, mentre nelle altre
civiltà l'individuo non esisteva; esisteva solo la massa.
La civiltà greca è potuta sorgere e fiorire perchè essa era costituita
da tante piccole città-stato contigue e relativamente sviluppate. Tra di loro
si stabili, quindi, una gara di emulazione. E queste citta-stato avevano una
caratteristica fondamentale comune: la discussione ( Hume, 1963 ). Ogni
problema comune veniva dibattuto e discusso in assemblea (Vernant, 1962:3).
Questa pubblicità degli atti politici si estese al pensiero privato. Tutto
veniva comunicato e dibattuto. Così venne meno la gelosa custodia del sapere,
da parte di una classe ristretta di sacerdoti e funzionari di stato, come nelle
antiche civiltà, e tutto diviene motivo di dibattito, di confronto e di
confutazione. Il sapere, da divino, come era considerato nelle antiche civiltà,
diventa umano e come tale può essere messo in discussione. La sua validità era
espressa dal consenso ( Vernant, 1981: 89 ). "... Le ... contese ed i ... dibattiti aguzzarono le menti degli uomini:
una grande varietà di argomenti veniva comunicata per la ricerca del consenso,
mentre ognuno cercava di prevalere sugli altri; e le scienze, essendo libere da
qualsiasi forma di autoritarismo, fecero conquiste così rimarchevoli che
persino oggi esse suscitano la nostra ammirazione " ( Hume, 1963 ).
I greci erano facilitati alla riflessione, inoltre, perchè avevano
sviluppato una capacità espressiva, orale e scritta, superiore a quella delle
civiltà precedenti, le quali erano rimaste attaccate alla scrittura cuneiforme
e geroglifica. I greci avevano adottata, migliorandola, la scrittura alfabetica
inventata dai Fenici. Le grandi conquiste intellettuali che essi fecero furono
dovute anche alle grandi possibilità fornite da questa lingua, che essi avevano
costruito, molto complessa ed in grado di esprimere qualsiasi concetto: cosa
che non potevano fare nè gli egiziani, nè i babilonesi. Così, anche se le
grandi idee giacevano nella cultura della Mesopotamia e dell'Egitto, solo i
greci potevano esprimerle ( Burckhardt, 1963). Con l'invenzione dell'articolo
determinativo essi erano in grado, non solo di generalizzare il sostantivo ( il
leone ), ma anche di sostantivizzare l'aggettivo e il verbo e, quindi, erano in
grado di esprimere, oltre ai concetti concreti, attraverso la generalizzazione
del sostantivo, anche i concetti astratti ( il caldo, il freddo, ecc. ).
Un altro elemento che
contribuì notevolmente allo sviluppo della loro libertà di pensiero fu il
rapporto che essi stabilirono con la divinità. Nelle civiltà dell'antico
oriente, l'uomo era stato creato dagli dei che lo tenevano in uno stato di
soggezione e subordinazione completa. In Grecia, invece, gli dei non hanno
nulla a che fare con gli uomini. Tra di dei e l'uomo, in Grecia, non c'era un
rapporto di subordinazione, ma c'era un rapporto di sottomissione ad una
potenza più vasta ( Ehrenberg, 1973: 23 ), il che non escludeva, però, la
partecipazione di entrambi a momenti di vita comunitaria, come testimoniano gli
esempi di dei che entrano in contatto con gli uomini per esigenze diverse (
Frankfort, 1951 ). Nei greci, il divino non è sentito come il signore assoluto
che, con la sua potenza, annienta l'uomo, che è suo servo, ma è sentito come
una naturale alleanza tra due potenze ( Snell, 1963 ).
Gli dei greci esigono rispetto e richiedono sacrifici, ed è interesse
dell'uomo averli come protettori o alleati al proprio fianco. Essi non hanno
creato il mondo, nè tantomeno gli uomini, come nelle civiltà orientali, ma
furono essi stessi creati insieme agli uomini ( Frankfort, 1951: 249 ). Essi,
perciò, non potevano dare all'uomo nessuno verità definitiva sulle cose del
mondo perchè non la possedevano. Erano essi stessi soggetti al fato,
all'imponderabile. La verità ultima sull'origine del mondo, gli uomini dovevano
cercarla da soli, con le loro capacità ( Snell, 1963: 309 ).
Questo costituiva un'evoluzione intellettuale notevole. C'era,
praticamente, un'inversione di tendenza per quanto riguardava il mondo degli
dei e dell'organizzazione sociale degli uomini. Mentre nelle civiltà
dell'Antico Oriente si ha una certa forma di democrazia tra gli dei, i soli ad
avere riconosciuta una piena individualità, e una sorta di gerarchia
teocratica ( monarchica )
nell'organizzazione sociale, nel mondo greco avviene il contrario: si
stabilisce una sorta di gerarchia monarchica tra gli dei, in cui troneggia
Zeus, la cui potenza supera quella di tutti gli altri dei
(Detienne-Vernant,1974:279 ), e si diffonde una forma di democrazia
nell'organizzazione sociale, in cui l'individuo tenderà ad affermarsi come
valore insostituibile.
Nelle civiltà antiche, il valore fondamentale era l'obbedienza. Gli dei
avevano creato l'uomo per servire ed obbedire. Questo servizio e questa
obbedienza erano dovute ai loro re-sacerdoti in terra. Nel mondo greco, sin dalle
origini, le cose stavano diversamente. Era la stessa organizzazione sociale che
dava al singolo un uguale potere nell'assemblea del clan, per cui chi aveva un
proprio pensiero, e lo sapeva esprimere, aveva maggiore possibilità di
affermarsi ( Vernant, 1962: 40-41 ). In queste occasioni la lingua diventava
uno strumento di potere (
Gschnitzer, 1988: 78 ).
Per i greci il mondo fisico
non è stato creato dagli dei, come si supponeva nel mondo antico. Esso esisteva
nei suoi elementi essenziali che, per trasmutazione ed aggregazione, hanno
creato la realtà del presente. Questa confusa coscienza della diversità del
mondo fisico, porterà i greci ad affermare, nel tempo, la proprio distinzione
dal mondo fisico. Nelle civiltà dell'Antico oriente, l'uomo si confondeva con
la natura di cui era parte integrante: egli non era il soggetto dell'azione;
era il dio che agiva dentro di lui. Con i greci dell'età arcaica (Omero, Esiodo
) egli divenne il soggetto dell'azione, ma era ancora il dio che lo guidava e
lo consigliava. Nel V secolo a. C., infine, con l'affermarsi della tragedia,
egli divenne padrone del proprio destino, prendendo coscienza di essere il
soggetto ultimo delle proprie azioni, dei propri pensieri e dei propri
sentimenti, ed affermando la propria individualità come distinta dal mondo
fisico ( Barbù, 1960: 72-88 ).
Le tappe fondamentali della crescita intellettuale dell'uomo greco, e
del suo passaggio dal mondo del mito al mondo della razionalità, che lo
portarono a porre le basi di tutto il pensiero della civiltà Occidentale,
furono le seguenti: dall'uomo massa delle civiltà dell'Antico Oriente alla
individualità dell'uomo greco; dalla individualità alla coscienza di sè e alla
trasmutazione delle sostanze; dalla coscienza di sè alla capacità di intuire,
generalizzare, dedurre, indurre, ecc. ( formazione del pensiero razionale );
dalla razionalità alla costruzione di teorie e sistemi. E queste sono le tappe
che anche noi ripercorreremo in questo studio per capire come si sia svolto
questo processo che ha dato all'uomo un potere immenso sul mondo fisico.
Il momento del trapasso tra le civiltà dell'Antico oriente e la Grecia del V secolo a. C.,
che è il punto nodale di tutto il processo, in quanto appare, per la prima
volta nella storia, il pensiero razionale, è rappresentato dal sorgere della
grande poesia epica di Omero e la poesia lirica di Esiodo e Pindaro.
Nel mondo di Omero sono ancora gli dei che determinano la vita e
l'azione dell'uomo. Ma non sono più gli dei della civiltà dell'Antico Oriente,
che hanno un potere assoluto sugli uomini. Gli dei di Omero appartengono alla
stessa razza dell'uomo, come dirà più tardi Pindaro, e furono creati entrambi
dal primordiale Okeanos, il Kaos primordiale delle precedenti civiltà. Pur
ricollegandosi direttamente alla mitologia delle antiche civiltà, Omero se ne
distaccava e la correggeva in un punto fondamentale: la materia, che, per lui,
era increata e impersonale e dava origine agli dei e agli uomini insieme. Per le antiche civiltà. invece, dal Kaos
primordiale sorsero prima le divinità,
che erano la personalizzazione degli elementi stessi della materia: il cielo,
la terra, le acque, ecc. ... e solo successivamente vennero creati, e da questi
ultimi, gli uomini. Per Omero, la materia primordiale non è deificata: è
l'origine di ogni cosa, ma essa non ha nulla di divino.
Gli uomini prima di Omero sono in balia di forze selvagge e demoniache.
" Ma già dagli eroi dell'Iliade non si sentono più in balia di forze
selvagge, ma affidati ai loro dei dell'Olimpo, che costituiscono un mondo ben
ordinato e significativo. Evolvendosi, i Greci completano la conoscenza di sè e
per così dire assorbono nel loro spirito umana quest'azione divina " ( Snell, 1963: 46 ), che ancora con
Omero ed i poeti lirici temevano di attribuirsi. La loro dipendenza dal mondo fisico era
tanta grande da non avere coscienza delle proprie forze e delle proprie
capacità e quindi le attribuivano alla benevolenza di qualche dio. Fino al VI
secolo a. C., la coscienza delle proprie capacità, dell'indipendenza delle
proprie azioni e della propria volontà appartiene solo agli dei. Gli uomini
hanno, fino ai grandi poeti tragici del V secolo, solo la coscienza che tutto
avviene perchè predeterminato dagli dei
( Snell, 1963: 55 ).
Il mondo degli dei è stato per i greci la idealizzazione della propria
organizzazione sociale ancora embrionale. Dopo averla idealizzata la presero a
modello ( Ehrenberg, 1973: 34 ). L'individuo, scoperto dai greci, è il prodotto
di questa evoluzione. Nel mondo antico solo gli dei avevano l'individualità. I
greci la attribuirono anche agli uomini e si fermarono qui. L'uomo, come
portatore di diritti, non fu scoperto e non poteva esserlo: per scoprirlo
bisogna aspettare i cristiani. " I Greci e i Romani... non sapevano nulla
circa il concetto dell'uomo come uomo che è nato libero, che egli è libero...
sebbene esso sia alla base del loro diritto. I loro popoli lo sapevano ancora
meno. Essi in realtà sapevano che un cittadino ateniese, un cittadino romano...
è libero, che vi sono liberi e non liberi. Proprio per questo essi non sapevano
che l'uomo è libero in quanto uomo: l'uomo in quanto uomo, l'uomo in generale,
tale quale il suo pensiero lo comprende ed egli stesso lo comprende " (
Hegel, 1941: 180 ). Il concetto di cittadino matura prima del concetto di uomo.
Per Aristotele lo schiavo non era un uomo, ma una macchina intelligente al
servizio del cittadino. I greci, comunque, fecero un notevole passo avanti in
questa direzione, rispetto alle antiche civiltà, scoprendo l'individuo e il
cittadino, ma solo quest'ultimo era portatore di diritti.
" Il tipico individuo greco fiorì nell'età della polis, della
città-stato, con il cristallizzarsi di una classe borghese. Nell'ideologia
ateniese lo stato veniva prima dei cittadini ed era superiore ad essi. Ma
questo predomino della polis facilitò, anziché ostacolarlo, il fiorire
dell'individuo: portò un equilibrio tra lo stato ed i suoi membri, tra libertà
individuale e benessere comune, in nessun luogo illustrato con più eloquenza
che nell'orazione funebre di Pericle. In un passo famoso della Politica ( VII,
7, 1327 B ), Aristotele descrive il 'borghese' greco come un individuo che
possedendo insieme il coraggio dell'europeo e l'intelligenza dell'asiatico -
cioè combinando la capacità di autoconservazione con la riflessione - ha
imparato a dominare gli altri senza perdere la propria libertà. La razza
ellenica, dice Aristotele, ' se potesse darle forma di stato, dominerebbe il mondo
'. Più di una volta, nei momenti di massima fioritura della cultura urbana per
esempio a Firenze nel quindicesimo secolo si raggiunse un analogo equilibrio di
forze psicologiche. Le fortune dell'individuo sono sempre state legate allo
sviluppo della società urbana: l'abitante della città è l'individuo per
eccellenza " ( Horkheimer, 1969: 115 )
Le grandi individualità incominciano ad apparire nel mondo di Omero : Ettore, Achille, Agamennone, Ulisse, ecc.,
contro l'anonimato delle civiltà dell'Antico Oriente. Queste grandi
individualità sono i titolari dell'azione, ma non ancora gli ispiratori. Tutto
è stato mosso ed è mosso dagli dei, che determinano la condotta dell'uomo. La
forza interiore che l'uomo sente di avere, la forte volontà che si sprigiona in
lui, non sono il suo prodotto, ma sono il prodotto di un dio, a cui egli è
devoto, che ha così deciso e così si è determinato.
Di queste grandi individualità eroiche, che stanno tra gli uomini e gli
dei ( il popolo, la gente comune non ha volto ) sappiamo tutto: la loro
origine, la loro condotta di vita, il loro destino, la loro discendenza, le
loro passioni, i loro pensieri ( che
sono però determinati dagli dei ). Ma non sappiamo ancora nulla sul loro
cantore Questo primo attore continua la
tradizione delle antiche civiltà: è anonimo e senza volto, nè storia. E' nato
dal nulla e nel nulla è rimasto. Aveva creato gli dei, aveva donato
l'immortalità ai suoi eroi, ma non aveva ancora maturato la coscienza che
anch'egli era un attore, e di prima grandezza, che rimaneva legato, nel
successo o nell'insuccesso, alle sue creature e alla loro storia.
Esiodo, il grande poeta lirico
sarà il primo attore cosciente, la prima individualità umana ( gli eroi di
Omero sono semidei ) che avrà un nome e una storia, il primo che " ci
parla di se stesso nel suo grido di dolore " ( Starr, 1969: 269 ), ma non
avrà la coscienza di essere lui a creare le sue storie: saranno le muse che lo
faranno per suo tramite. E in questo egli apparteneva allo stesso mondo di
Omero. Ma egli forgerà, inconsapevolmente, degli elementi nuovi nelle categorie
del pensiero che spingeranno nella
direzione, già intravista in Omero, della presa di coscienza di sè e
della costruzione del pensiero razionale.
Il pensiero razionale, la grande conquista del mondo greco, cresce e si
sviluppa per tappe. Esso non sorge d'incanto, come "... una decisiva e
definitiva rivelazione " ( Vernant, 1982: 383 ), ma attraverso un processo
lento e graduale in cui si formano, nel tempo, i suoi vari elementi, i quali
seguono un ordine sequenziale; cioè, la conquista, la scoperta, la maturazione
di un nuovo elemento è la premessa necessaria ed indispensabile per maturare
quello successivo. In Esiodo troviamo chiaramente espressi, ma non
coscientemente formulati, i primi due elementi di questo processo: i concetti
di ordine e di classificazione. Il concetto di generalizzazione anche se si evince nel suo Le opere e
i giorni, non si è ancora materializzato come si sono materializzati i due concetti precedenti, espressi nella Teogonia.
Esiodo fu l'ordinatore del mondo degli dei. Tuttavia, egli continuava la
tradizione dell'Antico Oriente della ricerca delle origini attraverso la
costruzione mitopoietica, ma utilizzava strumenti diversi dai suoi predecessori
( sincretismo ). Egli raccoglie tutto quello che si conosce sugli dei e ne
forma un unico panteon, dove ogni dio è collocato secondo un certo ordine e
classificato secondo il suo rango, la sua dignità e la sua potenza. La Teogonia ( = genealogia
degli dei ) di Esiodo non è una novità assoluta. Anche nelle civiltà
dell'Antico Oriente esistevano delle genealogie degli dei, ma esse erano un
semplice elenco di nomi, con i poteri connessi, che non si eleverà mai al
concetto e al rango di ordine, come farà, invece, la Teogonia di Esiodo,
quando si prenderà coscienza che quella successione di dei crea un ordine. Da
questo concetto di ordine scaturirà, in un secondo momento, il concetto di
logica (che Esiodo non possedeva), quando l'uomo maturerà la coscienza di sè
come individualità pensante e spingerà. quindi, la divinità, che prima pensava
per lui, verso lo sfondo. Ma questo è un processo graduale. L'uomo dapprima
aveva avuto paura di attribuire a se stesso tutti i moti dell'animo e le passioni
che lo animavano e li attribuì alle divinità. Ma, man mano che affinava il suo
modo di pensare, si riappropriava di tutte le funzioni che aveva attribuito
alla divinità. E incominciò con i moti dell'animo, con i sentimenti più
profondi. La formazione dei concetti astratti, quali il bello, il buono,
l'onestà, la giustizia, emancipano sempre di più l'uomo, che prende coscienza
della sua libertà, e gli dei, che prima erano detentori di questi concetti,
vengono sempre più sublimati (
Snell, 1963: 69 ). Questi concetti astratti furono formulati per la prima volta
dai poeti lirici. In sostanza, la poesia epica di Omero e quella lirica di
Esiodo ed i poeti lirici (Pindaro, Saffo, Archiloco, Anacreonte, ecc.)
fornirono ai primi filosofi, che dovevano arrivare da lì a poco, gli strumenti intellettuali e linquistici, le
categorie mentali, i concetti astratti e la capacità di definizione. Questi
sapranno aggiungere il resto, decentrando ulteriormente il loro pensiero (
Snell, 1963: 86-87 ).
I filosofi naturalisti della costa Ionica, i primi " grandi
prosatori greci " ( Vernant, 1981: 194 ), pur continuando la tradizione
ereditata dai loro predecessori greci ed orientali, spostarono il problema
della ricerca delle origini dal mito
alla ragione. Le origini del mondo, per loro, non dovevano essere giustificate
con un atto di fede ( mito ), ma dovevano essere ricercate attraverso un atto
della ragione ( Frankfort, 1959: 250-51 ). L'elemento nuovo, che essi
introducono nell'evoluzione del livello di struttura mentale, consiste proprio
nel fatto che essi correggono il mito e al posto di un dio, la cui
giustificazione era un atto dell'immaginazione, mettono un elemento della
natura ( Snell, 1963: 325 ), la cui giustificazione
era un atto della ragione.
I filosofi naturalisti del VI secolo a. C. erano al bivio di due mondi:
quello orientale, animista, e quello sorgente della Grecia, razionalista. Ed
essi furono figli di entrambi. Le loro non sono spiegazioni scientifiche, nè
razionali, come alcuni erroneamente credono. La razionalità era di là da
venire. Essi possedevano un pensiero intuitivo ( Frankfort, 1959: 252-53 ).
Tuttavia, essi si lasciavano alle spalle, in via definitiva, l'assimilazione
egocentrica (= strutturazione della realtà attraverso l'immaginazione, mito )
delle antiche civiltà orientali per incamminarsi verso l'assimilazione
razionale (= strutturazione della realtà attraverso la ragione ). Essi si
possono intendere come gli ultimi di un mondo vecchio che scompare ed i primi
di un mondo nuovo che sorgeva. Essi
furono, comunque, portatori di un pensiero razionale allo stato nascente,
" anche se ancora non esplicitamente formulato " ( Finley, 1973, IV:
46 ).
Questi filosofi non mutarono molto nell'atteggiamento culturale rispetto
alle antiche civiltà. Essi erano sempre interessati al mondo fisico, di cui si
sentivano di fare parte. Ma questa loro partecipazione non era più assoluta,
nel senso che essi si confondevano col mondo della natura. Essi avevano preso
coscienza di essere una realtà distinta, anche se non completamente. Essi
cercavano le loro spiegazioni, non più nel mondo del soprannaturale, coma
avevano fatto le antiche civiltà, ma le cercavano nel mondo fisico che essi
potevano osservare concretamente ( Barbu, 1960: 113 ), anche se la loro
impalcatura di pensiero non mutava molto rispetto a quella delle civiltà che li
avevano preceduti. Essi correggevano solo un aspetto: passavano dal divino al
naturale. Ma la ricerca era identica; le domande erano identiche ( Gomperz, 1957: 24 ). Essi volevano sapere
il perchè dell'esistenza del reale. Ma lo spostamento, che essi avevano
operato, era rivoluzionario perchè avrebbe condotto a rivoluzioni
inimmaginabili.
Le prime civiltà, con la spiegazione divina dell'esistente, avevano
condannato l'uomo ad una subalternità nel reale. I filosofi Ionici, invece,
seppure timidamente, con la loro spiegazione umana del mondo, avevano posto le
premesse per fare dell'uomo, nei secoli e nei millenni, il re dell'universo, il
vero dio del mondo reale.
Tra il mondo antico orientale e il mondo greco non ci fu rottura, ma una
lenta evoluzione, in senso filogenetico, dei livelli di struttura mentale
dell'uomo. I greci delle colonie greche dell'Asia Minore furono gli eredi delle
grandi civiltà del mondo antico orientale. " Che la scienza greca, come la
civiltà greca nel suo insieme, fosse fortemente indebitata alle più antiche
civiltà del Vicino Oriente è ormai certo " ( Farrington, 1980: 13 ). In
effetti, le città costiere ioniche costituivano il punto di incontro della
summa di tutte le esperienze e di tutte le conoscenze che l'umanità aveva
accumulato fino a quel punto (
Rhode, 1925: 362 ). Essi aggiunsero solo quello che era originale allo spirito
greco: la voglia di conoscere, di sapere
( Guthrie, 1986: 85 ). E, per loro, la conoscenza si acquisiva solo in
due modi: o essendo presenti sul posto o attraverso il racconto di testimoni
oculari. Sin dai tempi di Omero e di Esiodo, si pensava che la conoscenza fosse
riservata solo agli dei perchè essi erano presenti in ogni luogo e, quindi,
'vedevano tutto'. L'uomo non aveva
questa capacità di ubiquità e, allora, riceveva la conoscenza dagli dei.
Ecco perchè i greci intraprendevano viaggi in tutto il mondo conosciuto.
Per acquisire conoscenze, essi dovevano
vedere. " Di Solone...
Erodoto racconta che, dopo aver dato le leggi agli ateniesi, si mise a
viaggiare per il mondo unicamente a scopo di teoria, e cioè solo per vedere il
mondo: e fu, quindi, il primo a cercare di realizzare l'ideale di conoscenza
rappresentato dalle Muse di Omero " ( Snell, 1963: 422-23 ).
I greci fecero un po' come faranno più tardi gli inglesi, che
diventeranno dei globetrotters per vedere le conquiste degli altri popoli. I
greci andarono alla scuola del mondo da alunni, e il mondo allora conosciuto
era l'antico oriente, per diventare maestri e produrre " il miracolo greco
". Gli inglesi andranno alla scuola del mondo, da alunni, e il mondo
allora importante sarà il resto dell'Europa, per diventare maestri e produrre
una nuova civiltà: quella industriale.
I greci furono grandi viaggiatori ( il grand tour degli inglesi ). Tutti
i principali pensatori della Ionia e della Grecia fecero il loro viaggio nelle
terre delle antiche civiltà (
babilonia ed Egitto ) e all'interno della possente civiltà nascente: la Persia. Essi vi
andarono da alunni con lo scopo programmato di conoscere il mondo e di
apprendere tutto ( proprio come faranno gli inglesi più tardi ). Essi ebbero il
vantaggio di non essere condizionati dalla psicologia collettiva del paradigma
culturale esistente e, quindi, il loro apprendimento poté essere un
apprendimento critico. Da neofiti, essi sottoposero tutto al vaglio critico
della ragione e videro tutto ciò che
coloro i quali vivevano all'interno del paradigma non riuscivano a vedere.
I greci furono originali, non perchè furono gli iniziatori delle
conoscenze dell'uomo, ma perchè seppero prima apprendere, oggi ne siamo sicuri,
da bravi scolari, tutto ciò che si era prodotto fino a quell'epoca, e poi
seppero utilizzare quelle conoscenze per darvi un nuovo ordine e stabilire
nuove connessioni con gli strumenti di pensiero che nel frattempo avevano
maturato: ecco la loro originalità, che sarà poi anche l'originalità degli
italiani del Rinascimento e degli inglesi della Rivoluzione Industriale. Questi
popoli furono i produttori dei tre paradigma culturali fondamentali dell'uomo:
la verità rivelata ( civiltà dell'Antico
Oriente e Grecia arcaica ) ( Frankfort, 1959: 262 ), la verità
scoperta ( Grecia classica e Rinascimento), la verità costruita ( Rivoluzione
Industriale ).
I greci non citarono mai le fonti da cui avevano appreso le conoscenze.
Poiché anche i semitici babilonesi non fecero menzione della civiltà che li
precedette, quella sumerica, da cui avevano mutuato tutti gli elementi
necessari per costruire la loro civiltà e di cui rimaneva traccia in ogni
aspetto della loro organizzazione sociale, della loro cultura e, non per
ultimo, della loro lingua, dobbiamo concludere che questo era un atteggiamento
tipico del mondo antico, che mutuava da altre civiltà, ma non ne indicava le
fonti, non per malizia, ma solo perchè non lo riteneva necessario. Così abbiamo
gli errori nella valutazione storica: i babilonesi non ci parlarono dei sumeri
e noi per lungo tempo abbiamo ritenuto che la civiltà più antica nella storia
dell'uomo fosse quella di Babilonia. Gli egiziani non ci parlarono dei
babilonesi e noi per lungo tempo abbiamo ritenuto che l'Egitto fosse stato il
più luminoso esempio di civiltà nel
mondo antico. I greci non citarono le fonti da cui appresero i rudimenti del
sapere e noi per lungo tempo, e forse ancora tutt'ora, almeno per alcuni,
abbiamo ritenuto che fossero la meraviglia del mondo, gli iniziatori, i
creatori, dal nulla, di tutte le basi fondamentali su cui è costruita la
civiltà Occidentale, mentre ora noi sappiamo che essi furono i continuatori, ad
un altro livello, di un sapere che affondava le sue radici nella notte dei tempi:
uomo primitivo, sumeri, babilonesi, egiziani. assiri, ittiti, persiani (
Farrington, 1982: 19-20 ). " E' puerile ritenere che la scienza sia
incominciata in Grecia; il miracolo greco fu preparato da un lavoro di millenni
in Egitto, Mesopotamia e possibilmente in altre regioni. La scienza greca fu
più un revival che un'invenzione.
"... Fu un male nascondere le origini orientali senza le quali le
conquiste elleniche sarebbero state impossibili " ( Sarton, 1953: IX ).
" La scoperta dei testi sumerici contenenti proverbi e favole, ai
quali non è stato dato finora sufficiente rilievo, costituisce una vera e
propria rivelazione, perchè anticipa nella tipologia e talvolta nei concetti un
genere che credevamo nato in Grecia e poi irradiato a Roma e nell'Occidente.
" Ecco dunque i predecessori di Esopo, di Fedro, di La Fontaine, di Trilussa. E
vi sono alcuni particolari specifici, come l'assumere a protagonisti gli
animali e a farli parlare come esseri umani, così stringenti da rendere
necessaria l'ipotesi di un collegamento diretto con la Grecia, cioè di
un'ispirazione orientale del genere e delle sue componenti. Quale sia stata la
via di connessione resta per ora difficile da dimostrare, ma certo non v'è che
l'imbarazzo delle ipotesi: attraverso le colonie mesopotamiche in Anatolia, le
città costieri di Siria e Palestina, i porti egiziani, correva un flusso di
merci e di cultura che appena oggi incomincia a intravvedere nella sua vastità
e complessità.
" Il fatto è di particolare importanza, perchè mostra quanto
superficiale sia il concetto tradizionale del 'miracolo greco' come civiltà
sorta dal nulla: tanto dall'Egitto, invece, quanto della Mesopotamia, la Grecia ricevè linfe vitali,
di cui sempre più emerge la consistenza e la rilevanza. Ma un 'miracolo' vi fu
pure, anche se di natura diversa e questo soprattutto bisognerebbe mettere in
luce: sulla base delle rinnovate e allargate conoscenze relative alle antiche
civiltà orientali; l'originalità greca si definisce non per averne ignorato i
contenuti, nè per averli rinnegati... bensì per aver saputo progressivamente
scindere in autonomia da esse la riflessione razionale sull'universo e la
libera creazione dell'arte "
( Moscati, annali: 172-73 ). E questo era lo sviluppo naturale dell'evoluzione dei livelli di
struttura mentale. Le civiltà orientali avevano prodotto, in via filogenetica,
il primo paradigma culturale che la storia conosca, il primo livello di
struttura mentale, e la Grecia
partiva, in via ontogenetica, da questa realtà, che aveva assorbita e fatta sua
attraverso i contatti con questi popoli ( Lloyd, 1979: 229-33 ).
Nessun popolo ha mai raggiunto un rilevante grado di perfezione, in
qualsiasi campo, senza aver avuto dei predecessori. Il caso dei greci ne è ora
una ulteriore dimostrazione. Essi attinsero dalle civiltà dell'Antico Oriente,
come gli arabi e gli uomini del rinascimento italiano attinsero dai greci, e
come gli inglesi, nella Rivoluzione Industriale, attingeranno non solo
dall'Europa, ma da tutto il resto del mondo. Tuttavia, quando i greci "
apprendevano da altri popoli, come dai fenici, per esempio, essi davano a
queste conoscenze una veste greca da rendere difficilmente riconoscibile la
loro origine " ( Burkhardt, 1963: 277 ).
I greci hanno avuto due
atteggiamenti verso gli altri popoli. Nel periodo di formazione, essi presero
da tutte le civiltà che li avevano preceduti, ma hanno saputo trasformare il
prestito in un prodotto originale greco. Quando, però, hanno creato una propria
sintesi, un proprio paradigma culturale, maturando un nuovo livello di
struttura mentale, hanno acquisito un orgoglio di razza che li fece chiudere a
qualsiasi apporto esterno, e il mondo esterno divenne barbaro. Un concetto che
sarà destinato a ripetersi con il Rinascimento italiano e con gli inglesi.
Questa non disponibilità dei greci ( e dei romani ) ad accettare ciò che
veniva dall'esterno della loro civiltà è stata una delle cause per cui la loro
civiltà non era destinata ad essere progressiva. Cioè, quando una civiltà conta
solo su quello che può produrre e considera tutto ciò che è stato prodotto
altrove come non degno di essere preso in considerazione perchè proviene da coloro i quali essa
considera barbari ( Cipolla, 1974: 222 )e, quindi, inferiori, e dagli inferiori
non può venire nulla che sia migliore di quello che si ha già, prima o poi, è
destinata ad inaridirsi e, quindi, a decadere, perchè ad essa manca la linfa
vitale del progresso continuo: l'interscambio di idee e di conoscenze tra
popoli e civiltà diverse. La stessa civiltà dei greci, come ha acutamente
osservato Toynbee, è sorta e si è sviluppata proprio perchè essa era basata
sullo spirito di competizione e di emulazione che si era stabilito tra le varie
città-stato.
Questo stesso atteggiamento
dei greci lo troveremo, più tardi, e nel Rinascimento italiano e negli inglesi
del XIX secolo. La caratteristica
fondamentale di questi due popoli nel periodo della loro formazione, ciò che ha
costituito il loro genio ( come quello
dei greci ) e ha fatto la loro fortuna, è stata
una grande ricettività; anch'essi sapranno essere alunni e andranno alla
scuola del mondo per farlo proprio. Anche gli inglesi, come i greci, caratterizzeranno così fortemente con il
genio inglese tutto ciò che prenderanno in prestito dagli altri popoli che alla
fine diverrà un tipico prodotto inglese, difficilmente riconoscibile nella sua
provenienza. Successivamente anche per loro scatterà la molla dell'orgoglio,
del complesso di superiorità, e allora si chiuderanno al mondo esterno,
considerato barbaro, e sarà il principio della loro decadenza.
Le conquiste tecnico-scientifiche, o conoscitive in genere, dei popoli
orientali furono quantitativamente maggiori di quelle dei greci. Essi furono i
primi ad affacciarsi su una realtà immensa, sconosciuta, con uno strumento non
ancora elaborato dai popoli primitivi: l'osservazione costante dei fenomeni
geo-astronomici. Essi , però, non avevano maturato il secondo strumento
necessario per capire tutte le implicazioni delle loro osservazioni o scoperte.
Nè essi potevano maturarlo. La loro struttura mentale non consentiva un simile
balzo in avanti. Essi operavano all'interno di un paradigma culturale che per
loro era tutt'ora valido e ne erano, perciò, condizionati. Questo nuovo balzo
era riservato ad un popolo nuovo, intellettualmente più fresco ed esterno al
paradigma, che avrebbe appreso senza sforzo
( ai popoli orientali erano occorsi millenni di sforzi e di energie ),
attraverso la trasmissione, tutte le conoscenze accumulate nel passato
all'interno del vecchio paradigma ormai in crisi ( si pensi al lungo periodo di
ristagno di queste società ), conservando intatte, o quasi, tutte le energie di
cui era dotato per fare il secondo balzo ( la riflessione sui dati acquisiti )
e produrre un secondo paradigma. Questo balzo era riservato ai greci. Per
paradosso si potrebbe dire che senza i popoli orientali i greci avrebbero preso
il loro posto. Nello sviluppo dell'umanità, essi vennero secondi e raggiunsero
risultati che ai primi erano stati negati; ma, senza i primi, non sarebbero
arrivati dove sono arrivati. In effetti, "... le fondamenta della scienza
greca sono totalmente orientali, e, per quanto profondo possa essere stato il
genio greco, non è certo che senza quelle fondamenta esso avrebbe potuto
raggiungere qualcosa di comparabile alle sue effettive conquiste " (
Sarton, 1948:140).
" Le poche conoscenze astronomiche che gli Ioni impiegheranno, non
le hanno elaborate loro, ma le hanno prese dalle vicine civiltà del Medio
Oriente in particolare dai babilonesi... I greci fonderanno la cosmologia e
l'astronomia; daranno loro un orientamento che deciderà la sorte di queste
discipline per tutta la storia dell'Occidente; fin dall'inizio, imprimeranno
loro una direzione a cui ancora oggi siamo, in parte, legati. Eppure non erano
stati loro a dedicarsi, da secoli, ad un lavoro minuzioso d'osservazione degli
astri... Dunque, i greci hanno utilizzato delle osservazioni, delle tecniche,
degli strumenti messi a punto da altri. Tuttavia hanno integrato le conoscenze,
che erano state così trasmesse, in un sistema interamente nuovo; hanno fondato
un'astronomia nuova. Come spiegare quest'innovazione. Perchè i greci hanno
situato i saperi presi da altri popoli in un'intelaiatura nuova ed originale ?
" ( Vernant, 1981: 201-202 ).
Il successo dei greci è legato al fatto che essi avevano sviluppato,
grazie al processo dell'ontogenesi, una capacità di pensiero che superava il
simbolismo, l'artificialismo, il finalismo,
la transduttività e il sincretismo delle antiche civiltà orientali, le
quali erano solo capaci di prendere in esame i casi individuali e procedere per
analogia immediata. I greci, invece, diverranno capaci di correlare più
informazioni, matureranno una maggiore capacità di decentramento del pensiero e svilupperanno forti capacità
sintetiche, che consentiranno loro di eleborare teorie e sistemi.
" Con la sola forza della ragione, senza aiuto o quasi da altri
popoli, i greci tra il 600 e il 300
a, C. fecero sollevare l'umanità al di sopra del
feticismo e della superstizione per raggiungere il mondo della
razionalità" (Guthrie 1986: 70 ), maturando, così, un nuovo paradigma
culturale o livello di struttura mentale. Dopo di che si perfezionano, con
Platone ed Aristotele, i risultati raggiunti e ci si avvia alla decadenza,
essendo incapaci ( per gli stessi motivi che avevano condizionato gli uomini
delle civiltà precedenti ) di superare il traguardo del paradigma maturato.
I filosofi naturisti del VI secolo a. C.
rappresentano il momento del trapasso, lo spartiacque tra il mondo mitopoietico
delle antiche civiltà, in cui l'uomo si identificava con la natura, e il mondo
della razionalità, in cui l'uomo prende coscienza della propria individualità e
della propria soggettività. Essi furono
i figli dell'antico oriente ed i padri della civiltà moderna.Questi filosofi
avevano superato il mito nella sfera della spiegazione del mondo, ma rimanevano
ancora essenzialmente animisti come i loro predecessori. Al posto del dio, che creava o ordinava dal
Kaos primordiale, avevano messo la stessa natura, ma non una natura oggettiva e
inanimata. La loro era una natura animata, proprio come era animata la natura
delle antiche civiltà. In sostanza, l'uomo greco è erede delle grandi civiltà
del mondo antico, di cui assimila le conoscenze attraverso contatti diretti e
indiretti ( Lloyd, 1983: 201-202 ), ma
non possiede ancora le categorie di pensiero per dare un'organizzazione
pienamente razionale a queste
conoscenze.
Con la filosofia della scuola Ionica, il pensiero razionale incomincia
ad emergere dal mitologico mondo dei sogni. Fu l'inizio della grande "
avventura, la Prometeica
ricerca di spiegazioni naturali e cause razionali, che, nei successivi duemila
anni, avrebbe trasformato le specie più radicalmente di quanto avessero fatto i
duecentomila anni precedenti... Naturalmente, le loro risposte erano meno
importanti del fatto che essi stavano imparando a porre un nuovo tipo di
domande, che erano rivolte non ad un oracolo, ma alla muta natura. Fu una gara
fortemente esaltante; per poterla apprezzare e capire si deve fare ritorno, con
la memoria, alla fantasia della propria prima adolescenza, quando la mente
scopre tutti i suoi poteri e lascia campo libero alla propria speculazione
" ( Frankfort, 1946: 150 ).
Il primo pensiero greco, in effetti, era ancora legato all'infanzia del
mondo e dell'uomo. Nei livelli di struttura mentale, i filosofi della Ionia
" si muovono in una curiosa zona di confine. Essi presentivano la
possibilità di stabilire una coerenza intellegibile nel mondo fenomenico,
eppure essi rimanevano ancora sotto l'influsso della indissolta relazione tra
l'uomo e la natura " ( Frankfort, 1946: 252 ) del vecchio paradigma ormai
in crisi. Essi rappresentano questa zona di confine tra l'assimilazione
egocentrica della realtà delle vecchie civiltà e l'assimilazione razionale
della realtà che dovevano raggiungere i greci del V secolo.
" Dobbiamo ammettere che nei
bambini l'animismo ceda automaticamente il passo ad una specie di causalità
fondata sul principio di identità, come se il celebre principio logico reggesse
immediatamente la ragione, così come alcuni filosofi ci hanno indotti a credere
? Certamente in questi sviluppi noi abbiamo la prova che l'assimilazione
egocentrica, fondamento del finalismo e dell'artificialismo, è in procinto di
trasformarsi in assimilazione razionale, cioè in strutturazione della realtà
mediante la ragione, ma questa assimilazione razionale è molto più complessa di
una pura e semplice identificazione. Se infatti anziché seguire i bambini nelle
loro domande su quelle realtà lontane che non è possibile manipolare, quali gli
astri, le montagne, e le acque, nelle quali dunque il pensiero può restare
soltanto verbale, ci si interroghi su fatti tangibili e palpabili si avranno
sorprese ancora maggiori. Si scopre che a partire dai sette anni il bambino
diventa capace di costruire spiegazioni atomistiche in senso proprio, e ciò
avviene all'epoca in cui comincia a saper contare. Per estendere il nostro
paragone ci si ricordi che i greci hanno inventato l'atomismo subito dopo aver
speculato sulla trasmutazione delle sostanze, e si noti in particolare che il
primo atomista è stato senza dubbio Pitagora che concepiva la composizione dei
corpi sulla base di numeri materiali o punti discontinui della sostanza.
Beninteso salvo eccezioni molto rare (
tuttavia ce ne sono ), il bambino non generalizza e differisce dai filosofi greci
perchè non costruisce sistemi " ( Piaget
1967: 51 ).
Anche il bambino attuale sarebbe in grado di enunciare generalizzazioni
e costruire sistemi se avesse la possibilità di crescere nell'ambito di quella
particolare struttura mentale fino alla maturità fisica e psichica, come
accadde ai greci, ma egli la deve lasciare per raggiungere, per via
ontogenetica, una nuova sintesi o livello di struttura mentale. In questo
senso, anche se l'affermazione piagetiana, seconda la quale Archimede aveva una maturità di pensiero che
ha il ragazzo dei tempi moderni, è vera non è meno vero che lo stesso "
Archimede, relativamente alla sua epoca, aveva la stessa grandezza di pensiero
che ha Einstein nell'epoca moderna " ( Seltsman-Seltsman, 1985: 337 ).
" Secondo un modo di
dire che è diventato quasi proverbiale, e che è veridico nella misura in cui
possono esserlo simili luoghi comuni, lo scolaro dei nostri giorni ne saprebbe
più di Aristotele; ma anche se fosse mille volte più vera, questa circostanza
non conferisce allo scolaro moderno neppure una frazione dell'intelletto del
grande pensatore greco. Sul piano sociale - poiché la conoscenza non può non
essere un fatto sociale - ciò che conta è la conoscenza stessa e non il
maggiore o minore sviluppo di questo o quell'individuo; allo stesso modo, ma
inversamente, lo psicologo e il genetista che intendono misurare la vera forza
o la grandezza della persona trascurano nelle loro comparazione lo stato
generale di sviluppo intellettuale e il vario grado di sviluppo della civiltà.
Cento individui, tra i nostri antenati cavernicoli, che avessero avuto
l'intelletto di Aristotele, sarebbero stati, per nascita, altrettanti
Aristoteli, ma avrebbero contribuito al progresso della scienza molto meno di
una mezza dozzina di mediocri sgobboni del ventesimo secolo. Un super Archimede
dell'era glaciale non avrebbe inventato nè le armi nè il telegrafo " (
Kroeber, 1976: 63 ).
Nello sviluppo mentale dell'individuo moderno si possono riscontrare, in
via ontogenetica, i passaggi obbligati dello sviluppo mentale che l'uomo ha
maturato in via filogenetica. E' la trasmissione dei dati della conoscenza che
provoca l'ontogenesi: quello che è stato raggiunto dall'uomo in millenni di
storia si ripercorre nella vita di un singolo individuo, grazie all'ambiente
sociale, organizzato in base alle conquiste accumulate, e al sistema educativo.
L'individuo rimane in ogni singolo livello giusto il tempo per maturarlo e
passare al livello successivo, secondo un processo di istruzione programmata
(sistema educativo) che gli fornisce, ad ogni livello, la nuova sintesi. Il
blocco della trasmissione della eredità
sociale significherebbe anche il blocco della crescita dei livelli, se non
addirittura un loro regresso, come avvenne nel medioevo. Per questo motivo, un
cavernicolo dal cervello di un Aristotele o di un Einstein non avrebbe prodotto
un bel nulla.
La trasmutazione delle sostanze è
l'anello di congiunzione tra l'assimilazione egocentrica e quella razionale. I
pensatori delle città ioniche non si discostarono dall'interesse fondamentale delle antiche civiltà, che era
quello della spiegazione del mondo, ma rimasero ad essa attaccata correggendola
in un solo punto, proprio come aveva fatto Omero rispetto alla concezione della
materia. Così, il mondo, per questi pensatori, non era più il prodotto di un
dio, ma derivava da un'altra sostanza primordiale di cui è fatto. Da qui la
teoria degli elementi costitutivi e la loro evoluzione. Il mondo non è creato e
non è soggetto alla legge biologica, ma deriva, per trasmutazione, da altre
sostanze elementari. " E questa trasmutazione era resa possibile da un
moto eterno della materia, il quale moto non era indotto da un agente, ma
costituiva la sua stessa essenza " (Guthrie, 1962, I: 4 ).
I presocratici avevano
superato il pensiero transduttivo dell'età precedente ( analogia immediata ) e
si incamminavano verso il pensiero operatorio concreto. Essi facevano ancora
ricorso all'analogia, non più immediata e antropomorfa, ma ad una analogia che
utilizzava l'esperienza umana nel campo
" sociale (giustizia,
guerra, ecc.) e nel campo delle arti e della tecnica " ( Furley, 1973, IV:
46; anche Lloyd, 1973, I: 60 ) per trarre delle generalizzazioni Ma accanto all'analogia maturarono
altri strumenti. " Molte delle dettagliate teorie che i Presocratici
avanzarono nel campo dei fenomeni fisici, psicologici e fisiologici erano
basate sugli opposti " ( Lloyd, 1966: 16 ), destro-sinistro, caldo-freddo,
veglia-sonno, secco-umido, ecc.
Essi, inconsapevolmente, avevano tracciato un nuovo solco nella ricerca
della verità. Essi andarono alla ricerca di un principio unitario che spiegasse l'origine del mondo reale
e questa ricerca veniva condotta con gli strumenti che essi avevano a
disposizione in quell'epoca: l'intuito e la riflessione, che potevano essere
applicati sull'enorme massa di conoscenze pratiche che i loro predecessori
avevano accumulato nei millenni. Senofane sarà il primo che esprimerà
consapevolmente questo nuovo indirizzo quando, più tardi ( prima metà del VI
secolo ), affermerà che gli dei non hanno svelato tutto agli uomini ( Guthrie,
1986: 72 ) sin dal principio, ma essi, ricercando, potevano trovare, a poco a
poco, il meglio. Quindi nasceva consapevolmente un nuovo metodo per la ricerca
della verità: l'indagine. Questo costituiva un avanzamento rispetto al pensiero
di Omero e di Esiodo, per i quali la verità, la conoscenza, era un fatto
riservato agli dei che vedevano tutto perchè presenti in ogni luogo; oppure era
riservata al solo testimone oculare. Secondo questi filosofi, essa poteva
essere ricercata dall'uomo con le sue forze. anche se essa è e rimarrà solo
apparenza perchè la verità vera
appartiene solo agli dei. " Solo gli dei hanno certezze. Gli uomini
possono solo avanzare congetture..." ( Alcmeone, 1961:100). Ecco qual è
stata la rivoluzione dei fisici della Ionia. Essi utilizzavano le conoscenze
acquisite per dare una spiegazione fisica e non
religiosa dell'universo, come avevano fatto le civiltà precedenti. Essi non trattavano più caso per caso
(intelligenza transduttiva), ma erano capaci di relazioni d'insieme (
intelligenza intuitiva ), anche se ancora non spiegabili razionalmente. La
spiegazione razionale è semplicemente accennata, s'intravvede, ma è ancora
lontana. " In quanto al metodo scientifico non si può supporre la sua
esistenza in un periodo in cui la logica-deduttiva ed induttiva non esisteva
(Beare, 1906: 4 ). La spiegazione razionale sorgerà, in tutta la sua potenza,
nel corso del V secolo, quando tutti i suoi elementi si saranno formati uno ad
uno: dal concetto di ordine, classificazione, definizione, generalizzazione,
reversibilità, al principio di identità, della dialettica, della logica, per
finire ai metodi stessi della razionalità: induzione, assioma, deduzione,
sillogismo, ecc.
" La tendenza filosofica rappresentata dai presocratici è stata a
volte chiamata 'materialismo', con l'eccezione di Anassagora. Ma dobbiamo
ricordarci che la distinzione tra natura e spirito, tra materia e mente, era
completamente estranea all'originario pensiero greco. I greci hanno sempre
immaginato la natura come animata. Sarebbe più corretto parlare di ilozoismo.
Il problema della vita e della mente non esiste per questi pensatori, Poiché
tutto è vivo e la mente pervade tutto, sebbene con varia
gradazione"(Runade-Kaul,1967,II:28).
Talete ( 624-547 ) fu il primo che iniziò questo nuovo tipo di indagine.
Le sue riflessioni sulla matematica " acquistano un significato
considerevole se confrontate con quelle egiziane. Il punto di vista egiziano fu
fondamentalmente pratico, specifico, induttivo; mentre i greci mostrano già la
loro caratteristica tendenza alla generalizzazione astratta, alla prova logica
e al metodo della scienza deduttiva. La maggior parte delle conoscenze di
Talete erano di provenienza egiziana, ma questi non seppero metterli in
relazione tra di loro. Per i greci, invece, queste conoscenze segneranno
l'inizio dello straordinario sviluppo della geometria " ( Sedgwick-Tyler,
1917: 45 ).
La capacità di Talete, ed invero di tutti i pensatori presocratici, fu
quella di trarre delle generalizzazioni
dalle conoscenze che i babilonesi e gli egiziani avevano accumulato nei
millenni. Così egli fu il primo a dare una precisa definizione delle figure
geometriche senza inventare nulla. Egli, infatti, definì i primi cinque teoremi
della geometria: il cerchio è bisecato dal suo diametro, gli angoli alla base
di un triangolo isoscele sono uguali, gli angoli opposti di due rette
intersecantesi sono uguali, l'angolo inscritto in una semicirconferenza è un
angolo retto, un triangolo è predeterminato se ne sono dati la base e gli
angoli rispettivi ad essa. Con queste generalizzazioni nasceva la matematica
moderna. " La matematica che non solo risponde alla domanda 'come'?, alla
maniera della matematica orientale, ma si pone anche la domanda che
caratterizza la scienza moderna 'perchè'? " (Struik, 1981:52).
Talete stabili l'acqua come elemento fondamentale che generava tutte le
cose animate ed inanimate. Sull'acqua giaceva la terra. " La sua
affermazione che il mondo è fatto di acqua ( o a partire dall'acqua) implicò un
nuovo, e in potenza rivoluzionario, rivolgimento concettuale " ( Hall-Hall,
1979: 20 ) perchè ci si emancipava dal divino
per mettere al suo posto la natura, anche se ancora una natura animata
secondo la tradizione delle civiltà precedenti.
Talete è importante non solo perchè egli formulò la prima
generalizzazione da cui, più tardi, scaturirà il pensiero deduttivo (
Neale-Neale, 1971: 3-4 ), la massima conquista dei greci, ma anche perchè egli
dimostra due cose: l'influenza che egli subì dal pensiero delle civiltà del
Vicino Oriente, che egli visitò a più riprese,e la sua vocazione a trovare una
spiegazione naturale al mondo fisico che si emancipasse dalla visione
antropomorfica del mito
Comunque, sembra che Talete non avesse la capacità di provare le sue
generalizzazioni, anche se egli cercò, con il suo metodo della sovrapposizione,
di fornire una qualche dimostrazione ( Fritz, 1988: 20 ). Egli, e gli altri
pensatori della scuola Ionica, operava a livello intuitivo e non razionale. Le
sue generalizzazioni non scaturivano da rigorose dimostrazioni logiche, come avverrà
da Parmenide in poi ( il vero inventore, con il suo principio di identità, del
pensiero razionale ), ma scaturivano dal comune buon senso. Egli fissò
coscientemente anche il concetto di similitudine, che era stato usato per prima
da Omero, se è vero che egli misurò la piramide attraverso la sua ombra.
Il principio primordiale delle cose, intuito da Talete, può essere
definito il principio di causa materiale? Non ancora, anche se l'intuizione
andava in questo senso. Certo, lo spostamento è notevole. Prima di lui
predominava il principio antropomorfico
delle cose ( mito ): egli spostò l'interesse verso il principio
impersonale e materiale delle cose, che era pur presente nella spiegazione
mitica, ma non era percepito in quanto il deus ex machina era il dio. Talete,
dal mito babilonese della creazione del mondo, in cui Marduk creò tutte le cose
dalle acque, " tolse la figura di
Marduk... [ e affermò ] che tutto era stato creato dalle acque attraverso un
processo naturale, come nell'origine del delta del Nilo "
(Farrington,1982: 37 ). Era una diversa lettura del mito, dove il dio veniva
completamente eliminato e la natura veniva alla ribalta. Era l'inizio dell'
affermazione della conoscenza razionale del mondo fisico.
L'originalità di Talete e degli altri pensatori Ionici furono le loro
intuizioni nell'analisi del mondo fisico. Analisi che, ancora una volta, non
avveniva in modo cosciente, nel senso che essi si diedero ad analizzare la
natura, nel suo insieme, attraverso i suoi componenti. Niente di tutto ciò.
Essi erano interessati solo a ricercare " l'archè delle cose, ciò che
indica l'origine come pure il principio " ( Ehrenberg, 1973: 65 ) di ogni
cosa nella sua singolarità. Cioè, essi sostituivano il dio delle vecchie civiltà,
come agente creatore e ordinatore del mondo fisico, con un elemento, ed uno
solo della natura. Con questo atto, però, è
l'intelligenza dell'uomo che incomincia a mettere ordine dove ordine non c'era.
Il dio viene detronizzato. Col mondo fisico egli non c'entra, almeno nella
mente di questi filosofi. La verità viene intuita attraverso l'esperienza
umana. La ricerca dell'archè li portò ad
osservare ed analizzare il mondo che conoscevano nei suoi vari elementi
costitutivi. Talete aveva iniziato
quest'osservazione scoprendo il ciclo dell'acqua, " intendendo con questo un'essenza
mobile, cangiante, fluttuante, priva di forma e colore determinato e soggetto a
un ciclo di esistenza per cui passava dal cielo e dall'aria. da qui ai corpi
vegetali e animali e di nuovo all'aria e al cielo " (Singer, 1961: 26 ).
Anassimandro ( 611-546 ), allievo di Talete, non ha una chiara idea
dell'elemento fondamentale che, secondo lui, non può essere nessuno di quelli
esistenti in natura perchè questi hanno qualità ( caldo-freddo, umido-secco,
ecc. ) opposte che sono in eterna lotta fra di loro per stabilire sull'altro il
proprio predominio e che solo la giustizia, a cui tutto si riconduce, tiene in
equilibrio. E' l'idea dei contrari, la teoria degli opposti, che troverà, più
tardi, con Eraclito, una sua più matura definizione nel processo del pensiero
dialettico. Per Anassagora, " la sostanza primigenia, quindi, in questa
lotta cosmica, deve essere mentale " ( Russel, 1966,I:56), deve essere
qualcosa di indefinito e di indeterminato,
che egli chiama apeiron, da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna (
Cornford, 1952: 160 ). Secondo questo filosofo, la terra, a forma di colonna
tronca, si trova al centro dell'infinito e resta in equilibrio, in una
posizione di " indifferenza "(Lloyd, 1979: 68 ), perchè soggetta a
forze uguali e contrarie. L'infinito, per lui, era circolare, in analogia
all'agorà. Egli aveva mutuata questa
analogia dall' organizzazione politica della città con il suo centro
circolare ( agorà ), in cui si
dibattevano i problemi della comunità.
Con questa analogia egli faceva fare un passo avanti nella direzione del
pensiero razionale, maturando i concetti di simmetria, uguaglianza e
reversibilità. Egli afferma, anche, maturando un'idea evoluzionistica, che
l'uomo deve provenire da un altro animale perchè, essendo l'unico che bisogno
di un lungo periodo di assistenza alla nascita, non sarebbe sopravvissuto
altrimenti. Egli suggerisce i pesci
Anassimene ( 580-520 ) è il primo a postulare il concetto di unità della
materia ( Tannery, 1930-4: 183 ) . Egli lascia da parte l'indeterminato di
Anassimandro e si ricollega a Talete, affermando che il principio di tutte le
cose non è l'acqua, ma l'aria perchè essa ha le qualità di condensazione e
rarefazione ( Burnet, 1968: 19) e
da essa si generano, per trasmutazione,
il fuoco, il vento, le nuvole, l'acqua, la terra e le pietre. E con
questo egli introduce il concetto di trasmutazione delle sostanze, cioè l'archè
originario si conserva e si trasmuta per aggregazione o disaggregazione. "
Perchè, secondo Anassimene, anche l'acqua, la terra e il fuoco sono in realtà
aria in un altro stato di aggregazione " ( Fritz, 1988: 38 ).
Con Eraclito ( 535-475 ), l'ultimo e il più noto dei monisti, la ricerca prende un'altra
direzione. Non è più indirizzata al
mondo fisico, ma al problema della conoscenza, cioè non è più interessata alla
natura del mondo fisico, ma al suo funzionamento ( Kirk, 1962: 111 ). Egli
introdusse il concetto dialettico dell'essere e del non essere. Per lui, la
realtà nella sua permanenza è un'illusione. L'unica vera realtà è il mutamento,
il divenire. L'elemento fondamentale per Eraclito è il fuoco, " un fuoco
eterno ", che si converte in acqua, la quale in parte si consolida in
terra e in parte si solleva in forma di tromba d'aria che, a sua volta col
moto, si arroventa e ritorna fuoco.
Inventando l'essere e il non essere e il processo del divenire, "
che ricerca l'accordo nei contrasti, la permanenza nel mutamento " (De
Ruggero,1974: 95), Eraclito inventò la dialettica: un nuovo e formidabile
elemento del pensiero razionale in formazione. Prima di lui il ragionamento non
aveva forza perchè non utilizzava adeguatamente " una legge di contrasto e
di armonia che domina tutta la natura " ( De Ruggero, 1974: 93 ). Eraclito
viene anche accreditato come l'iniziatore del processo che condusse al "
severo metodo della deduzione analogica " (Snell, 1963: 306-7 ).
Per Eraclito, Senofane, Alcmeone, ecc., la conoscenza appartiene solo al
dio. All'uomo, secondo Alcmeone, " è dato solo congetturare " in base
ai dati forniti dall'esperienza visibile, la sola fonte di conoscenza per
l'uomo, mentre il dio conosce anche le cose invisibili. "... L'uomo può
collegare fra loro le percezioni sensibili ed inferire così sull'invisibile. Ma
in tal modo l'indagine, che Senofane aveva indicato per primo come la via per
elevarsi al di sopra del sapere umano abituale, si trasforma in un metodo
stabile ed ordinato. Un medico, che era abituato a risalire dai sintomi alla
malattia, ha formulato le regole universalmente valide di questo suo
procedimento, e in seguito altri medici, Empedocle e gli Ippocratici, hanno
sviluppato da qui il cosiddetto metodo induttivo. E' questo l'inizio della
scienza empirica della natura " ( Snell, 1963: 203 ).
Empedocle ( 484-424 ), il primo dei pluralisti, si definisce empirista e
non razionalista. Per lui l'origine del mondo non poteva essere un solo
elemento, come avevano sostenuto i suoi predecessori monisti. Egli pensava ad
una pluralità di elementi. Secondo lui, gli elementi, che avevano dato origine
al mondo, erano quattro: il fuoco ( Eraclito ), l'acqua ( Talete ), l'aria
(Anassimene) e la terra (Ferenzi ). Con questo egli " fonda per i secoli a
venire la teoria classica dei quattro elementi " (Brunschvicg, 1922:117),
che " rimarrà, con delle eccezioni importanti, la teoria prevalente fino
alla rivoluzione della chimica del XVIII secolo " ( Schlagel, 1985: 123 ).
Egli utilizzò chiaramente la proprietà transitiva ( Snell, 1963: 301 ), che
doveva condurre al sillogismo, un'altro elemento importante del pensiero
razionale, ma, nella sua teoria della conoscenza, ritornò alla spiegazione
mitica, correggendola in un solo punto. In effetti, con la sua teoria dei
contrari (Amore, Discordia, ecc. ), egli introduce un ordine della natura, dal
primitivo Kaos, che differisce dalla spiegazione mitica delle prime civiltà
solo nell'agente ordinatore. Se nelle antiche civiltà era un dio che divideva gli
elementi dal Kaos originario per unire il simile al simile ( la terra alla
terra, l'acqua all'acqua, l'aria all'aria, ecc. ), per Empedocle, invece,
quest'ordine viene creato da una entità astratta, una forza non definita
chiamata Discordia.
Parmenide ( 500 c.) occupa un posto particolare. Mentre egli rappresenta
il punto di svolta nella formazione del pensiero razionale ( Lloyd, 1987: 422 )
che, con lui e il suo principio di identità o non contraddizione, acquista
consapevolezza di sè, nel campo della conoscenza rappresentò un freno
inibitore, bloccando, sul nascere, la scienza empirica di Senofane, Eraclito,
Alcmeone, ecc., affermando che l'uomo non può arrivare al sapere, ma solo un
dio glielo può dare. Era un ritorno ad Omero ed Esiodo, ma solo in apparenza,
perchè la verità che Parmenide riceve da una dea, oltre le porte del giorno e
della notte, è una verità che si presenta
" nella forma di una deduzione logica, condotta a partire da
premesse autoevidenti, che è la forma nella quale le verità della geometria si
presentano all'anamnesi. Parmenide fu dunque il profeta della ragione che tiene
in dispregio i sensi " ( Cornford, 1982: 187 ). E, in effetti, egli
afferma che ci sono due vie per raggiungere la verità: quella della ragione e quella
dei sensi ed egli si dichiara per la prima ( Bailey, 1928: 25 ). Il dubbio di
Parmenide sul problema della conoscenza è basato solo sulla inconoscibilità del
mondo fisico, in quanto esso può essere conosciuto solo dal suo fattore (
creatore ), il dio appunto.
Questo spostamento d'interesse, annunciato da Parmenide, sarà reso
esplicito dai sofisti ( Kerfed, 1988 ), allievi ed eredi diretti dei
naturalisti, di cui sono " la continuazione e insieme l'antitesi...
L'antitesi esiste in particolar modo nell'atteggiamento dei pensatori dei due
periodi: scientifico i primi, preoccupati più che altro dell'indagine sui
principi supremi delle cose; pratico nei secondi, volto a rivoluzionare
l'ordine esistente delle cose, secondo alcune premesse chiaramente definite
" ( De Ruggero, 1974, I: 167 ). Ma
chi rivoluzionò il mondo intellettuale greco fu " Socrate, che operò nel
pensiero antico una rivoluzione Copernicana di un altro genere. Fino a quel
momento la filosofia guardava al passato per trovare l'origine di tutte le
cose. Socrate rivoluzionò tutto e ingiunse di guardare al fine, [ perchè anche
per lui, come per Parmenide, la verità del mondo fisico è inconoscibile ] - al
bene per cui il mondo esisteva e non alla fonte da cui scaturiva. L'effetto
sulla fisica fu disastrosa. Per la prima volta nel pensiero greco emerse la
dottrina di un creatore benevole, la
Mente di Anassogora, che si assunse il compito di disegnare
il mondo come modello perfetto " (
Cornford, 1926, IV: 578 ).
Il monismo e il pluralismo, come lo intendeva Empedocle, non
riuscirono a dare una spiegazione
soddisfacente del reale. " Il
pensiero greco era arrivato al punto di incominciare a sentire il bisogno di
una causa prima... L'idea di una materia che muoveva se stessa non era più
soddisfacente. E se la ragione richiedeva una causa prima, allora, per quanto
razionale e libero da pregiudizi religiosi un filosofo possa essere, egli si
trova inevitabilmente costretto a fare ricorso ad una causa non materiale e
deistica " (Guthrie, 1957: 52 ).
Anassagora (500-428 ) fu il primo a postulare la creatività
dell'intelligenza " e con ciò introdusse nella filosofia greca la nozione
determinante che il mondo sia in qualche modo il risultato della ragione, di
una ragione che non è una parte, nè un prodotto della natura, ma che è diversa
nella sua essenza da essa e tale da governare la natura stessa "
(Cherniss, 1982: 168 ). Tuttavia la mente, per Anassagora, non è un'entità
astratta, ma è una forza sostanziale che " contiene due concetti: il
movimento e l' intenzionalità " (
Sherrard, 1971, II: 452 ).
L'atomismo di Democrito ( 460-357 ) e Leucippo ( 450 c.) fu la sintesi
naturale di questa evoluzione di pensiero ( Bailey, 1928: 11 ). Se i primi (
monisti, pluralisti, Anassagora ) avevano prodotto analiticamente le
conoscenze, quest'ultimi (gli atomisti) crearono la sintesi. Essi fanno proprio
il principio di identità di Parmenide, ma nello stesso tempo riconoscono la
validità del principio del mutamento di Eraclito. L'essere e il non essere, il
pieno e il vuoto, sono entrambi esistenti e si materializzano nelle
infinitesime particelle ( atomi: l'essere, il pieno, il principio di identità )
di cui è costituita la materia e nello spazio vuoto ( il non essere, il vuoto )
in cui esse si muovono ( principio del
mutamento ) (Zeller 1931: 65-67 ). Era il pensiero dei greci che si evolveva e
creava i suoi strumenti. " La loro logica, la loro idea, la loro capacità
di astrazione aumentavano man mano che si impadronivano del problema " ( Farrignton,
1982: 39 ).
L'atomismo è il coronamento dell'evoluzione del pensiero nella
spiegazione del mondo fisico: é il prodotto di un dio (antiche civiltà )--->
è il prodotto della trasmutazione delle sostanze ( filosofi monisti greci
)---> è il prodotto della combinazione di elementi che agiscono secondo le
leggi umane (filosofi pluralisti )---> è il prodotto di un'entità (mente)
che tutto ordina e tutto razionalizza ( Anassogora )---> è il prodotto di
forze meccaniche ( filosofi atomisti ).
La definizione, inventata dai greci, è
molto importante nella maturazione del pensiero razionale. Definire significava
attribuire delle qualità al definendo e queste qualità, a loro volta. erano
comuni a molti e, quindi, si poteva generalizzare. Quello che fa il greco è di
analizzare e riflettere per descrivere la realtà che gli sta di fronte con i
suoi fenomeni. Da questa descrizione-analisi nascono le definizioni, le
generalizzazioni, i paragoni, le similitudini, la contrapposizione ( dialettica
), l'ordine, la classificazione, la sistematicità, il principio di identità, il sillogismo e
sorgono i metodi induttivo e deduttivo.
Nella concatenazione dei fatti naturali si incomincia ad intravvedere la
legge di causa ed effetto ( Snell, 1963: 296 ). Il pensiero logico, il cui
primo esempio risale al principio di identità
o di non contraddizione di Parmenide, sorge, nella piena maturità, con
Socrate, quando si acquistano le capacità di connettere più punti di vista (
Snell, 1963| 296 ) per ricavarne un terzo ( proprietà transitiva; Snell, 1963:
296-97 ) e di coordinare diverse informazioni tra di loro per raggiungere un
sistema di rapporti.
La logica, che raggiunge la sua massima perfezione con Aristotele, fu lo
strumento principe che condusse alla riflessione sistematizzata. Il processo
che ha portato l'uomo a questa più avanzata capacità di pensiero si è svolto
secondo il seguente schema: la capacità
acquisita di coordinare più punti di vista o percezioni o intuizioni ( questo è
importante ) lo condusse all' invenzione della logica; l'invenzione della
logica gli diede una maggiore capacità
di riflessione e la maggiore capacità di riflessione lo rese capace di produrre
teorie e sistemi.
I greci avevano scoperto la logica e la dialettica ed avevano inventato
il metodo induttivo e quello deduttivo e, con questi strumenti, mossero alla
interpretazione del mondo fisico e di quello dell'uomo. Più che una
dimostrazione fisica dei fenomeni, però, che avrebbe richiesto una conoscenza tecnica
che essi non possedevano, essi fornirono una dimostrazione logica ( Vernant, 1982: 330 ). Le tecniche da
affare divino, come erano state nelle antiche civiltà, erano diventato affare
dell'uomo, ma questo non poteva agire su di esse con la riflessione critica per
ricavarne delle leggi generali. Esse, in effetti,- sfuggivano al suo controllo
( Vernant, 1982: 335 ).
La Grecia
era arrivata, superando le civiltà dell'Antico Oriente, alla generalizzazione e
alla logica, ma non seppe arrivare al concetto di legge fisica della natura. La
natura rimaneva ancora animata e cosciente. L'uomo greco non poteva conoscerla.
Solo il suo creatore poteva farlo. L'uomo poteva conoscere solo ciò che egli
stesso aveva creato. La natura era più forte di lui e le doveva obbedienza
(Vernant, 1982: 339 ).
Nella spiegazione del mondo fisico, i greci non andarono oltre
l'intuizione corredata dalla generalizzazione. E questo modo di vedere le cose
rimase in auge per più di duemila anni, sotto la torreggiante autorità di
Aristotele. Questa concezione, che non era basata sull'osservazione dei
fenomeni, ma solo sull'intuizione che di essi se ne aveva e sulla
generalizzazione razionale, sarà superata solo nel secondo Rinascimento
(Einstein-Infeld, 1965:19). Essi ( Platone, ecc. ) sostenevano che la vera
conoscenza era un atto della ragione ( per questo essi sono chiamati
razionalisti ), ecco perchè era privilegiata la conoscenza matematica, che,
attraverso postulati o assiomi fissati intuitivamente, consentiva, attraverso
la deduzione, di raggiungere la verità o conoscenza ( Reichenbach, 1974: 43 ).
Per i greci, comunque, i dati dell'esperienza sensibile servivano per
fornire, induttivamente, materia all'intuizione. Il processo si svolgeva in
quattro momenti: induzione ---> intuizione
---> assioma ---> deduzione. La ragione, quindi, era la sola fonte
di conoscenza. " Per Platone, la scienza che trattava con il mondo dei
sensi non era scienza, ma era un plausibile mito " ( Cornford, 1926: 578
).
Maturati gli elementi del pensiero
razionale, i greci si diedero ad indagare ( nel V secolo ) sui problemi
dell'uomo attraverso un rigoroso processo logico: attraverso l'induzione
semplice essi intuivano una verità ( postulato, assioma ), che essi ritenevano
indimostrabile perchè evidente per se stessa ( Platone ) e da questa partivano,
attraverso il processo del metodo deduttivo, di cui Platone fu il
sistematizzatore, alla conquista di altre verità consequenziali ed
incontrovertibili ( corollari ). Non
importava se l'intuizione era vera o falsa. Il rigore del processo deduttivo
faceva sempre arrivare a conclusioni che erano valide ( per quell'impostazione
) e concordi con la premessa. Questo era il loro limite: la verità oggettiva
era irraggiungibile. La verità era soggettiva, anche se essi non ne presero mai
consapevolezza. Fino ai tempi di Euclide non si prese coscienza della
differenza tra conoscenza oggettiva e soggettiva. Pitagora, Aristotele ed
Euclide credevano che il prodotto della loro speculazione fosse una realtà
oggettiva e non soggettiva. Il primo credeva che i numeri fossero una realtà
del mondo reale e non un prodotto della sua mente ( Singer, 1961: 32 ), il
secondo credeva che la gerarchia della logica delle classi fosse insita
nell'universo e non un prodotto del suo pensiero.
In Grecia non esiste un soggetto che conosce ( soggetto epistemologico
), cioè un soggetto che sia cosciente che quello che produce sia farina del suo
sacco ( Piaget ). L'uomo greco crede sempre che quello che escogita sia
realmente esistente nella realtà e non che sia la sua mente a dare ordine alla
realtà esterna. Il mondo delle idee di Platone è, per lui, una realtà oggettiva
e non un prodotto del suo pensiero che serviva per spiegare la realtà
Le intuizioni dei greci non sono ipotesi. Le ipotesi, come le intendiamo
nel senso moderno, sono delle congetture che prendono in considerazione il dato
reale osservato ( e quindi certo ) e il dato possibile, cioè di come un dato
fenomeno dovrebbe accadere o come una cosa dovrebbe funzionare in base ai
suggerimenti che lo scienziato ha tratto dal dato certo. " Di regola, la
costruzione delle ipotesi è la parte più difficile del lavoro dello scienziato,
e anche la parte per cui è indispensabile una grande abilità " ( Russel,
1974, III: 714-15 ). Ma l'ipotesi ( che
non è una verità certa, ma possibile ) va verificata sperimentalmente. I greci,
non solo non possedevano questa capacità di astrarre delle supposizioni o
congetture dal dato reale osservato, ma non si posero mai il problema di una
verifica sperimentale . Essi potevano operare, con le capacità che avevano
maturato, sul dato concreto per fornire una dimostrazione logica, e questo
fecero. Il metodo sperimentale era lontano dalla loro portata e non lo
raggiungeranno mai. L'ipotesi greca è " un postulato che si deve accettare
per poter discutere; letteralmente significa dunque 'fondamento' " (
Singer, 1961: 271 ).
Essi ebbero delle intuizioni geniali ( Sambursky, 1963: 244 ), che avrebbero
costituito le basi di tutto il sapere umano. L'intuizione atomica di Democrito
( la materia è costituita da particelle infinitesime dette atomi); l'intuizione
di Aristarco sul sistema solare ( è la terra che gira intorno al sole e non il
contrario ); l'intuizione di Eratostene sulle maree ( tra il moto apparente
della luna e le maree vi era una relazione ); l'intuizione della scuola medica
di Ippocrate di Coo ( il cervello è la sede in cui si forma il pensiero ), ecc.
Ma, per dimostrare che quelle intuizioni erano vere, in senso scientifico e non
logico, l'uomo ha dovuto percorrere tutto il cammino dell'evoluzione della
mente umana nei suoi livelli di struttura mentale per raggiungere, dopo 2000
anni, il porto del pensiero scientifico moderno, o pensiero operatorio formale,
che si raggiunge solo nel XVII secolo della nostra era con il metodo
ipotetico-deduttivo.
Bisogna, però, stare attenti a non confondere le cose. I greci partirono dal metodo
intuitivo-deduttivo, che era il superamento del pensiero simbolico-transduttivo
delle prime civiltà e di quello intuitivo dei presocratici. Nel medioevo e nel
primo Rinascimento si scoprirà il metodo induttivo-ampliativo, che era il
superamento di quello intuitivo-deduttivo dei greci. Nell'epoca moderna, il
distacco dalla realtà, a cui i greci erano legati, avviene tramite il metodo
ipotetico-deduttivo, che programma la scoperta della verità attraverso un atto
intuitivo ( su cui si fonda l'ipotesi
), ma che è ben lontano dalla intuizione dei greci, in quanto esso non si basa
sull'induzione semplice o sommativa ( greci ), da cui intuitivamente si
generalizza, ma proviene dalla capacità di correlare più punti di vista o
conoscenze o informazioni o fatti osservati o dati raccolti che rendono
plausibile l'ipotesi stessa.
La teoria della conoscenza di Aristotele è fondata sul doppio principio
della intuizione-deduzione. L'induzione
attraverso i sensi ( è il solo momento di contatto con la realtà fisica ), è
utile per acquisire quegli elementi che servono a far scattare l'intuizione. La
conoscenza, quindi, è un atto dell'intelligenza che vede chiaramente i principi
contenuti nell'esperienza pratica ( induzione ). La conoscenza, insomma, per
Aristotele è assiomatica.
I filosofi greci, tra cui Aristotele e Platone, non diedero alcuna
spiegazione scientifica della realtà, ma elaborarono un metodo analogico dove
la spiegazione veniva inferita piuttosto che analizzata ( Reichenbach, 1974:
23-24 ). Questi filosofi davano delle spiegazioni che erano basate sulla logica
del ragionamento e sulla osservazione superficiale dei fenomeni naturali, da
qui la necessità del metodo analogico.
Dopo aver acquisito il primo livello di struttura mentale ( pensiero
simbolico-transduttivo delle prima civiltà ) attraverso l'organizzazione
sociale e il sistema formativo-educativo,
come era da loro concepito (
Marrou, 1956: 39-40 ), i greci raggiunsero il secondo ( pensiero operatorio
concreto ) e vi rimasero fermi fino alla maturità, per cui furono in grado di
produrre teorie e sistemi. Ma il paradigma culturale non fu prodotto dai
massimi pensatori dell'epoca: Socrate, Platone, Aristotele. esso fu prodotto
dai loro predecessori, elemento dopo elemento (Lloyd,1981: 257 ). Essi furono i
suoi sistematizzatori ( Wiener-Noland, 1957: 19 ) ed ordinatori, e
rappresentano il punto più alto della parabola del paradigma.
" Per la fine del III secolo a.C. l'età eroica della scienza greca
era finita. Da Platone ed Aristotele in poi, le scienze incominciarono a cadere
in disgrazia e in una lunga decadenza e le conquiste dei greci furono
riscoperte solo un millennio più tardi. L'avventura Prometeica, che era
iniziata intorno al 600 a,C.,
aveva esaurito il ciclo di vita nello spazio di tre secoli: e fu seguito da un periodo
di ibernazione che durò tre volte tanto " ( Koestler, 1959: 22 ).
Come livello di struttura mentale, i greci arrivarono alle soglie del
mondo moderno. " Da Aristarco a Copernico non c'è, come logica, che un
passo; da Ippocrate a Paracelso non c'è che un passo; da Archimede a Galileo
non c'è che un passo " ( Koestler, 1959: 22 ). Essi avevano tutte le
conoscenze per varcare questa soglia, ma non ne furono mai capaci e non
potevano esserlo. Anche loro erano soggetti alla ferrea legge dei livelli di
struttura mentale, secondo la quale nessun popolo, nessuna civiltà maturò più
di un livello in via filogenetica. In via ontogenetica, invece, ne maturava
tanti quanti ne erano stati prodotti filogeneticamente. I greci maturarono il
secondo livello e vi rimasero fermi.
Secondo alcuni ( Farrington, 1982: 163-65 ), essi non varcarono la
soglia del mondo moderno non perchè mancassero di talenti individuali, ma per
l'organizzazione che si era data la società, divisa tra liberi e schiavi. Ai
primi era riservato il diletto del pensiero fine a se stesso ( al solo scopo di
promuovere la propria formazione personale ), ai secondi era riservato il
lavoro manuale. Il primo rendeva l'individuo superiore, il secondo lo
abbrutiva. E tra le due classi una netta separazione. Tra le due sfere non
c'era e non ci poteva essere alcuna comunicazione, nè interscambio di idee ed
esperienze. Il fallimento della scienza greca è dovuta proprio alla incapacità
della società a superare questa contraddizione
Questa, come altre, sono spiegazioni che rimangono alla superficie del
problema, senza affrontarlo nella sua vera natura. Ogni società si dà
l'organizzazione sociale che ha maturato all'interno del suo paradigma
culturale. I greci, nè individualmente, nè collettivamente, possedevano i mezzi
per spingersi oltre la soglia del mondo moderno. Essi non possedevano la
maturità di pensiero, il grado di intelligenza per andare oltre. Per farlo,
essi avrebbero dovuto sviluppare l'intelligenza astratta formale e cioè l'intelligenza
che non si limita ad astrarre dalla realtà ( o astrazione semplice, capacità
che essi avevano raggiunto ), ma l'intelligenza che supera la realtà concreta
per trasferirsi su un altro piano, in cui il reale è solo il punto di partenza
per elaborare concetti che lo travalicano e lo inglobano nello stesso tempo. Ai
greci, per esempio, "
l'astrazione di uno Stato, che è essenziale per il nostro modo di intendere,
era loro sconosciuta, mentre il loro fine era la patria vivente: questa Atena, questa
Sparta, questi templi, questi altari, questa maniera di vivere, questa
cittadinanza, questi costumi e queste consuetudini " (Hegel, 1956: 245, il
grassetto è nostro ). I greci non possedevano la capacità dell'astrazione
formale, nè la possedettero altri popoli prima del XVII secolo. Per maturarla
c'era bisogno di acquisire l'esperienza del medioevo cristiano e del mondo
mussulmano. Solo in senso lato si può affermare che i moderni ripresero il
cammino là dove lo avevano lasciato i greci. Come solo in senso lato si può
affermare che i greci ripresero il cammino là dove lo avevano lasciato le
antiche civiltà. Può essere vero alla lettera, ma non nella sostanza. I
creatori di un nuovo paradigma sono portatori di un altro atteggiamento mentale
e, soprattutto , sono liberi dal condizionamento del paradigma esistente.
L'uomo del XVII secolo, quello che maturò il pensiero formale, era portatore di
un'altra psicologia, di un'altra maturità che gli fecero vedere cose che i
greci non videro ( perchè non potevano ), che gli fecero trarre delle
conclusioni che i greci non trassero ( perchè non ne possedevano i mezzi ), che
gli fecero arguire nuove possibilità che i greci non arguirono ( perchè era al
di là delle loro possibilità ). Questa è la vera causa del loro fallimento. La
porta del mondo moderno poteva essere aperta solo dai moderni. E per essere
moderni bisognava acquisire prima le conoscenze e le esperienze del mondo
medievale cristiano e del mondo mussulmano.
La civiltà greca fu
produttrice di conoscenze e di progresso nel campo intellettuale
Le conoscenze erano frutto della risoluzione di problemi che
riguardavano l'uomo e , spesso, le soluzioni erano geniali. Nulla di più. Si
può dire che l'uomo greco era nello stadio della verità scoperta, ma non aveva
ancora la maturità di pensiero per raggiungere lo stadio della verità
costruita. Cioè, in altri termini, egli poteva scoprire verità, ma non era in
grado di programmare la loro costruzione. Non aveva un metodo per produrle. Non
aveva il metodo scientifico del mondo moderno che fu il vero artefice del fall
out tecnologico, che ha reso la nostra società capace di un progresso
ininterrotto. La Grecia,
come le grandi civiltà che l'hanno preceduta, era rimasta vittima del paradigma
culturale raggiunto. La sua grande capacità assimilativa e la sua grande
potenza creatrice avevano raggiunto il loro climax nel IV secolo, dopo
l'organizzazione sociale si irrigidì e divenne ripetitiva e sparirono sia le
capacità assimilative che la potenza creatrice e si consumava quello che si era
prodotto nel passato senza nulla aggiungervi. E' come se le energie che avevano
prodotto quella crescita si fossero interamente prosciugate e al loro posto
fosse rimasto un vuoto orgoglio per l'alto grado di civiltà raggiunto. La crisi
si palesò con il decrescere lento, in un primo momento, dell'accrescimento di
nuovi elementi, interni ed esterni. Quando l'accrescimento di nuovi elementi
sparì del tutto si entrò in un lungo periodo di stagnazione. Si consumavano le
glorie del passato. A partire dal III secolo a.C., i greci entrarono in un
lungo periodo di stagnazione. " Un osservatore del III secolo a.C. sarebbe
rimasto sorpreso nell'apprendere che la civiltà greca stava entrando... in un
lunghissimo periodo di decadenza intellettuale che doveva durare, con qualche
sussulto e con qualche brillante uomo di retroguardia, fino alla presa di
Bisanzio da parte dei Turchi " (
Dodds, 1978: 244 ). Essi avevano prodotto un nuovo paradigma culturale, che era
qualcosa di sconosciuto per il mondo antico, ma, finita l'attività creatrice,
terminò con essa anche la tensione ideale che quella aveva prodotta e che è la
sola che può condurre a nuovi risultati.
" Ciò che era accaduto nella grande epoca della Grecia, [ accadrà ] di nuovo nell'Italia del
Rinascimento... La liberazione dalle catene rese gli individui energici e
creativi, producendo una rara fioritura di geni, ma l'anarchia... [ rese ] gli
italiani collettivamente impotenti, ed essi caddero, come i greci, sotto il
dominio di nazioni meno civili, ma non così privi di coesione sociale.
" Il risultato fu però meno disastroso che nel caso della Grecia,
perchè le nazioni divenute ora potenti, ad eccezione della Spagna, si
dimostrarono altrettanto capaci degli italiani di insigni conquiste " (
Russel, 1966, I: 17 ).
Le conquiste dei greci non furono suscettibili di ulteriore sviluppo
nell'immediato perchè lo stato, che si sostituì alla civiltà greca come organizzazione
politica, aveva altri interessi e stava
sviluppando un altro aspetto della personalità dell'uomo: quello pragmatico. E
tutte e due queste civiltà rimasero vittime dell'andamento ciclico della storia
e furono sopraffatte da altri popoli che non avevano ancora raggiunto la
maturità di pensiero necessaria affinchè si verificasse l'effetto cumulativo.
Il Rinascimento, invece, fu prolifico perchè le altre nazioni che stavano ai
suoi confini erano intellettualmente in grado di recepire, assimilare, le sue
conquiste e spingerle oltre. E questo si può spiegare con le condizioni
generali dell'umanità nelle due epoche. La seconda, quella rinascimentale,
era, la punta avanzata di un
rinnovamento intellettuale generalizzato che interessava tutti gli stati del
mondo europeo. La prima, quella greca, era, invece, inserita in un contesto
mondiale fatto di popoli barbari, tranne uno, quello romano, che, però,
nonostante fosse più efficiente nell'organizzazione politica e statuale, non
era interessato all'attività speculativa.
Nel campo delle scienze e della filosofia, infatti, il mondo romano non
raggiunse mai il livello di struttura mentale dei greci. Esso non era un popolo
di intellettuali. La conoscenza che lo attirava era quella " della scienza
applicata e aveva poca pazienza per la teoria " ( Africa, 1968: 68 ). Il
romano era interessato a risolvere i problemi pratici dell'organizzazione
sociale: costruire ponti, acquedotti, strade, bagni, amministrare la giustizia,
organizzare un esercito, ecc. La cultura, fine a se stessa, era lontana dai suoi
orizzonti mentali. Eppure, l'impero romano avrebbe potuto costituire " un
serbatoio unico per la messa in comune dell'esperienza umana...
" Nell'ordinamento scientifico della gran massa di nozioni rese
così disponibili, non venne fatto nessun progresso. Non fu avanzata alcun
ipotesi creatrice originale per ridurre ad un ordine un certo numero di fatti
dispersi. Da tutti i dati accumulati non fu suggerita una sola invenzione
importante. Nonostante l'esistenza di una grande classe agiata di uomini
istruiti e anche colti, la Roma
imperiale non diede contributi significativi alla scienza pura. Ricchi
dilettanti, come Seneca e Plinio, con l'aiuto di un esercito di segretari
greci, compilarono enciclopedie di scienza naturale. Sebbene un buon numero di
osservazioni vere e nuove vi erano registrate, la loro disposizione è
chiaramente asistematica, e il giudizio critico di Aristotele chiaramente
assente. Per quanto Plinio respinga a parole la magia, la sua credulità è
deplorevole " ( Childe, 1949: 287-88 ).