C A P I T O L O I
IL CAMMINO DELL'UOMO
La Storia dell'uomo inizia con le civiltà dell'Antico Oriente. Prima abbiamo la lunga
notte della preistoria. Esse furono le prime, per quanto ne sappiamo, ad
iniziare quel tipo di organizzazione politica ( Carneiro, 1970: 733-38 ) e
sociale ( Hawkes-Wooley, 1963 ) che
poi sarà caratteristica di tutta l'umanità successiva. Comunque, esse costituiscono
il punto di arrivo di un processo che era iniziato quando l'uomo si era
staccato, in via definitiva, dalle scimmie antropoidi ( Le Gros, 1967 ) per dar
vita ad una specie mai vista prima sulla terra, nè immaginabile dal punto di
vista biologico la specie homo.
In effetti, il distacco dell'uomo dalle sue cugine scimmie non fu
determinato da una mutazione genetica, ma avvenne per una mutazione culturale (
Hewes, 1964: 416-18 ): la capacità, acquisita quattro milioni di anni avanti
Cristo, di camminare in posizione eretta. Questa fu la prima rivoluzione, forse
la più grande, che l'uomo abbia mai compiuto. Egli sottraeva alla locomozione
due dei suoi arti e li aveva li pronti per essere utilizzati in altre attività.
Con questo atto, egli usciva dalla condizione animale strettamente intesa per
iniziare il primo luminoso capitolo della storia dell'uomo.
Quando sottraeva due dei suoi arti alla locomozione, egli era già in
possesso di una struttura e di una capacità, che - assieme alle neo acquisite
mani - dovevano costituire la triade della sua potenza futura come dominatore
del mondo fisico.
La capacità era quella di emettere suoni e rumori. Una capacità comune a
tutto il regno animale ma - a
differenza degli altri animali - l'uomo imparerà a dare ordine a questi suoni e
rumori; imparerà ad articolarli e a renderli comprensibili ai suoi simili;
cioè, li trasformerà in linguaggio ( MacDonald, 1960: 289-308 ) e questo lo
metterà in grado di comunicare la propria esperienza non solo ai suoi
contemporanei, ma anche ai posteri, attraverso il racconto orale prima e la
scrittura poi, ponendo le basi, attraverso l'accumulo delle conoscenze, della
sua ulteriore evoluzione. " L'uomo preistorico diede inizio alla specifica
attività mentale... e alla formazione
della sua futura personalità attraverso l'evoluzione dei gesti e dei suoni in
simboli. L'uso di questi simboli, per esprimere e comunicare le proprie
esperienze, sarà la condizione necessaria per creare le prime comunità e per
avere la prima netta distinzione tra l'uomo e il resto del mondo animale "
( Ratner, 1941: 98 ).
La struttura era rappresentata da una massa di materia molliccia a due
stadi, che risiedeva in quella che oggi chiamiamo scatola cranica: il cervello.
Il primo stadio ( il paleocervello ) di questa massa di materia originariamente
svolgeva la funzione di stabilizzatore dell'equilibrio corporeo nei movimenti
ed era la sede degli impulsi o istinti primordiali: la paura e l'aggressività.
Il secondo stadio ( il cervello mammifero ), sovrapposto al primo, si sviluppò
quando la primitiva condizione di rettile si evolse in quella di mammifero. In
questo secondo stadio (cervello mammifero) risiedono gli impulsi dei sentimenti
e l'emotività.
Quando l'uomo esce dalla ferinità, con la sua posizione eretta, è in
possesso solo di questi due stadi del cervello ( Hawkes-Wooley, 1963: 59 ), ma - da
quel momento - incomincerà a svilupparne un terzo ( Trivus, 1971: 35-37 ), la
neocorteccia, che si dimostrerà la più rivoluzionaria delle strutture
biologiche dell'uomo. Nel tempo, la neocorteccia diverrà la sede dove si
registreranno le azioni che egli compie nella vita quotidiana per affrontare e
risolvere, a livello istintuale, i problemi che gli si pongono e ne conserverà
la memoria ( Oakley, 1954: 17 ). Quando imparerà a coordinare questa memoria
avrà acquisito l'abilità che lo rende
" diverso e superiore a tutti i mammiferi " ( Burtt, 1946: 13
), al cui ordine appartiene: il pensiero.
Il pensiero è una conquista relativamente tarda nella storia dell'uomo.
L'uomo che usciva dalla ferinità non lo possedeva. Egli agiva sotto l'impulso
degli istinti primordiali (
paleocervello ) o delle emozioni e del
sentimento ( cervello mammifero ). Il pensiero sopraggiungerà quando egli avrà
acquisito la capacità-abilità di organizzare le imitazioni e le azioni
interiorizzate ( informazioni ) (
Mumford, 1969: 90 ) in immagini mentali per creare dei messaggi; cioè, quando
svilupperà la capacità di organizzare
una lingua semplice di base, fatta di agenti, azioni, attributi, ecc.,
sviluppando, così, un'attività del cervello prima sconosciuta, a cui noi oggi
diamo il nome di mente. E' da questo momento che nasce la dicotomia cervello-mente, che sarà poi la sua caratteristica
fondamentale ( Prometeo, 1984 ).
Nella storia dell'uomo, quest'organizzazione delle informazioni si è
avuta a diversi livelli: dalla più semplice, quella sensomotoria dell'uomo
primitivo, alla più complessa, quella operatorio formale dell'uomo
contemporaneo, per cui parliamo di livelli di struttura mentale o intelligenza.
La storia dell'uomo è stata la storia dell'evoluzione di questi livelli
di struttura mentale. Tutte le conquiste fatte dall'uomo nella storia sono
conquiste strettamente ed indissolubilmente legate alle sue capacità
intellettive. La capacità di coordinare i suoi movimenti in posizione eretta,
la lavorazione della prima pietra per farne un arnese, l'invenzione della
lancia o dell'arco per la caccia grossa, l'invenzione dell'agricoltura e della
terracotta, ecc., rappresentano tutti stadi dell'evoluzione delle sue capacità
intellettive. Queste sono cresciute lentissimamente, per passi graduali e
successivi, ma non consecutivi. Tra i diversi livelli non c'è mai stata, fino
al XVII secolo, un'evoluzione costante. I regressi a livelli inferiori, fino ad
un certo periodo storico, sono stati la
regola piuttosto che l'eccezione. Per questo motivo, letture della storia, come
quella di Vico, non sono arbitrarie, ma trovano una giustificazione nelle
vicende dell'uomo. Il progresso costante, anche se lento - esasperatamente
lento, almeno fino al primo quarto del XX secolo - si è avuto solo a partire
dal secolo della rivoluzione scientifica. Cioè, da quando Galileo - nel XVII
secolo - consegnò ai suoi simili un metodo per la ricerca valido sotto tutti i
climi e in ogni angolo della terra, e la cui diffusione fu facilitata dal fatto
che la tribù umana era completamente civilizzata, tranne poche frange di
nessuna rilevanza storica, e relativamente omogeneizzata, almeno per quello che
riguarda l'Occidente. Le orde barbariche, che nei tempi antichi premevano alla
frontiera del mondo civile e che spesso erano la causa contingente della sua
distruzione, secondo l'efficace lettura della storia fatta da Toynbee, erano
completamente assorbite nel mondo civilizzato.
Prima dell'uomo di Cro-Magnon, la storia dell'uomo è stata la storia
della sua evoluzione biologica. L'evoluzione culturale, anche se presente, era
insignificante, ma essenziale per l'evoluzione successiva: in
effetti, essa creò le basi su cui sarà edificata la futura capacità
intellettiva dell'uomo.
L'australopiteco ( o grande scimmia antropomorfa del Sud), la prima
creatura a camminare in posizione eretta, morfologicamente aveva le sembianze
più dello scimpanzè che dell'uomo. La sua scatola cranica non superava i 700 cm cubici, " cioè, poco più di quella del gorilla
". La deambulazione in posizione eretta era biologicamente svantaggiosa.
L'apprendimento della coordinazione dei movimenti, nella nuova posizione,
richiese un periodo molto lungo e la posizione quadrupede non scomparve mai del
tutto. Essa ritornava ogni qual volta le necessità lo richiedevano.
Con il Pitecantropo ( o uomo-scimmia ), che troviamo subito dopo
l'australopiteco nella catena dell'evoluzione dell'uomo, la posizione bipede è
ormai stabilizzata e la sua morfologia presenta qualcosa di umano, ma i tratti
fondamentali rimangono ancora scimmieschi. La sua scatola cranica subisce un'evoluzione
piuttosto rilevante. Infatti, essa può contenere una massa di 1000 cm cubici, trecento in
più dell'australopiteco. E questo è un dato molto significativo. " L'uomo
non nasce come essere umano nel pieno senso culturale del termine... egli nasce
come un organismo biologico grezzo con degli istinti e dei bisogni primari,
come quelli del cibo, del riparo e del sesso " ( Ratner, 1941: 97-98 ). La
posizione eretta provoca in lui un doppio mutamento: nella morfologia, gli fa
perdere le sembianze scimmiesche per assumere quelle che poi noi chiameremo
umane; nella scatola cranica, provoca una crescita nella massa che essa
contiene e questo costituisce una straordinaria e rivoluzionaria mutazione
biologica, forse la più importante: quella che rese l'uomo capace di creare se
stesso e le sue civiltà.
Con il successivo uomo di Neandertal ( o Homo faber ) si raggiunge il
primo traguardo definitivo dell'evoluzione biologica: la capacità della scatola
cranica raggiunge la sua massima espansione, 1450-1600 cm. cubici, ma le
sembianze conservano tratti ancora molto primitivi. E' con l'uomo di Cro-Magnon
che l'uomo raggiunge la stabilizzazione della sua morfologia attuale. Ma quale
differenza tra i due ! L'uomo di Neandertal, pur possedendo le stesse
potenzialità biologiche e neurologiche dell'uomo di Cro-Magnon e pur avendo
raggiunto per primo la stabilizzazione della capacità della scatola cranica,
non aveva ancora maturato la capacità di pensare.
L'uomo di Cro-Magnon fu, per quello che ne sappiamo, la prima creatura
capace di formulare il pensiero. Ci vollero 100.000 anni per raggiungere questa
abilità, tanti quanti ne intercorsero, più o meno, tra la comparsa dell'uomo di
Neandertal, che aveva una massa cerebrale identica alla sua, ma non sapeva utilizzarla
per la formulazione del pensiero, e la sua comparsa che, invece, sapeva farlo.
Come ci volle quasi un milione di anni perchè l'uomo sviluppasse la massa
cerebrale della neocorteccia che, ai fini delle ordinarie funzioni corporee,
non gli era necessaria.
Con l'uomo di Cro-Magnon, l'evoluzione biologica e morfologica si era
conclusa completamente e iniziava quella straordinaria evoluzione culturale,
che renderà l'uomo padrone assoluto del mondo fisico e lo spingerà a
travalicarlo per indagare sui grandi segreti dell'universo alla ricerca della
sua provenienza e del senso della sua esistenza.
Questa evoluzione culturale è strettamente connessa con la massa
cerebrale della neocorteccia, che con i suoi 30 miliardi di neuroni, ha dato
all'uomo il più formidabile strumento per superare tutti gli svantaggi della
sua specie. Sin dal suo primo sorgere, infatti, egli si presenta svantaggiato
rispetto agli altri mammiferi. Ha qualche bisogno in più ed è molto più debole.
A suo vantaggio aveva la versatilità delle sue mani, le potenzialità di un
linguaggio e le sconosciute capacità del suo cervello.
Egli iniziò la sua esperienza come raccoglitore-cacciatore. La prima non
presentava grosse difficoltà ed era una pratica che egli conosceva molto bene
in quanto praticata anche nello stadio precedente. La seconda, invece,
richiedeva una abilità ed una destrezza che presupponevano una diversa e più
efficace utilizzazione e delle mani e del cervello ( Lee-De Vore, 1968 ). Egli
aveva a che fare con bestie che erano sempre più veloci e, molto spesso, anche
più forti di lui. Se voleva avere successo, doveva supplire alle deficienze
naturali con arnesi inventati e creati da lui per essere utilizzati come
ausilio ( Aitchison, 1960: 2 ). Da
qui non ci volle molto per capire che una pietra aguzza su cui era caduto
ferendosi, o in cui si era imbattuto, poteva diventare un arnese che poteva
essere utilizzato a suo vantaggio, o che un pezzo di legno con cui, magari,
aveva battuto i rami di un albero per far cadere dei frutti, poteva essere
utilizzato diversamente.
Tutte le informazioni che egli aveva acquisito nello stadio preumano (
Jones, 1941: 6 ), e che era riuscito ad organizzare in immagini mentali,
venivano utilizzate per ricavarne una conoscenza diretta ad altri scopi. Era
l'inizio dell'avventura intellettuale dell'uomo. Egli non poteva avvalersi di
alcun sapere o conoscenza prodotta prima di lui. Egli rappresentava, in senso
filogenetico, l'infanzia dell'umanità. Lo stato mentale era, in effetti, una
tabula rasa. Tutto doveva essere creato, inventato, scoperto ( Breasted, 1916:
2 ). E tutto fu creato, inventato e scoperto in forma semplice e rudimentale,
come semplice e rudimentale è la produzione del bambino dei nostri giorni ( Bruner, 1965: 71-80 ), in senso
ontogenetico, prima che acquisisca e faccia proprio l'eredità sociale delle
generazioni presenti e passate attraverso la comunicazione del processo
educativo.
L'australopiteco aveva iniziato questa sua attività " creatrice " lavorando il
primo utensile della storia: la pietra spezzata da una parte per renderla
tagliente. Questo fu il suo massimo contributo alla storia dell'uomo, ma fu un
contributo molto importante in quanto fissava l'inizio di un'attività sconosciuta
la regno animale e tipica dell'uomo: la creazione di utensili da utilizzare in
modo cosciente e " intelligente ". Anche le scimmie sono capaci di
svolgere delle attività ( Kurland-Beckerman, 1985: 73-93 ), che possono
sembrare intelligenti, ma, in realtà, si tratta di azioni meccaniche,
ripetitive, svolte in modo inconscio. Insomma, esse utilizzano degli utensili,
ma non sanno fabbricarli ( Grassi, 1978 ). " E, sebbene quest'ultima
attività si sia sviluppata dalla prima, c'è un'abissale differenza tra l'uso e
la fabbricazione di utensili " ( Graham, 1962 ).
La tecnica della pietra spezzata fu successivamente perfezionata dal
Pitecantropo, il quale moltiplicò le operazioni su una stessa scheggia fino ad
ottenerne una specie di lama regolare. E questo fu il massimo sforzo intellettuale che il
Pitecantropo seppe fare: oltre non seppe andare.
Con l'uomo di Neandertal, invece, si fa un salto in avanti piuttosto
rilevante, ma ancora non decisivo nell'utilizzazione delle capacità
intellettuali. Infatti, egli costruisce utensili piuttosto perfezionati,
confeziona i primi rudimentali indumenti ( Birdsell, 1975: 324 ), conosce l'uso
del fuoco, che d'altronde era conosciuto anche dal Pitecantropo, ma non era
ancora del tutto in possesso della tecnica dell'accensione ( Oakley, 1962: 181
), ha formato il primo embrione di famiglia, dove predomina ancora l'incesto,
dà sepoltura ai propri morti e introduce le prime forme di culto ( Oakley,
1962: 324 ).
Il culto dei morti fu la prima forma di attività propriamente
intellettuale dell'uomo. Egli ebbe per prima la confusa coscienza che
partecipasse al ciclo della natura. E, in natura, tutto ciò che moriva
ritornava a nuova vita. Quindi, anche per l'uomo ci doveva essere una
rinascita. Questa conclusione non fu raggiunta attraverso una ragionamento
logico, ma fu raggiunta attraverso la sentita e confusa partecipazione al mondo
fisico con il quale si confondeva. Da qui nasce il culto dei morti. Essi
ritornano a nuova vita. Prima come demoni, che devono essere placati, e ,
successivamente, come numi tutelari. L'uomo di Neandertal aveva creato le
premesse per il salto definitivo nello sviluppo delle capacità intellettive
dell'uomo, ma era incapace di farlo egli stesso perchè non aveva ancora
maturato la capacità di formulare il pensiero, pur essendo in possesso di una
forma rudimentale di linguaggio. La sua azione rimaneva dominata dagli istinti.
I suoi utensili, per quanto perfezionati, non gli consentivano di affrontare,
in forma stabile e con successo, la grande sfida della caccia grossa ( Wymer,
1982: 161 ). Egli era dedito principalmente alla piccola caccia indiscriminata,
non avendo ancora maturato la capacità di selezione.
E' con l'uomo di Cro-Magnon che si fa il primo balzo definitivo. Egli è
l'erede della esperienza dei suoi predecessori ( Jones, 1941: 7 ). Le sue
qualità intellettuali si sono affinate. Egli è capace di formulare il pensiero,
anche se ancora in forma embrionale. Sa evocare e rappresentare immagini. Ha
inventato nuovi utensili che gli consentono di cacciare i grossi animali. Ha
capacità selettive. Ha creato la prima società allargata a più nuclei
familiari. E' capace di fare la prima e grossolana organizzazione delle
informazioni per ricavarne nuove conoscenze. I fenomeni della natura non sono
accettati passivamente e con terrore panico, ma vengono rozzamente interpretati
come l'attività di entità coscienti e volitive che egli può influenzare
attraverso la rappresentazione mimetica.
In breve, avendo acquisito l'abilità del pensiero ed essendo in possesso
di un relativamente evoluto mezzo di comunicazione orale, egli ha posto le basi
della futura evoluzione culturale e psicologica della società umana. Le sue
rappresentazioni mentali erano strettamente legate alla sua limitata esperienza
di vita. Era il mondo quotidiano che gli forniva la possibilità delle prime
associazioni: le difficoltà incontrate nelle caccia grossa, l'impossibilità di
abbattere un animale troppo grosso, magari gli suggeriva l'invenzione di un nuovo
utensile che ovviasse al problema. La difficoltà di difendersi adeguatamente
dal freddo gli suggerì di coprirsi con le pelli degli animali uccisi e,
successivamente, di unire più pelli per avere una protezione maggiore.
L'uomo di Cro-Magnon non dava più risposte meccaniche alle sfide
quotidiane, come avevano fatto i suoi predecessori. Egli aveva imparato, in
forma inconscia, ad utilizzare quella massa di neuroni che si era formata nella
lunga storia dell'evoluzione biologica dell'uomo e che non era necessaria per
la coordinazione dei movimenti e la ripetizione meccanica delle azioni. Egli
aveva imparato, senza averne coscienza, che essa serviva per capire la realtà
che lo circondava e che gli poneva sfide quotidiane. Il suo era un capire
rudimentale e semplice. Non era ancora in grado di associare o interconnettere
più informazioni. Erano semplici idee che maturavano alla luce della
esperienza, magari fortuita. Era in possesso del fuoco, ed era un mangiatore di
carne. Forse l'accidentale caduta di un pezzo di carne sul fuoco o il cosciente tentativo di mettere un
pezzo di carne sul fuoco per vedere cosa succedeva, gli fece scoprire che la
carne cotta era migliore e quindi
ne acquisì l'idea. Così nacquero tutte le altre esperienze dell'uomo sapiens:
casi fortuiti o tentativi coscienti per superare una difficoltà o per
soddisfare una curiosità. " Il primo passo verso la conoscenza scientifica
è costituito dalla meraviglia e dalla curiosità " ( Sedgwick-Tyler, 1917: 5 ). Quest'ultima
fu una molla allo sviluppo che non bisogna sottovalutare. La curiosità è nata
con l'uomo ed è stata una delle fonti principali della sua evoluzione
culturale. " La curiosità esplorativa dell'uomo, il suo gusto per
l'imitazione, e per la manipolazione fine a se stessa, senza il proposito di
ulteriori ricompense, erano già visibili nei suoi antenati scimmieschi " (
Mumford, 1969: 19 ).
Le singole e frammentarie conoscenze acquisite dall'uomo di Cro-Magnon
costituiscono la base di partenza della superiore esperienza dell'Homo sapiens.
La via era stata indicata: fortuità, risposta ad una sfida e/o curiosità cosciente. Così vennero tutte le
altre conquiste culturali dell'uomo: dall'invenzione dell'agricoltura alla
organizzazione sociale.
Era l'evoluzione biologica che prendeva un'altra strada: non era più
l'uomo che mutava per adattarsi all'ambiente, ma era l'ambiente che veniva
mutato per essere adattato alla sopravvivenza dell'uomo. E questo avveniva
grazie a quella massa grigia di cui la natura aveva inspiegabilmente dotato
l'uomo. Sin dall'uomo di Neandertal, essa aveva raggiunto la sua maturità
fisiologica completa, uguale a quella che noi possediamo oggi ( Jones, 1941: 7 ). Ma era una massa che
non serviva a nulla, almeno nell'immediato, Era lì nella scatola cranica,
pronta all'uso, con le stesse potenzialità che noi le riconosciamo oggi, ma
inservibile e di nessuna utilità immediata per l'uomo. Le sue potenzialità
erano e sono enormi. Nemmeno oggi esse vengono utilizzate a pieno. Sembra che
se ne utilizzano solo il tre per cento. Ma era ed è la carta vincente
dell'uomo. Una carta il cui valore non esiste a priore;cioè, il suo valore non
è bello e pronto per essere usato, ma esso va costruito dall'uomo secondo certe
regole ben precise. Ed esso non ha un valore fisso ed univoco nel tempo. Esso
muta nella storia. Ogni epoca storica ha dato alla sua carta il massimo valore
che era capace di esprimere, sia verso l'alto, sia verso il basso. In breve, il
suo valore dipende dalle abilità acquisite dall'uomo e dalla sua capacità di
adattamento in una determinata epoca storica.
Queste sono le due classiche definizioni dell'intelligenza dell'uomo,
ossia della sua struttura mentale, che non è mai stata uguale nel tempo, ma si
è evoluta costantemente, anche se non in modo continuativo, per cui parliamo di
livelli di struttura mentale o grado di intelligenza.
L'uomo di Neandertal era ancora dominato dagli istinti in cui
predominavano la paura e l'aggressività. Egli non aveva maturato alcuna attività
mentale che non fosse legata alla meccanicità istintuale. Ma aveva appreso a
dare una prima forma ai suoni ed ai rumori che emetteva per trarne delle parole che designassero le cose in cui si
imbatteva. Ma erano parole non coordinate tra di loro. Ognuna esprimeva e
indicava una cosa. Egli era assolutamente incapace di dare ad esse una
sequenzialità per trarne un pensiero. Cioè, egli aveva appreso, se vogliamo, a
ricavare delle singole informazioni dalla sua esperienza quotidiana, ma non
aveva appreso a saperle collegare per ricavarne un messaggio, cioè un pensiero.
Egli era come il bambino che ha appena imparato a camminare in posizione eretta
e a pronunciare alcune parole come " papà ", " mamma ",
" genitori ", ecc., ma non ha ancora maturato la capacità di metterle
insieme per ricavarne un pensiero semplice e di senso compiuto come " papà
e mamma sono i miei genitori ". Nè poteva essere diversamente. Le
potenzialità del cervello vanno sviluppata gradatamente, con passaggi obbligati
e consequenziali, almeno così ci dice l'ontogenesi nella vita dell'individuo (
Bruner, 1965: 71-78 ) nella nostra esperienza quotidiana. Nella filogenesi,
cioè nella storia evolutiva dell'uomo, è avvenuta la stessa cosa. Ogni stadio,
dal livello sensomotorio dell'uomo primitivo a quello operatorio formale dei
nostri giorni, è stato preparatorio dello stadio successivo e senza quello non si sarebbe potuto avere questo.
L'Homo sapiens fu il primo, almeno per le conoscenze che possediamo fino
a questo momento, a saper dare un ordine alle parole per formulare il pensiero
e così equipaggiato andò alla conquista del mondo fisico. E, man mano che la
sua esperienza materiale ed intellettuale cresceva, egli maturava una nuova
forma di pensiero, che inglobava le forme precedenti, ma era qualitativamente
diverso.
Egli incominciò la sua esperienza intellettuale confondendo se stesso
con il mondo fisico circostante. La coscienza della sua individualità era al di
là da venire. Anche la formulazione del pensiero non fu un atto cosciente. Egli
non " pensa coscientemente
bensì i pensieri semplicemente si presentano " ( Jung-Kerènyi, 1972: 112
). La realtà del mondo fisico
circostante è assimilata alla propria attività ( egocentrismo ) in cui i dati
percettivi svolgono un grande ruolo ( realismo ). Egli è attivo e vivente e.
allora, concepisce tutto come vivente e dotato di intenzionalità ( animismo ).
Il fuoco, le acque, gli alberi, le nuvole, il cielo: tutto è vivente e dotato
di poteri vastissimi di cui egli ha terrore.
Ogni sua azione ha uno scopo, una finalità e, allora, tutto ha una
finalità ultima ( finalismo ): la natura, il mondo fisico è fatto per l'uomo.
Egli costruisce da solo i propri utensili e, allora, pensa che tutto sia stato
costruito " da un'attività divina che opera secondo le regole della
costruzione umana " ( artificialismo ) ( Piaget, 1967: 36 ).
L'atteggiamento tipico della mentalità dell'uomo primitivo è quello secondo il
quale, creata la funzione, lentamente e nel tempo, essa non veniva attribuita a
se stesso ( l'uomo non ha ancora coscienza di sè ), ma veniva attribuita al dio
( Turner, 1941: 74 ), a cui egli dava il nome. Così veniva giustificata la
nuova funzione, ma non spiegata. La mentalità dell'uomo, a questo stadio. non è
in grado di spiegare alcunché; può solo
giustificare l'ordine esistente, attribuendone l'istituzione ad una
divinità. E quest'ordine diveniva una norma che non poteva essere trasgredita.
Per i trasgressori c'era la punizione, ma non verso i singoli ( l'individualità era di là da venire ),
ma verso la collettività a cui essi appartengono. L'ordine esistente era retto
dall'obbedienza. Ogni fenomeno, che si verificava in natura, era il prodotto di
un dio. Il concetto di causa materiale era al di fuori delle sue possibilità intellettive e lo rimarrà per
lungo tempo nella storia dell'uomo. Egli vedeva l'universo come l'intergioco di
forze demoniache. In questo gioco di forze, egli poteva inserirsi solo con la magia
per influenzare il dio e costringerlo ad agire secondo i suoi desideri
(Mella,1978:38-40 ). " In questo stadio primitivo, l'uomo si trova in una condizione pre religiosa
" ( Cornfort, 1912: 78 ). Il suo è un pensare per analogie immediate (
pensiero transduttivo ).
Il realismo, l'egocentrismo, l'animismo, il finalismo e l'artificialismo
sono le prime forme di pensiero maturate dall'uomo primitivo ( Petter, 1966:
XVIII ). Esse avevano come supporto d'insieme il sincretismo; cioè, la capacità
di " legare ogni cosa a tutto grazie a precollegamenti soggettivi " (
Piaget, 1966: 170 ). Il realismo dell'uomo primitivo era assoluto: tra il
proprio io e il mondo esterno c'era una perfetta identificazione. Egli non ha
alcuna coscienza del suo pensiero.
E' in questo mondo pre conscio che egli incomincia a darsi le prime
spiegazioni del mondo reale, le prime giustificazioni della sua esistenza e
dell'ordine stabilito delle cose. E' in questo stadio che incomincia ad
attribuire poteri soprannaturali agli elementi del mondo fisico che più
colpiscono la sua fantasia, che lo terrorizzano con la loro potenza. Questo fu
lo stadio della formazione embrionale dei grandi miti e della nascita della
religione ( Campbell, 1959: 275 ). " Lo spirito primitivo non inventa i
miti: li vive. I miti sono, originariamente,rivelazioni dell'anima
pre-cosciente, involontarie testimonianze di processi psichici inconsci e
tutt'altro che allegorie di processi fisici " ( Jung-Kerènyi, 1972: 113 ).
Per questa attività di pensiero egli ha bisogno di simboli. Sono
immagini che egli ricava dalle azioni reali ( pensiero simbolico ). E "
l'immaginazione deve usare materiali che provengono dalla esperienza per
costruire le sue creazioni e, per quanto possa combinarle fantasticamente,
poichè l'esperienza dell'uomo primitivo era molto limitata... i miti che
registrano queste creazioni si muovono su sentieri ristretti " ( Shotwell,
1961: 42 ).
Quando egli entra nella fase dell'agricoltura nascono i grandi miti
della fertilità. I primi dei che egli creò furono femminili ( specialmente
quelli della fertilità e della produzione in genere ) in analogia a quanto
osservava in natura: la donna era prolifica, dava al maschio dei figli e
partecipava allo stesso ciclo della natura. L'uomo stesso era parte integrante
della natura. La sua identificazione con essa era perfetta. Nelle " ...
culture che hanno la loro base economica nella caccia, nell'allevamento e
nell'incipiente agricoltura... la religione è generalmente caratterizzata dalla
partecipazione. L'uomo si identifica con le forze e gli elementi primitivi
della natura da cui dipende la sopravvivenza, per mezzo della magia
simpatetica, mimandoli. Così, attraverso una diretta e magica identificazione
con essi e attraverso l'imitazione precisa dei loro atti, l'uomo riesce ad
assicurarsi che essi continuino ad essere presenti e ad agire correttamente in
ogni momento di transizione, anno dopo anno. L'uomo... è dio, per dirla
all'europea, è lui che crea tutto e attraverso l'azione mimata del dramma si
assicura la prosperità nell'anno che inizia " ( Jacobson, 1975: 68 ).
Quando inizia la sua nuova e
rivoluzionaria attività di agricoltore,
egli è in possesso di tutti questi strumenti del pensiero: sa osservare la
realtà, ma non sa andare al di là del caso singolo; l'insieme e le sue
interrelazioni sono al di fuori della sua portata e lo rimarranno per tutto lo
svolgimento storico delle prime civiltà; le conoscenze che acquisisce non le
attribuisce a se stesso, ma ad un dio e quindi esse non hanno un valore dinamico:
non servono per creare altre conoscenze, ma hanno un valore statico; sono
esperienze che egli immagazzina per utilizzarle nella vita quotidiana o per
consegnarle ai posteri attraverso il racconto orale; sa rappresentarsi la
realtà, cioè, sa evocare immagini di oggetti assenti, ma non è ancora in grado
di formarsi un concetto generale degli elementi di conoscenza, rimanendo a
mezza strada ( pensiero pre-concettuale
).
Man mano che modificava il suo assetto di vita, l'uomo evolveva nei suoi
livelli di struttura mentale. " Ogni arnese [ che costruiva ] era una nuova
invenzione, o piuttosto era il punto di partenza di una serie di nuove
invenzioni, ognuna delle quali era suscettibile di miglioramento, che veniva
introdotta gradatamente " ( Sarton, 1953: 4 ). Le nuove informazioni, che
acquisiva attraverso questa sua febbrile attività di costruttore ed
organizzatore sociale, anche se le attribuiva ad un dio, costituivano il
veicolo attraverso il quale le sue capacità intellettive si modificavano e si
evolvevano. Oggi sappiamo che il cervello umano, nel momento in cui assorbe ed
elabora informazioni, cambia anche nella sua struttura e si evolve. " Il
suo hardware, che è costituito da trenta miliardi di cellule nervose, i
neuroni, cambia a causa degli innumerevoli messaggi che determinate sostanze
chimiche, i neurotrasmettitori, fanno rimbalzare da una cellula all'altra.
Quella rete mirabilis, come è stata chiamata, che lega tutte le cellule in
conseguenza degli stimoli esterni, si modifica e si evolve " ( Costa, 1986
).
Questo è stato il processo attraverso il quale l'uomo ha modificato i
suoi livelli di struttura mentale. Egli è partito con un cervello che possedeva
solo gli istinti primordiali: la paura, l'aggressività e il sentimento; per il
resto egli era una tabula rasa. Man man
che riceveva degli stimoli esterni, egli agiva sotto gli impulsi dell'istinto e
ne interiorizzava l'azione, che diventava, per ciò stesso, un'informazione.
Dall'associazione delle azioni interiorizzate ( informazioni ) egli ricavava
dei messaggi ( l'uomo di Neandertal era solo alla stadio dell'informazione
interiorizzate, solo l'uomo di Cro-Magon arrivò allo stadio dell'associazione
). " originariamente il principio generale dell'associazione era strettamente
connesso con il problema della rievocazione: il principio afferma che quando un
qualche evento o esperienza passata viene rievocata, l'atto stesso della
rievocazione tende a riportare alla coscienza tutti gli altri eventi o
esperienze che hanno una qualche relazione con l'evento o l'esperienza
rievocata " ( Britannica, 1962, II: 563 ). Questi messaggi rievocati
causavano una maggiore specializzazione del cervello, che acquisiva, così,
nuove capacità, le quali lo mettevano in grado di rielaborare una maggiore
quantità di informazioni.
Questa evoluzione è continuata senza soluzione di continuità fino alle
prime grandi civiltà: quella sumerica-babilonese e quella egiziana. Erano le
necessità stesse della nuova organizzazione produttiva e sociale che spingevano
l'uomo ad una serie di scoperte ed invenzioni. Naturalmente questo non
significa che ci fu una cascata di invenzioni e scoperte. Le prime invenzioni e
scoperte richiesero millenni. E, tra l'una e l'altra, lo spazio di tempo era
abissale, almeno secondo i tempi dell'età moderna. Ma queste nuove abilità,
queste nuove conoscenze acquisite, facevano aumentare a dismisura l'esperienza
e le capacità intellettive dell'uomo. Le informazioni, che egli accumulava
lentamente, ma progressivamente, man mano affinavano il suo modo di pensare.
Egli prendeva progressivamente coscienza che egli era una realtà distinta dal
mondo fisico ( soggettivismo ), mentre prima si confondeva con esso ( realismo
assoluto ), anche se rimaneva in lui l'anelito a riunificarsi con esso (
Hawkes-Wooley, 1963: 206 ). Anche la lingua si arricchiva. Ai nuovi oggetti,
alle nuove funzioni, bisognava dare un nome. E questa espansione della lingua
lo metteva in condizioni di esprimere le nuove funzioni che egli man mano
maturava nella sua esperienza storica; cioè, lo metteva in condizioni di
esprimere un pensiero più articolato, capace connettere una maggiore quantità
di informazioni.
Fu proprio questa progressiva evoluzione della struttura mentale,
attraverso il processo descritto, e questa conseguente capacità di collegare,
associare informazioni diverse, che rese possibile l'intensificazione dello
sviluppo e l'accorciamento dell'intervallo di tempo intercorrente tra
un'invenzione e l'altra. Per inventare la terracotta ci vollero circa duemila
anni dopo la scoperta dell'agricoltura. Il processo mentale che questa
invenzione implicava, per quanto a noi moderni possa sembrare semplice, era
complesso per lui che non possedeva alcuna informazione. E le informazioni
poteva acquisirle solo dall'esperienza quotidiana. Sapeva che il cibo cotto era
più buono; sapeva, anche, che era il fuoco che cuoceva; sapeva che la creta
esposta al sole si induriva; sapeva, anche, che il fuoco scaldava come il sole.
Ma non possedeva la struttura mentale idonea per collegare o mettere in
relazione queste informazioni. Egli era capace di concentrare la sua attenzione
solo su una di queste relazioni per volta. Solo col tempo egli riuscì a
collegare le due informazioni, ma non come ragionamento logico ( le civiltà
dell'Antico Oriente non arrivarono alla logica ), ma come trasposizione. Il
processo mentale che egli seguì fu quello della fusione dei casi individuali
nel tempo. Nel 7500 a.C.
circa, la terracotta veniva essiccata al sole. Per capire che tra il calore del
sole e quello del fuoco ci poteva essere una relazione, e quindi il fuoco
poteva sostituire il sole, ci vollero 2500 anni. E, in effetti, le prime
terracotta cotte al fuoco apparvero nel 5000 a.C. circa. Ma erano terracotte friabili e
fragili perchè cotte a basse temperature. Per scoprire le alte temperature, e
produrre una terracotta forte e durevole, impiegò altri 2000 anni. Ma il
processo mentale si era concluso, anche
se in un arco di tempo di 4000 anni circa. La nuova struttura mentale lo rendeva
capace di applicare questo processo ad altre invenzioni o scoperte, ma non
attraverso il ragionamento logico, ma attraverso il ragionamento transduttivo,
cioè, come analogia immediata. L'analogia immediata era la forma di pensiero
che aveva sviluppato nel corso del tempo. " Gli egiziani, per esempio,
credevano nell'immortalità e così seppellivano i loro morti con vestiti, utensili, gioielli ed altre cose che
potevano essere utili nell'al di là. Il loro ragionamento era che, poichè
questi articoli erano richiesti nella vita terrena, essi erano necessari anche
nell'al di là " ( Kline, 1964: 25 ). Così il tempo intercorrente tra
un'invenzione e l'altra si ridusse moltissimo. La cottura, ad alta temperatura,
della terracotta portò alla fusione del rame ( che era già usato come minerale
) più o meno nello stesso periodo. Nell'arco di un millennio circa si creò
l'ossatura principale di una civiltà nuova nella storia. Le invenzioni e le
scoperte si susseguirono a cascata ( Birdsall-Cipolla, 1980 ). " Dopo la
scoperta della fusione dei metalli, si accumulò tutta una serie di nuove
invenzioni e si acquisirono nuove tecniche con l'esuberanza di un mondo nuovo
in fermento " ( Hawkes-Wooley, 1963: 564 ).
Ma era un mondo che aveva già raggiunto il suo apice, il suo massimo
sviluppo intellettuale e quello tecnico organizzativo. Questo massimo sviluppo
l'aveva raggiunto quando aveva dato vita ad una civiltà mai vista nella storia.
Dopo di che è entrato in una fase di stagnazione intellettuale e materiale che
sarebbe potuta durare indefinitivamente se non ci fossero stati altri popoli (
il proletariato esterno di Toynbee ) che, facendo proprio il patrimonio
elaborato da queste prime civiltà, maturavano, attraverso una propria ed
originale rielaborazione, un nuovo livello di struttura mentale.
" Ciò che può essere definita la prima rivoluzione industriale
nella storia umana era terminata prima del 2500 avanti Cristo. Fu una
rivoluzione che era iniziata con l'invenzione della agricoltura e le tecniche
che essa aveva elaborato, le quali si svilupparono in quel grande periodo delle
invenzioni che abbraccia i due millenni prima del 3000 avanti Cristo e che,
poi, con miglioramenti tecnici e di scala piuttosto che con innovazioni
fondamentali, continuò fino al 2500 avanti Cristo. Ma dopo quella data,
incominciò la stagnazione e, per molti secoli, si fecero solo lievi progressi.
Non solo i progressi fondamentali cessarono per un lungo periodo, ma anche le
tecniche, le cui idee di base erano state elaborate precedentemente e che, con
un altro piccolo sforzo, che a noi sembra ovvio, avrebbero potuto creare grandi
miglioramenti, non conobbero alcun progresso fino al medioevo " ( Lilley, 1948: 15-16 ).
Raggiunta la grande conquista della rivoluzione agricola, che le aveva
fatte uscire dal nomadismo e dalla polverizzazione dei gruppi sociali per
istituire una civiltà sedentaria, esse non seppero aggiungervi altro. Esse
avevano prodotto il loro massimo paradigma culturale ed intellettuale,
all'interno del quale rimasero per tutto il resto della loro storia. Per andare
oltre, esse avrebbero avuto bisogno di nuove energie, non condizionate, che
sapessero elaborare un nuova sintesi, un nuovo paradigma, dalle conoscenze che
esse stesse avevano accumulato nel frattempo. Ma esse subivano, dall'interno, i
condizionamenti del paradigma. Solo un nuovo popolo poteva elaborare una nuova
sintesi, i cui elementi erano già belli
e pronti, e questo popolo doveva essere quello greco. " Gli egiziani, come
è noto, non possedevano il dono della concettualizzazione e questo li distingue
da quei naturali generalizzatori che furono i greci, i quali non potevano
collegare due fatti senza creare una nuova teoria " ( Green, 1989: 87 ).
Tutte le conoscenze tecniche, matematiche e culturali in genere, prodotte da
queste prime civiltà, servirono ai greci per elaborare il nuovo paradigma, il
nuovo livello di struttura mentale: il pensiero logico concreto.
La civiltà egiziana raggiunse il suo massimo sviluppo mentale sotto la
terza dinastia, poi fu la storia di una lunga stagnazione. " Sono poche le
cose di una certa importanza dell'Egitto dei faraoni che non abbiano le loro
radici in quel grande periodo di creatività " ( Frankfort, 1951: 50 ). La
civiltà Mesopotamica conobbe il suo massimo sviluppo sotto l'impero babilonese,
anche se esso non aggiunse molto al patrimonio dei Sumeri. Quest'ultima
civiltà, tuttavia, raggiunse risultati più avanzati rispetto a quella egiziana
a causa del suo assetto politico più dinamico di quello egiziano. Essa vide
coinvolti, in periodi diversi, diverse etnie ( i Sumeri, che erano di stirpe
indoeuropea, e i Semiti, che erano di stirpe camitica ), e diverse entità
politiche , le quali, dopo " aver assorbito, assimilato, appreso gli
elementi della civiltà babilonese nello stesso modo come avevano fatto tutti
gli altri invasori semitici di questa antica pianura " ( Breasted, 1916:
168 ) aggiunsero sempre il loro contributo originale, anche se molto limitato,
alle conoscenze preesistente. Insomma, in Mesopotamia si ha una limitata
dinamicità, rispetto alla totale stagnazione della civiltà egiziana. Ma,
comunque, il livello di struttura mentale non cambiò di molto. " Lo
spostamento del centro del potere, nel terzo millennio, da Sumer, nell'estremo
Sud, a Babilonia, al centro, e,nel
secondo millennio, all'Assiria, nell'estremo Nord, portò con sè importanti cambiamenti culturali. Nonostante
questi cambiamenti, la civiltà Mesopotamica non perse mai la sua identità; la
sua ' forma ' fu modificata dalla sua turbolenza politica, ma non fu distrutta
" ( Frankfort, 1951: 51 ).
Queste civiltà non raggiunsero mai la struttura mentale del pensiero
operatorio. Esse rimasero al di qua di questa soglia, anche se avevano prodotto
tutti gli elementi per superarla. " Quando cerco di vedere l'universo come
un babilonese lo vedeva intorno al 3000 avanti Cristo, io devo trascinarmi
indietro fino alla mia infanzia. All'età di circa quattro anni, io avevo ciò
che sentivo fosse una soddisfacente comprensione di Dio e del mondo. Ricordo
una volta che mio padre puntò il dito al
bianco soffitto e mi spiegò che Dio era lassù che mi guardava. Mi convinsi
subito che i danzatori [ dipinti sul soffitto ] fossero Dio e da allora in poi
rivolsi le mie preghiere a loro, chiedendo protezione contro i terrori del
giorno e della notte. Allo stesso modo, io credo, apparvero come divinità
viventi ai babilonesi e agli egiziani le luminose figure nel buio soffitto del
mondo. I Gemelli, l'Orsa Maggiore, erano a loro familiari come lo erano i
danzatori a me; essi erano considerati molto distanti ed erano investiti del
potere di vita e di morte, del raccolto e della pioggia " ( Koesler. 1959:
19 ).
Esse avevano creato una civiltà raffinata e complessa. Guardando al
passato da cui provenivano, quello dell'uomo neolitico, esse avevano impresso
un forte impulso all'evoluzione della specie umana: un grande salto di qualità
all'intelligenza dell'uomo. Quello che a noi moderni, che abbiamo percorso
tanta strada grazie alle loro conquiste, sembra primitivo e infantile ( addirittura per bambini di quattro anni,
dice Koesler ) , in realtà costituiva la massima espressione dell'evoluzione
del pensiero dell'uomo. Esse avevano toccato la punta massima del loro
sviluppo, oltre il quale non seppero e non potevano andare; anche se esse
stesse, con la massa di conoscenze che avevano acquisito nei secoli, avevano
creato le premesse per un nuovo balzo in avanti. In termini piagetiani, la loro
maturità, cioè, il loro massimo livello di struttura mentale ( che Piaget
chiama forma ), costituiva il contenuto della civiltà successiva. Toccherà ad
altri popoli creare una nuova sintesi, una nuova organizzazione delle
conoscenze, e far fare un salto in avanti all'intelligenza dell'uomo. Ma questo
nuovo popolo, questa nuova civiltà , avrebbe
dovuto prima assimilare e fare proprio tutto le conoscenze delle civiltà
che l'avevano preceduto.
Questa nuova civiltà doveva essere la Grecia. Essa seppe
dare un nuovo valore e una nuova organizzazione ai dati acquisiti dai popoli
che l'avevano preceduta. Se si esamina la storia della loro civiltà si può
vedere che, in quanto a dati, i greci non aggiunsero nulla o quasi ( Vernant,
1982: 319-396 ). Ma cosa seppero fare con quei dati ! Essi seppero "
inquadrarli in un novo sistema di reciproche relazioni, dando loro uno schema
diverso, il che in pratica significa assumere per l'occasione una diversa
struttura mentale " ( Butterfield, 1962: 7
).
Nella psicologia dei primi sumeri, così come la possiamo desumere dalla
loro cosmogonia, si trovano idee semplici. Gli uomini furono creati dagli dei
dall'argilla perchè avevano bisogno
di adoratori. Da qui nasce il pessimismo che caratterizza questa civiltà nel
suo corso storico: l'uomo non è nato libero. Fu creato per servire il dio e
questa condizione di schiavitù lo accompagnerà per tutta la sua esistenza; ecco
perchè nella sfera sociale, l'uomo non lavoro per sè, ma per il dio, che è
rappresentato dal suo sacerdote-re. Da qui la mancanza di ogni individualità:
tutti insieme svolgono il compito di lavorare il campo del dio Ciò che essi producono non è loro,
ma del dio, e, quindi, va portato al tempio
il quale diventa il centro motore ( Oates, 1979: 25 ) di tutta la vita
associata. Il singolo non c'entra. E' la società, nel suo insieme, che è
vissuta come organismo, di cui, tutt'al più, il singolo è una cellula. Il
tempio, a sua volta, per essere gestito e per gestire la società, ha bisogno di
tutta una serie di uomini, che svolgano i compiti richiesti dall'organizzazione
sociale: amministratori, giudici, ecc.
Questa nuova organizzazione sociale richiede uno sforzo creativo
eccezionale. Non ci sono esperienze di popoli precedenti da cui mutuare. Tutto
deve essere creato e inventato dal nulla. Ed essi non posseggono una struttura
mentale capace di creare ed inventare a priori. Le loro creazioni e le loro
invenzioni sono il frutto di risposte concrete alle esigenze e ai problemi
immediati del vivere civile in una società urbana, le cui dimensioni erano novità
assolute: il problema della scrittura, che " in principio serviva
all'economia del tempio " ( Speiser, 1969: 86 ); il problema dei numeri,
che servivano allo stesso scopo; il problema delle osservazioni astronomiche,
che servivano all'agricoltura; il problema della geometria, che serviva per
misurare i campi dopo le piene; il problema della tecnica, che serviva per
imbrigliare la natura; i problemi sociali (giustizia, sicurezza,
amministrazione) che un simile tipo di organizzazione poneva; quelli dell'unità
di peso e misura; quelli della moneta di scambio, che serviva per superare il
baratto che era diventato impraticabile. Tutte queste nuove arti devono essere
esercitate da persone altamente specializzate che non possono essere impegnate
direttamente nell'attività produttiva, ma devono vivere sul surplus che il
nuovo tipo di organizzazione sociale è in grado di produrre ( questa è l'inizio della divisione del
lavoro ). Queste persone non lavorano per se stesse, ma per il tempio e il
palazzo ( Zaccagnini, 1983: 245 ) da cui dipendono.
Queste civiltà erano in grado di risolvere qualsiasi problema tecnico
che riguardasse la loro organizzazione sociale. Esse erano delle
affastellatrici di conoscenze ( Finkelstein, 1979: 18 ). Le producevano per
necessità, ma non erano in grado, nè erano interessate, per la verità, a dare
loro un ordine. Ogni nuova tecnica serviva a qualcosa, ma terminata la spinta
della necessità, non si aveva più alcun interesse alla riflessione sul suo
funzionamento. Nè essa veniva messa in relazione con altre tecniche per
ricavarne una nuova conoscenza. Esse non avevano bisogno di questa forma di
pensiero, nè erano in grado di produrla. La sistematicità, la classificazione,
l'ordine, la generalizzazione, la reciprocità, la consecutio logica erano al di
fuori della loro portata. Eppure esse avevano accumulato, affastellato, una
massa enorme di conoscenze che avrebbero potuto metterle in condizione di
operare una svolta nel pensiero umano. Ma esse erano destinate a rimanere una
società quantitativa. Vittime della legge dell'evoluzione filogenetica della
mente dell'uomo. Secondo questa legge, ogni popolo, che ha prodotto un novo
paradigma culturale, una nuova organizzazione del pensiero, rimane attaccato ad
esso e non è più in grado di produrne uno nuovo. Tutte le società del passato
furono vittime di questa legge. La loro organizzazione sociale non ammetteva
una diffusione delle conoscenze a tutto il popolo. Esse rimanevano appannaggio
delle classi dominanti, che le gestivano a fini di potere, e così lo scriba era
geloso della sua arte, come lo era l'artigiano, e ne custodiva gelosamente i
suoi segreti. Questo atteggiamento mentale si conserverà fino al Rinascimento.
Il popolo era irremediabilmente escluso dal sapere. Esso era un affare di stato
nelle società dell'Antico oriente e un affare privato di una classe ristretta
nel mondo greco-romano. Ed era un affare che riguardava il sapere nella sua
globalità, nel senso che esisteva ancora l'unità del sapere. Le branche delle singole
conoscenze, caratteristiche dei nostri giorni, non esistevano. Per questo
motivo, il paradigma culturale, la nuova organizzazione del pensiero, il nuovo
livello di struttura mentale, non poteva essere superato dall'interno della
stessa società, che era collettivamente interessata al sapere, come stato,
nelle società dell'Antico oriente, e come classe ristretta, nelle civiltà
classiche e rinascimentale. Solo un nuovo venuto, che fosse libero dai
condizionamenti psicologici del vecchio paradigma, era in grado di operare la
svolta. E, nelle società anteriori al XVII secolo, che, con l'invenzione del
metodo scientifico, rivoluzionò l'organizzazione delle conoscenze, solo un
altro popolo poteva farlo, partendo dal vecchio paradigma ormai in crisi.
Le Antiche Civiltà Orientali avevano prodotto il loro paradigma intorno
al 2500 avanti Cristo, dopo di allora vissero dei successi ottenuti. Il loro
sguardo, infatti, era sempre rivolto verso la mitica età dell'oro. "
L'uomo fa appello alla saggezza degli antichi a preferenza della presente
realtà. Sul Nilo, nel II millennio, gli scribi copiano solamente le
prescrizioni mediche ed aritmetiche che, essi dichiarano, sono state composte
nel III millennio " ( Childe, 1949: 144 ).
Le antiche civiltà dell'Oriente avevano raggiunto una grande perfezione
tecnica. Esse erano in grado di risolvere qualsiasi problema pratico, ma erano
incapaci di escogitare, inventare, scoprire un processo, come il metodo
scientifico moderno, mediante il quale produrre a pioggia una serie di
conoscenze che avrebbero consentito loro di creare uno sviluppo continuo
nell'organizzazione produttivo e quindi sociale e quindi politica ( i tre
aspetti vanno in quest'ordine ). Esse erano statiche, come statiche saranno le
altre due civiltà del mondo antico: quella greca e quella romana. Tra un
millennio e l'altro, tra un secolo e l'altro non c'erano differenze di rilievo.
L'uomo del III millennio avanti Cristo sarebbe stato perfettamente a suo agio
anche nel I secolo dopo Cristo.
La civiltà sumerica, egiziana,
siriaca, ecc., erano tra loro simili, se non identiche, anche se tra l'una e
l'altra intercorsero millenni. Gli elementi caratterizzanti erano limitatissimi
e non sempre facilmente determinabili; anche se ognuna di esse diede il proprio
contributo originale ed esclusivo allo sviluppo della civiltà. Anche la civiltà
greco-romana non differiva granché dalle altre, sebbene le tecniche della
guerra, le istituzioni e lo sviluppo intellettuale fossero più avanzati L'organizzazione sociale, politica ed
economica era pressoché identica in tutto il mondo antico. " Fino alla
Rivoluzione Industriale in cui viviamo, gli aspetti fondamentali della vita
economica e politica dell'uomo rimasero praticamente gli stessi sin dal neolitico
" ( Durant, 1954, I: 399 ).
Le civiltà dell'Antico Oriente erano società collettive. Per l'individuo
non c'era posto: non esisteva come concetto ( Finkelstein, 1979 ) perchè ogni
persona fisica era una cellula dell'organizzazione sociale, che era la sola che
contava. Però, acconto a questa concezione, esisteva l'individualismo degli dei Essi erano concepiti come individui
organizzati gerarchicamente, ognuno dei quali aveva una propria personalità, un
proprio potere ed una propria posizione nel panteon dello stato. Naturalmente,
il popolo non aveva maturato la coscienza di questa divaricazione tra gli
uomini-collettività e dio-individualità. Il dio, per loro, era il signore e
padrone che tutto aveva deciso e tutto aveva organizzato per l'uomo. Il dio era
il padrone-creatore a cui l'uomo doveva soltanto obbedienza, sottomissione e
lavoro al suo servizio.
Forse è da questa primitivo individualismo degli dei che nasce
l'individualismo degli uomini. Il sistema di produzione potrebbe essere meno
rilevante di quello che si crede. Il collettivismo di queste società è la
conseguenza di una concezione di pensiero, di una scelta ideologica, se così si
può dire, che si trasformò naturalmente in un sistema di produzione, piuttosto
che la conseguenza di un sistema di produzione ( almeno a monte In altri termini, l'ideologia (
concezione religiosa ), invece di essere una sovrastruttura, era la struttura
entro la quale si sviluppò il sistema di produzione. Senza quella non si
sarebbe potuto avere questo
Naturalmente questo era vero nei primordi dell'organizzazione sociale,
quando vigeva il collettivismo socialista di stato e religioso. Quando,
successivamente, si introdusse il concetto e la pratica della proprietà
privata ( Bibby, 1962: 11 ), si
incominciarono ad organizzare le classi e incominciò a far capolino un
proletariato. La società assunse la forma di una piramide ( che si conservò nel
corso della storia successiva fino all'epoca moderna ) in cui il re-sacerdote
era il vertice ( l'unico a godere dell'individualità, in analogia a quella del
dio di cui era sacerdote ), sotto di lui la classe di governo e religiosa e, al
di sotto di questa, ma molto al di sotto, le tre classi che poi diverranno
tradizionali delle società antiche: liberi, semiliberi e schiavi.
L'individualismo greco è il frutto della maturazione di questo concetto
religioso. L'individualismo, che prima era appannaggio esclusivo degli dei,
divenne un patrimonio dell'uomo. E
questo individualismo umano portò ad una diversa organizzazione della
produzione. Come il dio agiva individualmente, così agiva l'uomo, non più
cellula di una comunità, ma membro di una comunità, come prima il dio era
membro della comunità degli dei.
Le fortune politiche del dio dello stato erano strettamente legate al
suo re-sacerdote. Se questi era un grande condottiero ed estendeva il suo
dominio, anche le fortune del dio crescevano e diventava un grande dio, che
dalla città di origine si estendeva ai territori occupati. E questo avveniva
perchè le vittorie del re-sacerdote erano attribuite al dio ( Van Seters, 1983:
57 ), il solo che avesse un'individualità. E solo un grande dio poteva ottenere
grandi vittorie e, quindi, il suo posto nel panteon cambiava.
La storia di Marduk è
esemplare in questo senso. Da dio di second'ordine ( Hallo-Van Dick, 1968: 66 )
ai tempi in cui Babilonia era un'oscura città, a capo supremo del panteon
babilonese, quando questa città assunse, grazie alla capacità dei suoi
re-sacerdoti, la leadership della regione. Nell'assurgere al nuovo ruolo, il
dio assumeva, ricorrendo al sincretismo ( Arborio Mella, 1978: 181 ), molte
funzioni che prima appartenevano ad altri dei. I nuovi nomi, che esso assumeva,
non rappresentavano semplici titoli onorifici. Per i sumeri-babilonesi il nome
non era un epifenomeno, qualcosa che era stata attaccata ad una persona o ad un
oggetto; non era una semplice relazione tra due cose che l'uomo arbitrariamente
stabiliva, ma era insito nella cosa stessa ( Morenz, 1973: 9 ), proveniva da
essa ( realismo immediato ) e tra i due c'era una perfetta identificazione (
Bottero, 1977: 26), per cui Marduk assumeva tutti quei poteri che prima
venivano attribuiti ad altri dei. Così tutte " le conquiste e gli
attributi di Enlil, il dio supremo di Sumer, furono attribuiti a lui, e le
antiche saghe e leggende, in particolar modo quella della creazione del mondo,
furono riscritte in questa nuova versione dai sacerdoti di Babilonia " (
King, 1969: 194 ).
L'individuo, in queste civiltà, non ha nome, è anonimo. Le invenzioni,
le tecniche, i processi, che hanno rivoluzionato il mondo della produzione e
dell'organizzazione sociale, sono sempre stati il frutto della acuta
osservazione o della brillante idea di qualche individuo, ma essi non la
vedevano in questo modo: essi li
attribuivano ad un dio. Tutte le
invenzioni, dall'aratro alla ruota, tutte le scoperte, dalla cottura della
terracotta alla fusione dei metalli, sono attribuiti ad un dio, non agli
uomini, D'altronde, erano invenzioni e scoperte che avevano subito un lungo
processo evolutivo, in cui ogni individuo, ogni generazione ( attraverso i
secoli, è il caso di dire ) apportava il proprio contributo fino ad arrivare al
prodotto finito. Per cui questo non era più un prodotto individuale, ma era un
prodotto collettivo: era il prodotto di un dio e in quanto tale non era più
modificabile, in quanto era stato creato perfetto sin dall'origine.
" I testi sottolineano la perfezione dell'opera creatrice: prima
non c'era nulla, ma quando la divinità interviene, le cose vengono create in
modo assolutamente ' perfetto ',
articolate in ogni dettaglio, per non più cambiare.
" La genesi degli strumenti di lavoro è anch'essa un fatto
istantaneo: nel mito sumerico di ' Enki e l'ordine del mondo', il dio provvede
all'allestimento dell'aratro, del giogo e del tiro; prende la zappa e prepara
lo stampo per i mattoni; organizza il lavoro della tessitura. Ancora più
esplicito è il mito sumerico della creazione della zappa: lo strumento nasce
completo in tutti i suoi dettagli tecnici...
" Lo strumento viene affidato all'uomo, perchè lo impieghi nei
lavori agricoli, nella costruzione delle case e della città. Il carattere
archetipico e immutabile degli strumenti di lavoro, e dalle attività che con
essi si svolgono, è vivissimo nella mitologia sumerica; una volta avvenuta la
creazione, i destini sono fissati e nulla muterà più " ( Zaccagnini, 1976:
294).
" I primi uomini, ne siamo convinti, non mancavano nè della
curiosità, nè della inventività necessaria per creare e costruire strumenti
tecnici; piuttosto la loro curiosità e la loro inventività, sotto la pressione
della necessità, si limitava ad uno spazio molto ristretto, delimitato,
generalmente, dal semplice soddisfacimento dei bisogni immediati che erano
quelli della sussistenza e, quindi, della sopravvivenza. Se gli strumenti
tecnici rendevano possibile questa soddisfacimento, essi non trovavano una
ragione valida per migliorarli. Così si affermò la tradizione che gli strumenti
tecnici erano perfetti e quindi si sbarrò il passo all'innovazione... Almeno
altri due fattori, oltre alla tradizione, contribuirono all'inaridimento
dell'inventività.. Essi erano inclini a credere che l'invenzione e perfino
l'abilità tecnica fosse opera di un dio; più complesso era il processo tecnico
e più questa inclinazione si affermava...; strettamente connessa a questa
inclinazione c'era l'incapacità a percepire la relazione tra la conoscenza
fattuale e il progresso tecnico. I primi uomini hanno accumulato una grande
quantità di conoscenze, lentamente e nel tempo, ma essi non capirono che il
benessere è basato sull'applicazione di questa conoscenza alla manipolazione
della natura... Fin dove questi fattori, come la tradizione, hanno influenzato
l'uomo delle prime civiltà, è spiegabile perchè per un lunghissimo periodo di
tempo il progresso tecnico fu quasi impercettibile " ( Turner, 1941: 73-74 ).
L'affermazione di questa psicologia segna il limite del livello di
struttura mentale raggiunto da queste prime civiltà. Un limite che esse non
seppero superare nella loro storia millenaria. Esse avevano raggiunto il loro
massimo paradigma psicologico-culturale, entro il quale l'umanità sarebbe
rimasta indefinitivamente se non ci fossero stati altri popoli che, dopo aver
fatto proprio tutte le conoscenze prodotte da queste civiltà, avessero
elaborato un nuovo paradigma e quindi un nuovo livello di struttura mentale.
Le civiltà dell'Antico oriente non andarono mai oltre il livello
pre-logico o pre-operativo; anzi, esse rimasero al di qua di questa soglia in
qualsiasi branca del sapere. Saperi di cui esse stesse aveva posto le basi e
che avevano sviluppato secondo le proprie capacità e possibilità. Queste
civiltà possedevano la capacità di accumulare conoscenze, ma non erano in grado
di riflettere su di esse e, quindi, di organizzarle razionalmente per costruire
sistemi. Esse pensavano problema per problema. Esse erano, in senso
filogenetico, allo stadio ontogenetico del bambino moderno che " non
edifica sistemi: ne ha di inconsci e di preconsci, e in tal caso non sono
formulabili nè formulati, e soltanto l'osservatore esterno può individuarli;
mentre egli non ' riflette ' mai su di essi. In altre parole, pensa concretamente,
problema per problema, man mano che la realtà gliene propone, e non collega mai
le proprie soluzioni a teorie generali che manifesterebbero i principi " (
Piaget, 1967: 69 ).
Nell'esperienza storica di queste civiltà " vi sono indubbiamente
sia calcoli astronomici e matematici, sia diagnosi e ricette mediche: val le
pena domandarci se nel formulare quelli e queste, gli uomini furono o meno
coscienti di fare scienza ? Ne fecero, in ogni caso, anche se non la
teorizzarono come tale. Si dirà piuttosto che appunto di questa teoria furono
privi: esiste il pensiero, ma non la riflessione sul pensiero. Per questo
dovremo attender la Grecia
" ( Moscati, 1978: 303 ).
In tutti i campi, esse non seppero andare al di là della necessità
immediata e contingente. La finalità ultima per loro era la risoluzione del
problema quotidiano e non la riflessione su quanto avevano fatto o realizzato .
Esse erano soddisfatte nel sapere che una nuova tecnica " serviva a...
" e non andarono alla ricerca del
perchè di ess. La nuova struttura
economica e sociale, che esse avevano inventato e creato dal nulla,
richiedeva conoscenze che consentissero loro di tenere conto, in
qualche modo, di tutte le attività produttive, che si svolgevano nella vita
quotidiana, e di tutta la problematica dei rapporti interpersonali nell'ambito
della struttura sociale. Ed esse inventarono l'aritmetica ( il far di conto ) e
la geometria. La prima facilitava " il computo del calendario,
l'amministrazione del raccolto, l'organizzazione dei lavori pubblici e la
riscossione delle tasse " ( Struik, 1981:53); la seconda consentiva la
misurazione dei terreni. Ma queste non possono essere assolutamente confuse con
il concetto che noi oggi abbiamo di queste due branche della matematica; cioè, di
leggi a priori espresse nelle tavole matematiche con formule generali. Quella
che, dai greci in poi, chiamiamo aritmetica erano in realtà singole operazioni
su singoli casi. E così anche per la geometria. " I babilonesi del periodo
2200-2000 sapevano come misurare l'area dei rettangoli e dei triangoli isosceli
e rettangoli; essi avevano una certa conoscenza del teorema di Pitagora ed
erano coscienti che l'angolo inserito in una semicirconferenza è un angolo
retto; essi sapevano misurare il volume di un parallelopipedo rettangolo, di un
cilindro circolare rettangolo, della base di un cono o di una piramide quadrata
" ( Sarton, 1953: 73 ). Ma a queste conquiste essi non ci arrivarono
attraverso un ragionamento logico-deduttivo, come faranno i greci, ma ci arrivarono
attraverso un'attività pratica sequenziale, nel senso che un'operazione seguiva
l'altra, la quale - svolgendosi su sequenze causali - conducevano alle stesse
conclusioni di una deduzione logica, ma non lo era. Esse non maturarono mai
struttura mentale necessaria per scoprire, come faranno i greci più tardi,
che le " proposizioni della
geometria sono interrelate; cioè a dire, date certe proposizioni, si può
provare che certe altre sono la logica conseguenza delle prime. Questo
suggerisce la possibilità di ordinare tutte le proposizioni in una tale
sequenza che ogni proposizione nell'ordine, dopo un certo punto, è la logica
conseguenza di alcune o di tutte le proposizioni che la precedono" (
Britannica, 1962, X: 178 ). Ma il concetto di relazione e di ordine era al di
fuori della portata di queste civiltà. L'unica cosa che esse sapevano dire di un'operazione era che " avevano fatto
questo e poi quello " ( Rey, 1942, I: 138-40 ). Mai troviamo una dimostrazione
che implichi un rigoroso ragionamento logico simile a quello che poi troveremo
presso i greci. " Esse accumulavano semplici formule, regole tecniche
elementari che nascevano come risposta a problemi che sorgevano in situazioni
particolari. Non c'era la possibilità di uno sviluppo generale dell'argomento,
nè i testi che ci sono pervenuti enunciano principi generali... La loro
incapacità di costruire un corpo di conoscenze scientifiche o di inglobare i
dettagli in un'ampia sintesi si nota anche nell'astronomia egiziana e
babilonese L'osservazione degli
astri si svolse per millenni, ma non venne mai alla luce una teoria che
correlasse e illustrasse quelle osservazioni " ( Kline, 1964: 21-22 ). Il
ragionamento che esse seguivano era realistico, e questo dava, quando si
svolgeva su sequenze causali direttamente osservabili, lo stesso risultato di
un ragionamento deduttivo; ma, quando si svolgeva su casi individuali, separati
nel tempo e nello spazio, conduceva al sincretismo ( Piaget, 1966: 192-93 ). E
il sincretismo fu la loro massima conquista intellettuale. Alla deduzione
logica esse non arrivarono mai, anche se possedevano tutti gli elementi di
conoscenza per raggiunger questo nuovo livello di struttura mentale ( pensiero
logico concreto ), ma erano talmente invischiati nell'esistente e nel presente che
non seppero farlo. La nuova sintesi doveva essere prodotta da altri non
coinvolti nella psicologia collettiva dominante perchè alieni, e che,
per l'occasione, dovevano essere i greci.
Anche quando parliamo dell'organizzazione della giustizia, in queste
civiltà, e parliamo di codici, siamo portati ad attribuire a questi un valore
semantico che connota il termine moderno: una raccolta di norme generali ed
astratte che vengono applicate a casi particolari. In realtà, quello che noi
impropriamente chiamiamo il codice di Ammurabi è una raccolta di norme ( leggi
) particolari riferentesi a casi specifici e descritti da applicare quando quel
caso specifico si verificava. Quando noi diciamo che il codice di Ammurabi è
diviso in tre grandi sezioni: civile, penale, amministrativo, gli diamo un
ordine e una struttura sistematica che, anche se utile a noi moderni, sono in
realtà una forzatura alla psicologia di quella società che questo
raggruppamento e quest'ordine non era in grado di produrre, Quello che noi
impropriamente chiamiamo codice (
Edzaro, 1967: 218 ) erano in realtà leggi sparse, anche se raccolte per
argomenti, che venivano attivate così come le necessità lo richiedevano. La
classificazione, l'ordine, la sistematicità erano concetti e categorie che le
civiltà dell'Antico Oriente non avevano ancora maturato e non matureranno mai.
Il grande merito di Ammurabi, che non aveva creato nulla di nuovo, o
quasi, fu quello di aver reso queste leggi applicabili in tutto il suo impero (
Bibby, 1962: 119 ), garantendo così la certezza del diritto. Ma le leggi in se
stesse, se considerate in termini moderni, erano molto spesso ingiuste e, qualche volta, inumane. E pur tuttavia,
questo codice ha un'importanza fondamentale nello sviluppo della civiltà
dell'uomo perchè è la prima volta, per quanto ne sappiamo, che l'uomo sente
l'esigenza di dare un qualche ordine alla giustizia senza la quale non ci può essere pace
sociale. La Pax, in tutte le civiltà, è sempre fondata sul diritto e sulla forza che fa osservare questo diritto ( potere politico
dello stato ). E Ammurabi, anche senza un disegno cosciente, garantiva, col
codice, tutt'e due i principi.
Anche nella storia naturale esse non andarono al di là di un pragmatico
elenco di quasi tutte le specie viventi ( piante ed animali ), assegnando ad
ogni pianta e ad ogni animale un nome. La classificazione era ancora lontana.
Esse erano interessate solo al riconoscimento pratico della pianta e
dell'animale, non alla classificazione o alla descrizione, che è il primo passo
verso la classificazione.
La storia,per queste civiltà, era il mito. Esso era quasi sempre, almeno
nei tempi succssivi, la trasposizione, in forma fantastica, di un fatto
realmente accaduto, che veniva attribuito ad un dio ed acquistava, così, valore
universale. Quello che noi impropriamente chiamiamo storia è la cronaca ( la
lista dei re ), nel primo millennio, spicciola di eventi e fatti accaduti sotto
un regno particolare. Essa assume la forma di un'elencazione arida e semplice
di una sequenza di azioni commesse dal sovrano durante il suo regno: sono fatti
messi uno accanto all'altro senza un collegamento d'insieme tra di loro e senza
alcuna riflessione su di essi. Di solito essi recitano: ' io, sovrano tal dei
tali, ho costruito questo tempio e fatto questa cosa per il piacere del dio.'
Sono fatti realistici che non hanno nulla da dire di più di quello che dicono e
raramente essi si innalzano a valori letterari ( Barton, 1929: XXI-XXII ).
Nella religione le credenze sono attestate, ma mai formulate
teoricamente ( Moscati, 1978: 30 ). Il panteon era costituito da
un'interminabile lista di dei, senza alcun ordine e senza alcuna gerarchia, ma
con poteri diversi.