fuori sacco L'uomo, le societˆ, le istituzioni Campana, una scuola diversa
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Capitolo VIII

LE FUNZIONI DELLO STATO

    Le funzioni dello Stato nel XX secolo sono diventate più vaste e più complesse delle funzioni svolte dallo Stato nel XIX secolo. Perciò è bene distinguere la forma di Stato che è stata in auge dal 1750 al 1908 circa (1), cioè lo Stato liberale, e lo Stato ad economia mista dei nostri giorni.

1. - LO STATO NEUTRALE: IL LAISSER FAIRE

      Il liberalismo intendeva lo Stato come garante, o, se vogliamo, co­me guardiano della libertà dei suoi membri e la sua sfera d'azione era limitata a tutte quelle funzioni che, per il loro carattere collettivo, so­ciale ed umanitario, restavano fuori del campo di azione dell'iniziativa privata, basata principalmente sul profitto.

   In particolare, l'azione dello Stato doveva essere limitata: 1) alla «protezione della società dalla violenza ed invasione di altre società in­dipendenti»,; 2) all'amministrazione della giustizia e in particolare alla difesa del ricco contro il povero, perché «ovunque esiste la grande pro­prietà, esiste una grande disuguaglianza. Per un ricco ci devono esse­re almeno 500 poveri, e la opulenza dei pochi presuppone l'indigenza dei molti. L'opulenza dei ricchi suscita l'indignazione dei poveri che. spesso, spinti dal bisogno, invadono la loro proprietà... Il ricco può dormire i suoi sonni tranquillo solo sotto la protezione del magistrato»(2); 3) alla «costruzione e mantenimento di quelle istituzioni pubbliche e a quei lavori pubblici, i quali, sebbene possano essere della più grande utilità per una grande società, sono, comunque, di tale na­tura che il profitto non potrebbe ripagare mai le spese sostenute dall'imprenditore e che perciò esso (Stato) non si può aspettare che siano costruite e mantenute dall'imprenditore privato»(3).

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(1) Tutte le date storiche, che non stanno ad indicare un evento ben preciso e ben defi­nito nel tempo, sono arbitrarie, ma sono utili e necessarie per orientare il lettore. In par­ticolare abbiamo scelto queste due date perché la prima esprime il periodo in cui fiorì la

scuola fisiocratica, per la quale le funzioni sacre dello Stato «consistente principalement à ne pas émpecher le bien qui si fait tout seul, et à punir le petit nombre de gens qui attentent à la proprietè privée»; la seconda perché segna, piu o meno, l'inizio dell'intervento statale nell'economia.

(2)  ADAM SMITH: The Wealth of Nations (La ricchezza delle nazioni; trad. in italia­no); Book V, cap. I part. I, p. 653. 2 Ibid., p. 679.

(3) Ibid., p. 681. 4 Ibid., p. 423.

       La fondazione di ospedali, la costruzione di strade, di ponti, ecc., sono tutte cose che non avrebbero potuto offrire un profitto all'im­prenditore privato e quindi dovevano essere costruite e fondate col de­naro pubblico. Naturalmente, lo Stato poteva imporre delle tasse che, secondo lo Smith, avrebbero dovuto essere proporzionali alla ricchez­za, ma che in realtà venivano pagate soltanto dalle classi più povere.

    Al di fuori di questa limitatissima sfera, lo Stato non poteva opera­re. Esso doveva lasciare l'individuo libero, anzi, gli doveva garantire la libertà di perseguire il suo proprio interesse, specialmente nel cam­po economico «poiché ogni individuo cercando... (di) promuovere sol­tanto il suo particolare guadagno è guidato da una mano invisibile a promuovere... quello della società più efficacemente di quanto egli in­tenda veramente promuoverlo»(1).

      In breve, lo Stato doveva garantire al cittadino tutte le libertà civi­li (libertà di parola, libertà di stampa, libertà religiosa, ecc.), ma non poteva e non doveva intervenire, in nessuno modo, per concedere al cittadino quella che Franklin D. Rooselvelt, Presidente degli Stati Uniti d'America, definì una delle quattro libertà fondamentali: la liber­tà dal bisogno(2).

      Il benessere dei cittadini era appannaggio esclusivo della "mano invisibile" che, attraverso gli egoismi particolari, avreb­be promosso il benessere collettivo. In questo consisteva, in sostanza, il principio del laisser faire, i cui tre elementi principali possono essere così sintetizzati: 1) libera con­correnza; 2) iniziativa privata; 3) individualismo ed era «basato sulla fede del costante ed automatico adattamento tra domanda ed offerta, tra consumi ed investimento, tra salari ed impieghi: in poche parole tra tutti i fattori determinanti della vita economica. Nella realtà, in­vece, la vita economica nel XIX secolo era caratterizzata dall'alternar­si di fasi di prosperità e di depressioni (i cosiddetti cicli economici).

     Quando la depressione economica cadeva trascinava con sé salari e profitti, causando una disoccupazione massiccia e una miseria gene­rale. L'ingranaggio del mondo della produzione si bloccava e cessava di produrre. I lavoratori si trovavano d'improvviso disoccupati (3) ed esposti alla più nera miseria. E la loro condizione era tanto più triste in quanto non esisteva alcuna regolamentazione sociale che li garantisse dalla conseguenza della disoccupazione e dalla fame.

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(1) Adam Smith, op. cit. p. 423

(2) Le altre sono: la libertà di parola, la libertà religiosa e le libertà dalla paura.

(3) ALBERT LAUTERBACH: Libertà e pianificazione; Universale Cappelli, p. 29.

     Furono appunto le gravi conseguenze di queste depressioni ricor­renti, le quali facevano piombare le nazioni in uno stato di momenta­nea barbarie, che incoraggiarono l'intervento dello Stato nel mondo dell'economia.

    Tuttavia, questa non era la prima volta che lo Stato interveniva per correggere le anomalie del sistema liberista. Il suo primo interven­to lo Stato lo operò negli stessi anni ruggenti del laisser faire, quando cercò, con una legislazione illuminata, di correggere gli aspetti più di­sumani della società liberista, basata sullo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Nel mondo liberista ogni comunità nazionale era divi­sa in due grandi classi contrapposte: i ricchi e i poveri. «Con il loro de­naro i ricchi potevano comprarsi le medicine per il loro corpo e l'istru­zione per le loro menti. Essi potevano abitare in case grandi e grazio­se.

    I poveri non potevano nulla di tutto ciò. Per il ricco, né la disoccupazione, né la vecchiaia rappresentavano una crìsì finanziaria perché il reddito del capitale che avevano accumulato continuava a scorrere. Per il povero, il pensiero di perdere la sua fonte di guadagno a causa della sopraggiunta vecchiaia o la perdita del posto costituiva un terro­re che lo ossessionava quotidianamente. Gli svantaggiati, per i quali il prezzo dell'istruzione privata, dell'assistenza medica privata, dell'abi­tazione e dell'assicurazione privata era proibitivo, potevano ottenere questi servizi da una fonte soltanto, cioè da una fonte pubblica» (1).

      Lo Stato incominciò ad approvare una serie di leggi (legislazione sociale), in un arco di tempo più o meno lungo, che miravano, appunto, a sollevare il lavoratore da quello stato di abbrutimento e di sfrutta­mento in cui lo aveva spinto la rivoluzione industriale e a garantirgli un tenore di vita più elevato della semplice sussistenza e, soprattutto, a garantirgli condizioni di vita più umane.

    Si incominciarono ad approvare leggi che proibivano l'impiego di fanciulli nelle fabbriche e nelle miniere e riducevano la giornata lavo­rativa degli adulti da 18 a 16, poi a 12 ore per arrivare, infine, alle 8 ore giornaliere dei nostri giorni. Si intervenne sul rapporto di impiego tra il datore di lavoro e il lavoratore, fissando le tariffe minime di sala­rio e disponendo che fossero assicurati al lavoratore migliori condizio­ni igieniche negli ambienti di lavoro e maggiore salvaguardia contro gli infortuni e contro le malattie, contro l'invalidità e la vecchiaia e contro la disoccupazione.

    Si intervenne nel campo dell'istruzione, che era quasi esclusivamente nelle mani degli ordini religiosi, le cui scuole, per ìl loro carattere privato, erano frequentate da persone che poteva­no pagare, creando, anche qui, una spaccatura profonda tra una picco­la minoranza  istruita  e  privilegiata  e  una  massa amorfa di reietti anal­fabeti, e si istituì la

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(1) L. LIPSON: The Great Issues of Politics; Prentice Hall, 1965, p. 192

scuola di Stato. Sebbene l'intervento dello Stato, in questo settore così fondamentale al progresso civile di ogni nazione, si limitò alla scuola elementare, esso ebbe il grande merito di avere aperto le porte dell'istruzione alle grandi masse e di averla resa obbli­gatoria e gratuita.

2) - LO STATO INTERVENTISTA: L'ECONOMIA MISTA

      All'inizio del XX secolo, le crisi economiche, che nel frattempo erano diventate sempre più frequenti e sempre più acute, convinsero lo Stato che il sistema liberista, lasciato a se stesso, era incapace di as­sicurare alla nazione un progresso economico continuo ed equilibrato, come non era stato capace di garantire alla nazione un armonico svi­luppo sociale e civile. Ci si rese conto che se si voleva assicurare alla nazione un crescente sviluppo economico e abolire o, quanto meno, at­tutire le catastrofiche conseguenze delle depressioni economiche, lo Stato doveva abbandonare la sua tradizionale neutralità ed intervenire anche nel campo dell'economia.

    Dapprima questo intervento fu frammentario ed occasionale. Esso si risolveva in «una serie di misure economiche isolate, non coordinate e senza rapporto fra di loro, intese a migliorare, in determinati periodi, le condizioni dei produttori di grano, degli allevatori di bestiame, della industria tessile, di qualsiasi altro gruppo economico. (Poteva) essere adottato per mantenere il livello degli utili, dei prezzi, dei salari o delle condizioni di lavoro nella particolare industria che (formava) oggetto di tali misure, oppure (poteva) essere principalmente inteso a miglio­rare il gettito delle imposte. Poteva anche avere come scopo la conser­vazione delle risorse minerarie, idriche o forestali; oppure servire ad assistere una comunità o una zona in particolari condizioni di disagio economico; soprattutto poteva spesso rappresentare il tentativo di at­tenuare gli effetti di una depressione ciclica o strutturale, in gestazio­ne o in atto» (1).

     Ciò che c'era di positivo in queste misure è che esse riu­scivano a tappare, bene o male, le falle che continuamente si aprivano nella grande barca dell'economia, ma non riuscivano ad impedire che esse si aprissero, e ciò era dovuto al fatto che, più che misure preventi­ve, esse erano misure correttive di squilibri che si venivano a creare in alcuni settori dell'economia. Esse si erano dimostrate efficaci nella lot­ta contro le grandi depressioni o nel risollevare un settore dell'econo­mia da uno stato di crisi, ma del tutto inefficaci per garantire al paese un alto sviluppo economico e sociale.

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(1) A. LAUTERBACH: op. cit., p. 70.

3. - LO STATO PROGRAMMATORE

   Fu proprio per colmare questa insufficienza che lo Stato intensifi­cò il suo intervento nel mondo dell'economia con una azione più orga­nica, più coordinata, più continua e, soprattutto, con un'azione pro­grammata, intesa ad utilizzare razionalmente le risorse del Paese e ad aggredire i problemi economici e sociali con una visione globale ed unitaria, distribuendo le risorse secondo una scala di priorità, in modo da assicurare l'armonico sviluppo di tutti i settori della società.

    La quasi totalità degli Stati moderni a sistema capitalistico adotta dei piani di sviluppo economico e sociale in cui si fissano gli obiettivi che si intendono raggiungere e si indicano gli strumenti attraverso i quali si intende realizzarli: la leva creditizia, variando il costo del dena­ro; la leva fiscale, variando le aliquote in alto o in basso; la leva degli incentivi, accordando delle agevolazioni di varia natura; la leva del co­sto del lavoro, sgravando le imprese, in toto o in parte, dei contributi previdenziali ed assistenziali (defiscalizzazione degli oneri sociali); la leva del settore pubblico del sistema produttivo, indirizzando le aziende pubbliche e le aziende a partecipazione statale(1) verso gli obiettivi pre­fissati.

     Ogni nazione pone ì propri obiettivi in conformità delle proprie ne­cessità, che sono determinate dalla struttura economica, sociale e ter­ritoriale del Paese. L'Italia, per esempio, pone, come finalità da raggiungere, il supe­ramento dei seguenti squilibri: lo squilibrio tra l'attività industriale e l'attività agricola, la prima caratterizzata da alti redditi e più elevati tenori di vita, la seconda, invece, oppressa e soffocata da bassi redditi e condizioni di vita arretrate; il superamento degli squilibri territoriali tra Nord e Sud, assicurando e promuovendo lo sviluppo armonico tra le varie regioni geografiche della nazione, eliminando, con una politica di incentivazione e di localizzazione degli investimenti, il divario esi­stente tra regioni altamente industrializzate e quindi a tenore di vita elevato e regioni sottosviluppate, caratterizzate da bassi tenori di vita; il superamento degli squilibri sociali, colmando gli squilibri e de­ficienze esistenti nel settore dei beni e dei servizi destinati a soddisfa­re i bisogni collettivi della nazione, come il sistema sanitario e la sicu­rezza sociale, l'abitazione, l'istruzione e le attività culturali, la forma­zione professionale e la disoccupazione, la ricerca scientifica e tecnolo­gica, il sistema dei trasporti e delle comunicazioni, le opere pubbliche, lo sport, ecc.

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(1) Le aziende dì Stato, dì totale proprietà dello Stato, generalmente non sono diretta­mente interessate alla produzione, ma forniscono (lei servizi nei vari settori dell'econo­mia, da quello elettrico (ENEL) a quello dei trasporti (FFSS.). Le aziende a partecipa­zione statale, di cui lo Stato è solo un azionista di maggioranza e quindi ne detiene il con­trollo, sono quasi esclusivamente interessate alla produzione di beni.

      Negli Stati a sistema collettista, invece, si adotta una programma­zione pluriennale centralizzata, in cui non si indicano solo gli obiettivi generali da raggiungere, ma, essendo lo Stato possessore di tutti i mezzi di produzione (per questo si parla anche di capitalismo di Stato), si prescrive anche ciò che le aziende devono produrre e in quale quan­tità, indipendentemente dalla domanda del mercato, che non esiste in questo tipo di economia, e dalla realizzazione di un profitto, che - al contrario di quanto avviene negli Stati capitalisti - non è la loro ra­gion d'essere.

           

4. - IL WELFARE STATE E LA DEREGULATION

      Il primo intervento dello Stato nell'economia era stato dettato dall'esigenza di creare un equilibrio stabile nel sistema economico ed evitare, così, i guasti che il sistema capitalista, se lasciato a se stesso, produceva periodicamente. Questo fu il periodo delle grandi naziona­lizzazioni nel settore dei servizi.

   Successivamente, questo intervento si estese fino ad interessare direttamente la grande industria: da quella di base a quella manifattu­riera. Così, accanto ad un settore privato dell'economia, nacque e si sviluppò, a partire dagli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, un settore pubblico che, secondo Aneurin Bevan, ministro del primo governo laburista inglese del secondo dopoguerra, doveva assumere un ruolo strategico nella politica del governo.

    Secondo Bevan, le nazionalizzazioni dei settori strategici della grande industria e dei servizi dovevano costituire le premesse indi­spensabili per la realizzazione di una politica di grandi riforme sociali in senso egualitario e garantista. In poco più di un quarto di secolo, lo Stato inglese nazionalizzò il 16 per cento dell'industria nazionale. Gli altri Stati europei lo seguirono a ruota. Così oggi la Francia controlla il 23 per cento dell'economia, l'Italia, con il suo settore nazionalizzato e quello a partecipazione statale, il 20 per cento, la Germania il 14 e iì Benelux il 10.

   Su queste premesse, il governo laburista dì Clement Attlee (1945­1951) impostò la sua politica per la realizzazione di un piano assisten­ziale elaborato, in piena seconda guerra mondiale (1942) e su incarico di Winston Churchill, dal liberale William Beveridge.

   Il piano Beveridge sì basava sull'impegno da parte dello Stato di garantire l'assistenza al cittadino dalla culla alla tomba (1), senza distin­zioni sociali. Al cittadino, come membro di diritto dello Stato, veniva garantito un minimo dì sicurezza economica; tutta

______________________________________________________________________(1) i A questo tipo di Stato, più tardi, verranno date varie definizioni: Welfare State, Sta­to assistenziale, Stato del benessere, Stato garantista, ecc

l'assistenza sanita­ria; una pensione per la vecchiaia o in caso di inabilità e - soprattutto –

veniva salvaguardata la sua dignità umana: quello che prima riceve­va, in caso di bisogno, come carità pubblica o privata, ora gli veniva at­tribuito come diritto sin dalla nascita, sia che nascesse ricco o povero. Era una concezione nuova e rivoluzionaria dello Stato. Allo sfrutta­mento dell'uomo sull'uomo del liberismo puro, si sostituiva la conce­zione dell'umanità dell'uomo verso l'uomo. Allo stato gendarme, così caro ad Adam Smith, si sostituiva lo Stato-amico che liberava l'uomo dalla paura del bisogno.

    L'esperienza storica, tuttavia, ha dimostrato che il settore pubbli­co dell'economia non ha svolto quel ruolo strategico che era nei pen­sieri dei suoi ideatori. Col passare del tempo, esso è diventato un cro­nicario delle industrie private decotte, che vengono addossate alla col­lettività per garantire i livelli occupazionali. Esso non crea ricchezza, ma la distrugge. I suoi deficit sono diventati paurosi e riesce a soprav­vivere solo grazie ai costanti finanziamenti dello Stato. La sua stessa esistenza, come industria assistita, stravolge le regole dell'economia di mercato, secondo le quali ogni impresa ha un proprio ciclo di vita e riesce a restare sul mercato (e quindi a vivere) solo se è competitiva e produce utili. Il settore pubblico, invece, è diventato immortale e come tale è al di sopra e al di fuori delle leggi del mercato. Non produ­ce più per il mercato, ma produce solo per perpetuare se stesso a spe­se della collettività. Il fallimento delle nazionalizzazioni è ampiamente riconosciuto da tutti, ed i partiti di sinistra, che prima ne facevano dei cavalli di battaglia, le hanno cancellate dai loro programmi.

   Anche il Welfare State ha dimostrato i suoi limiti. La ricchezza che esso assorbe è enorme. In Inghilterra esso assorbe il 33 per cento del prodotto nazionale lordo (PiL), in Italia il 27,2, in Germania federa­re il 29,5, nel Belgio il 30 e in Olanda il 31. I servizi che esso fornisce sono spesso di pessima qualità e ha sviluppato una macchina burocratica elefantiaca. Alcune aree sono state super garantite, altre sono ri­maste a livello di sopravvivenza. Gli sprechi sono enormi. I conti eco­nomici dello Stato sono saltati. Lo Stato spende di più di quanto incas­sa. I deficit accumulati sono paurosi. L'Italia viaggia oltre i 110 mila miliardi. Il suo debito pubblico ammonta a circa 700 mila miliardi, che rappresenta quasi il 100 per cento di tutto quello che riesce a produrre in un anno (PiL). L'inflazione è diventata un male endemico, più che una malattia ricorrente, come lo era nel passato. Paul Samuelson, pre­mio Nobel per l'economia, ha detto che questo è il prezzo della disu­manità dell'umanità dell'uomo verso l'uomo: quando un disoccupato percepisce un sussidio che gli garantisce di che vivere non è disponibi­le ad accettare un posto di lavoro non gradito, preferisce vivere a spe­se della collettività.

                                              La deregulation

     Queste sono disfunzioni reali che hanno bisogno di correttivi per riportare ordine nei conti dello Stato e combattere l'inflazione che pe­nalizza le categorie meno protette. Alcuni Governi, però, non credono nei correttivi. Essi pensano che lo Stato debba ritornare alle sue fun­zioni tradizionali del periodo liberista (per questo sono detti neoliberi­sti). Il loro grido, e la loro politica, è: Deregulation, ritorniamo all'anti­co!

    Smantelliamo tutto: lo Stato ad economia mista, che è stato un fal­limento, e il Welfare State, che si è dimostrato ingovernabile. Le aziende di Stato non hanno svolto il ruolo che ci si attendeva e sono di­ventate una fonte di sperpero del denaro pubblico? Allora esse vanno restituite ai privati e riportate nella logica dell'economia di mercato. Lo Stato che provvede a tutti dalla culla alla tomba è un divoratore insaziabile di ricchezza? Allora esso deve finire, eliminando il superfluo e riportando alla logica del mercato quel che oggi è dominato dalla regulation amministrativa. Le provvidenze dello Stato vanno riservate solo a quelle categorie di cittadini che si trovano al disotto della soglia di reddito definita come soglia della povertà.

    La politica della deregulation è adottata dagli Stati Uniti di Reagan e dall'Inghilterra della Thatcher. Quest'ultima è già molto avanti nello smantellamento dello Stato ad economia mista e si prepara a smantel­lare quello assistenziale. E su questa strada la stanno seguendo tutti i governi europei, più o meno timidamente, compreso quello italiano. che sta tentando di vendere i gioielli di famiglia e fa piani per correg­gere lo Stato assistenziale.

                             SPUNTI PER LA DISCUSSIONE IN CLASSE

1)       La politica dell’I.R.I. (Istituto per la Ricostruzione Industriale) è quella di restituire ai privati quelle aziende produttive che non hanno un valore strategico, ma trova difficoltà nel farlo per l’opposizione , palese o nascosta, di certi settori, tra cui i sindacati, i quali temono per i livelli occupazionali. Tu come giudichi questa politica dell’I.R.I.?

2)       L’Italia è il paese dei privilegi e del prezzo politico dei servizi. Il privilegio era un segno di distinzione delle classi protette. Il prezzo politico era il segno della povertà del paese. Nello Stato democratico moderno sono un assurdo. Il concetto di privilegio è superato dal concetto di uguaglianza. Lo svilluppo economico ha fatto superare il concetto del prezzo politico dei servizi per introdurre il concetto di prezzo economico. Per cui ciascuno paga per quello che riceve e le aziende che forniscono servizi hanno i conti in pareggio. Perchè l’Italia stenta a liberarsi di questi due retaggi storici?

3)       Per ridurre i disavanzi e i terribili squilibri della finanza pubblica, alcuni hanno proposto di dividere gli italiani in tre fascie : i poveri, i meno poveri e i ricchi. Questo forse salverebbe i conti dello Stato, ma darebbe un duro colpo al principio democratico dell’uguaglianza. Tu che ne pensi?

4)       Da più parti si afferma che il Welfare State non funziona più e rischia di trascinarci tutti an fondo di un mare di debiti. Quali sono i motivi di questa crisi?

5)       Per pareggiare i conti del Welfare State si pensa ad una riduzione delle prestazioni che lo Stato fornisce al cittadino. Nessuno pensa alla eliminazione degli sprechi che sono enormi e di cui la classe politica è responsabile. Quali sono questi sprechi e quali sono le responsabilità della calsse politica?

6)       Lo Stato italiano ha più volte tentato di introdurre una programmazione economica, ma ogni volta ha fallito per le forti resistenze politiche ed economiche. Credi che una seria politica programmata possa risolvere le due grani questioni italiane: la disoccupazione e la questione giovanile.

 
 
Indice analitico
Prefazione
Capitoli
1) Concetto di Nazione
2) Concetto di Stato
3) Concetto di Sovranità
4) La Costituzione
5) Forme di Stato
6) Democrazia e Dittatura
7) Forme di Governo
8) Funzioni dello Stato
9) Stato ed individuo
10) Il Parlamento
11) La Giustizia
12) La Pubblica Amministrazione
13) La Finanza pubblica
14) I partiti politici
15) Voto e sistemi elettorali
16) L'opinione pubblica
 

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